di Fulvio Scaglione
(Damasco) Come
sempre, i fatti importanti te li rivelano le piccole cose. La strada
dal confine col Libano a Damasco già meno sconnessa. I paesini
che la fiancheggiano più illuminati. I posti di blocco meno fitti e
più rilassati. Nella capitale, poi, il fermento è assoluto. È
vero, sono arrivato in tempo per le ultime ore del Ramadan,
quando già impazzavano i preparativi per Eid al Fitr, la festa che
segna la fine del mese di digiuno e purificazione: alla grande
moschea degli Omayyadi erano in allestimento grande tavolate piene di
cibo, il suq formicolava di gente impegnata negli ultimi rifornimenti
prima che i negozi chiudessero per un week end lungo (Eid al Fitr più
il venerdì) di riposo. Ma non è solo questo.
In
realtà è scoppiato il dopoguerra.
Anche se la guerra continua
a Sud e a Nord, anche se il presidente Bashar
al Assad è
comparso in tv per ricordare che “il conflitto sarà ancora lungo”,
nell’animo dei damasceni c’è l’insopprimibile sollievo di chi
pensa che il peggio è davvero passato. Di nuovo, tante piccole cose
lo dimostrano. Certi nuovi caffè del centralissimo quartiere di Bab
Touma (la Porta di Tommaso), a grande concentrazione cristiana. I
negozietti pieni delle bandiere delle nazionali che giocano la Coppa
del Mondo di calcio in Russia. Il modo ormai distratto con cui
i soldati,
ai posti di blocco, manovrano l’aggeggio che manda impulsi
elettronici per far saltare a distanza eventuali auto-bomba. E anche
i manifesti dei “martiri” (i soldati, ma anche i cittadini,
uccisi da Isis, Al Nusra e altri terroristi), che sui muri di Bab
Touma si sono ancora moltiplicati. Un peso di lutti e sofferenze che
fa capire perché i damasceni vogliano poter finalmente sorridere e
festeggiare, anche a dispetto della realtà.
Perché
la pace, a esser realisti, è ancora lontana. I Paesi che hanno
investito nella distruzione della Siria non molleranno facilmente,
anche se ora sembrano più preoccupati dell’Iran. E la
ricostruzione, qui, non è ancora davvero partita proprio perché è
legata in modo strettissimo alla questione della pace.
Sono due, infatti, i principali ostacoli alla rinascita economica
della Siria. Da un lato le forze più produttive, ovvero gli uomini
in età da lavoro, sono decimate dalla leva militare o dalla fuga
all’estero per evitare la leva, il che è la stessa cosa. Oggi la
Siria è mandata avanti da donne e anziani,
con tutto ciò che questo comporta in un Paese del Medio Oriente.
L’altro
impedimento forte sono le sanzioni internazionali,
che la Ue tra l’altro ha appena prolungato di un anno. Mutilano le
attività economiche e sono una follia totale, perché non sfiorano
Assad né i personaggi del suo entourage ma, semmai, fanno soffrire i
civili siriani incolpevoli. Sono alloggiato, a Damasco, in una casa
delle suore francescane dove sono state ospitate, negli anni, decine
e decine di famiglie di malati
di cancro che,
a causa delle sanzioni, non hanno più modo di trovare i medicinali o
di disporre dei macchinari per curarsi adeguatamente. Le sanzioni
ottengono questi risultati, non altri.
Ma
la gente di Damasco, che fino a qualche settimana fa sopportava la
pioggia di razzi e colpi di mortaio dai quartieri di Jobar e Harasta
e oggi cammina tranquilla per le strade, ha deciso che è ora di
essere allegri. Per la prima volta dopo sette anni.
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