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mercoledì 9 ottobre 2024

Seymour Hersh: I miei incontri con Nasrallah

Un soldato di Hezbollah durante la campagna militare in Siria contro i miliziani di Al Nusra saluta la statua di Gesù.  Fu grazie all'impegno degli Hezbollah che molti villaggi cristiani del Qalamoun siriano furono liberati dai takfiri fanatici.
 

da Mondialisation.ca, 2 ottobre 2024 - di Seymour Hersh

Traduzione di Maria Antonietta Carta 

Il leader di Hezbollah assassinato aveva una visione per il suo Paese

Nel 2005, Bush truccò le elezioni irachene per garantire che i sunniti avessero la maggioranza dei voti. Le schede elettorali, non certo vuote, erano state stampate negli Stati Uniti e trasportate con un aereo in Iraq.

Devo ammettere che Hassan Nasrallah mi era piaciuto. Avevo avuto alcune lunghe conversazioni con lui, iniziate nell'inverno del 2003 pochi mesi dopo l’invasione americana dell’Iraq voluta da George W. Bush e Dick Cheney due anni prima, dopo l’11 settembre, anche se l’Iraq era governato dal laico Saddam Hussein, che non aveva alcun legame con al-Qaeda.

Lavoravo per il New Yorker e mi interessava la guerra al terrorismo. Ciò mi aveva condotto a Berlino, quella primavera, per una colazione sull’ 11 settembre con August Hanning, capo dei servizi segreti tedeschi. Non furono necessari i preliminari: Hanning e io sapevamo che avremo parlato solo di questioni sostanziali.

A un certo punto, interrogai Hanning sulla strana relazione, di cui ero venuto a conoscenza, tra l’ex primo ministro Ehud Barak, che durante la sua brillante carriera militare era stato comandante del Sayeret Matkal, l’unità di commando più segreta di Israele, e lo sceikh Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, la milizia sciita con sede nel sud del Libano. C’era stato uno scambio di prigionieri tra Israele e Hezbollah, che ha avuto luogo dopo numerose conversazioni tra Nasrallah e Barak, che si era rifiutato di restituire uno dei prigionieri. I colloqui di Nasrallah con Israele attraverso Hanning continarono con Ariel Sharon, che sostituì Barak come primo ministro nel 2001. Si trattava di una notizia sbalorditiva. Sharon aveva guidato l’attacco israeliano al Libano nel 1982, svolgendo un ruolo chiave nel famigerato massacro di due campi profughi palestinesi in quel Paese. Nasrallah e lui formavano un duetto molto strano.

Non presi appunti durante quella colazione, ma fu Nasrallah a interessarmi maggiormente. Avevo amici a Beirut, che conoscevano i dirigenti di Hezbollah, e riuscii a organizzare un incontro. Non ricordo dove si svolse il primo incontro, ma le condizioni della sicurezza non erano molto buone, come scrissi in seguito nel New Yorker dopo la feroce guerra del 2006 senza vincitori tra Israele e Hezbollah. In quel primo incontro c’era stato un semplice controllo di sicurezza: la mia giacca fu perquisita e il mio vecchio registratore aperto ed esaminato velocemente.

Nasrallah era un uomo paffuto e gradevole, nel suo abito religioso. Gli chiesi, attraverso un interprete, se si considerava un terrorista o un combattente per la libertà nelle sue incessanti schermaglie al confine con Israele. Mi disse che il suo esercito aveva attaccato i soldati israeliani lungo il confine e lo avrebbe fatto di nuovo in caso di guerra. Mi sorprese aggiungendo che, se gli Israeliani e i Palestinesi che vivevano sotto l’occupazione israeliana fossero stati in grado di ottenere pieni diritti e concludere un accordo di pace degno di questo nome, egli avrebbe naturalmente onorato quell' accordo. Furono serviti tè e biscotti, e lui aveva insistito che li prendessimo, spingendo il vassoio verso di me. In sintesi, la discussione si limitò all’esposizione del suo punto di vista sulla guerra americana in Iraq. Nasrallah predisse che la rapida vittoria degli Americani sarebbe stata seguita da anni di guerra dura e che l’esercito iracheno smantellato si sarebbe alleato con l’opposizione tribale e politica. Aveva proprio ragione.

Incontrai Nasrallah una seconda volta qualche settimana prima delle elezioni parlamentari in Iraq, il 30 gennaio 2005. Quelle furono le prime elezioni generali dopo che gli USA rovesciarono Saddam e, come ho riferito in seguito, l’amministrazione Bush si adoperava in tutti i modi per truccare le elezioni e garantire che i candidati sunniti favoriti dalla Casa Bianca ottenessero la maggioranza dei voti. Un amico dei servizi segreti statunitensi mi informò che le schede elettorali solo presuntamente vuote, erano state stampate negli Stati Uniti e trasportate con un aereo in Iraq.

Nasrallah era divertito per la stupidità di Washington, che aveva inviato diplomatici e altri funzionari in Iraq che non conoscevano bene il Paese e non parlavano l’arabo. Mi disse che l’America non aveva idea di come tenere le elezioni e sembrava credere che il partito vincente avesse bisogno della maggioranza del 50% o più. Poi mi spiegò che il partito vincitore sarebbe stato sciita e avrebbe ottenuto il 48,1% dei voti. “Gli Americani, mi disse, non sanno come organizzare un’elezione qui”. (La trascrizione del testo di questa intervista insieme alle altre interviste con Nasrallah sono conservate in 95 cartelle dei miei documenti e non possono essere visualizzate su due piedi). Le elezioni furono vinte dallo sciita Ibrahim al-Jaafari con il 48,19% dei voti.

Le elezioni erano state per lo più boicottate dagli arabi sunniti e in una circoscrizione sunnita chiave votò solo il 2% degli iscritti. La comunità sunnita aveva chiaramente capito che le elezioni sarebbero state truccate, a differenza della comunità diplomatica e militare statunitense. Il giorno delle elezioni ci furono almeno 44 morti nei pressi dei seggi elettorali. Avevo scritto un libro in cui sostenevo che Jack Kennedy aveva truccato un'elezione a Chicago, ma non avrei mai pensato di chiedere a Nasrallah come avrebbe vinto al-Jaafari. Egli fu in grado di prevedere il punteggio entro un decimo di punto.

