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giovedì 21 novembre 2024

Il martirio: segno di viaggio nella fede – Simposio sui Martiri di Damasco

Nel 1219, San Francesco arrivò ad 'Acri con le Crociate che partivano dal continente europeo verso il Medio Oriente, ma arrivò in spirito d’amore, tolleranza e pace, Si incontrò con il Sultano che governava a quel tempo, cioè il Sultano Al-Kamil, il quale diede a San Francesco il permesso di visitare la Terra Santa e le sue chiese esistenti a quel tempo, e arrivò qui, a Gerusalemme, poi partì da Gerusalemme per Betlemme, e tornò a casa sua ad Assisi. Ma lasciò dietro di sé un piccolo gruppo di frati francescani, i Frati Minori, per stabilire il primo nucleo della presenza francescana in Terra Santa, quel nucleo crebbe, e il loro numero in Terra Santa si aumentò, e da qui, da Gerusalemme partirono verso altre città e anche verso altri paesi, così arrivarono anche in Siria, precisamente a Damasco. Andiamo insieme da qui, da Gerusalemme a Damasco.

Sabato 16 novembre, l’auditorium dell’Immacolata, presso il convento di San Salvatore a Gerusalemme, ha ospitato il simposio dedicato ai martiri di Damasco, canonizzati a Roma il 20 ottobre 2024. 

L’incontro, dal titolo “Il martirio. Segno di viaggio nella fede”, ha offerto l’opportunità di riflettere sul profondo significato del martirio cristiano, alla luce della testimonianza donata dai martiri francescani di Damasco.

I relatori hanno affrontato il tema del martirio da diverse prospettive. Fra Alessandro Coniglio, professore presso lo Studium Bilicum Franciscanum, ha esplorato le radici bibliche del martirio. Fra Ulisse Zarza, vicepostulatore delle cause dei santi della Custodia di Terra Santa, ha approfondito la dimensione ecclesiale del martirio, mentre Fra Narciso Klimas, direttore dell’archivio della Custodia, ha ricostruito il contesto storico che ha portato al martirio dei frati e dei laici maroniti a Damasco nel 1860. Il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, nel suo contributo ha offerto una riflessione sul significato del martirio nella vita francescana, sottolineando come il dono totale di sé sia un tratto distintivo del seguace di San Francesco. Il Custode ha affermato: “Secondo San Francesco il martirio è l’orizzonte della vita cristiana. Francesco non dice che bisogna confessare di essere religiosi ma confessare di essere cristiani. Il martirio è il dono della vita per testimoniare il proprio amore nei confronti di Gesù, pertanto è l’orizzonte della nostra vita”.

I martiri di Damasco sono stati un grande esempio di fede e di amore per la vocazione francescana. Da qui nasce l’importanza di celebrare e ricordare la loro storia. 

Fr. Marwan Di’Des, membro del comitato organizzatore del simposio, ha sottolineato l’importanza di ricordare i martiri di Damasco oggi: “I martiri di Damasco sono stati martirizzati in una situazione di grande rivolta e caos durante la quale tutto il quartiere cristiano venne saccheggiato. I martiri francescani avevano la possibilità di fuggire, ma rifiutarono, preferendo rimanere accanto alla gente. Questo è stato il servizio dei francescani in Terra Santa. La nostra missione è legata a questi Luoghi e sull’esempio dei martiri di Damasco noi oggi restiamo qui.”. Il simposio nasce pertanto con l’obiettivo di far conoscere la tematica del martirio da una prospettiva cristiana. Conclude fra Marwan: “Il martirio cristiano è  l’immagine di Gesù Cristo che è il martire per eccellenza. Così anche noi cristiani dobbiamo essere fedeli a Dio ed alla nostra fede anche a costo di offrire il nostro  sangue. Non per amore della violenza, ma per amore di Gesù Cristo.

di Lucia Borgato, Custodia Terrae Sanctae

giovedì 14 novembre 2024

Da Guantanamo Bay alla prigione di Gweran (Siria nord-orientale). Decifrazione di un affare oscuro


Un articolo del 2023 e ... ancora oggi novembre 2024 la straziante agonia del popolo siriano continua

René Naba, 20 maggio 2023, Décryptage

Traduzione di Maria Antonietta Carta 

  • Gli Stati Uniti hanno trasferito nel nord-est della Siria lo schema di Guantanamo Bay , affidando il subappalto dei prigionieri dell’ISIS ai Curdi; centri di detenzione senza alcun controllo, nonostante i gravi abusi che vi si stanno consumando e la corruzione delle guardie curde.

  • L’estradizione dei prigionieri dell’ISIS in Turchia durante l’assedio di Baghouz nel marzo 2019 fu il risultato di una transazione finanziaria con le autorità curde nella zona autonoma della Siria nord-orientale.

