Dalla piega che vanno assumendo gli eventi in Siria, forse possiamo incominciare a capire con una qualche certezza chi muoveva questa "primavera araba" siriana e a che scopo...
C’è l’accordo segreto tra Teheran e Washington: Assad ha i giorni contati
Il regime di Bashar el Assad avrebbe ormai i giorni contati, spiegano al Foglio fonti d’intelligence. Il suo destino sarebbe stato deciso in una serie di colloqui segreti intercorsi negli ultimi mesi tra Washington e Teheran. L’Amministrazione americana avrebbe confermato il proprio impegno a proseguire sulla strada della diplomazia in riferimento alla questione del nucleare iraniano, garantendo la propria opposizione a eventuali iniziative militari da parte israeliana. In cambio, la Repubblica islamica rinuncerà a difendere il rais siriano, favorendone di conseguenza l’isolamento e la destituzione. L’unica condizione posta da Teheran per abbandonare Assad è la richiesta che la rimozione del presidente siriano e dei suoi fedelissimi avvenga sulla falsariga di quanto verificatosi in Egitto con Hosni Mubarak, assicurando il passaggio del potere nelle mani di una ben individuata troika militare che, riferiscono le nostre fonti, avrebbe accettato di tradire e rovesciare il regime di Damasco. Il tutto nell’ambito di un’operazione, denominata “Dba” (Destroy Bashar el Assad), che sarebbe stata perfezionata a livello logistico e organizzativo nel quartiere generale di Doha. Fondamentale sarebbe ancora una volta il ruolo del Qatar che, insieme all’Arabia Saudita, continua a sostenere la necessità di intervenire militarmente a sostegno dell’opposizione e del Consiglio nazionale siriano. Si spiegano così i continui viaggi nella capitale qatariota di esponenti di spicco di Hezbollah e Hamas che, dopo svariati incontri con emissari iraniani, avrebbero acconsentito alla messa in pratica della nuova linea tattica e strategica adottata da Teheran nei confronti di Assad.
Nel frattempo, diversi segnali indicano che l’operazione Dba sta entrando nella sua fase cruciale. Innanzitutto, gli Stati Uniti hanno espressamente dichiarato la volontà di escludere categoricamente un intervento armato in Siria, e in secondo luogo assume particolare rilevanza la defezione dal governo e dal partito Baath del viceministro del Petrolio, Abdo Hussameddin. Da non trascurare, infine, le dichiarazioni rese dall’inviato delle Nazioni Unite e della Lega araba, Kofi Annan, al termine degli incontri con Assad e con esponenti dell’opposizione più inclini al dialogo, secondo cui la soluzione della crisi può essere ottenuta seguendo “la strada della diplomazia attraverso un accordo politico” gestito e diretto dagli stessi siriani. Un ulteriore segnale di quanto sta maturando a Damasco sotto la regia statunitense e qatariota è dato dal fatto che Pechino starebbe evacuando dal paese migliaia di cinesi, impiegati nella locale industria militare e petrolifera.
La scelta strategica alla base dell’operazione Dba appare l’unica sostenibile, specie alla luce delle reazioni e dello sdegno che stanno montando tra gli oppositori del rais dopo il massacro compiuto domenica da uno o più soldati americani nel distretto di Kandahar, in Afghanistan. Esponenti di spicco del Consiglio nazionale siriano si sarebbero espressi contro qualsiasi presenza di forze di Washington in Siria. Il quadro che ne deriva è estremamente delicato e gli esiti della crisi sono al momento imprevedibili, se si considera la possibilità che nell’ambito degli accordi segreti tra Stati Uniti e Iran sia stato di fatto sacrificato Israele, lasciato solo a fronteggiare la minaccia di Teheran.
di Pio Pompa
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