Lilly Martin Sahiounie da Latakia racconta il quotidiano del popolo siriano, in questo inverno del clima e dei cuori.
Traduzione di Maria Antonietta Carta
'' Vorrei darvi buone notizie, ma non ne ho. Siamo sopravvissuti a otto anni di guerra, ma le sanzioni finiranno per ucciderci.
A causa delle sanzioni statunitensi, ora non abbiamo gas da cucina, né benzina, né elettricità. Lasciatemi spiegare: la Siria aveva i pozzi di gas e ne produceva abbastanza per usi domestici. Ogni casa compra la propria bombola di gas per cucinare e, quando è vuota, la cambia con una piena.
I terroristi hanno distrutto i nostri pozzi di gas, e i pozzi petroliferi sono nelle mani del nemico: una milizia armata fedele agli USA nella regione a nord-est del Paese. Quindi abbiamo bisogno di importare il gas. Le navi che lo trasportano sono iraniane perché, secondo le sanzioni statunitensi, non siamo autorizzati a comprare gas, o qualsiasi altra cosa, da qualsiasi Paese. Le navi iraniane che portano il gas sono bloccate nel canale di Suez, su ordine degli USA, per impedire alla Siria di riceverlo. Potremmo non ricevere mai quel gas.
I generatori di elettricità per produrre l'energia elettrica per le nostre case funzionano a gas, quindi non possiamo cucinare e non possiamo accendere una luce! La benzina per le nostre auto non è facilmente disponibile, scarseggia ed è razionata.
I pozzi petroliferi della Siria pompavano il greggio, lo spedivano all'estero e tornava raffinato. Non possiamo farlo più. Anche nel mio quartiere, in città, molti cucinano con legno di scarto e legno degli alberi.
La Siria ha vinto la guerra, abbiamo sconfitto i terroristi, abbiamo recuperato quasi ogni centimetro di terra (tranne Idlib e la parte nord-orientale), ma abbiamo perso la capacità di vivere una vita normale.
Ciò che gli Americani non sono riusciti a ottenere sul campo di battaglia lo stanno ottenendo annientando noi, gente comune, con le sanzioni imposte. Diciamo che sei sopravvissuto alla guerra, possiedi ancora del denaro e vuoi comprare un camion o un bulldozer per riparare case rovinate dalla guerra., ma non importa quanti soldi hai in mano, non puoi inviarli all'estero per acquistare macchinari e le forniture di cui hai bisogno per ricostruire la Siria. A causa delle sanzioni statunitensi, nessuno in Siria è autorizzato a inviare denaro a nessun altro Paese, per comprare qualsiasi cosa. Il sistema bancario globale passa tutto attraverso la banca Chase Manhattan a New York.
Potresti pensare che ciò sia inverosimile, ma ogni parola che ho scritto è vera. Questa è la nostra vita.''
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sabato 23 febbraio 2019
giovedì 21 febbraio 2019
Memoria per ricostruire: i bambini siriani rifugiati in Libano scoprono la loro identità e il patrimonio cui appartengono
Gestito
da AVSI, finanziato dall'Unione Europea in Libano, sostenuto
da UNICEF Libano e attuato dall'associazione Biladi, il progetto
"Siria in my mind" introduce i bambini siriani nell'eredità
siriana e li collega alla loro patria creando un senso di
appartenenza attraverso varie attività centrate sulla Siria. Le
attività includono canti tradizionali, danza popolare, giochi e
l'apprendimento di siti archeologici sulla mappa della Siria:
"
iniziamo dal valore della persona, che non è mai definita dalle
circostanze in cui vive.", è il metodo di AVSI
Negli
ultimi anni, quasi 800
mila bambini siriani hanno
cercato rifugio con le loro famiglie in Libano,
secondo il rapporto pubblicato
da Unicef ad
agosto 2015. C’è chi è nato nel paese dei cedri, chi ci è
arrivato molto piccolo e chi ha qualche in anno in più. Ma quando
chiedi loro “di dove sei?”, molto spesso non ricordano né da
dove arrivano né com’era il proprio paese prima della guerra.
Abil,
un rifugiato siriano di sette anni che vive con la sua famiglia nel
campo di Marshajoun nel sud del Libano da quasi tre anni, non
conserva più alcun vivido ricordo della sua casa o della sua terra
natia. A Saida, una grande città del sud, quando a questi
bambini viene chiesto "da dove vieni" la maggior parte di
loro risponde "da Saida".
Il
progetto Syria
in my mind,
ideato dalla Ong
Biladi (in
arabo significa “Il mio paese”) nasce proprio per mantenere viva
la memoria della Siria e creare un legame tra questi bambini e la
propria terra. Attraverso varie attività come il cantastorie, le
danze tradizionali, il percorso culinario con la mappa della Siria,
il gioco dell’oca sui più importanti siti archeologici siriani, il
progetto, finanziato da Unicef e gestito dall’Ong
italiana Avsi,
aiuta i bambini a ricordare la loro patria, l’eredità culturale e
le ricchezze storico-archeologiche della Siria.
“Il
progetto è iniziato nel 2014, quando ho dato a un bambino siriano un
pezzo di pane chiamato Tannour,
che è un tipo di pane tradizionale. Lui mi ha guardato e mi ha
chiesto ‘dov’è la nonna?’. Era la sua nonna che preparava quel
tipo di pane. Lui voleva il pane perché gli ricordava la nonna, non
per il valore che aveva il pane. E’ stato in quel momento che ho
capito che non potevamo restituire i ricordi ma potevamo dare
qualcosa che aiutava loro a ricordarsi
della Siria e della propria identità”,
racconta Joanne
Farchakh Bajjaly archeologa
libanese e ideatrice del progetto.
Circa
duemila bambini siriani tra i cinque e i quindici anni hanno preso
parte alle attività pedagogiche all’interno dei centri educativi
gestiti da Avsi a Nabatiyeh,
Saida, Jounieh, Khiam e Marjayoun.
“Alcuni bambini non hanno mai visto la Siria o erano troppo piccoli
per ricordarsela. Quello che vogliamo dare è un’immagine della
Siria senza guerra e far loro capire la storia e la propria cultura,
affinché possano avere una maggior responsabilità e consapevolezza
per il futuro. Per farlo abbiamo scelto il gioco e attività pratiche
come far costruire la cittadella di Aleppo o
il castello per creare una connessione tra loro e la Siria”,
spiega Tarek
Awwad,
archeologo siriano e monitore dell’Ong Syria Eyes.
“All’inizio
quando aprivamo la mappa della Siria o quando nominavamo alcune città
come Palmira o Raqqa molti
bambini si spaventavano perché le associavano a una situazione di
rischio. Con il passare dei giorni cercavamo di far capire quali
erano le bellezze, gli animali o i fiori di quelle regioni”,
racconta sempre il giovane archeologo, anch’egli rifugiato in
Libano. Il progetto ha permesso non solo ai bambini di avere
un’immagine
positiva della propria terra,
senza sangue e morte, ma ha aiutato a ritrovare il dialogo con i genitori e di frequentare la scuola con maggior coinvolgimento
e interesse.
“Grazie
al progetto Syria in my mind, molti bambini tornavano a casa dalle
famiglie cantando le canzoni che avevano imparato o chiedendo loro se
si ricordavano del souk e
se andavano lì a fare la spesa. E’ importante che inizino a
parlare con i genitori e che si ricordino della Siria in maniera
positiva perché dà loro la speranza e la voglia di ritornarci”,
spiega un’insegnante del centro educativo di Saida.
Ma il risultato più importante è senza dubbio la riscoperta
della propria identità.
I loro animatori sono siriani, parlano la loro lingua, per cui si
sentono valorizzati e non hanno più paura di dire dov'è veramente
la loro patria.