  • 270 membri dell’ISIS sono riusciti non solo a fuggire dalla prigione, ma anche a raggiungere “aree sicure”, spesso armati di “ordini di missione” con il sigillo dell’autogoverno curdo.

  • La rete di comunicazione istituita all’interno della prigione di Gweran per collegare i prigionieri dell’ISIS al mondo esterno, comprese le comunicazioni cellulari, fu istituita con la tacita connivenza delle forze curde.

  • Le autorità curde de facto della zona autonoma hanno usato il caso della prigione sia per dissuadere Ankara dall’impegnarsi in un’operazione militare contro l’area curda, sia contro gli Stati Uniti per dissuadere Washington dal ritiro dalla Siria nord-orientale.

Il 20 gennaio 2022, lo Stato Islamico (ISIS) lanciava l’assalto alla più grande prigione di jihadisti nel nord della Siria, rilasciando centinaia di suoi veterani sotto il naso e in barba alle forze curde sostenute dai loro alleati americani.

Hassakeh, una città controllata dai Curdi nel nord-est della Siria, durante quattro giorni fu teatro di combattimenti molto violenti tra le Forze democratiche siriane e i combattenti dell’ISIS in seguito all’assalto islamista contro la gigantesca prigione di Gweran, il più grande campo di detenzione di ex jihadisti e delle loro famiglie. 185 persone furono uccise da entrambe le parti. A sostegno delle forze curde, la coalizione guidata dagli Stati Uniti aveva schierato elicotteri da combattimento che bombardarono ammutinati e sacche di resistenza. La minaccia fu “contenuta”, ma centinaia di prigionieri riuscirono a fuggire. Secondo la versione americana, cellule dormienti introdotte tra le guardie carcerarie avevano lanciato l’assalto, insieme ad autobombe, armando i prigionieri dall’interno e innescando quattro giorni di feroci combattimenti.

1- MIT turco dietro la rivolta dei prigionieri dell’ISIS

Lo spettacolare assalto dell’ISIS a una prigione di Hassakeh, in mano ai delegati curdi degli Americani, fu un’eccelente operazione di ‘’fumo mediatico’’ con un duplice scopo:

- Permettere alla Turchia di conquistare nuove porzioni di territorio siriano.

- Giustificare il mantenimento della presenza militare statunitense in quella zona petrolifera della Siria, senza alcuna base legale o giuridica, sostenendo la permeabilità del settore. 

Almeno questa è l'impressione che emerge dalla dichiarazione del signor Noury Mahmoud, portavoce delle YPG (Kurd People's Protection Units) non appena finita l'insurrezione dei prigionieri dell'ISIS. Il signor Noury Mahmoud accusò la Turchia di fomentare questa insurrezione al fine di occupare Hassakeh e altre città della zona per mezzo dei prigionieri dell’ISIS liberati durante l’assalto alla prigione. Egli disse che Il MIT, servizio segreto turco, ‘’avrebbe stanziato la somma di 15 milioni di dollari per il completamento di questa operazione”, aggiungendo che con la riattivazione dell’ISIS la Turchia intendeva rilanciare la minaccia terroristica presso l’opinione occidentale, ancora sensibile sull’argomento, e quindi giustificare il proseguimento dell’occupazione militare statunitense nonostante l’illegalità della sua presenza nel nord-est della Siria.

Sullo sfondo di una prova di forza tra gli Stati Uniti e la Russia e di una guerra psicologica tra i vari protagonisti del conflitto, la drammatica situazione della popolazione è rimasta nascosta, nonostante essa fosse anche peggiore di quella in cui vivevano i prigionieri di Guantanamo. I media si sono limitati a trasmettere le dichiarazioni delle varie organizzazioni siriane; le Nazioni Unite hanno deplorato la tragedia di decine di migliaia di sfollati a causa delle ostilità e l’UNICEF ha espresso la sua preoccupazione per il destino di 700 bambini nei piani superiori della prigione.

2- Un dramma che colpisce 60.000 persone... banalizzato.

Tuttavia, quella tragedia riguardava 60.000 persone (uomini, donne, bambini), stipati in condizioni disumane nei campi di 20 prigioni; ostaggi di un conflitto trattati da alcuni come appestati o usati da altri come pedine in un gioco di negoziati. Con il tempo, quella situazione anomala si è «normalizzata». In altre parole, è diventata banale.

I militari hanno occupato il posto della politica e degli organi rappresentativi. Mutatis mutandis, l'assuefazione a quel dato di fatto ha provocato una assuefazione simile per la situazione di decine di migliaia di detenuti nelle carceri siriane; vale a dire la normalizzazione o addirittura la banalizzazione del loro status di detenuti; una banalizzazione correlata alla situazione di diverse migliaia di persone incarcerate nelle 11 prigioni costruite dai servizi di sicurezza di Jabhat al-Nusra. La presenza di un numero così elevato di prigionieri implicava che una soluzione politica poteva essere raggiunta solo attraverso negoziati tra combattenti corrotti e con le mani macchiate di sangue.