La mia ultima visita a Nasrallah avvenne nel dicembre 2006, mesi dopo che Hezbollah aveva combattuto un Israele sbigottito in una guerra brutale. (Il fallimento di quella battaglia contribuì a preparare Israele per il giorno in cui il suo primo ministro, come ha fatto la scorsa settimana, avrebbe chiamato a un assalto massiccio.)

Nasrallah era in clandestinità dalla fine della guerra del 2006. Presi un taxi per il luogo dell’incontro nel sud di Beirut, dove vivono molti sciiti e dove un collaboratore di Hezbollah mi condusse fino a un parcheggio. Lì, fui perquisito con uno scanner portatile, messo sul retro di una berlina scura con finestre bloccate, condotto verso altri due o tre parcheggi, cambiando auto ogni volta, e infine al parcheggio di un moderno condominio. Fu più interessante che allarmante e non collegai immediatamente l’ipersicurezza alla guerra con Israele. Una volta nel parcheggio giusto, fui scortato fino a un ascensore che mi trasportò direttamente all'ultimo livello di quello che sembrava essere un edificio di 12 piani. Compresi che il successo di Hezbollah nella sua lotta contro Israele lo aveva reso un eroe per gli sciiti e i sunniti. Nasrallah respinse un assistente che voleva sottomettermi a una perquisizione completa del corpo. Mi sorpresi per le misure di sicurezza e gli chiesi: “Cosa sta succedendo, cazzo?”, ma in termini più educati. Mi spiegò che la guerra dell’estate era iniziata quando aveva ordinato il rapimento di due soldati israeliani durante un raid transfrontaliero. Era stato un errore. “Volevamo solo catturarli per uno scambio di prigionieri, mi disse, non abbiamo mai voluto trascinare la regione in guerra”.

Quando riprendemmo la conversazione, intorno a tè e biscotti, Nasrallah, chiaramente irritato, accusò il presidente Bush per il suo obiettivo di “fare una nuova mappa della regione” dividendo il Medio Oriente, dove molte religioni convivono pacificamente da molto tempo, in due Stati separati: uno sunnita e l’altro sciita. “Tra uno o due anni ci saranno aree totalmente sunnite e altre completamente sciite e completamente curde. Anche a Baghdad c’è la preoccupazione che la città sarà divisa in due aree, sunnita e sciita”.

Pochi mesi dopo, in un lungo articolo, ispirato dalla mia intervista a Nasrallah, una testimonianza poco conosciuta del Congresso e colloqui a Washington e in Medio Oriente sulla decisione dell’amministrazione Bush di “riconfigurare le sue priorità in Medio Oriente”, scrivevo: “In Libano l’amministrazione ha collaborato con il governo saudita, amministrato dai sunniti, nelle operazioni segrete per indebolire Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran. Gli Stati Uniti hanno anche partecipato a operazioni segrete contro l’Iran e il suo alleato, la Siria. Queste attività hanno rafforzato i gruppi estremisti sunniti che aderiscono a una visione militante dell’Islam, sono ostili all’America e simpatizzano con Al Qaeda”.

Il segretario di Stato Condoleezza Rice, uno dei leader della nuova politica estera degli Stati Uniti, parlò alla Commissione Affari Esteri del Senato di “un nuovo allineamento strategico in Medio Oriente, che avrebbe separato i riformatori dagli estremisti”. La maggior parte dei sunniti veniva situata al centro della corrente moderata, mentre l'Iran sciita, Hezbollah, la Siria sunnita e Hamas stavano dall'altra parte. Qualunque cosa si possa pensare dell’analisi della Rice, un cambiamento nella politica ebbe luogo e alla fine portò l’Arabia Saudita e Israele sull’orlo di una nuova alleanza strategica attraverso gli accordi di Abramo. Entrambe le nazioni consideravano minacce esistenziali l’Iran e Hezbollah. I Sauditi, scrissi all’epoca, credevano che una maggiore stabilità in Israele e Palestina avrebbe ridotto l’influenza dell’Iran nella regione.

Questo articolo fu pubblicato oltre diciassette anni fa. È sorprendente come il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia oggi distrutto quella fragile opportunità di riallineamento politico in Medio Oriente, in particolare con un Iran ora guidato da un presidente moderato e lungimirante che potrebbe presto essere nella lista degli obiettivi di Netanyahu.

Non sapremo mai se Nasrallah, nato in Libano, che mi disse più di una volta che era determinato a coinvolgere Hezbollah nella vita politica, economica e sociale del suo Paese, sarebbe riuscito a farlo. La prospettiva attuale, con un Israele nel mezzo di un’offensiva terrestre e aerea, sembra molto cupa e mortale.

Seymour Hersh

https://www.mondialisation.ca/mes-rencontres-avec-nasrallah-seymour-hersh/5692796?doing_wp_cron=1728483821.7733230590820312500000

martedì 8 ottobre 2024

Veglia Di Preghiera 7 Ottobre 2024: riflessione di S.B. il Cardinal Pizzaballa

 

Efesini 2:14-17 

Cari fratelli e sorelle, 

il Signore vi dia pace! 

Siamo qui riuniti al termine di una giornata di preghiera, digiuno e penitenza, al termine di uno degli anni più difficili e dolorosi degli ultimi tempi. 

Quest'anno abbiamo gridato il nostro orrore per i crimini commessi, a partire dagli eventi del 7 ottobre di un anno fa, nel sud di Israele, che hanno lasciato una profonda ferita negli israeliani fino ad oggi. Abbiamo inoltre alzato la voce contro la reazione di aggressione, distruzione, fame, sofferenza e morte. 

Stiamo assistendo a un livello di violenza senza precedenti nelle parole e nelle azioni. L’odio, il dolore e la rabbia sembrano essersi impadroniti dei nostri cuori, non lasciando spazio ad altri sentimenti se non al rifiuto dell'altro e della sua sofferenza. 

Nel corso di quest'anno, abbiamo espresso in ogni forma possibile la nostra solidarietà e il nostro sostegno alla comunità di Gaza e a tutti i suoi abitanti.  

Abbiamo cercato di essere una voce che condanna con forza e chiarezza tutta questa violenza che non farà altro che provocare un circolo vizioso di vendetta che genererà altra violenza. 