"Anche
il nostro paese ha attraversato una guerra. E sappiamo che il
conflitto siriano finirà un giorno ", dice Joanne Farchakh
Bajjaly. Con questa convinzione, in Libano, si prepara i
bambini siriani al ritorno.
https://en.annahar.com/article/290432-syria-on-my-mind-offers-hope-to-refugee-children
https://www.lorientlejour.com/article/944319/faire-revivre-aux-petits-refugies-syriens-leur-pays-perdu.html
lunedì 18 febbraio 2019
Da Idlibistan bombardamenti sulle città cristiane in risposta agli accordi del vertice a Sochi tra Russia, Turchia e Iran per la definizione delle aree di influenza
Sabato 16 febbraio
tre civili sono rimasti feriti a causa di attacchi con missili sulla
città cristiana greco-ortodossa di Mhardeh e la centrale
elettrica nella campagna settentrionale di Hama.
Gruppi
terroristici posizionati nel castello di al-Madiq hanno anche sparato
colpi di razzo sui quartieri residenziali nella città cristiana di
al-Sqailbieh
nella campagna settentrionale di Hama, ferendo tre civili e causando
danni materiali alle case. Qalaat al-Madiq è il sito dell'antica
città di Apamea,
le cui rovine si trovano appena ad est della città. La fortezza
moderna, che ha dato il nome alla città, fu costruita durante il
dominio musulmano nel 12 ° secolo. È ancora abitata da
cittadini civili, ed ora occupata da gruppi affiliati ad Al-Nusra.
Gruppi
terroristici posizionati nella valle di al-Anz a ovest di Kafr Zita
hanno preso di mira la città di Salhab con lanci di razzi, causando
danni materiali a proprietà private e a infrastrutture.
Lunedì 18 febbraio due cittadini sono stati uccisi e molti altri sono rimasti feriti in
un attacco terroristico con colpi di mortaio nella città di Sheizar.
Nello stesso giorno, altri due civili sono rimasti feriti quando
gruppi terroristici hanno preso di mira con una serie di missili
al-Sqeilbiya, 48 km a nord-ovest della città di Hama, in una nuova
violazione dell'accordo di de-escalation della zona di Idleb.
Gli
attacchi su Mhardeh provengono
sempre da Ltamenah, ancora occupata dal takfiri affiliati all'Arabia
Saudita, "Jaish al Ezza".
Notizie
tratte da Agenzia S.A.N.A. e da Syrianews
AGGIORNAMENTO da SOS Chrétiens d'Orient:
...."Il signor Simon e io arriviamo a casa alla stessa ora. Ho appena distribuito cibo e lui i missili. Ridendo, mi fa ascoltare una registrazione da una conversazione intercettata tra terroristi dove sentiamo:
"Colpisci le chiese, colpisci le chiese, questi maiali di cristiani sono nelle chiese" ...
Dall'estate 2018, un cessate il fuoco è stato ufficialmente decretato dai russi e dai turchi su richiesta dei terroristi ... I turchi che si trovano all'interno delle posizioni terroristiche hanno allestito numerosi centri di osservazione. Per quanto riguarda i russi, circondano la tasca di Idleb dal lato del governo con i soldati dell'esercito arabo siriano. Tuttavia, questo accordo di pace viene costantemente interrotto da ripetuti attacchi di al-Nusra e dei loro affiliati che si abbattono vigliaccamente sui civili con granate, razzi e missili ...
AGGIORNAMENTO da SOS Chrétiens d'Orient:
...."Il signor Simon e io arriviamo a casa alla stessa ora. Ho appena distribuito cibo e lui i missili. Ridendo, mi fa ascoltare una registrazione da una conversazione intercettata tra terroristi dove sentiamo:
"Colpisci le chiese, colpisci le chiese, questi maiali di cristiani sono nelle chiese" ...
Dall'estate 2018, un cessate il fuoco è stato ufficialmente decretato dai russi e dai turchi su richiesta dei terroristi ... I turchi che si trovano all'interno delle posizioni terroristiche hanno allestito numerosi centri di osservazione. Per quanto riguarda i russi, circondano la tasca di Idleb dal lato del governo con i soldati dell'esercito arabo siriano. Tuttavia, questo accordo di pace viene costantemente interrotto da ripetuti attacchi di al-Nusra e dei loro affiliati che si abbattono vigliaccamente sui civili con granate, razzi e missili ...
Altrove nel paese, la pace è tornata, la vita ha ripreso il suo corso, il peggio è ormai alle spalle ma per gli altri, l'inferno continua ed è quotidiano ... Abituato a vivere in una Siria ritornata serena, avevo dimenticato le sensazioni di un tale clima di paura e ansietà. Avevo dimenticato questa atmosfera di morte. Lo conoscevo bene durante le mie regolari visite ad Aleppo tra il 2015 e il 2017, al culmine di quella lunga battaglia fino alla sua liberazione. L'avevo conosciuto bene anche in altre circostanze, come durante quelle ore di strade spaventose che attraversavano il paese, toccando le aree detenute da ISIS e Al Nusra. Anche a me capita di dimenticare che sfortunatamente molti sono quelli per cui nulla è finito!
Non mi rivolgo a voi per incolparvi ma perchè vi indigniate con me. Il silenzio dei media è travolgente, soprattutto quando ci dice che tutto è finito in Siria! In realtà qui si continua a uccidere in silenzio, nessuno è lì a riferire i fatti.
Non aspettate che i media si destino, per parlare solo dei civili nella regione di Idleb, per interessarvi a Mhardeh. Non commettete lo stesso errore delle battaglie di Aleppo e Damasco! Dovete capire che Mhardeh sta morendo lentamente ... Oggi i nostri fratelli muoiono in silenzio e solo voi potete aiutarci ad alleviare le loro sofferenze. Abbiamo bisogno di voi, delle vostre preghiere, del vostro aiuto. Aiutateci a sostenere Mhardeh! Aiutateci a sostenere i suoi abitanti!
Alexandre Goodarzy, capo della missione in Siria.
venerdì 15 febbraio 2019
Siria: Le mamme dolenti di Sadad
Situato
alle porte del deserto della Siria, a sessanta chilometri a sud di
Homs, il villaggio cristiano di Sadad conta solo tremila abitanti
rimanenti. La sua popolazione è interamente cristiana,
principalmente di rito siriaco-ortodosso. Questo antico villaggio è
citato due volte nel Vecchio Testamento, e si parla ancora
l'aramaico.
Durante la guerra, Sadad era un punto strategico per controllare la strada tra Homs e Damasco, ed è stato quindi attaccato più volte dai terroristi. Organizzati in milizia, gli abitanti del villaggio hanno respinto un primo assalto di al-Nusra nel 2013 -che è giunto comunque fino a controllare i tre quarti del villaggio- e un secondo assalto di Isis nel 2015. Ma, in Sadad o altrove, molti giovani del villaggio hanno perso la vita nei combattimenti condotti durante la guerra. Morendo per la difesa del loro paese, hanno acquisito il titolo di martiri presso i siriani.
Siamo andati ad incontrare le famiglie di questi martiri, per raccogliere la loro testimonianza e far conoscere al mondo questi racconti di vite spezzate e di famiglie in lutto.
Mayada si veste solo in nero e rifiuta ogni cibo dolce da sette anni. Suo figlio Shadi è morto in battaglia nel 2011, a vent'anni. Due anni dopo, la guerra le prendeva un secondo figlio, George, di soli diciassette anni. Da questi due drammi, una tristezza permanente si è installata nella piccola casa che condivide con il marito e la loro nuora Rouba, con i suoi due giovani figlioli. Ci rechiamo da questa famiglia in compagnia di Hyam, un'amica dell'associazione, peraltro cugina di Mayada, che ci tradurrà ciò che le nostre magre conoscenze in arabo non ci permetteranno di cogliere.
