Padre Firas Lutfi è siriano, francescano di Terra Santa, ministro della Regione San Paolo che comprende oltre la Siria, il Libano e la Giordania. Nonostante la guerra, è rimasto in Siria, con la sua gente. A Vatican News, racconta nove anni di violenze, di distruzione e di morte. E come oggi aiuta i bambini a ritrovare il sorriso |
A guardare
le televisioni, ascoltare la radio o leggere i giornali, sembra che
la guerra sia finita in Siria. I media non ne parlano più, o quasi.
Questo rimpiange padre Firas Lutfi, francescano di Terra Santa, ma
soprattutto siriano in Siria. Ci tiene molto, perché nel suo paese è
rimasto per tutti gli anni della guerra. “E’ vero che in
alcune zone sono cessati i combattimenti - dice -
però dobbiamo tenere conto di una realtà: la guerra è durata nove
anni. C’è stata una massiccia distruzione, case demolite,
quartieri interamente in rovina, chiese che necessitano di un
intervento per la ricostruzione... Metà della popolazione, parliamo
di 23 milioni prima della guerra, non c’è più, tra morti,
profughi e sfollati”.
Così padre
Firas descrive l’attuale situazione del suo paese, dove la vita è
molto difficile. Demografia e economia in ginocchio. I giovani sono
andati via. Bambini e donne, che siano quelli rimasti o quelli che
oggi vivono nei campi profughi, soffrono di profondi traumi
psicologici. Le sanzioni economiche, l’embargo “che l’Occidente
purtroppo continua a rinnovare contro la Siria, pensando di colpire i
responsabili della guerra” colpiscono in realtà la gente normale,
gli innocenti, i bambini e i più poveri. Quindi attualmente è una
lotta per la sopravvivenza, contro la povertà. Padre Firas vede
intorno a sé una grande desolazione anche se gran parte del
territorio è stato liberato dai jihadisti “venuti da tutte le
parti del mondo, da più di 60 nazioni”. Gli ultimi fondamentalisti
si sono raggruppati nella zona di idlib, l’ultima roccaforte. “Sono
stranieri indesiderati nei loro Paesi di origine che non vogliono più
farli rientrare”. L’analisi del francescano gela: “La
guerra in Siria purtroppo è diventata oggetto di troppi interessi
internazionali. Non è più una lotta contro un regime, non è più
una lotta per una democrazia, per la libertà di parola, di
coscienza, ma è una guerra internazionale che vede coinvolti i
russi, gli americani, gli europei e anche l’Iran, la Turchia e i
Paesi del Golfo, ciascuno con i suoi alleati”. Questa guerra,
padre Firas, la chiama anche “tsunami”, perché ha spazzolato
tutto. “La Siria continua ancora a sanguinare”, dichiara con gli
occhi lucidi. Aspetta la salvezza, ovvero, l’intervento di persone
sagge che si mettono a programmare la pace. Recentemente, un giovane
gli diceva di non più avere la forza per combattere, per lottare.
Che non viveva, ma sopravviveva senza nemmeno osare alzare lo sguardo
verso l’orizzonte.
Alla ricerca di soluzioni
Come
chiesa, come francescano, Padre Firas non si è mai rassegnato.
Certo, in alcuni momenti sembrava che tutto crollasse e che non ci
fosse nulla da fare. Ma non può un cuore francescano, abbandonare.
Allora si è messo a cercare possibili soluzioni. “Come fare par
aiutare la mia gente?” si è chiesto tante volte. Già faceva tanto
la comunità francescana mondiale. Grazie alla solidarietà, grazie
anche a tanti benefattori, si sono potuto distribuire pacchi
alimentari e dell’acqua potabile, perché in guerra spesso, è la
prima cosa che viene crudelmente a mancare. Ma sono anche stati
distribuiti soldi per finanziare micro progetti, per aiutare giovani
sposini a fare i primi passi e costruire una famiglia. “Questi
progetti sono testimonianze che il Signore dà e continua a dare”.
Accanto a
questo dramma, a questa tragedia, padre Firas ha toccato con mano la
presenza di Dio in maniera magnifica, e la Chiesa è stata sempre
accanto al popolo sofferente. Alcuni pastori, sotto la pressione
continua della guerra hanno dovuto andarsene, però, la maggioranza,
i vescovi, sacerdoti e tanti ordini religiosi hanno deciso di restare
in Siria. E cita come esempio due dei suoi compagni francescani che
oggi vivono nel nord, nella zona vicina al confine con la Turchia, a
pochi passi da Antiochia, la famosa e storica Antiochia: “Loro
vivono sotto il controllo non del regime di Assad ma dei jihadisti. E
cosa fanno lì? Stanno a custodire il piccolo gregge dei cristiani
rimasti”. Con i due religiosi, ci sono circa 200 cristiani che
portano non solo nel loro DNA il cristianesimo, ma che anche
sopportano le sofferenze per portare avanti una presenza concreta,
storica, di tutto il patrimonio cristiano di 2000 anni ad Antiochia
dove, per la prima volta, i cristiani hanno preso il nome dignitoso
di “seguaci di Cristo”.