Abbiamo ribadito la nostra convinzione che la violenza, l’aggressione e le guerre non creeranno mai pace e sicurezza. Abbiamo ripetuto incessantemente che ciò di cui abbiamo bisogno è invece il coraggio di pronunciare parole che aprano orizzonti e non il contrario, di costruire il futuro invece di negarlo. Abbiamo bisogno del coraggio di scendere a compromessi, di rinunciare a qualcosa, se necessario, per un bene più grande, che è la pace. Non dobbiamo mai confondere la pace con la vittoria! 

Abbiamo sottolineato la necessità di costruire un futuro comune per questa terra, basato sulla giustizia e sulla dignità di tutti i suoi abitanti, a partire dal popolo palestinese, che non può più attendere il suo diritto all’indipendenza, troppo a lungo rimandato. 

Abbiamo affermato la necessità di fare e dire la verità nelle nostre relazioni, di avere il coraggio di pronunciare parole di giustizia e di aprire prospettive di pace. 

Ciò che è accaduto e sta accadendo a Gaza ci lascia attoniti e al di là di ogni comprensione. 

Da un lato la diplomazia, la politica, le istituzioni multilaterali e la comunità internazionale hanno mostrato tutta la loro debolezza, dall'altro ci siamo sentiti sostenuti: 

Il Santo Padre ha ripetutamente invitato tutte le parti coinvolte a fermare questa deriva, ma ha anche espresso solidarietà umana alla nostra comunità di Gaza in modi concreti e ha anche dato loro un sostegno concreto.   Proprio oggi ha inviato una lettera a tutti i cattolici di questa regione, esprimendo la sua vicinanza a tutti coloro che in vari modi soffrono le conseguenze di questa guerra, in modo particolare ai nostri fratelli e sorelle di Gaza, e incoraggiandoci a diventare “testimoni della forza di una pace non armata”, ad essere “germogli di speranza”, e “a testimoniare l’amore mentre si parla d’odio, l’incontro mentre dilaga lo scontro, l’unità mentre tutto volge alla contrapposizione”. Grazie, Santo Padre! 

Abbiamo ricevuto tante forme di solidarietà anche da parte dell'intera comunità cristiana nei confronti della nostra Chiesa. La solidarietà umana e cristiana ha trovato forme di espressione di vicinanza che sono state una consolazione importante per noi. Non siamo mai stati lasciati soli con preghiere, espressioni di solidarietà e anche aiuti concreti. 

Tuttavia, in un contesto così drammatico, ammettiamolo: quest'anno ha messo a dura prova la nostra fede. Non è facile vivere nella fede in questi tempi duri. 

Le parole ‘speranza’, ‘pace’, ‘convivenza’ ci sembrano teoriche e lontane dalla realtà. Forse anche la preghiera ci è sembrata a volte un obbligo morale da assolvere, ma non il luogo da cui attingere forza nella sofferenza, uno sguardo diverso sul mondo, non uno spazio di incontro privilegiato con Dio, per trovare conforto e consolazione. Credo che questi siano pensieri umani inevitabili. 

Ma è proprio qui che la nostra fede cristiana deve trovare un’espressione visibile. 

Siamo chiamati a pensare oltre i calcoli di breve respiro, non possiamo fermarci solo alle riflessioni umane, che ci intrappolano nel nostro dolore, senza aprire prospettive. Siamo chiamati a leggere queste sfide alla luce della Parola di Dio, una Parola che accompagna e allarga il nostro cuore. 

E dobbiamo continuare a farlo. 

Non è forse questa la nostra principale missione come Chiesa? Non solo saper dire una parola di verità sul tempo presente, ma anche vedere e mostrare un mondo che va oltre il presente e le sue dinamiche; fornire un linguaggio che possa creare un mondo nuovo che non è ancora visibile, ma che si sta manifestando all'orizzonte? Proporre uno stile di vita in questo conflitto che renda già possibile tra noi ciò che speriamo nel futuro? 

La speranza cristiana non è l'attesa di un mondo che verrà, ma la realizzazione, nella pazienza e nella misericordia, di ciò che crediamo nella fede e su cui basiamo il nostro cammino umano - nelle nostre relazioni, nelle nostre comunità, nella nostra vita personale. 

“Così egli... (venne) a creare in sé, dei due, un uomo nuovo, facendo la pace” (Ef 2,15). 

Questo nostro tempo è in attesa di vedere l’uomo nuovo che in Cristo ognuno di noi è diventato.  In questo tempo pieno di odio, l'uomo nuovo in Cristo è un esempio vivente di compassione, umiltà, mitezza, magnanimità e perdono (cfr. Col 3,12-13). 

Se non siamo così, se non crediamo nella potenza della risurrezione di Cristo con cui siamo salvati, come ci distingueremo da tutti gli altri? Quale può essere il nostro contributo di credenti in Cristo se non siamo capaci di credere che il male non ha l’ultima parola in questo mondo e che la pace è possibile?   Se le nostre azioni nel mondo non sono visibilmente caratterizzate dalla certezza che nulla potrà mai separarci dall'amore di Dio in Cristo? (cfr. Rm 8,39). 

In questo tempo in cui la violenza sembra essere l’unico linguaggio, continueremo a parlare e a credere nel perdono e nella riconciliazione. In questo tempo pieno di dolore, vogliamo e continueremo a usare parole di consolazione e a dare conforto concreto e incessante laddove il dolore cresce. 

Anche se dobbiamo ricominciare ogni giorno, anche se possiamo essere visti come irrilevanti e inutili, continueremo a essere fedeli all'amore che ci ha conquistati e a essere persone nuove in Cristo, qui a Gerusalemme, in Terra Santa e ovunque ci troviamo. 

Per questo siamo qui oggi. Per questo digiuniamo e preghiamo. Per purificare i nostri cuori, per rinnovare in noi il desiderio di prosperità e di pace con la forza della preghiera e dell'incontro con Cristo, e per credere che queste non sono solo parole, ma vita vissuta. Anche qui, in Terra Santa. 

La Beata Vergine del Rosario interceda per noi e ci aiuti a rendere il nostro cuore docile all'ascolto della Parola di Dio e ad aprirci per essere sempre e ovunque persone nuove in Cristo e coraggiosi testimoni di pace. Perché “ogni dono perfetto viene dall'alto, dal Padre della luce” (Gc 1, 17). Amen. 