Al nostro arrivo, constatiamo che la casa è stata appena lavata con grandi secchiate. Desiderosa di riceverci bene, un pallido sorriso illumina il volto di Mayada mentre suo marito ci invita nella stanza di soggiorno, dove una stufa mai usata è appena uscita dalla soffitta in modo che non abbiamo freddo. I tubi mal aggiustati della stufa lasciano sfuggire ondate di fumo, e si deve presto rinunciare al suo uso. A questo punto, un piccolo riscaldamento a gas è immediatamente installato nella stanza, nonostante la carenza di gas. Questa famiglia tuttavia non è ricca: la loro piccola casa non è riscaldata, i mobili sono limitati, e i pezzi mancano chiaramente di finiture. Sul tetto-terrazza in cemento, la costruzione di un secondo piano che permetterebbe a queste differenti generazioni di vivere più comodamente è al punto morto, per mancanza di soldi.
Durante la guerra, Sadad era un punto strategico per controllare la strada tra Homs e Damasco, ed è stato quindi attaccato più volte dai terroristi. Organizzati in milizia, gli abitanti del villaggio hanno respinto un primo assalto di al-Nusra nel 2013 -che è giunto comunque fino a controllare i tre quarti del villaggio- e un secondo assalto di Isis nel 2015. Ma, in Sadad o altrove, molti giovani del villaggio hanno perso la vita nei combattimenti condotti durante la guerra. Morendo per la difesa del loro paese, hanno acquisito il titolo di martiri presso i siriani.
Siamo andati ad incontrare le famiglie di questi martiri, per raccogliere la loro testimonianza e far conoscere al mondo questi racconti di vite spezzate e di famiglie in lutto.
Mayada si veste solo in nero e rifiuta ogni cibo dolce da sette anni. Suo figlio Shadi è morto in battaglia nel 2011, a vent'anni. Due anni dopo, la guerra le prendeva un secondo figlio, George, di soli diciassette anni. Da questi due drammi, una tristezza permanente si è installata nella piccola casa che condivide con il marito e la loro nuora Rouba, con i suoi due giovani figlioli. Ci rechiamo da questa famiglia in compagnia di Hyam, un'amica dell'associazione, peraltro cugina di Mayada, che ci tradurrà ciò che le nostre magre conoscenze in arabo non ci permetteranno di cogliere.
Al nostro arrivo, constatiamo che la casa è stata appena lavata con grandi secchiate. Desiderosa di riceverci bene, un pallido sorriso illumina il volto di Mayada mentre suo marito ci invita nella stanza di soggiorno, dove una stufa mai usata è appena uscita dalla soffitta in modo che non abbiamo freddo. I tubi mal aggiustati della stufa lasciano sfuggire ondate di fumo, e si deve presto rinunciare al suo uso. A questo punto, un piccolo riscaldamento a gas è immediatamente installato nella stanza, nonostante la carenza di gas. Questa famiglia tuttavia non è ricca: la loro piccola casa non è riscaldata, i mobili sono limitati, e i pezzi mancano chiaramente di finiture. Sul tetto-terrazza in cemento, la costruzione di un secondo piano che permetterebbe a queste differenti generazioni di vivere più comodamente è al punto morto, per mancanza di soldi.
Prendiamo
il tè con loro, e a poco a poco la coppia si confida con noi.
Apprendiamo così che i loro altri tre figli sono ancora militari e
continuano a servire nell'esercito arabo siriano a Damasco e a Hama.
Un'angoscia supplementare per quei genitori già provati. Ci parlano
anche della loro amicizia con la first lady, Asma al-Assad. Commossa
dalla loro storia, ella li ha ricevuti al palazzo presidenziale, ed
ha offerto un'auto per permettere loro di lavorare. Da allora, ella continua regolarmente a chiedere le loro notizie e a offrire loro il
suo aiuto, che rifiutano. Mayada ci spiega le ragioni di questo
rifiuto, nonostante la loro miseria: "se accettassi questo
aiuto, avrei l'impressione di vendere i miei figli". Suo marito
approva, prima di aggiungere che "il sostegno morale e le foto"
al lato della first lady sono sufficienti, e che non vogliono nulla
di più. La foto scattata con M. Asma qualche anno fa troneggia ben
visibile nella stanza, accanto alle foto di famiglia. Ma se questo
sostegno importante costituisce un reale conforto morale, oltre ad
aver migliorato la loro quotidianità grazie all'automobile, non potrà mai
rendere completamente la gioia di vivere a questa coppia, che vive
costantemente nella memoria dei due figli scomparsi.
I
loro ritratti appaiono sullo sfondo dell'angolo di preghiera, e su
uno scaffale vicino le scarpe di uno fanno da vaso per un mazzo di
fiori di plastica, accanto al casco e alla bandiera siriana. E i due
figli di Rouba sono stati battezzati Shadi e Georges, in ricordo dei
loro zii defunti. Per ora, i due piccoli si divertono sul tappeto, e
corrono di tanto in tanto a rifugiarsi tra le braccia della loro
mamma o del loro nonno. Speriamo che il triste contesto che li
circonda non peserà troppo sulla loro infanzia, e preghiamo
soprattutto che il futuro del loro paese riservi loro un destino
diverso da quello dei loro zii.
Commossa, Mayada smette di parlare. Con suo marito, usciamo a visitare il giardino. Dopo il nostro giretto, la ritroviamo fuori, seduta su una sedia di plastica, immobile. Trova ancora la forza di sorridere quando li lasciamo e li ringraziamo calorosamente per la loro accoglienza e la loro testimonianza. “Tornate a farci visita! Venite quando volete, siete i benvenuti! ". Queste poche parole, già tante volte sentite a Sadad, prendono però qui un senso particolare, pieno di speranza, e ci mostrano che nonostante il dolore che opprime questi genitori provati, il loro cuore è rimasto aperto e generoso. Ripartiamo ammirati davanti al loro coraggio.
trad: OraproSiria
Commossa, Mayada smette di parlare. Con suo marito, usciamo a visitare il giardino. Dopo il nostro giretto, la ritroviamo fuori, seduta su una sedia di plastica, immobile. Trova ancora la forza di sorridere quando li lasciamo e li ringraziamo calorosamente per la loro accoglienza e la loro testimonianza. “Tornate a farci visita! Venite quando volete, siete i benvenuti! ". Queste poche parole, già tante volte sentite a Sadad, prendono però qui un senso particolare, pieno di speranza, e ci mostrano che nonostante il dolore che opprime questi genitori provati, il loro cuore è rimasto aperto e generoso. Ripartiamo ammirati davanti al loro coraggio.
mercoledì 13 febbraio 2019
I disaccordi di Sochi: la Siria sospesa tra gli interessi divergenti dei suoi 'alleati'
Di Elijah J. Magnier
Tradotto da: Alice Censi
Non si prevede che nell’incontro del 14 febbraio a Sochi tra i presidenti della Russia, della Turchia e dell’Iran verrà trovata una soluzione che trovi tutti d’accordo sul problema di queste due zone in Siria : il nordest ( da Manbij a Qamishli/al-Hasaka) attualmente occupato dalle forze militari americane e la città di Idlib e la sua provincia occupate dai gruppi jihadisti in buoni rapporti con la Turchia.
