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lunedì 25 maggio 2015

"Ci vogliono morti, ma noi rimarremo qui, con la nostra gente": voce unanime dei religiosi da Damasco e da Aleppo


Intervista a don Alejandro Leon, salesiano di Damasco


Don Alejandro si occupa di un centro giovanile a Damasco e come tutti i religiosi di Siria è in mezzo ai suoi fedeli anche in queste ore difficili in cui i miliziani di Isis sembrano avvicinarsi minacciosamente alla capitale.

ilsussidiario.net. 

Don Leon, lei conosceva di persona il sacerdote rapito, padre Murad?
Non di persona, ma il suo nome era noto. Il suo prodigarsi per i suoi fedeli e non solo era ben noto in Siria.

Ha idea di chi ci sia dietro a questo rapimento?
No, non ho idea, ma in Siria non vengono rapiti solo i preti, i cristiani siriani rischiano la vita ogni giorno, siamo tutti in pericolo allo stesso modo. E' una situazione di pericolo, la nostra, che vive tutto il popolo.

Dopo la caduta di Palmira la situazione è ancora più difficile. La gente fugge di casa?
Sì, tanta gente fugge. Tutto il nord, tutta la zona di Aleppo è nelle mani dell'Isis e tutti sappiamo cosa fa questa gente quando conquista una città, uccide e fa violenze terribili. Quando si avvicinano a un villaggio è logico che la gente fugga, ha paura di essere uccisa. 

Adesso si sono avvicinati ulteriormente a Damasco. Come vivete questa situazione?
Con tanta paura. Ci sono sempre più missili che arrivano sulla città, armi sempre più potenti, i miliziani dispongono, è evidente, di armi nuove e sempre più distruttive. 

Il rapimento di padre Jacques che si era rifiutato di lasciare la sua comunità, riporta in primo piano la testimonianza di voi religiosi in Siria.
Non è nulla, è il minimo che possiamo fare. Quella che voi chiamate testimonianza da parte di noi religiosi in Siria, è solo il minimo che possiamo fare, è un obbligo con la nostra coscienza di religiosi, con l'impegno che abbiamo preso. Come cristiani prima che come religiosi, noi rimarremo qui, con la nostra gente. 

Vi sentite abbandonati dall'occidente?
Sappiamo che c'è tanta gente che ci accompagna, con la preghiera e l'aiuto economico, tante persone preoccupate per noi, ma da voi in occidente c'è anche tanta disinformazione, tanta manipolazione delle notizie.

In che senso?
Chi ha il potere in occidente manipola l'informazione e non dice la realtà di quello che succede qui. 

Cosa vorreste che si dicesse?
Semplicemente la verità: che i governi occidentali continuano ad appoggiare e aiutare la gente sbagliata.

Intende che l'occidente avrebbe dovuto appoggiare Assad?
Esattamente, con lui la situazione non era certo questa, la libertà religiosa era rispettata. I governanti occidentali dovrebbero togliere le sanzioni contro di lui, ad esempio.

Come vivono i cristiani di Damasco questa situazione?
Non è uguale per tutti, non tutti sanno vivere queste prove che sono molto forti. Il centro giovanile di cui mi occupo ospita circa 650 ragazzi e non c'è uno di loro che non abbia perso almeno un parente o un vicino di casa. Tutti sono toccati dalla guerra e c'è chi vive crisi di fede. Ma in generale questa situazione ci ha spinti a essere più autentici, a cogliere maggiormente l'essenziale, che vuol dire Cristo. Tanta gente soffre duramente, ma la comunità cristiana adesso ha una fede più forte, il sentimento che prevale è la testimonianza di fede del popolo che è molto forte. 

Cosa vorrebbe dire ai cristiani d'occidente?
Io ringrazio di cuore tutti, perché so che tanta gente con la preghiera e gli aiuti che ci possono inviare sono con noi. Ma bisognerà che questa testimonianza, anche se so che è molto difficile, questo sentimento popolare arrivi a chi ha il potere.
 I vostri governanti appoggiano la parte sbagliata, continuano a vendere armi o a comprare il petrolio di contrabbando perché più economico. Qualcuno in occidente lo compra e questi sono soldi che servono per uccidere i cristiani di qui. Se il vostro popolo facesse la voce più forte per noi sarebbe una grande cosa.



Antoine Audo SJ, Vescovo caldeo di Aleppo: 

a orchestrare l’espulsione dei cristiani dal Medio Oriente sono i Paesi della regione da sempre allineati con l’Occidente


VATICAN INSIDER, 
Intervista di gianni valente

«Forse rimarremo in pochi. Ma rimarremo. Anche se ci imporranno di pagare la Jizya, la tassa di sottomissione». È vescovo nella città martire di Aleppo, il gesuita Antoine Audo. E vescovo della Chiesa caldea, la comunità cattolica orientale più decimata dall'emorragia di fedeli innescata dalle convulsioni mediorientali degli ultimi decenni.