+Pierbattista

https://www.lpj.org/it/news/prayer-vigil-october-7-2024-brief-reflection-by-hb-cardinal

lunedì 7 ottobre 2024

Lettera del Papa ai cattolici del Medio Oriente: martoriati da guerre fatte dai potenti, sono con voi

 

Cari fratelli e sorelle,

penso a voi e prego per voi. Desidero raggiungervi in questo giorno triste. Un anno fa è divampata la miccia dell’odio; non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra. Il sangue scorre, come le lacrime; la rabbia aumenta, insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole: dialogo, pace. Non mi stanco di ripetere che la guerra è una sconfitta, che le armi non costruiscono il futuro ma lo distruggono, che la violenza non porta mai pace. La storia lo dimostra, eppure anni e anni di conflitti sembrano non aver insegnato nulla.

E voi, fratelli e sorelle in Cristo che dimorate nei Luoghi di cui più parlano le Scritture, siete un piccolo gregge inerme, assetato di pace. Grazie per quello che siete, grazie perché volete rimanere nelle vostre terre, grazie perché sapete pregare e amare nonostante tutto. Siete un seme amato da Dio. E come un seme, apparentemente soffocato dalla terra che lo ricopre, sa sempre trovare la strada verso l’alto, verso la luce, per portare frutto e dare vita, così voi non vi lasciate inghiottire dall’oscurità che vi circonda ma, piantati nelle vostre sacre terre, diventate germogli di speranza, perché la luce della fede vi porta a testimoniare l’amore mentre si parla d’odio, l’incontro mentre dilaga lo scontro, l’unità mentre tutto volge alla contrapposizione.

Con cuore di padre mi rivolgo a voi, popolo santo di Dio; a voi, figli delle vostre antiche Chiese, oggi “martiriali”; a voi, semi di pace nell’inverno della guerra; a voi che credete in Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29) e in Lui diventate testimoni della forza di una pace non armata.

Gli uomini oggi non sanno trovare la pace e noi cristiani non dobbiamo stancarci di chiederla a Dio. Perciò oggi ho invitato tutti a vivere una giornata di preghiera e digiuno. Preghiera e digiuno sono le armi dell’amore che cambiano la storia, le armi che sconfiggono il nostro unico vero nemico: lo spirito del male che fomenta la guerra, perché è «omicida fin da principio», «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). Per favore, dedichiamo tempo alla preghiera e riscopriamo la potenza salvifica del digiuno!

Ho nel cuore una cosa che voglio dire a voi, fratelli e sorelle, ma anche a tutti gli uomini e le donne di ogni confessione e religione che in Medio Oriente soffrono per la follia della guerra: vi sono vicino, sono con voi.

Sono con voi, abitanti di Gaza, martoriati e allo stremo, che siete ogni giorno nei miei pensieri e nelle mie preghiere.

Sono con voi, forzati a lasciare le vostre case, ad abbandonare la scuola e il lavoro, a vagare in cerca di una meta per scappare dalle bombe.

Sono con voi, madri che versate lacrime guardando i vostri figli morti o feriti, come Maria vedendo Gesù; con voi, piccoli che abitate le grandi terre del Medio Oriente, dove le trame dei potenti vi tolgono il diritto di giocare.

Sono con voi, che avete paura ad alzare lo sguardo in alto, perché dal cielo piove fuoco.

Sono con voi, che non avete voce, perché si parla tanto di piani e strategie, ma poco della situazione concreta di chi patisce la guerra, che i potenti fanno fare agli altri; su di loro, però, incombe l’indagine inflessibile di Dio (cfr Sap 6,8).

Sono con voi, assetati di pace e di giustizia, che non vi arrendete alla logica del male e nel nome di Gesù «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44).

Grazie a voi, figli della pace, perché consolate il cuore di Dio, ferito dal male dell’uomo. E grazie a quanti, in tutto il mondo, vi aiutano; a loro, che curano in voi Cristo affamato, ammalato, forestiero, abbandonato, povero e bisognoso, chiedo di continuare a farlo con generosità. E grazie, fratelli vescovi e sacerdoti, che portate la consolazione di Dio nelle solitudini umane. Vi prego di guardare al popolo santo che siete chiamati a servire e a lasciarvi toccare il cuore, lasciando, per amore dei vostri fedeli, ogni divisione e ambizione.

Fratelli e sorelle in Gesù, vi benedico e vi abbraccio con affetto, di cuore. La Madonna, Regina della pace, vi custodisca. San Giuseppe, Patrono della Chiesa, vi protegga.

Fraternamente,

FRANCESCO 

Roma, San Giovanni in Laterano, 7 ottobre 2024. 

https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2024/documents/20241007-lettera-cattolici-mediooriente.html


Un appello per un'immediata azione umanitaria internazionale in Libano del Patriarca Siro Ortodosso Mor Ignatius Aphrem II


7 ottobre, un anno dopo. Patriarca Sabbah: sarà pace solo se avrà fine la tragedia palestinese

FIDES, 5 ottobre 2024

La catastrofe che travolge la Terra Santa e tutto il Medio Oriente «non è iniziata il 7 ottobre 2023». I cicli di violenza che hanno generato il tragico presente vissuto anche nella terra di Gesù «sono stati infiniti, iniziati nel 1917, raggiungendo il picco nel 1948 e nel 1967, continuando da allora fino a oggi». Adesso la rabbiosa rappresaglia della forza militare israeliana «può distruggere e portare morte», ma «non può portare alla sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno», Perché la pace potrà tornare «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine».

Sono parole irrigate di lucido realismo, di dolore e nel contempo di speranza “contro ogni speranza” quelle raccolte nel documento-appello diffuso dal Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini Michel Sabbah e dai membri del gruppo “Christian Reflection” a un anno dalle stragi compiute da Hamas contro ebrei israeliani il 7 ottobre 2023, eccidio che ha aperto il nuovo vortice di morte e annientamento che risucchia interi popoli e trascina il mondo intero verso il baratro della guerra globale.