Ci sono sostanzialmente punti di vista diversi. Si pensa che il tema principale della discussione in questo incontro sia il possibile ritiro degli Stati Uniti nelle prossime settimane ( il mese di aprile pare sia credibile) come Washington ha annunciato. Tutti concordano sul fatto che il ritiro americano oggi sia una priorità e un vero sollievo per il Levante . Pertanto, ogni passo utile a raggiungere questo obbiettivo senza intoppi, dovrà essere compiuto. Tuttavia le differenze principali sono conseguenza del desiderio nonché dell’intenzione della Russia di arrivare ad un “accordo temporaneo”con la Turchia sulla situazione del nordest siriano dopo il ritiro americano. Queste differenze riguardano il prezzo che la Siria dovrà pagare per vedere le truppe americane fuori dal paese.
Fonti di informazione tra coloro che prendono le decisioni a Damasco, dicono che “ la Russia sta cercando di trovare una scusa per l’entrata della Turchia nel nordest della Siria, in una “zona cuscinetto” di 12.000Kmq all’interno dei 42.000 Kmq a est dell’Eufrate attualmente occupati dagli Stati Uniti, rilanciando così gli accordi di Adana del 1998 tra Ankara e Damasco.” Il 23 gennaio, il presidente Putin diceva che l’accordo di 20 anni fa era ancora vincolante. Una fonte siriana riporta che “ il presidente russo sta cercando di fare in modo che la Turchia riprenda le relazioni direttamente con la Siria a livello più stretto. La Russia è convinta che una presenza temporanea della Turchia sia accettabile fermo restando che l’unità della Siria non venga messa in discussione. Ma noi, a Damasco, siamo convinti che se la Turchia entra in Siria, sarà difficile farla andare via”.
La Russia non ha mai abbandonato l’idea di una Siria unita e ritiene che sia importante che l’intera area geografica torni sotto il controllo del governo centrale. Tuttavia, allo stesso tempo, considera gli Stati Uniti un pericolo maggiore e che quindi valga la pena che siano le truppe turche a rimpiazzare temporaneamente quelle americane se questo è quello che vuole Washington. Per contro, il presidente siriano e quello iraniano, non sono d’accordo sulla strategia di Putin poiché sono sicuri che la Turchia non rinuncerà al controllo del nordest siriano, un territorio ricco di risorse energetiche e agricole, con il pretesto di combattere i suoi nemici giurati, i militanti curdi.
Secondo quanto dicono le autorità siriane, l’Arabia Saudita,a differenza del Qatar, ha abbandonato i suoi “proxies” in Siria. “ Riad ambiva a tornare a Damasco e riaprire la sua ambasciata a breve ma il segretario di stato americano Mike Pompeo mettendo una serie di ostacoli insisteva affinchè il processo fosse fermato e venisse impedito il ritorno della Siria nella Lega Araba. Il Qatar invece è ancora attivo, sostiene al-Qaeda a Idlib e la presenza turca nel nordest. Pertanto pare che Stati Uniti, Russia, Turchia e Qatar siano tutti d’accordo su una presenza turca nella “zona cuscinetto”che va da Manbij a Ayn al-Arab, Tal Abyad, al-Hasaka e Qamishli”.
E’ chiaro che gli Stati Uniti non sono più interessati al destino dei curdi e delle loro famiglie non certamente disposti a vivere sotto l’occupazione turca. La Russia, la Turchia e il Qatar credono che l’unica speranza per i curdi sia spostarsi verso le forze del governo siriano che attraverseranno l’Eufrate dopo il ritiro americano. L’ “accordo di Adana rivisto” promosso da Mosca e Ankara, inciderà sulla demografia della Siria a spese dei curdi che hanno sempre creduto che gli Stati Uniti avrebbero dato loro uno stato indipendente, e mai immaginato una loro partenza improvvisa.
Le ambizioni turche in Siria non si limitano al nordest. Ankara è riluttante ad andarsene da Idlib e sta chiedendo ai gruppi locali di trovare una soluzione e superare le loro differenze, soprattutto quelle tra il gruppo di al-Qaeda “Hurras al-Deen” e il gruppo jihadista di Hay’at Tahrir al-Sham.
Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) non è più legato al gruppo di al-Qaeda guidato da Ayman al-Zawaheri perché il suo capo, Abu Mohamad al-Joulani vuole la sua indipendenza. Joulani ha seguito l’esatta ideologia e il credo dell’ISIS e di al-Qaeda quando era legato a loro ma ad un certo punto ha avuto delle divergenze su alcune delle loro pratiche e non si è più adattato all’ambiente. Joulani infatti non ha bisogno di seguire l’ISIS o al-Qaeda e nulla gli impedisce di essere un jihadista siriano indipendente con obbiettivi e priorità leggermente diversi. Ai suoi ordini ha combattenti stranieri provenienti da tutto il mondo e ha la sua base nel Levante, che ogni jihadista considera “la terra promessa”in cui stabilire un “Emirato Islamico”. Joulani infatti è il leader di “un gruppo jihadista basato sul credo della Sunnah e Jama’a e ha come scopo imporre la Sharia (legge divina) Islamica attraverso la jihad e la Da’wa (invito ad abbracciare l’Islam)”: così lui descrive l’obbiettivo del suo gruppo nel suo comunicato.
Joulani guida un gruppo che segue la “Jihad al-Tamqeen” che significa “ Jihad fino a quando diventa forte” e evoca una paziente e opportunista lotta religiosa compatibile con i Fratelli Musulmani che aspira a non bruciare i ponti ma ad adattarsi all’ambiente e ai nuovi sviluppi senza cambiare la propria ideologia o alterare il proprio credo. Si fanno compromessi temporanei con alleanze e pratiche fino a quando il gruppo è sufficientemente forte da poter abbandonare alcune politiche pragmatiche che lo aiutano a sopravvivere, acquisire forza e arruolare. La politica pragmatica di Joulani si sposa perfettamente con quella della Turchia. La Turchia è il paese islamico più potente presente a Idlib, forte abbastanza da riuscire a frenare un attacco della Russia e delle forze di Damasco alla sua roccaforte. La Turchia è felice di aver a che fare con un “jihadista camaleonte” purchè sia utile agli scopi di entrambi (Turchia e HTS).
Comunque alla Turchia non spiacerebbe consegnare Hurras el-Deen ( al-Qaeda siriana) ai russi e alle loro bombe mentre Joulani indossa l’abito del jihadista obbediente come una pecora. Joulani può aiutare la Turchia a risolvere la sua scomoda situazione se mostra il suo pragmatismo. La Turchia è stata messa in imbarazzo dalla sua mancanza di impegno nell’accordo siglato con la Russia lo scorso anno a settembre, quando si era assunta l’obbligo di metter fine alla presenza di al-Qaeda a Idlib e dintorni. Un Joulani trasformato conviene sia ad Ankara che a Mosca.
La situazione nel Levante resta complicata e irrisolta , prevale lo scetticismo nei confronti dell’imminente ritiro americano dal paese e la mancanza di fiducia tra i partners. La Russia pare disposta a tollerare una temporanea presenza turca. L’Iran, un alleato della Turchia, vorrebbe che fossero le truppe siriane ad avere il controllo di tutto il territorio ma contemporaneamente dà la precedenza all’uscita permanente del “grande Satana” dalla Siria. Damasco e Teheran condividono la stessa paura e cioè che le truppe turche restino in Siria per moltissimo tempo. Queste differenze potrebbero far sì che l’incontro di Sochi non abbia successo; il destino di Idlib e del nordest della Siria non si conosce ancora, non c’è finora un accordo tra gli alleati.
Non c’è da aspettarsi una soluzione perfetta dato che manca chiaramente la fiducia soprattutto sul ruolo della Turchia in futuro e la sua presenza in Siria. Indipendentemente da tutto questo i curdi restano, in ogni caso, i veri perdenti.
martedì 12 febbraio 2019
Embargo: ci sono anche vittime senza proiettili
Sempre più ripercussioni negative stanno influenzando le condizioni di vita dei civili siriani, mentre alcuni stati occidentali continuano a imporre sanzioni economiche contro la Siria.
