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martedì 4 febbraio 2014

Così Putin e Obama possono risparmiarci l'ipocrisia di una Ginevra3


Si è svolto ieri a Roma  l’Incontro Internazionale sulla crisi siriana, convocato dal ministro Emma Bonino, secondo la quale l'Italia spinge per «approvare una risoluzione delle Nazioni Unite che garantisca l’accesso incondizionato agli aiuti umanitari».
La situazione umanitaria è drammatica a Homs, come anche ad Aleppo, ad Adra, a Yarmuk …  : chi impedisce che in queste localita’ I CIVILI siano soccorsi, e perche’ ?
E, nonostante  le dichiarate iniziative umanitarie,  il Congresso USA vota il rifornimento di “armi non letali” ( sistemi radar, armi leggere, missili anti-carro ma non missili terra-aria ) ai gruppi militanti ribelli,  in Giordania giunge un aereo USA carico di armi “letali” destinate alle brigate islamiste; e mentre i convogli  governativi siriani trasportano le armi chimiche al porto di Latakia per lo smaltimento, sono attaccati dai ribelli …


da: Il Sussidiario 
di Robi Ronza  

Dopo una settimana di scambi di accuse e di recriminazioni da una parte e  dall'altra, i negoziati per la pace in Siria noti come "Ginevra 2" si sono  conclusi con un nulla di fatto nella città svizzera da cui prendevano nome.
Eravamo stati purtroppo facili profeti quando, commentandone l'inizio, avevamo  scritto che, salvo miracoli, avrebbero potuto solo fallire. Benché Lakhdar  Brahimi, regista dell'incontro a nome del Segretario generale dell'Onu,  pretendendo che comunque qualche "base comune" sia emersa durante i colloqui,  sia uscito a dire che una nuova sessione dei negoziati è in programma con inizio  il 10 febbraio prossimo, non si vede a che cosa potrà servire.

Non si andrà  comunque da nessuna parte se si continuerà ad esigere che da un lato l'Iran non  vi sia ammesso, e dall'altro che la delegazione di Assad sottoscriva l'uscita di  scena dello stesso Assad quale parte essenziale di qualsiasi possibile soluzione  della crisi.
Diciamo ancora una volta che il negoziato ha senso soltanto se al tavolo ci sono  tutti, e se a tutte le parti in causa non si chiede altro che la tregua dei  combattimenti. Qualcuno potrebbe domandarsi se una tregua generale sia possibile  anche in un conflitto aggrovigliato e convulso come quello in corso in Siria.
Sembra difficile se la si pensa a partire dall'eventuale buona volontà degli armati che si fronteggiano in prima linea, non foss'altro perché questa prima  linea è spesso difficile da demarcare. Diventa invece malgrado tutto molto  facile se si tiene conto che siamo di fronte a una guerra fatta con armi e con  munizioni che nessuno in Siria è in grado di produrre e che quindi vengono tutte  dall'estero.
In particolare nel caso delle munizioni, che truppe poco o nulla addestrate  consumano molto rapidamente, per fermare gli scontri basta bloccarne il  rifornimento. Se il blocco viene fatto sul serio (il che dipende solo dalla  buona volontà o meno dei grandi produttori e fornitori di munizioni, ossia gli  Usa, la Russia e l'Unione Europea) in capo a qualche giorno la tregua è  garantita.
Una volta che le armi tacciono e che ognuno resta fermo dove è,  allora può avere senso tornare sulle placide rive del lago di Ginevra a  discutere, ovviamente a patto che non si pretenda di ripetere il doppio errore  che ha fatto fallire la prima sessione dei negoziati.

Ora, che dopo due anni di una tale guerra civile non si possa tornare come se niente fosse allo status quo ante è cosa tanto ragionevole quanto ovvia.
Altrettanto ragionevole e ovvio è però che alla pace si può tornare in Siria  soltanto se da nessuno si pretende che il prezzo della pace sia l'eliminazione  sua e lo sterminio dei suoi.

Ciò fermo restando occorre poi garantire la messa in moto di un processo di ricostruzione economica e sociale del paese che renda la pace non sono umanamente auspicabile ma anche materialmente vantaggiosa. Non bisogna mai  dimenticare infatti che in situazioni del genere la guerra diventa anche per  molti un modo di vivere. A tutti costoro − che con la pace per così dire perdono  il posto − occorre anche offrire concrete alternative, se non si vuole che si  oppongano alla pacificazione con quel che resta loro in mano, ossia le armi e  gli esplosivi. In particolare di questi ultimi ne bastano pochi per preparare  auto-bomba, quante ne bastano per rendere un dopoguerra fragile e instabile per  anni.