La “Christian Reflection” di Gerusalemme è un gruppo di cristiani di Terra Santa - sacerdoti, religiosi e laici - raccolti intorno al Patriarca emerito Sabbah per condividere riflessioni sul ruolo dei cristiani davanti al conflitto e nella società. Proprio ai fratelli e alle sorelle nella fede in Cristo il documento firmato dal Patriarca emerito Sabbah pone questioni decisive: «Come cristiani» si legge nel testo, intitolato “Mantenere viva la speranza” «ci troviamo di fronte anche ad altri dilemmi: questa è una guerra in cui siamo semplicemente spettatori passivi? Dove ci collochiamo in questo conflitto, presentato troppo spesso come una lotta tra ebrei e musulmani, tra Israele, da una parte, e Hamas e Hezbollah sostenuti dall'Iran, dall'altra? Questa è una guerra di religione? Dovremmo rintanarci nella precaria sicurezza delle nostre comunità cristiane, isolandoci da ciò che sta accadendo intorno a noi? Dobbiamo semplicemente guardare e pregare in disparte, sperando che questa guerra alla fine passi?»

“Stiamo fissando l’oscurità”

Dopo un anno di guerra incessante, «mentre il ciclo della morte continua inarrestabile» il Patriarca Sabbah e i membri del gruppo di riflessione avvertono l’urgenza ««di cercare la speranza che deriva dalla nostra fede», mentre ammettono di essere «esausti, paralizzati dal dolore e dalla paura. Stiamo fissando l’oscurità», mentre «la nostra amata Terra Santa e l'intera regione vengono ridotte in rovina» e «ogni giorno piangiamo le decine di migliaia di uomini, donne e bambini che sono stati uccisi o feriti, soprattutto a Gaza, ma anche in Cisgiordania, Israele, Libano e oltre, in Siria, Yemen, Iraq e Iran». A Gaza - prosegue la tragica descrizione dei fatti «case, scuole, ospedali, interi quartieri sono ora cumuli di macerie. Malattie, fame e disperazione regnano sovrane». £ in tutto questo - si chiedono gli autori del documento - «il sogno sionista di una casa sicura per gli ebrei in uno stato ebraico chiamato Israele ha portato sicurezza agli ebrei?».

Latitanza internazionale

«Incredibilmente» annotano il Patriarca Sabbah e i membri di Christian Reflection «la comunità internazionale guarda quasi impassibile. Le richieste di cessate il fuoco, ponendo fine alla devastazione, vengono ripetute senza alcun tentativo significativo di frenare coloro che stanno scatenando il caos. Armi di distruzione di massa e mezzi per commettere crimini contro l'umanità confluiscono nella regione».
Se la Comunità internazionale latita - prosegue il documento - i cristiani, pur nella loro inermità e esiguità numerica, sono chiamati a essere fiduciosi nella Resurrezione di Cristo anche nella situazione tragica presente.

Quella in atto - insiste il documento - «non è una guerra di religione. E dobbiamo schierarci attivamente, dalla parte della giustizia e della pace, della libertà e dell'uguaglianza. Dobbiamo stare al fianco di tutti coloro, musulmani, ebrei e cristiani, che cercano di porre fine alla morte e alla distruzione»

Sabbah e i suoi compagni del gruppo di riflessione si rivolgono ai capi cristiani, «ai nostri vescovi e ai nostri sacerdoti per avere parole di guida. Abbiamo bisogno dei nostri pastori per aiutarci a comprendere la forza che abbiamo quando siamo insieme. Da soli, ognuno di noi è isolato e ridotto al silenzio». Soprattutto - aggiungono - c’è bisogno di chiedere l’aiuto di Dio «per non disperare, per non cadere nella trappola dell'odio. La nostra fede nella Resurrezione ci insegna che tutti gli esseri umani devono essere amati, uguali, creati a immagine di Dio, figli di Dio e fratelli e sorelle gli uni degli altri». Per questo «le nostre scuole, ospedali, servizi sociali sono luoghi in cui ci prendiamo cura di tutti coloro che sono nel bisogno, senza discriminazioni». E la fede in Cristo «ci rende portavoce di una terra senza muri, senza discriminazioni, portavoce di una terra di uguaglianza e libertà per tutti, per un futuro in cui possiamo vivere insieme».

Porre fine alla tragedia palestinese

Con realismo lucido, gli autori del documento- appello riconoscono che la pace sarà possibile «solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine». Per questo c’è bisogno «di un accordo di pace definitivo tra questi due partner e non di cessate il fuoco temporanei o soluzioni provvisorie».
La massiccia forza militare di Israele «può distruggere e portare morte, può spazzare via leader politici e militari e chiunque osi alzarsi e opporsi all'occupazione e alla discriminazione. Tuttavia, non può portare la sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno. La comunità internazionale» aggiungono «deve aiutarci riconoscendo che la causa principale di questa guerra è la negazione del diritto del popolo palestinese a vivere nella sua terra, libero e uguale».

«Siamo un popolo, cristiani e musulmani. Insieme» prosegue il documento rivolto ai palestinesi «dobbiamo cercare la via oltre i cicli della violenza. Insieme a loro, dobbiamo impegnarci con quegli ebrei israeliani che sono anche stanchi della retorica, delle bugie, delle ideologie di morte e distruzione». 

mercoledì 2 ottobre 2024

LETTERA DA ALEPPO DEI MARISTI BLU

 

LETTERA  n. 49 (1 ottobre 2024)

Trad. Maria Antonietta Carta 

Teniamo accesa la nostra lampada, cari amici.

Verso la fine della primavera, tutte le notizie riguardanti la situazione in Medio Oriente annunciavano un'estate molto calda dal punto di vista climatico, ma soprattutto per un possibile scoppio della guerra nel sud del Libano, di pari passo con la drammatica situazione di Gaza. Israele prometteva di bombardare il Libano e dunque l'aeroporto di Beirut. Per molti immigrati siriani che intendevano visitare il Paese, si trattava di una vera minaccia, e poneva molte domande: “È ragionevole acquistare in anticipo i biglietti per la Siria tramite l’aeroporto di Beirut? ‘’. Ricordiamo che le compagnie aeree non atterrano a Damasco a causa delle sanzioni internazionali; ciò significa che un viaggiatore diretto in Siria deve passare attraverso l’aeroporto di Beirut per poi proseguire il viaggio in taxi. Quindi, qualsiasi minaccia contro l’aeroporto di Beirut rappresenta una preoccupazione molto seria. Avevamo tanto bisogno del dialogo con i nostri amici siriani e i rappresentanti di associazioni internazionali amichevoli che intendevano visitarci, per convincerli ad andare avanti con la loro decisione, ma c’era ancora un’altra minaccia, quella dei bombardamenti effettuati da Israele contro le città siriane. Anche per questo bisognava rassicurarli e invitarli a correre il rischio di venire.