La guerra economica, sia che impedisca lo scambio commerciale o utilizzi i mass media o punisca coloro che aiutano la Siria, ha molti obiettivi a breve e a lungo termine; essenzialmente cerca di creare problemi economici che causano la divisione nella società siriana e influenzano l'ambito degli investimenti dopo che si era visto di recente un miglioramento, poiché questa guerra economica cerca di allontanare investitori e uomini d'affari, dice un rapporto pubblicato dall'agenzia di stampa siriana SANA.
L'obiettivo più importante delle sanzioni contro la Siria è di bloccare la produzione locale al fine di trasformare la Siria in uno stato dai consumi dipendenti da altri paesi, invece di essere uno stato produttivo autosufficiente.
La guerra economica, sia che impedisca lo scambio commerciale o utilizzi i mass media o punisca coloro che aiutano la Siria, ha molti obiettivi a breve e a lungo termine; essenzialmente cerca di creare problemi economici che causano la divisione nella società siriana e influenzano l'ambito degli investimenti dopo che si era visto di recente un miglioramento, poiché questa guerra economica cerca di allontanare investitori e uomini d'affari, dice un rapporto pubblicato dall'agenzia di stampa siriana SANA.
L'obiettivo più importante delle sanzioni contro la Siria è di bloccare la produzione locale al fine di trasformare la Siria in uno stato dai consumi dipendenti da altri paesi, invece di essere uno stato produttivo autosufficiente.
Gli effetti delle sanzioni economiche e l'embargo sulle condizioni di vita non sono una novità per i siriani; secondo l'analista economico Shadi Ahmad, da quando gli stati occidentali hanno proibito l'importazione di petrolio dalla Siria, il reddito annuale del bilancio dello Stato ne ha risentito, riducendo così la capacità del governo di soddisfare le esigenze del mercato locale rispetto a come avveniva prima del 2011.
Ahmad menziona altre misure che hanno messo sotto pressione la situazione economica, tra cui impedire ad alcune petroliere di entrare nelle acque siriane anche se ciò è illegale, ma ciò è comunque avvenuto e ha causato gravi tagli di energia a causa della mancanza di carburante.
Ha anche menzionato le sanzioni dell'UE nei confronti degli uomini d'affari siriani per limitare le loro attività che contribuiscono a fornire forniture e merci al mercato siriano, oltre alle decisioni di limitare i trasferimenti di denaro da parte dei siriani all'estero che ha avuto effetti dannosi.
Il più recente degli atti ostili che hanno come obiettivo l'economia siriana è il disegno di legge approvato dal Congresso americano, che reca il nome ipocrita "Caesar Syria Civilian Protection Act" nonostante il fatto che blocchi effettivamente le forniture essenziali e necessarie per il popolo siriano.
Ahmad riporta che questo atto cerca di punire le compagnie non siriane, siano esse di Russia, Cina, India, ecc. se forniscono ai Siriani uno qualsiasi dei materiali essenziali necessari al settore economico.
Il Caesar Act si rivolge a qualsiasi potenziale contributore al finanziamento o all'attuazione di progetti di ricostruzione, settori dell'energia, compagnie dell'aviazione civile e la Banca Centrale Siriana.
Ahmad menziona altre misure che hanno messo sotto pressione la situazione economica, tra cui impedire ad alcune petroliere di entrare nelle acque siriane anche se ciò è illegale, ma ciò è comunque avvenuto e ha causato gravi tagli di energia a causa della mancanza di carburante.
Ha anche menzionato le sanzioni dell'UE nei confronti degli uomini d'affari siriani per limitare le loro attività che contribuiscono a fornire forniture e merci al mercato siriano, oltre alle decisioni di limitare i trasferimenti di denaro da parte dei siriani all'estero che ha avuto effetti dannosi.
Il più recente degli atti ostili che hanno come obiettivo l'economia siriana è il disegno di legge approvato dal Congresso americano, che reca il nome ipocrita "Caesar Syria Civilian Protection Act" nonostante il fatto che blocchi effettivamente le forniture essenziali e necessarie per il popolo siriano.
Ahmad riporta che questo atto cerca di punire le compagnie non siriane, siano esse di Russia, Cina, India, ecc. se forniscono ai Siriani uno qualsiasi dei materiali essenziali necessari al settore economico.
Il Caesar Act si rivolge a qualsiasi potenziale contributore al finanziamento o all'attuazione di progetti di ricostruzione, settori dell'energia, compagnie dell'aviazione civile e la Banca Centrale Siriana.
giovedì 7 febbraio 2019
Considerazioni sul Documento firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.
Il documento firmato da Papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar Ahmad Mohamed Al-Tayyib rappresenta una novità importante nel quadro dei rapporti tra Islam e Cristianesimo e tra i musulmani e i cristiani che vivono nei paesi arabi.
Sebbene sia necessario attendere la sua effettiva applicazione da parte non solo delle autorità religiose islamiche ma anche dei molti governi di paesi a maggioranza musulmana, questo documento per la prima volta pone al centro del dialogo interreligioso la questione della libertà personale e della cittadinanza, riconoscendo i cristiani come cittadini dei paesi in cui spesso risiedono da secoli, con gli stessi diritti e doveri dei connazionali musulmani.
Inoltre, la figura dell'imam Al-Tayyib rappresenta il vertice dell'Università di Al-Azhar, da secoli massimo punto di riferimento religioso e culturale dell'Islam sunnita. Per questo motivo, l'eco che tale documento potrà avere nella vastissima umma islamica è particolarmente rilevante. Sarà necessario sostenere, in Europa come nel mondo arabo -musulmano, tra i cristiani come tra i musulmani, l'applicazione dei principi enunciati da questo documento.
Benedetta Panchetti,
dottoressa di ricerca in Diritto Islamico
Abu Dabhi, 4 febbraio 2019
Sebbene sia necessario attendere la sua effettiva applicazione da parte non solo delle autorità religiose islamiche ma anche dei molti governi di paesi a maggioranza musulmana, questo documento per la prima volta pone al centro del dialogo interreligioso la questione della libertà personale e della cittadinanza, riconoscendo i cristiani come cittadini dei paesi in cui spesso risiedono da secoli, con gli stessi diritti e doveri dei connazionali musulmani.
Inoltre, la figura dell'imam Al-Tayyib rappresenta il vertice dell'Università di Al-Azhar, da secoli massimo punto di riferimento religioso e culturale dell'Islam sunnita. Per questo motivo, l'eco che tale documento potrà avere nella vastissima umma islamica è particolarmente rilevante. Sarà necessario sostenere, in Europa come nel mondo arabo -musulmano, tra i cristiani come tra i musulmani, l'applicazione dei principi enunciati da questo documento.
Benedetta Panchetti,
dottoressa di ricerca in Diritto Islamico
Abu Dabhi, 4 febbraio 2019
In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace.
In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera.
In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante.
In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna.
In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre.
In nome della «fratellanza umana» che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali.
In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini.
In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa.
In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede.
In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra.
In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio.
Noi – credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio –, partendo dalla nostra responsabilità religiosa e morale, e attraverso questo Documento, chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive.
martedì 5 febbraio 2019
“Agnelli in mezzo ai lupi”: la testimonianza di padre Hanna dalla provincia di Idlib
Knayeh: croci abbattute anche sulle tombe |
“Siamo agnelli in mezzo ai lupi. Letteralmente. Ogni sera ci addormentiamo affidando al Signore la nostra vita, perché potremmo essere assaliti sempre. Il mattino dopo ci svegliamo e vediamo che le nostre preghiere sono state esaudite… Allo stesso modo sentiamo la potenza delle vostre preghiere per noi. Il Signore non ci esaudisce facendo scomparire i lupi, quelli ci sono sempre, ma incredibilmente i lupi sono mansueti. Certo ci hanno costretto a togliere tutti i simboli cristiani e non possiamo manifestare la nostra fede pubblicamente; ci minacciano, mandano i ragazzini a lanciare pietre alle porte delle nostre case e delle chiese, ma la nostra vita è salva e continuiamo a vivere la quotidianità con impegno, nella speranza e nella fede”.