Lei ha detto che nei conflitti in Medio Oriente c'è chi usa anche le sofferenze dei cristiani per nascondere le dinamiche reali delle guerre.
L'allarme ricorrente sui cristiani perseguitati può essere letto da almeno due punti di vista.
In certi ambienti c'è una propaganda intensa che punta a aumentare la paura indistinta dell'Occidente nei confronti dell'islam, per suscitare la spinta emotiva popolare e così giustificare un maggior controllo sugli ambienti musulmani, soprattutto in Europa.
Dall'altro, ci sono Paesi della regione che con il loro islam wahhabita e l'ansia di rivalse storiche verso la cristianità non riescono a sopportare nemmeno l'idea di una presenza dei cristiani in Medio Oriente. Queste due logiche, per paradosso, si sostengono l'una con l'altra, e convergono fatalmente nello spingere i cristiani fuori da tutta la regione. In Siria non era così. E anche adesso è falso presentare il conflitto siriano come una guerra tra cristiani e musulmani. Ma è questo il messaggio che vogliono far passare, perché fa comodo a tutti.

Il tema della persecuzione dei cristiani viene strumentalizzato nelle strategie geopolitiche?
I Paesi che ho citato sono gli unici che si muovono nella prospettiva di “ripulire” il Medio Oriente dai cristiani autoctoni. Il wahhabismo poi collega il cristianesimo alla modernità, all'eguaglianza dei diritti e al principio di cittadinanza. Tutte cose che loro rifiutano.
Eppure proprio quei Paesi sono gli alleati storici dell'Occidente nella regione. E i circoli occidentali che fanno propaganda e mobilitazione permanente sul tema della persecuzione dei cristiani si accordano splendidamente con la loro strategia. E intanto usano il tema della persecuzione dei cristiani per spingere le loro opinioni pubbliche a giustificare i loro nuovi interventi armati nella regione e aumentare la paura verso gli islamici.
Dicono che le guerre servono per difendere i cristiani. Così cercano di motivare la loro presenza nella regione. Una cosa che non era successa ai tempi delle guerre nel Golfo, quando Papa Wojtyla non aveva dato nessuna sponda a chi voleva presentare gli interventi a guida Usa come nuove Crociate.

Però anche capi delle Chiese cristiane d'Oriente hanno applicato alle sofferenze attuali dei cristiani la definizione di “genocidio”.
Certe affermazioni vanno messe nel contesto del Centenario del Genocidio degli armeni e del Genocidio assiro. In molti siamo ancora segnati da quelle vicende. Anche il mio bisnonno è morto in Turchia in quei massacri, e il resto della famiglia si salvò trovando rifugio a Aleppo. Ci viene spontaneo parlare di Genocidio, anche esagerando. Ma un modo per dire che abbiamo paura. Temiamo che possa riaccadere quello che abbiamo già visto accadere.

Servono a qualcosa le mobilitazioni, o le richieste di interventi internazionali?
Per quattro anni ho ripetuto instancabilmente che l'unica via d'uscita era la soluzione politica del conflitto, che potesse aprire la via alla riconciliazione. Ma ora mi sembra sempre più chiaro che c’è una agenda per distruggere il Paese, spezzettarlo su base settaria senza mettere in conto la permanenza dei cristiani, che devono solo andare via. Questo è il messaggio che ci arriva adesso.

Domenica 24 maggio, una bomba ha colpito l'Arcivescovado siro-ortodosso di Aleppo, danneggiando la preziosa biblioteca del Vescovo Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, rapito il 22 aprile 2013 (foto Jamil Diarbakerli)

Stavolta, come ne uscirete?
Come Chiesa faremo di tutto per rimanere. Anche se dovessimo vivere sotto il potere dei jihadisti e pagare la Jizya, la tassa di sottomissione. Quelli che vogliono partire, partiranno. Ma un piccolo gruppo resterà. I vecchi, i poveri, i sacerdoti, i religiosi. Continueremo in ogni modo a confessare la nostra fede nel nostro Paese, nella condizione data. Anche se si consolidasse il regime del Califfato. Rimarremo lì, e vedremo cosa succede. Possiamo provare a trovare una soluzione, un modo per andare avanti, come abbiamo già fatto nella storia. Non è la prima volta. Questo è il mistero della Chiesa, che nel mondo rimane inerme. E la sua forza non consiste mai negli interventi e nei sostegni esterni. 

Ci sono organizzazioni che aiutano i cristiani a andar via. E il Patriarca caldeo è da tempo in conflitto con alcuni preti che sono emigrati in America senza il consenso dei superiori, dicendo che erano minacciati di morte certa.
Io rispetto le famiglie che hanno i bambini e vanno via. Non dirò mai una parola, un giudizio non benevolo su chi va via perché vuole proteggere i suoi figli dalle sofferenze. Ma per i sacerdoti è diverso. Chi ha delle responsabilità nella Chiesa e va via, lo fa perché sceglie la soluzione più comoda. Se poi si giustifica presentandosi come vittima della persecuzione, questo è anche oltraggioso nei confronti dei veri perseguitati.