Purtroppo, le operazioni militari della settimana scorsa hanno dato ragione alle previsioni più pessimistiche: un autunno caldo, molto caldo, l'inferno..., che sta cambiando la configurazione del Medio Oriente. Un autunno che ci lascia dentro le sabbie mobili della sofferenza, della paura, della distruzione e soprattutto con l’assillo per il futuro. Un milione di sfollati interni in una settimana, ecco le prime stime dal Libano. Alcuni hanno preferito attraversare il confine con la Siria, altri cercano di raggiungere i loro Paesi di residenza via mare…

Siamo condannati ad essere un popolo in esodo? Siamo condannati a perdere le nostre proprietà, le nostre case, i nostri territori per essere alla mercé degli altri? I nostri figli sono condannati a essere senza dimora, senza scuole, senza amici; condannati a vivere nell’insicurezza? É una domanda che voglio condividere con voi…. Chi decide il nostro destino? Quali sono queste forze del male che decidono la sorte del nostro Medio Oriente? Abbiamo molta difficoltà a pianificare, a stabilire un calendario preciso e fare previsioni a lungo termine. Dobbiamo accogliere gli eventi quotidiani così come si presentano; accettando, se necessario, di modificare i progetti previsti. L’argomento principale per osare prendere decisioni è “Vivere giorno per giorno”. Flessibilità e resistenza sono due elementi fondamentali per chiunque viva in Siria; sforzarsi di adattarsi alle circostanze cercando di vedere il lato positivo delle cose. Talvolta ci lamentiamo, ci stanchiamo e ci chiediamo per quanto ancora potremo sopportare questa situazione senza una via d'uscita e un orizzonte, ma spesso sentiamo ripetere “Nechkor Allah, Hamdullillah, grazie a Dio’’, un'espressione di gratitudine e fiducia... Da dove viene questa forza interiore che permette alle persone di dire grazie quando la propria situazione è critica? Non è rassegnazione, è atto di Fede. Non è indifferenza, è accettazione della realtà con totale fiducia in Dio. Domani sarà, Inshallah, se Dio vuole, migliore. Questa fede incrollabile è un'eredità ricevuta dai nostri genitori, che ci hanno educato a confidare in Dio e ad andare avanti.

Fortunatamente, questa dinamica vitale permette ai Maristi Blu di svolgere tutte le loro attività con serenità ed entusiasmo, contando sulla Provvidenza che ci ricolma delle sue grazie. Crediamo profondamente che il Signore ci abbia sempre preceduto nel cammino della solidarietà. Siamo testimoni che l’amore di Dio, la sua volontà e la sua tenerezza vegliano su di noi e ci benedicono. Possiamo ripetere con Maria, la nostra Buona Madre: “Il Signore ha fatto meraviglie per noi.’’ Quest'anno è stato dedicato alla formazione dei dirigenti e dei futuri dirigenti dei Maristi Blu. Hanno seguito diverse sessioni di formazione, organizzate a livello locale o in collaborazione con i Maristi del Libano. Un gruppo di 7 project manager ha partecipato alla formazione sul tema della leadership, sia in presenza in Libano sia via Internet. Allo stesso modo, pensando al futuro e prendendo le decisioni necessarie per garantire la successione, i responsabili del progetto hanno effettuato un’analisi SWOT della realtà dei Maristi Blu. Garantire la successione è un tema che ha richiesto molta riflessione, condivisione e preghiera. Siamo tutti convinti che la Missione dei Maristi Blu ad Aleppo sia più che mai attuale. I bisogni sono enormi e a tutti i livelli. I Maristi Blu forniscono un servizio esemplare di solidarietà che merita di continuare. Siamo tutti convinti che sia giunto il momento di realizzare questa successione: atto di fede in Dio e nelle nuove generazioni di leader che manterranno lo spirito della Missione Marista Blu e guideranno i vari progetti. È stata una scelta di continuità che richiede una simbiosi tra ieri e domani; il momento di leggere ciò che è stato sperimentato dalla fondazione dei Maristi Blu nel 2012 e di affidare il fututo, con grande serenità e speranza, alle mani di Maria nostra Buona Madre. Questa serenità e speranza ci ha portato a scegliere tre persone per costituire il nuovo gruppo dirigente dei Maristi Blu. Infatti, dal 1 settembre 2024, sono subentrati Adel JANJI, Bahjat AZRIEH e Lina LAWAND. Abbiamo fiducia nel loro spirito marista, nel loro senso di solidarietà e nella loro capacità di agire in squadra. Noi, Leyla, Nabil e io, continueremo a sostenerli per un periodo di transizione. 

Alcuni dei nostri programmi sono già iniziati dal 1 settembre. I programmi educativi inizieranno oggi, martedì 1 ottobre. I Maristi Blu continuano così ad essere questo barlume di speranza, scegliendo di mettere tutte le nostre capacità al servizio di una popolazione in totale disordine. Qualche giorno fa ho postato questa preghiera su Facebook: Chi sono io per proteggerti, straniero? Chi sono io, che il mio cuore trabocca di simpatia per la tua condizione umana, straniero? Chi sono io per sprecare il mio tempo prezioso ascoltando i sospiri oscuri della tua vita, straniero? Chi sono io per accettare che tu, lo straniero, condivida con me lo spazio della mia stabilità e della mia tranquillità... Chi sono io, Signore, perché tu debba attraversare la mia vita come uno straniero, un debole, un rifugiato, un oppresso, gettato sul ciglio della strada di questo pazzo mondo? Una voce dentro di me sussurra: "Sei il mio amato figlio..."

È solo un arrivederci.

 fratel Georges Sabé per i Maristi Blu

Aleppo il 1 ottobre 2024

domenica 29 settembre 2024

Una giornata di Preghiera, di Digiuno e di Penitenza: 7 ottobre 2024

 

Gerusalemme, 26 settembre 2024

Alla Diocesi del Patriarcato Latino di Gerusalemme

   (raccogliamo per tutti i credenti in questo momento tragico per il MedioOriente)

Carissimi,
il Signore vi dia pace!