Se si vuole davvero la pace, anche di tutto questo ci si deve occupare  quando ci si riunisce a discuterne in grandi e confortevoli alberghi sulle rive  del lago di Ginevra.

domenica 2 febbraio 2014

Richiesta di preghiera per la Valle dei Cristiani




A che cosa è servita Ginevra2 ? 
Noi siriani (cristiani compresi) abbiamo avuto una grande speranza in Ginevra2, perchè siamo veramente stanchi. Stanchi di vedere sangue, sentire storie angoscianti, ma purtroppo questa speranza è completamente sparita, quando l’America- e prima che finisse Ginevra2 !!-  ha dato la via libera ad armare i ribelli cosiddetti moderati . * Gli stessi ribelli moderati di cui parla l’America hanno subito accolto la decisione Americana, e le loro basi militari che si trovano al confine siro-libanese sulla fascia nord del Libano (Wady Khaled e Irsal) ( io parlo di vere basi militari , con carri armati, attrezzi per scavare sotto terra, perchè sono ben coperti politicamente dal partito libanese filo saudita Almustakbal) , hanno cominciato a mandare i loro uomini . Ne sono arrivati da tutto il mondo (Egiziani, Libici, Libanesi, tunisini, Sauditi…) ad infiltrarsi nei terreni siriani dalla parte nord-ovest di Homs. Sfruttando il fatto che i villaggi in quella zona di confine sono difficili da controllare (per la struttura del terreno), hanno attaccato un blocco militare che si trova vicino al villaggio del Krac dei Cavalieri (Zara) ed hanno tagliato la testa a 7 soldati dell'esercito regolare, e cosi è scoppiata di nuovo una battaglia in quella zona. Merita dire che quella zona era rimasta tranquilla dopo che vi erano state delle riconciliazioni tra il governo e i ribelli siriani. E io stesso sono testimone di una bella riconciliazione che c'è stata a Talkalakh che era considerata la grande base dei combattenti e che forniva armi ai ribelli Salafiti che si trovano tuttora insediati nel villaggio del Krac. Sono in corso delle battaglie furibonde tra i militari regolari contro i ribelli, una volta avanzano i militari, poi riprendono terreno i ribelli, poi di nuovo i militari, ecc… : ma la popolazione della Valle dei Cristiani è in grave pericolo! I ribelli , oltre ad essere ben armati (carri, missili), appena sono alle strette scappano velocemente in Libano per organizzarsi per poi attaccare di nuovo per il Jihad.    
 Per questo l’esercito regolare si sta preparando a colpire la città di Yabrud (dove c'è l’Emiro Islamico) dove le 12 suore di Maalula sono state portate come ostaggi. Madre Marie Agnes , in una intervista radiofonica, ha dichiarato che i rapitori delle Monache sono entrati in contatto con lei, domandando che a Yaboud sia inviato del pane: Madre Agnese ha compreso che le Suore sono ancora in vita ma che la loro situazione umanitaria è tragica a motivo del protrarsi del loro sequestro.
Allora la mia amara risposta alla domanda sopra detta è:  la Ginevra2 è servita ad armare in modo lecito e chiaro i fanatici ribelli che combattono in Siria, è servita a dare più legna all’inferno siriano, è servita a fare cadere più vittime.
Samaan Daoud
 * vedi: http://www.examiner.com/article/congress-ships-more-weapons-to-syrian-rebels


Perchè a Homs non si raggiunge un accordo umanitario?

HOMS : quel che resta della Chiesa della Santa Cintura

(Zenit.org)  - di   Naman Tarcha | 


Le sorti della città di Homs sono la questione più urgente che la Conferenza di pace "Ginevra 2" sta affrontando in questi giorni. L’inviato dell’Onu, Al Ibrahimi, ha annunciato che, secondo i negoziati in corso, si intende liberare il centro storico dall’assedio. I civili sperano, i ribelli del Fronte Islamico intrappolati si consultano; al governo di Damasco tocca la decisione finale.


La delegazione del vertice siriano ha proposto di evacuare donne e bambini che vogliono uscire volontariamente senza condizioni, mentre per gli uomini è necessaria una lista di nomi per verificare che non ci siano terroristi combattenti tra loro.

