A quanto pare, in Siria il regime di Assad ha, se non le ore, i giorni contati se è vero che anche Mosca, pur avendo poi smentito, si appresta ad abbandonarlo. I mass-media occidentali hanno esultato. Per quello che conta (cioè niente) mi sono preoccupato. Da giurista e da cattolico.
Da cattolico ho ripensato al viaggio in Siria, compiuto una ventina di anni fa con la guida dell'archeologo domenicano, padre Bernardo Boschi, e allo stupore provato ad Aleppo, oltre che per le molte fontane sprizzanti alti getti d'acqua, per una grande croce luminosa posta sul sagrato di una chiesa cristiana e per il fatto che i cittadini di Aleppo non ci avessero nulla da ridire.
Temo forte che grazie alla primavera araba e ai presunti “patrioti” (in realtà forse ottimi musulmani, ma in gran parte per nulla siriani) non sia più così. Francamente non me la sento di andare a controllare di persona, ma presto fede ai siti cristiani che, a dispetto dei mercanti che si rifiutano di sentire, continuano a gridare le parole di padre Jules Baghdassarian, direttore delle Pontificie Opere missionarie, morto qualche giorno fa di un arresto cardiaco dovuto allo stress per il gravoso impegno nell'organizzazione degli aiuti e nella sistemazione di famiglie sfollate: “Non c’è guerra civile in Siria, ci sono tentativi di renderla una guerra civile, c’è un pressione per trasformare il conflitto in un conflitto settario, abbiamo vissuto questa esperienza in Libano, si è visto in Iraq e ora lo vediamo in Siria. La gente non vuole la guerra e la violenza: il mondo ci aiuti a ritrovare la pace. Chiediamo alla comunità internazionale e all’Unione Europea di aiutarci a ritrovare la pace, non di fomentare la guerra!”. Appello destinato a restare inascoltato, perché le bande di islamisti salafiti, armati e finanziati da Qatar, Arabia Saudita e Turchia, che vogliono una Siria esclusivamente sunnita e seminano il terrore al grido di “Cristiani a Beirut (cioè via dalla Siria), Alauiti nella tomba”, godono del pieno appoggio della Nato e delle principali potenze occidentali, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna (anche l'Italia di Mario Monti – sarebbe comunque lo stesso con Berlusconi o Bersani - è schierata al loro fianco, ma, in miseria, si limita ad un sostegno politico-morale).
Da giurista mi sono chiesto cosa contino le Nazioni Unite e, ancor prima, che ne è stato del diritto pubblico internazionale, dal momento che uno dei suoi principi, essenziale per la coesistenza pacifica, è quello del rispetto della sovranità e della non ingerenza negli affari interni di altri membri della comunità internazionale. Principio tradizionale ribadito, nel 1945, dallo Statuto dell'Onu, e, di nuovo, nel 1975, nella Dichiarazione sui Principi che reggono le relazioni fra gli Stati partecipanti nell’Atto Finale della CSCE, con la precisazione che "gli Stati si astengono fra l'altro dall'assistenza diretta o indiretta ad attività terroristiche o ad attività sovversive o di altro genere volte a rovesciare con la violenza il regime di un altro Stato partecipante". L'esatto contrario di quanto accaduto appena ieri in Libia, ieri l'altro in Serbia, e sta adesso accadendo in Siria sotto il patrocinio della NATO, e di quegli Stati (in prima linea Usa, Inghilterra, Francia) che ben lungi dal condannare il continuo invio di uomini e armi da parte di Arabia Saudita. Turchia e Qatar, non solo approvano, ma forniscono a loro volta denaro e mezzi bellici, promuovono la formazione di un adeguato comando unitario e di una specie di governo subito riconosciuto come unico legittimo rappresentante del paese.
A sostegno di questa politica interventista alcuni giuristi hanno escogitato la teoria dell' “intervento umanitario”, che dovrebbe legittimare l'ingerenza armata negli affari degli Stati nei quali non si rispettino i valori democratici e vengano violati i diritti umani. Si tratta però o di politici malamente travestiti da giuristi o, peggio, di giuristi di servizio, sempre disponibili ad attaccare l'asino dove vuole il padrone. Difatti le violazioni che dovrebbero autorizzare interventi militari sono già previste dallo Statuto dell'Onu, che attribuisce in via esclusiva al Consiglio di Sicurezza tanto l'accertamento delle violazioni quanto la decisione sui rimedi da applicare.
Questi giuristi d'accatto nemmeno si sono accorti che in questo modo fanno della Nato il contraltare dell'Onu ai vertici della comunità internazionale. O forse lo sanno fin troppo bene. Dal momento che l'Alleanza Atlantica è armata fino ai denti mentre le Nazioni Unite debbono piatire dagli Stati membri l'invio di qualche battaglione di “caschi blu” è facile immaginare chi, in caso di contrasto, abbia più voce in capitolo.
Faccio i complimenti al Dottor Agnoli per la puntuale e profonda analisi della situazione siriana. Solo su un punto ritengo di non essere completamente d'accordo: il Dott. Agnoli ritiene come certo il ritiro dell'appoggio russo ad Assad e la conseguente caduta del suo regime. Francamente io invece non vedo un reale mutamento della posizione russa. A fronte delle vere o presunte dichiarazioni di Bogdanov su una possibile vittoria dei ribelli vi sono atteggiamenti, come le programmate manovre navali della flotta russa davanti alle coste siriane, che fanno ritenere come i Russi siano ben lontani dal ritenere persa la partita. A maggior ragione se fosse vera la notizia che sta circolando della firma di contratti miliardari per la ricostruzione tra il governo siriano e imprese russe. Putin poi, nella sua conferenza stampa, non ha fatto che ribadire un concetto che esprime fin dall'inizio della crisi: solo il popolo siriano deve poter decidere del suo destino. Dovrebbe essere una regola aurea per tutti, ma evidentemente non è così... MARIO VILLANI
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