Il mese di ottobre si avvicina, e con esso la consapevolezza che da un anno la Terra Santa, e non solo, è stata precipitata in un vortice di violenza e di odio mai visto e mai sperimentato prima. In questi dodici mesi abbiamo assistito a tragedie che per la loro intensità e per il loro impatto hanno lacerato in maniera profonda la nostra coscienza e il nostro senso di umanità.

La violenza, che ha causato e sta causando migliaia di vittime innocenti, ha trovato spazio anche nel linguaggio e nelle azioni politiche e sociali. Ha profondamente colpito il senso di comune appartenenza alla Terra Santa, alla coscienza di essere parte di un disegno della Provvidenza che ci ha voluti qui per costruire insieme il Suo Regno di pace e di giustizia, e non per farne un bacino di odio e di disprezzo, di rifiuto e annientamento reciproco.

In questi mesi ci siamo già espressi chiaramente su quanto sta avvenendo e abbiamo ribadito più volte la nostra condanna di questa guerra insensata e di ciò che l’ha generata, richiamando tutti a fermare questa deriva di violenza, e ad avere il coraggio di individuare altre vie di risoluzione del conflitto in corso, che tengano conto delle esigenze di giustizia, di dignità e di sicurezza per tutti.

Non possiamo che richiamare ancora una volta i governanti e quanti hanno la grave responsabilità delle decisioni in questo contesto, ad un impegno per la giustizia e per il rispetto del diritto di ciascuno alla libertà, alla dignità e alla pace.

Anche noi abbiamo però il dovere di impegnarci per la pace, innanzitutto preservando il nostro cuore da ogni sentimento di odio, e custodendo invece il desiderio di bene per ciascuno. E poi impegnandoci, ognuno nei propri contesti comunitari e nelle forme possibili, a sostenere chi è nel bisogno, aiutare chi si sta spendendo per alleviare le sofferenze di quanti sono colpiti da questa guerra, e promuovere ogni azione di pace, di riconciliazione e di incontro.

Ma abbiamo anche bisogno di pregare, di portare a Dio il nostro dolore e il nostro desiderio di pace. Abbiamo bisogno di convertirci, di fare penitenza, di implorare perdono.

Vi invito, perciò, ad una giornata di preghiera, digiuno e penitenza, per il giorno 7 ottobre prossimo, data diventata simbolica del dramma che stiamo vivendo. Il mese di ottobre è anche il mese mariano e il 7 ottobre celebriamo la memoria di Maria Regina del Rosario.

Ciascuno, con il rosario o nelle forme che riterrà opportune, personalmente ma meglio ancora in comunità, trovi un momento per fermarsi e pregare, e portare al “Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione” (2 Cor 1,3), il nostro desiderio di pace e riconciliazione.

In allegato alla presente troverete una proposta di preghiera, da usare liberamente. Invochiamo l’intercessione di Maria Regina del Rosario per questa Terra amata e i suoi abitanti.

Con l’augurio di ogni bene,

†Pierbattista Card. Pizzaballa

Patriarca di Gerusalemme dei Latini


Preghiera per la pace

Signore Dio nostro,
Padre del Signore Gesù Cristo
e Padre dell’umanità intera,
che nella croce del Tuo Figlio
e mediante il dono della sua stessa vita
a caro prezzo hai voluto distruggere
il muro dell’inimicizia e dell’ostilità
che separa i popoli e ci rende nemici:
manda nei nostri cuori
il dono dello Spirito Santo,
affinché ci purifichi da ogni sentimento
di violenza, di odio e di vendetta,
ci illumini per comprendere
la dignità insopprimibile
di ogni persona umana,
e ci infiammi fino a consumarci
per un mondo pacificato e riconciliato
nella verità e nella giustizia,
nell’amore e nella libertà.

Dio onnipotente ed eterno,
nelle Tue mani sono le speranze degli uomini
e i diritti di ogni popolo:
assisti con la Tua sapienza coloro che ci governano,
perché, con il Tuo aiuto,
diventino sensibili alle sofferenze dei poveri
e di quanti subiscono le conseguenze
della violenza e della guerra;
fa’ che promuovano nella nostra regione
e su tutta la terra
il bene comune e una pace duratura.

Vergine Maria, Madre della speranza,
ottieni il dono della pace
per la Santa Terra che ti ha generato

e per il mondo intero. Amen


https://www.lpj.org/it/news/a-day-of-prayer-fasting-and-penance

Prot. N. (1) 1519/2024

domenica 8 settembre 2024

Perché la Siria sarà sempre il cuore del cristianesimo orientale



 8 settembre, Festa della Natività della Vergine Maria, festa della venerata, da tutta la Siria, Madonna di Saidnaya

Di *Kamal Alam -  MiddleEast Eye 

Sono le forze esterne, non la gente comune sul territorio, a mettere a repentaglio la pacifica coesistenza tra musulmani e cristiani del Medio Oriente che ha prevalso per gran parte della storia moderna. 

 All'inizio di quest'anno, il conduttore televisivo conservatore statunitense Tucker Carlson ha suscitato l'ira della lobby israeliana  e dei sionisti cristiani mettendo in dubbio il sostegno di Washington a un Israele intenzionato a uccidere e perseguitare i cristiani palestinesi .

Carlson ha intervistato il reverendo Munther Isaac della Chiesa cristiana evangelica luterana, pastore di Betlemme, e ha evidenziato la costante mancanza di consapevolezza negli Stati Uniti circa il trattamento riservato ai cristiani in Terra Santa. 

Fu Carlson, nel 2018, in qualità di conduttore di Fox News,  a lanciare un  dibattito sui principali media statunitensi sulle uccisioni diffuse di cristiani siriani, e a mettere regolarmente in discussione  il sostegno degli Stati Uniti ai gruppi che prendevano di mira i cristiani in Medio Oriente .

Si potrebbe sostenere che la guerra in Siria abbia portato in primo piano la persecuzione dell'intero cristianesimo orientale , dal Nord Africa all'Asia meridionale. 

Un recente libro di Eugene Rogan, The Damascus Events : The 1860 Massacre and the Destruction of the Old Ottoman World” , sottolinea l'importanza spirituale e geopolitica del massacro dei cristiani siriani del 1860, che sconvolse l'antica gerarchia interreligiosa degli stati ottomani.

Proprio come allora, Damasco ha nuovamente catturato l'attenzione dei cristiani di tutto il mondo per la sua importanza come cuore del cristianesimo orientale.