La voce di padre Hanna Jallouf al telefono è serena, limpida, piena di quella speranza di cui ci racconta e che, dice, “vince su tutti i soprusi e le violenze che subiamo ogni giorno”.
Padre Hanna è francescano della Custodia di Terra Santa, uno degli unici due religiosi rimasti insieme alle comunità cristiane di Knayeh e Yacoubieh nella provincia di Idlib, dove si sono rifugiati circa 30.000 ribelli oppositori del governo di Bashar Al Assad. Nei mesi scorsi si era parlato molto di Idlib, l’ultima zona di resistenza dei Jihadisti governati da Jahbat Al-Nusra; inizialmente sembrava non vi fosse altra soluzione per il governo e gli alleati russi, se non quella di invadere l’area causando una carneficina di civili, poi invece si era parlato di un accordo tra Russia e Turchia, per la demilitarizzazione dell’area e il ritiro di tutti i combattenti ; a quel punto pareva si fosse giunti ad una decisione condivisa e si era smesso di parlarne.
Ma la questione è tutt’altro che risolta, la provincia di Idlib è ancora sotto Al-Nusra e le condizioni in cui vivono padre Hanna con il confratello Luai Bsharat e le comunità di Knayehe e Yacoubie sono precarie.
Qui ATS pro Terra Sancta continua le attività di assistenza, di distribuzione di pacchi alimentari e beni di prima necessità e di accoglienza presso il convento di alcune famiglie senza casa. Queste attività sono “un aiuto fondamentale – ci dice ancora padre Hanna – per la comunità cristiana che senza di noi e senza il vostro sostegno non esisterebbe più qui. Per questo rimaniamo, la gente ha bisogno e guarda costantemente a noi”.
Non ha dubbi su questo padre Hanna, vuole rimanere con la sua comunità, nonostante ci dice, le cose potrebbero peggiorare presto. “L’inverno è stato molto duro quest’anno – aggiunge – e ci sono state parecchie inondazioni. Ne hanno sofferto soprattutto quelli che vivono nei campi dei rifugiati della zona che non possono ricevere assistenza a causa di questa occupazione… E non migliorerà perché pare che le forze governative si stiano preparando, pensiamo attaccheranno questa primavera, non appena le condizioni climatiche miglioreranno e allora dovremo e dovrete pregare molto”.
domenica 3 febbraio 2019
Lettera aperta di un rifugiato siriano ad Angela Merkel
Il
dentista siriano Majd Abboud si è rifugiato in Germania alla fine
del 2015.
In una lettera aperta alla Cancelliera Merkel, ringrazia per l'accoglienza ma constata che non esistono le condizioni per l'integrazione. Una ragione di questa situazione è la politica tedesca circa la Siria e l'indulgenza verso gli islamisti.
Il Dr. Abboud aveva già scritto a numerosi altri media su questa materia, ma non ha mai ricevuto una risposta. Dopo che il Saarbrücker Zeitung ha pubblicato un suo contributo l'anno scorso, il dottore 42enne è stato fatto oggetto di numerose minacce ed ostilità, dai suoi compatrioti che sostengono l'Esercito Siriano Libero (Free Syrian Army- FSA).
Traduzione: Gb.P.
In una lettera aperta alla Cancelliera Merkel, ringrazia per l'accoglienza ma constata che non esistono le condizioni per l'integrazione. Una ragione di questa situazione è la politica tedesca circa la Siria e l'indulgenza verso gli islamisti.
Il Dr. Abboud aveva già scritto a numerosi altri media su questa materia, ma non ha mai ricevuto una risposta. Dopo che il Saarbrücker Zeitung ha pubblicato un suo contributo l'anno scorso, il dottore 42enne è stato fatto oggetto di numerose minacce ed ostilità, dai suoi compatrioti che sostengono l'Esercito Siriano Libero (Free Syrian Army- FSA).
Di
seguito, la lettera aperta del Dr. Majd Abboud ad Angela Merkel
pubblicata da RT Deutsch.
Carissima
signora Cancelliera Federale,
Mentre
la fine del suo mandato si avvicina, vorrei cogliere questa occasione
per ringraziarla calorosamente dell'aiuto che ha offerto a me e ai
miei connazionali nel bisogno, per aver aperto il suo Paese a persone
in fuga dalla guerra e dal terrore. Così Lei ci ha risparmiato molta
sofferenza; qui siamo in sicurezza e abbiamo l'opportunità di vivere
in pace. Inoltre, ho sempre trovato una grande l'opportunità, per
noi siriani, di conoscere una nuova cultura attraverso il contatto
con gli Europei, e questo ci apre nuove prospettive e ci consente di
ampliare i nostri orizzonti.
Tuttavia,
devo constatare che le condizioni per una vera integrazione erano
praticamente inesistenti e lo sono ancora adesso, dopo tre anni. In
effetti, ho sperimentato la cosiddetta integrazione come una strada a
senso unico: la Germania ha accolto i rifugiati in modo molto
generoso, ma non ha preteso da loro nulla in cambio. A peggiorare le
cose, l'identità tedesca è a malapena riconoscibile dagli
immigrati. Sembra che il paese se ne vergogni e quindi abbia
difficoltà a comunicare i suoi valori. In
netto contrasto, va pure notato che molti rifugiati spesso hanno un
eccessivo sentimento di appartenenza all'Islam radicale, che
frequentemente causa problemi allo stato e alla società in Siria.
Ero pieno di speranza che Lei, signora Merkel, sarebbe riuscita a
favorire una convivenza pacifica tra e con gli immigrati, che non
siamo riusciti a consolidare in Siria a causa della crescente
radicalizzazione favorita dagli investimenti occidentali nell'Islam
politico.
C'è
sempre stata molta discussione sulle Sue motivazioni, e il più delle
volte la risposta è stata che Lei ha agito per umanità e carità
cristiana. Ma se si fosse trattato di vera umanità, avrebbe dovuto
porre fine alle sanzioni che anche recentemente ha re-imposto alla
Siria. Per milioni di persone che non possono o non vogliono lasciare
la loro patria questo embargo li fa soffrire da anni. Dopotutto,
anche queste persone meritano la sua carità. Anche in una vera
democrazia, della quale Lei si fa sempre vanto, queste persone
dovrebbero poter avere la loro personale posizione politica senza
essere per questo punite.
Tra
i beni sanzionati ci sono anche le medicine e gli ausili medici, come
le protesi, che sono urgentemente necessarie dopo una guerra. I
bambini che muoiono di fame ogni giorno nello Yemen o a motivo dei
combattimenti non dovrebbero essere tenuti segreti. E invece di
mandare loro cibo o medicine, Lei, coscientemente e volontariamente,
fornisce carri armati e granate, ed esperti addestratori tedeschi ai
soldati sauditi perché possano uccidere più persone.
Si
tratta forse di una politica cristiana che si adatta al nome del Suo
partito? Apparentemente,
per il governo tedesco, i profitti delle industrie di armamenti
tedesche sono più importanti dei valori cristiani, dei quali
ambiscono tanto vantarsi.