Oggi
ancora, nonostante le mille difficoltà, stanno lì, accanto a questi
due frati francescani della Custodia di Terra Santa, per continuare a
testimoniare l’amore di Cristo, tenero, misericordioso, pietoso
verso questo piccolo gregge.
Padre Firas Lutfi e i bambini del progetto Arte terapeutica |
Rivedere un sorriso sul viso dei bambini
Sono in
corso due progetti per i bambini della Siria. Uno, nella città di
Aleppo, dove padre Firas ha vissuto durante la guerra. Il progetto si
chiama «arte terapeutica». Dietro questa denominazione c’è una
intera squadra di persone e specialisti che fa il possibile per
aiutare i bambini a riprendersi dal quel trauma psicologico che li ha
toccati profondamente. Così ne parla il francescano: «Si
tratta di un grande centro dove c’è la musica, lo sport, il nuoto.
Abbiamo provveduto a una bella piscina perché durante la guerra non
potevano giocare, uscire di casa, studiare, per la paura di essere
uccisi».
Nel corso
dell’estate in mille hanno frequentato il centro: il personale e
gli psicologi hanno cercato di aiutare questi bambini a trovare un
senso profondo per la loro vita e la loro esistenza.
Esiste
anche un altro progetto molto interessante. «Ad Aleppo est
vivono e vivevano solo musulmani.» Inizia così la descrizione di
padre Firas. «Durante la guerra la loro terra è stata occupata dai
jihadisti, quindi li hanno maltrattati, le donne sono state
violentate, i bambini massacrati... I bambini hanno visto tutte le
scene drammatiche delle gole tagliate e dei maltrattamenti
ad opera dei fanatici». Successivamente, racconta dei matrimoni
più o meno forzati di jihadisti con donne siriane e dei bambini nati
da queste unioni, la cui esistenza non è ufficiale. Non esiste una
registrazione all’anagrafe. Sono lì, fisicamente in vita, ma
giuridicamente inesistenti. Quando, nel 2017 i jihadisti hanno
lasciato Aleppo, la situazione trovata da padre Firas era
terrificante: «Bambini di 4 o 5 anni che vivono con la mamma
o a volte con la nonna perché i genitori non ci sono più. Alcuni
sono abbandonati a loro stessi e alla sorte. Non hanno mai
frequentato la scuola. Per non parlare del dramma psicologico e
dell’accumulo di paure, di terrore, che hanno subito durante i
combattimenti».
Sono stati
creati due centri che ospitano ciascuno 500 bambini e bambine dai 3,4
anni fino a 16 anni. Ed è stato esteso il programma che già era in
atto nel suo convento, il collegio Terre Sainte ad
Aleppo. Il sacerdote francescano tiene a sottolineare che i due
centri nascono da un’amicizia con il mondo musulmano: «Il
mufti di Aleppo è un nostro carissimo amico – spiega - e con il
vescovo vicario apostolico della comunità latina della Siria, è
nata una grande amicizia prima e, soprattutto, durante la guerra.
Quindi un primo frutto è stato una stretta collaborazione per
salvare l’innocenza di questi bambini».
Questo
progetto, questa collaborazione con i musulmani, ha un forte
significato per padre Firas. Dimostra la possibilità di dare un
senso alla vita, un senso profondo, un senso all’esistenza e
dimostra che non è mai troppo tardi per agire e fare del bene. E
aggiunge: «Il dialogo non si fa solo intorno a un tavolo ma
si fa lavorando insieme, mano nella mano, cuore a cuore. E lì nasce
la vera ricostruzione della Siria che verrà nel tempo. Può darsi
che ci vogliano 30, 50 anni, ma la vera ricostruzione non nasce dai
mattoni ma dalla ricostruzione dell’uomo, dell’umano dentro di
noi».
La Siria come missione
Quando si
chiede a padre Firas perché è rimasto in Siria, risponde in questo
modo: «Perché sì, perché sono francescano, credente e
quando il Signore mi ha creato lì, è stato per una missione, per
essere il Suo volto, le Sue braccia, le Sue gambe che portano
l’annuncio, la tenerezza e la misericordia di Dio».
E’
stato «chiamato», padre Firas, chiamato da Dio per
vivere la realtà, anche drammatica, della «sua» Siria.
Il suo «sì» all’esistenza è un «sì» motivato
e convinto che lo sostiene nel superamento delle difficoltà. In
Siria, ogni giorno si soffre e si muore. E così conclude: «E’
esattamente come il chicco di grano: se non muore, rimane solo; se
invece muore, produce molto frutto, come dice Gesù nel Vangelo».
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