Piccole Note, 11 novembre 2016
Solo
due settimane fa il dramma di Aleppo occupava
gran parte dei giornali. Che ogni giorno ripetevano il consueto
mantra teso a dipingere l’esercito siriano e i suoi alleati,
russi in particolare, come dei sanguinari stragisti.
Era in
corso l’attacco ad Aleppo Est, teso a liberare quella zona della
città dai suoi sanguinari, questi sì, occupanti. Sono i cosiddetti
ribelli siriani, beneamati in Occidente che ha loro affidato
(direttamente o indirettamente) il compito di buttar giù il governo
di Damasco.
Beneamati
nonostante le milizie che controllano Aleppo Est siano
quelle di Al
Nusra,
o Jaish al-Fatah come si fanno chiamare dopo un’operazione di
restyling tesa ad accreditarsi come “buoni”. In realtà restano
gli assassini di sempre, tanto da venir
indicati come terroristi anche
dagli Stati Uniti.
È
attorno a questo gruppo militare, il più armato, organizzato e
feroce, che si sono strette, in un’alleanza organica e subalterna,
le varie milizie che controllano Aleppo Est. I ribelli beneamati
appunto.
Eppure e
nonostante questo, e nonostante che ogni giorno da Aleppo Est
vengano lanciati missili e colpi di artiglieria contro la
popolazione civile di Aleppo Ovest, la battaglia di Aleppo non
veniva descritta come una guerra di liberazione, alla stregua di
quanto avviene a Mosul o Raqqa preda dell’Isis. Ma come un
massacro ad opera delle forze governative.
Le
operazioni per liberare Aleppo erano iniziate mesi fa, ma all’inizio
della campagna elettorale americana avevano subito un’accelerazione.
I
siriani, ma soprattutto i russi, temevano che la Casa Bianca potesse
essere appannaggio di Hillary
Clinton.
Cosa che avrebbe comportato il rischio di un conflitto Usa-Russia,
dal momento che la signora aveva più volte affermato la necessità
di contrastare tali operazioni, sia aumentando il sostegno ai
cosiddetti ribelli sia intervenendo direttamente nel conflitto.
Da qui
la necessità opposta di conquistare Aleppo prima della vittoria
annunciata della Clinton.
Eppure
una quindicina di giorni prima del voto americano Putin e il governo
siriano avevano cambiato strategia e allentato la pressione.
Le
operazioni militari sulla città erano state sospese per diversi
giorni, e l’esercito siriano e i suoi alleati si sono limitati a
contrastare gli attacchi altrui (ma non in altre zone della Siria,
dove il rischio di colpire civili è molto minore).
Una
pausa umanitaria ignorata dai media occidentali, che pure aveva un
alto valore strategico e militare. Siriani e russi si sono così
sottratti al fuoco incrociato della narrazione mediatica
d’Occidente, in attesa degli eventi.
Trump, infatti, aveva più volte elogiato la campagna “siriana” dei russi, al contrario della Clinton, in quanto tesa a contrastare il terrorismo di marca islamista.
Trump, infatti, aveva più volte elogiato la campagna “siriana” dei russi, al contrario della Clinton, in quanto tesa a contrastare il terrorismo di marca islamista.
Un’eventuale
vittoria del tycoon poteva infatti aprire la strada a un compromesso
alto e virtuoso. Che avrebbe consentito ai siriani di riprendere il
controllo della città evitando un bagno di sangue.
Una
scommessa, quella di Putin, dal momento che lo stop alle operazioni
militari consentiva ai suoi nemici di rafforzarsi, come accaduto
per le pause umanitarie del passato. Con tutti i rischi connessi.
Alla
fine, però, Putin ha vinto la scommessa. Con Trump presidente sembra
altamente probabile che la battaglia di Aleppo abbia termine.
Come
ben sanno anche i terroristi asserragliati nella parte orientale
della città, che hanno accusato il colpo e appaiono più che
confusi. Tanto che sembra abbiano chiesto una tregua, ipotesi da
loro finora sempre rigettata.
È
possibile anzi che qualcosa evolva, in senso virtuoso, fin da subito.
Obama ha ancora cento giorni di regno prima di passare le consegne.
Finora ha frenato, come ha potuto e non senza ambiguità, i tanti
dottor stranamore che lo hanno ficcato in questa guerra.
Ormai
libero dai vincoli oscuri che lo legavano, tra cui l’ipotesi di una
presidenza Clinton, potrebbe riservare sorprese. Difficile
si riesca a mettere in piedi in così pochi giorni
altre iniziative diplomatiche globali sulla Siria.
Potrebbe
però ritirare il sostegno americano ai cosiddetti ribelli che
tengono Aleppo, imponendo tale scelta anche all’Arabia saudita.
Consentendo così a Damasco di riprendere il controllo della
città senza eccessivi spargimenti di sangue. Cosa che, di fatto,
chiuderebbe la guerra siriana (o almeno una sua fase).
Sui
media rimbalza la notizia che gli Stati Uniti abbiano dato
ordine di eliminarei capi di Al Nusra. Un’indiscrezione enfatizzata da Mosca, per bocca
del vice-ministro
degli Esteri. Sergey Ryabkov.
E che
andrebbe nella direzione indicata, al dì del rammarico per la
funesta sorte di tali terroristi (così purtroppo va il mondo al
quale si sono consegnati: quando non servono più…).
Va da sé
che la pausa umanitaria decretata unilateralmente da russi e siriani
rivela anche altro, ovvero che Putin da tempo avesse contezza delle
possibilità di vittoria di Trump.
Al
contrario dell’Occidente, che ha dovuto inseguire le fantasie
di sondaggisti farlocchi, egli può contare sulle informazioni
della sua intelligence. Evidentemente un po’ più accurate.
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