Alla
fine di settembre ho letto con grande interesse che a Dusseldorf un
sostenitore dell'Esercito Siriano Libero (FSA) spesso definito dai
media occidentali come "moderato", è stato condannato per crimini di guerra. Aveva rapito, torturato e ucciso persone ad Aleppo
come membro di una milizia. Sono molto lieto che vengano finalmente
prese misure per identificare i terroristi che sono fuggiti in questo
paese. Pensa davvero, signora Merkel, che si sia trattato di un caso
isolato?
Ho
più volte sottolineato che molti criminali con idee radicali sono
presenti tra i rifugiati, contro i quali la Germania dovrebbe agire
rapidamente. Perché, specialmente quando si parla di incontro
interculturale, i fondamentalisti e gli autori di reati rappresentano
una seria minaccia per l' integrazione e per il Paese ospitante,
danneggiano la reputazione di ogni immigrato, suscitano pregiudizi e
complicano la vita dei rifugiati che desiderano integrarsi e vivono
qui da più tempo.
Per
troppo tempo, il governo tedesco ha chiuso gli occhi e ha minimizzato
questa mentalità radicale sia in Germania che in Siria. E ciò ha
trasmesso ai radicali il messaggio che possono contare sul sostegno
occidentale, che possono commettere qualsiasi crimine in Siria e
ricevere comunque protezione in Germania. La Germania è così
diventata una destinazione finale anche per i criminali.
E'
davvero questo quello che Lei voleva accadesse?
Recentemente,
Lei ha espresso preoccupazione per la situazione delle persone in
Idlib. Bisogna dire chiaramente che in Idlib ci sono i peggiori
jihadisti che non sono disposti a deporre le armi. Tra loro ci sono i
combattenti dell'FSA, di Al-Nusra e ISIS, ma anche combattenti e
jihadisti dall'Afghanistan, Ceceni e circa 3.000 Uiguri cinesi. E
furono proprio questi terroristi che attaccarono i quartieri
nord-occidentali di Aleppo con armi chimiche sabato 24 novembre 2018.
Secondo dati recenti, almeno 107 persone ne sono risultate ferite e
intossicate. A settembre, questi gruppi hanno anche attaccato la cittadina di Mhardeh, prevalentemente abitata dai cristiani, non
lontano da Idlib, uccidendo 12 persone.
E
invece di aiutare a disarmare questi gruppi, Lei invia loro 50 milioni di euro di denaro dei contribuenti tedeschi per aiutarli a
commettere ancora più atrocità. Presumibilmente, il governo
federale non ha mai avuto notizia che questi "ribelli" ad
Aleppo e Homs hanno distrutto e violato chiese cristiane, che hanno
attaccato e conquistato villaggi di altre minoranze (Alawiti) nella
provincia di Latakia, e che nella città operaia di Adra nel 2013
hanno decapitato molti uomini e preso le donne come schiave. Già nel
2013, due Vescovi di Aleppo furono rapiti dai "ribelli" e
di loro a tutt'oggi non si sa nulla di dove si trovino.
È
diventato più che chiaro che il governo tedesco è schierato dalla
parte dei "ribelli" islamici in Siria. Questo è ben
visibile ad esempio nella copertura dei media. Ramstein ha fornito
anche armi ai "ribelli". Questi cosiddetti ribelli non sono
combattenti per la libertà e/o la democrazia, ma islamisti che
propugnano la legge della Sharia e che non tollerano opinioni e stili
di vita alternativi, ma li puniscono severamente. Questi ne sono i
perpetratori che si presentano invece come vittime, e così vengono
anche rappresentati dall'Occidente.
Il
sostegno a questi "gruppi ribelli" è spesso motivato da
presunti attacchi o minaccia di attacchi alla popolazione civile,
registrazioni video e foto vengono utilizzati come prove. Ma molti
casi del passato, così come gli incidenti di Chemnitz, hanno
dimostrato che bisogna esaminare e mettere in discussione tutto
questo materiale meticolosamente. Per la Siria è quasi sempre la
stessa fonte, vale a dire l'Osservatorio siriano per i diritti umani
(SOHR). Questo Osservatorio altro non è che una sola persona: un
siriano esiliato, che vive a Londra dal 2010, che simpatizza con i
Fratelli Musulmani e distribuisce i filmati ai media. Di
conseguenza, la società in Siria è stata deliberatamente divisa.
Le persone erano settarie e si incolpavano vicendevolmente. Non
avrebbe senso invece esaminare criticamente queste "prove"
prima di prendere una decisione di vasta portata per poi formare una
coalizione internazionale e impegnarsi in una guerra contraria al
diritto internazionale?
Anche
con le presunte armi di distruzione di massa in Iraq, che secondo
Colin Powell e Tony Blair "certamente" esistevano, si
potrebbe imparare dalla storia una lezione. È tempo di ammettere che
il Governo Federale ha gestito una politica sbagliata in Siria e si è
schierato dalla parte sbagliata. La ragione di questa scelta, a
vostro modo di vedere, (e questo è davvero triste) è che il Governo
Federale è obbligato a rappresentare e difendere gli interessi
americani. Che la Germania abbia solo un certo ruolo da svolgere e
che non abbia una politica estera indipendente e sicura di sé, io la
chiamo la madre di tutti i problemi.
Cara
signora Merkel, so che qui io sono solo un rifugiato siriano. La mia
presenza qui in Germania è un danno collaterale di una guerra senza
senso, la mia voce è tutto ciò che ora mi resta. E non so se queste
righe La raggiungeranno mai. Ma se Lei è veramente preoccupata per
il benessere dei siriani in patria e all'estero, la prego di revocare
le sanzioni contro la Siria. Favorisca accordi per stabilire
un'amicizia tra l'Occidente e il Medio Oriente.
Termini
la luna di miele con i radicali, con i terroristi, ma anche con il
cosiddetto Islam politico, sia dentro che fuori la Germania! Questi
sono i partners sbagliati, e questo è completamente ovvio. Fermi la
consegna di armi nelle zone di guerra e invii al popolo del Medio
Oriente e al mondo, l'amore, l'educazione e la cultura dal cuore
dell'Europa, e non conflitti e guerre!
Signora
Merkel, il mondo è cambiato; le strutture del potere si sono
spostate. Per favore, registri quel cambiamento e si assicuri che la
Germania si posizioni correttamente per il futuro.
Cordiali
saluti
Dr.
Majd Abboud,
Saarbrücken, 10/01/2019
Saarbrücken, 10/01/2019
Traduzione: Gb.P.
mercoledì 30 gennaio 2019
La Siria nella Bibbia
Geografia
e divisioni politiche, antiche e moderne
Un
paese dell'Asia occidentale, che in tempi più recenti comprendeva
tutta quella regione delimitata a nord dagli altipiani del Taurus, a
sud dall'Egitto, a est dalla Mesopotamia e dal deserto dell'Arabia, e
ad ovest dal Mediterraneo; includendo così con la sua area i paesi
antichi e moderni di Aram o nord Siria, una parte dei regni Ittiti e
Mitanni, la Fenicia, la terra di Canaan o Palestina e persino una
parte della Penisola Sinaitica. A rigor di termini, tuttavia, e
specialmente dal punto di vista della geografia biblica e classica,
che è quella seguita in questo articolo, la Siria è costituita da
quella parte di territori sopra menzionati che è delimitata a nord e
nord-ovest dal Taurus e Asia minore a sud dalla Palestina, a est
l'Eufrate, il deserto siro-arabo e la Mesopotamia, e ad ovest dal
Mediterraneo.