Come nel 1860, l'interferenza di potenze esterne ( Francia , Regno Unito e Stati Uniti) ha messo a repentaglio anziché proteggere la secolare coesistenza tra cristiani e musulmani,  così come è accaduto con il sostegno degli Stati Uniti ai gruppi militanti in Siria, che hanno iniziato a prendere di mira i cristiani più benestanti (vale a dire i siriani) del Medio Oriente.

Influenza straniera

The Damascus Events” si concentra su un evento chiave, il massacro di migliaia di cristiani a Damasco nel 1860, quando una folla, alimentata dalle voci secondo cui i cristiani stavano per vendicarsi dei Drusi, entrò nella città e diede origine a disordini in tutto il Levante. 

Questi eventi cambiarono per sempre il corso del Medio Oriente, in termini di crescente ingerenza occidentale negli affari levantini.

Il libro esamina anche come la precedente armonia tra fedi diverse nell'entroterra ottomano della Grande Siria possa degenerare in violenza intercomunitaria sotto la provocazione di stranieri e di vociferazioni. 

Rogan, professore di storia moderna del Medio Oriente presso l'Università di Oxford,  sottolinea  come l'incremento degli scambi commerciali nella Grande Siria durante il periodo ottomano spinse le principali potenze europee a favorire i cristiani locali come partner commerciali e diplomatici sul territorio in città come Aleppo, Damasco, Beirut, Tarso e Antakya.

La pressione esercitata dall'Europa sugli Ottomani affinché concedessero ai cristiani pari diritti e affidassero gli affari cristiani in mani europee portò a tensioni in quella che altrimenti sarebbe stata una coesistenza pacifica.

La debolezza del governo ottomano (Costantinopoli era in default economico e troppo assorbita dai suoi territori europei nei Balcani ) e la pressione straniera aumentarono le tensioni locali. 

È ironico che Rogan chiami questi avvenimenti "gli eventi di Damasco", poiché seguirono le violenze tra Drusi e Maroniti sul Monte Libano, molto lontano da Damasco.

Ma la paura, l'insicurezza e le dicerie alla fine portarono al massacro di Damasco. 

Rogan si dilunga nel descrivere la storia scritta e orale di drusi, musulmani e cristiani, spiegando come le dicerie partite dal Monte Libano siano arrivate a Damasco passando per Homs e Aleppo. Attribuisce la colpa maggiore a forze esterne, reali o percepite, per aver influenzato o fatto leva sulle insicurezze dei Damasceni, provocando gli attacchi ai ricchi mercanti cristiani. 

Lezione di convivenza

Rogan conclude con una nota positiva, osservando che gli stessi musulmani di Damasco, decisi a uccidere cristiani innocenti, alla fine vennero in soccorso dei perseguitati contro la folla inferocita istigata dagli estranei.

Molti di coloro che per primi attaccarono l'antico quartiere cristiano di Bab Touma non provenivano in realtà da Damasco. Erano piuttosto Drusi del Libano e più a sud, insieme ad arabi beduini e ad altri che vivevano alla periferia di Damasco. 

Tuttavia, qualunque siano state le origini dei violenti eventi di Damasco, essi accelerarono l'influenza delle capitali europee negli affari ottomani e aumentarono la pressione sul declino del governo dei funzionari ottomani nelle province lontane, dai Balcani al Levante.

Hanno anche catapultato Damasco, nell'immagine del cristianesimo occidentale, come uno dei principali baluardi del cristianesimo orientale.

Nel 2001, il defunto Papa Giovanni Paolo II fece un pellegrinaggio a Damasco e parlò a lungo dell'importanza della Siria per tutti i cristiani, comprese le radici del Vaticano e della Chiesa cattolica,  grazie alla conversione di San Paolo  nel quartiere vecchio di Damasco.

Il Papa parlò anche della completa armonia tra musulmani e cristiani in Siria, di come sia difficile trovarla in qualsiasi altra parte del mondo e di come questa debba essere una lezione di convivenza.

Sopportare il peso

La guerra in Siria ha avuto un profondo impatto sulla vita di tutti i siriani. Ma proprio come nei vicini Iraq e Libano , i cristiani in Siria hanno sopportato un pesante fardello dopo essere stati presi di mira da gruppi estremisti semplicemente a causa della loro fede.

Nel 2016, la guerra in Siria ha portato al primo incontro in 1.000 anni tra un patriarca ortodosso russo e un Papa, Francesco, motivato dalle uccisioni di cristiani in Siria e in Medio Oriente.

La Chiesa ortodossa russa aveva benedetto l'intervento russo in Siria definendolo una guerra santa, data l'importanza della Siria per i cristiani.

Allo stesso modo, numerose delegazioni cristiane britanniche  hanno visitato la Siria e lanciato l'allarme sulla diminuzione della popolazione cristiana siriana. 

Carlson ha guidato il grido di battaglia dei conservatori negli Stati Uniti, sottolineando l'importanza dei cristiani siriani.

Brad Hoff e Zachary Wingerd sono coautori di Syria Crucified , un libro che racconta la difficile situazione dei cristiani siriani e l'impatto sulla cristianità orientale, descrivendo anche nel dettaglio come i cristiani americani abbiano iniziato a prestare attenzione in particolare alle atrocità perpetrate  dai  militanti sostenuti dagli Stati Uniti.n

Il libro di Rogan, pur essendo un promemoria di eventi oscuri, è anche un promemoria del fatto che oggi, proprio come negli anni '60 dell'Ottocento, non sono i locali spinti a una frenesia omicida. C'è un ottimismo sul fatto che i siriani possano ricostruire la società, poiché la maggior parte dei musulmani siriani non vede i cristiani siriani come distinti o diversi da loro.

L'interferenza esterna sta guidando gli eventi sul territorio, proprio come accadde a metà del XIX secolo, e quindi c'è speranza che la Siria continui a essere il cuore  del  cristianesimo orientale. 

* Kamal Alam è specializzato in storia militare contemporanea del Medio Oriente. È stato Fellow presso il Royal United Services Institute dal 2015 al 2019. Attualmente è Fellow presso l'Institute for Statecraft e Senior Fellow non residente presso l'Atlantic Council, e tiene lezioni presso diversi college militari in tutto il Medio Oriente.