Gli organismi istituiti dai Curdi per amministrare la regione autonoma ad est dell’Eufrate sono passati sotto il diretto controllo dei leader militari, compresi i giacimenti petroliferi e le aree agricole. Di conseguenza, la maggioranza della popolazione araba ad est dell’Eufrate si è trovata, de facto, sotto l’autorità dell’esercito curdo; senza alcun contatto con un’amministrazione civile. Personale militare che non concede alcun riconoscimento della loro specificità, criminalizzandoli e accusandoli di appartenere all’ISIS se esprimono un qualsiasi reclamo.

3 - Gli Stati Uniti e l'attuazione del sistema di rendering nel nord-est della Siria.

Gli Stati Uniti hanno replicato il sistema di rendering nella Siria nord-orientale, affidando ai loro delegati curdi il subappalto dei prigionieri ingombranti. Il termine ‘’rendition’’ si riferisce infatti all’azione di trasferimento di un prigioniero da un Paese all’altro, al di fuori del quadro giudiziario; in particolare al di fuori delle normali procedure di estradizione. Questo termine è stato pubblicizzato come parte della “guerra al terrore”, in particolare sulle operazioni della CIA nel contrabbando di prigionieri, a volte precedute da un rapimento. Questi trasferimenti sono regolarmente associati a una sorta di “esternalizzazione” della tortura, con gli Stati Uniti che torturano i prigionieri nei Paesi alleati mentre la vietano sul loro territorio. Le persone interessate sono talvolta detenute in prigioni segrete della CIA al di fuori del territorio degli Stati Uniti (noti anche come “siti neri”).

Nel mondo arabo, l'Egitto sotto la presidenza di Hosni Mubarak, il Marocco durante il regno di Hassan II e la Giordania durante il regno del re Hussein praticarono il sistema di ‘’rendering’’ per conto degli Stati Uniti alla fine del XX secolo.

Nel ventunesimo secolo, gli Stati Uniti hanno replicato questo modello con i loro alleati curdi nel nord della Siria.

Per molteplici motivi, relativi sia alla situazione in Medio Oriente sia per ragioni di politica interna americana, gli Stati Uniti intendono rimanere in Siria, benché la loro presenza non abbia alcuna base giuridica, applicando la strategia “zero morti”. 

A- Una transazione commerciale alla base di un obiettivo militare: il petrolio siriano è una fonte di finanziamento per i carcerieri curdi nel nord-est della Siria.

A tal fine, gli Stati Uniti hanno fatto ricorso al ‘’rendering’’ nel nord della Siria affidando il trattamento dei prigionieri ingombranti ai Curdi e imponendo le “Forze democratiche della Siria” per questo compito, ma di fatto l’apparato di sicurezza e le YPG (Durd People’s Protection Units) sono sotto il controllo americano. In cambio, come ricompensa per questa prestazione, gli Stati Uniti assicurano ai Curdi i proventi delle risorse energetiche siriane (petrolio e gas) per finanziarsi e ridurre di conseguenza le spese americane in questo settore. Una transazione commerciale per un obiettivo militare. Di conseguenza, i Curdi si assumono la responsabilità degli eventi che si svolgono nell’area del loro dispiegamento, dei campi di raggruppamento della popolazione e delle prigioni. Allo stesso tempo, l'FBI è pronta, in caso di necessità, a dare una mano ai subappaltatori curdi degli Americani. 

B- Vetted Syrian Opposition (Opposizione siriana autorizzata) o Processo di rispettabilità degli alleati USA in Siria, i gruppi terroristici e i delegati curdi.

Mai privi di immaginazione quando si tratta di realizzare i loro progetti, gli Stati Uniti hanno creato una sorta di etichetta AOC (designazione di origine controllata), per conferire rispettabilità ai gruppi terroristici islamisti che intendeva utilizzzare. Ad esempio, Jabhat al-Nusra, il franchising siriano di al-Qaïda, ha beneficiato dell’etichetta “VSO” – Vetted Syrian Opposition – per beneficiare del diritto di partecipare alla coalizione dell'opposizione off-shore petro monarchica. Per sopraggiunta, gli Stati Uniti si sono impegnati a conferire una «rispettabilità» ai loro subappaltatori curdi attraverso l'apertura nella capitale della zona curda di missioni di rappresentanza dei Paesi membri della «Coalizione internazionale contro l’ISIS», favorendo inoltre visite sul campo di una decina di consoli con il pretesto di informarsi sulla sorte dei loro cittadini detenuti nelle carceri curde, o ancora la ricezione da parte delle autorità curde di personalità occidentali.