La
parte settentrionale è elevata, l'est è pianeggiante, estendendosi
al deserto siro-arabo; il nord-ovest è coronato dalle montagne
Amanus e Taurus, mentre le montagne del Libano e l'Anti-Libano sono
fasce parallele a nord della Palestina o a sud della Siria. Tra
queste due catene si trova la lunga e stretta valle chiamata
Cæle-Syria (Valle Syria). I suoi fiumi principali sono Litâny
(Leontes), Oronte (Al-'Asi) e Barad o Abana. La Cæle-Siria varia da
tre a quattro miglia a quindici miglia, e in alcuni punti è spezzata
dagli speroni sporgenti delle catene del Libano. Alla sua estremità
settentrionale si curva a ovest e si apre verso il Mediterraneo. Ha
due pendenze, una a nord e una a sud, ed entrambe sono fertili e
belle. Questa valle è sempre stata un'importante rotta di viaggio
tra la Mesopotamia, la costa mediterranea, l'Arabia e l' Egitto.
Tutta la Siria, tuttavia, ha una lunghezza di circa 250 miglia e una
larghezza media di 130 miglia, con un'area totale di circa 32.500
miglia quadrate. Le più importanti città della Siria nei tempi
antichi erano Damasco, Karkamish, Hama, Baalbec, Palmyra o Tadmur,
Ribla, Antiochia, Dafne, Seleucia, Abila, Calcis, Lybo, Laodicea,
Aretusa e Apamea, mentre le famose città di Tiro, Sidone, Berito
Biblo e Arado appartengono propriamente alla Fenicia. Le città più
importanti della più recente Siria erano Alexandretta, Antakia, Beirut,
Aleppo, Latakyah, Hamah, Homs, Tripoli, Damasco, Sayda, Akka e Jaffa
.
“e
tu pronuncerai queste parole davanti al Signore tuo Dio: Mio padre
era un Arameo errante...” ( Deut. 26,5)
Il
nome "Siria" era ritenuto in passato essere abbreviazione
di "Assiria" o derivato da Tsur (Tiro), quindi da Tsurya, e
che era di origine greca. Ciò, tuttavia, è insostenibile, poiché
il nome, con tutta probabilità, deriva dall'antico nome babilonese
Suri, applicato originariamente alla porzione nord-orientale
dell'attuale Siria. In seguito il nome Siria fu applicato dai Greci e
dai Romani a tutta la Siria, o al paese che giaceva tra l'Eufrate, il
Mediterraneo, il Taurus e l' Egitto . Dai Babilonesi e dagli Assiri
fu chiamato "Amurru" (la terra degli Amorrei) e Martu (la
terra occidentale). L'estrema parte settentrionale di essa era anche
conosciuta come "Khatti", ovvero la Terra degli Ittiti,
mentre la regione più meridionale era conosciuta come "Kena'nu"
o "Canaan" (Palestina). In arabo è chiamato "Suriyya"
(Siria) o "Al-Sham" (il paese situato a "sinistra"),
in opposizione a "El-Yemen", o Arabia del Sud, che si trova
alla "destra" . Le divisioni politiche e geografiche della
Siria sono state numerose e variate costantemente.
Nel Vecchio Testamento viene generalmente chiamata "Aram", e i suoi abitanti "Aramei". Ma c'erano diversi "Arams" biblici, vale a dire: "Aram-naharaim" o "Aram dei Due Fiumi", cioè Mesopotamia; "Paddon-Aram" (la regione di Haran), nell'estremo nord della Mesopotamia; "Aram-Ma'rak" a nord della Palestina; “Aram-Sobah”, ecc... L'Aram Siriana tuttavia, che corrisponde alla Siria classica, è generalmente chiamata nell'Antivo Testamento "Aram di Damasco" dalla città principale del paese. È di questi Aramei, o Siriani, che occuparono la Siria centrale, con Damasco come capitale, di cui si parla maggiormente nell'Antico Testamento.
Nel Vecchio Testamento viene generalmente chiamata "Aram", e i suoi abitanti "Aramei". Ma c'erano diversi "Arams" biblici, vale a dire: "Aram-naharaim" o "Aram dei Due Fiumi", cioè Mesopotamia; "Paddon-Aram" (la regione di Haran), nell'estremo nord della Mesopotamia; "Aram-Ma'rak" a nord della Palestina; “Aram-Sobah”, ecc... L'Aram Siriana tuttavia, che corrisponde alla Siria classica, è generalmente chiamata nell'Antivo Testamento "Aram di Damasco" dalla città principale del paese. È di questi Aramei, o Siriani, che occuparono la Siria centrale, con Damasco come capitale, di cui si parla maggiormente nell'Antico Testamento.
Durante
le dominazioni greca e romana le divisioni politiche della Siria
erano indefinite e quasi inintelligibili. Strabone menziona cinque
grandi province: 1) Commagene, un piccolo territorio nell'estremo
nord, con Samosata per capitale, situata sull'Eufrate; 2) Seleucia,
situata a sud del primo, e suddivisa in quattro parti, secondo il
numero delle sue città principali, vale a dire: Antiochia Epidafne,
Seleucia in Pieria; Apamæa e Laodicea; 3) Cæle-Siria, comprendente
Laodicea e Libanum, Chalcia, Abilene, Damasco, Ituræa e altri più a
sud, inclusi in Palestina; 4) Phenicia; 5) Judæa. Le divisioni di
Plinio sono ancora più numerose di quelle di Strabone. Sembra che
ogni città crescente d'importanza abbia dato il nome a un territorio
circostante, più grande o più piccolo, e questo nel tempo assunse
il rango di provincia. Tolomeo cita tredici province: Cammagene,
Pieria, Cyrrhestica, Seleucia, Casiotis, Chalibonitis, Chalcis,
Apamene, Laodicea, Phénicia, Cæle-Syria, Palmyrene e Batanea, e dà
una lunga lista delle città in esse contenute.
Sotto i Romani, la Siria divenne una provincia dell'impero. Alcune parti di esso erano autorizzate a rimanere per un periodo sotto l'autorità di piccoli principi, dipendenti dal governo imperiale. Gradualmente, comunque, tutti questi furono incorporati, e Antiochia fu la capitale. Sotto Adriano la provincia era divisa in due parti: la Siria-Maggiore, a nord, e la Siria-Fænicia, a sud.
Sotto i Romani, la Siria divenne una provincia dell'impero. Alcune parti di esso erano autorizzate a rimanere per un periodo sotto l'autorità di piccoli principi, dipendenti dal governo imperiale. Gradualmente, comunque, tutti questi furono incorporati, e Antiochia fu la capitale. Sotto Adriano la provincia era divisa in due parti: la Siria-Maggiore, a nord, e la Siria-Fænicia, a sud.
Verso
la fine del quarto secolo fu creata un'altra partizione della Siria,
che costituì la base del suo governo ecclesiastico : 1) Siria Prima,
con Antiochia come capitale; 2) Siria Seconda, con Apamæa come
capitale; 3) Phœnicia Prima, compresa la maggior parte dell'antica
Phenicia, con Tiro come sua capitale; 4) Phœnicia Seconda, detta
anche Phœnicia ad Libanum, con capitale Damasco.
Durante
la dominazione araba, cioè dal settimo al quindicesimo secolo,
la Siria era generalmente divisa in sei grandi distretti (Giunds),
cioè: 1) Filistîn (Palestina), composta da Giudea, Samaria e una
porzione del territorio est del Giordano, la sua capitale era a
Ramlah, in seguito prese più rango Gerusalemme; 2) Urdun (Giordania)
di cui la capitale era Tabaria (Tiberiade), grosso modo costituita
dal resto della Palestina fino a Tiro ; 3) Damascus, distretto che
comprendeva Baalbeck, Tripoli, Beirut e l'Hauran; 4) Hams, incluso
Hamah; 5) Qinnasrin, corrispondente alla Siria settentrionale, di cui
dapprima la capitale era Qinnasrin, a sud di Aleppo, dalla quale fu
poi soppiantata; 6) il sesto distretto era la frontiera militare
('awâsim) al confine con i domini bizantini in Asia Minore .
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