4- Il passaggio ai fatti: Il bersaglio, una prigione di 3.600 prigionieri dell’ISIS e 700 minori.

Il passaggio all'azione è avvenuto sullo sfondo di quello spettacolare dispiegamento di menzogne offerto all'opinione internazionale per abusarne. Due volontari dell’ISIS, Abu Abdel Rahman e Abu Farouk della Brigata Muhajirin (un gruppo armato jihadista composto da diaspore musulmane e molto attivo dal 2013 al 2015 durante la ‘’guerra civile siriana’’) furono impegnati in un’operazione suicida con due autobombe, colpendo le mura della prigione di Gweran, un ex istituto industriale di Hassakeh trasformato in centro di detenzione che ospitò 3.600 membri dell’ISIS e 700 minori.

Quell’assalto ha riportato sotto i riflettori la Siria, con la consueta processione di esperti sul fenomeno del terrorismo e le loro speculazioni sui danni collaterali, tra cui i rifiuti umani e guerra al terrore. Se gli Stati Uniti non si fossero subito impegnati in un'operazione commando per eliminare Abdallah Quraysh, il successore del capo dell'ISIS Abu Bakr al-Baghdadi, la Siria sarebbe stata nuovamente cancellata dall'attualità e la tragica sorte delle prigioni e dei campi di contenimento per le famiglie dei detenuti sarebbe stata occultata allo stesso modo.

5- Il precedente della prigione irachena di Abu Ghraib.

Il 'Baghdad Central Detention Center', meglio conosciuto come Abu Ghraib Prison, era una prigione della città di Abu Ghraib, 32 km a ovest di Baghdad. Fu usata dagli Statunitensi come centro di tortura per i detenuti iracheni. Lo scandalo Abu Ghraib, scoppiato nel 2004 in seguito alla trasmissione di foto delle torture inflitte dall’esercito USA ai prigionieri iracheni causò il trasferimento della prigione alle autorità irachene nel 2006.

sabato 9 novembre 2024

I Vescovi maroniti: Porre termine alle aggressioni israeliane che violano la sovranità nazionale

 
Fides, 7 novembre 2014

I Vescovi maroniti si sono riuniti a Bkerké, cittadina del Libano sulla baia di Jounieh, per il loro incontro mensile presieduto dal Patriarca Béchara Raï. Diversi i temi affrontati. Tra questi, le conseguenze umanitarie della guerra in corso in Libano e il “grazie” al Papa e alla Santa Sede per la recente canonizzazione dei “martiri di Damasco” 

Sulla questione del conflitto che da oltre un anno sta lacerando l’area del Medio Oriente, i Vescovi maroniti – si legge in comunicato stampa – hanno espresso “profonda preoccupazione per le vittime e la distruzione causate dagli attacchi israeliani in molte zone del Libano”.
Ribadito poi l’appello alla comunità internazionale affinché “stabilisca un cessate il fuoco immediato e applichi la risoluzione ONU 1701, per consentire il ritorno degli sfollati alle loro case e porre fine alle aggressioni israeliane che violano la sovranità nazionale del Libano”. L’ultimo episodio in tal senso, hanno ricordato i Vescovi maroniti, è stato “il rapimento compiuto a Batroun” di Imad Amhaz da parte un commando navale israeliano pochi giorni fa.

Allo stesso tempo, i Vescovi hanno accolto con favore “la solidarietà dei vari leader religiosi libanesi che si sono uniti per denunciare l'aggressione israeliana e chiedere una rapida risoluzione per proteggere gli sfollati”.

La loro gratitudine è stata poi estesa al presidente francese Macron, che ha deciso di convocare una conferenza internazionale a sostegno del Libano. E, mentre i Vescovi maroniti continuano a sperare in un aumento degli aiuti finanziari che possa permettere il rafforzare delle truppe libanesi, gli stessi hanno voluto sottolineare “l’impegno dei libanesi ad accogliere con dignità gli sfollati e a rafforzare le strutture di accoglienza in collaborazione con le autorità locali e le organizzazioni di sicurezza”.

Dai Vescovi maroniti anche un appello rivolto a chi opera settore educativo: il loro auspicio è che “il Ministero dell'Istruzione istituisca un comitato centrale speciale in rappresentanza delle scuole private e ufficiali, per mettere in atto un meccanismo che possa salvare l'anno scolastico in tutti gli Istituti”.

Infine, hanno voluto esprimere la loro gratitudine a Papa Francesco per la canonizzazione dei "martiri di Damasco”, avvenuta in piazza San Pietro il 20 ottobre.

http://www.fides.org/it/news/75626-MEDIO_ORIENTE_LIBANO_I_Vescovi_maroniti_Porre_termine_alle_aggressioni_israeliane_che_violano_la_sovranita_nazionale