Il Sindaco della città di Homs ha raccontato che da mesi sono in atto delle trattative in collaborazione con la Croce Rossa per aprire corridori umanitari ed evacuare i civili, ma i ribelli non permettono ai civili di uscire, e sparano sui convogli umanitari che si avvicinano alla zona.
Cosa succede davvero dentro questa città, assediata e completamente distrutta dai combattimenti? La vecchia Homs come viene chiamata (2300 A.C.) è composta da sette quartieri su una superfice di 16 chilometri quadrati. Si tratta di quartieri residenziali a maggioranza cristiana, circondata da zone ormai divise tra governativi e oppositori. Un giovane di Homs ha dichiarato a ZENIT: “Oggi non è rimasto nulla, il 90% del centro storico è andato completamente distrutto”.
Fino al 2012, la vecchia Homs era l’unica zona lontana dagli scontri armati perché i ribelli non erano ancora riusciti ad entrarvi. Poi il quartiere Bab Amor è stato occupato dai ribelli, sono arrivati i governativi e il quartiere cristiano Hamidye è diventato una zona di guerra. Dopo intensi combattimenti i governativi hanno preso il controllo del 70% della città. Rimangono però zone controllate dai ribelli e i combattimenti non hanno tregua.

Parte della città è invasa da centinaia di combattenti e da jihadisti di tutte le nazionalità. I residenti sono costretti con la forza ad abbandonare le loro abitazioni che vengono occupate o date alle fiamme. I Monasteri vengono distrutti e le Chiese saccheggiate. La sede episcopale della Chiesa Siro Cattolica è stata data alle fiamme, e una delle più antiche chiese in Oriente, dedicata alla Sacra Cintura della Madonna, è stata trasformata in una base dei ribelli.
Uno studente cristiano ha appena accompagnato la sua famiglia in Svezia dove chiederanno asilo. “Non mi è rimasto nessuno a Homs, sono tutti andati via - ha ammesso con tristezza a ZENIT - l’ultima rimasta è mia sorella che è scappata in seguito alle minacce dei ribelli”.

La Coalizione Nazionale dell’Opposizione sostiene che ci sono circa 1500 civili assediati, un gruppo di circa 320 famiglie. I numeri non sono certi, si presume che la maggior parte degli abitanti del quartiere cristiano siano già scappati rifugiandosi nelle zone limitrofe e nei villaggi sulle montagne nella provincia di Homs. La delegazione governativa sostiene di aver raccolto informazioni da funzionari dell’amministrazione locale ancora presenti nella città, da cui risulta che il numero dei civili sia molto più basso, non superando le 200 unità.
La Coalizione insiste per salvare i circa 400 ribelli del Fronte Islamico ancora presenti dentro la città. L’esercito siriano li ha assediati ed ha tagliato a loro tutte le vie di fuga, oltre a bloccare i tunnel scavati sotto terra per le forniture di cibo e il traffico di armi. I pochi civili rimasti sono in gravissime condizioni; i ribelli disperati intendono utilizzarli come scudi umani e come ostaggi, cercando di impedire l’avanzamento dell’esercito siriano.

Una preziosa testimonianza che ci arriva da Homs è quella di padre Franz Van Der Lugt, un gesuita olandese, in Siria dal 1966, psicoterapeuta impegnato nell’assistenza di bambini e adulti con problemi mentali.
Pére Franz, come viene chiamato dai siriani, è l’unico europeo rimasto dentro la città assediata. E’ chiuso nella scuola dei gesuiti a Bustan Al Diwan, insieme a circa 80 persone, una famiglia cristiana e alcune famiglie musulmane. Si è rifiutato di abbandonare i suoi concittadini e di essere evacuato senza avere con sé tutti i civili.
In un arabo perfetto Pére Franz ha lanciato un vigoroso appello: 
“Musulmani e cristiani, stiamo vivendo in condizioni difficili e dolorose, e soffriamo soprattutto la fame. Non accetto che stiamo morendo di fame, che stiamo annegando nel mare della fame, facendoci travolgere dalle onde della morte. Noi amiamo la vita, vogliamo vivere”.

http://www.zenit.org/it/articles/dalla-citta-di-homs-un-appello-amiamo-la-vita-vogliamo-vivere



venerdì 31 gennaio 2014

Il Patto del Califfo Omar ripristinato per i Cristiani: "Convertitevi o lasciate il paese!"




da PAPABOYS 3.0

a cura di Francis Marrash 

I cristiani nel Levante “islamico” si trovano ad affrontare terribili sanzioni da parte dei ”fondamentalisti”* : (se vogliono rimanere nelle loro città ndr), devono convertirsi all’islam, pagare un tributo ai governanti, o lasciare il paese. Queste opzioni derivano dal patto stabilito nel VII secolo con i cristiani sotto il dominio del califfo. In Siria, la legge è in fase di attuazione, ed è appoggiata dai sostenitori della sharia. Mentre lo Stato Islamico d’Iraq e Siria (ISIS) è desideroso di applicare le clausole più rigorose del patto, al-Nusra (altro gruppo fondamentalista islamico ndr) mira a perseguire sulla popolazione un approccio più pragmatico, almeno fino al raggiungimento della vittoria totale.
 Il 2 dicembre 2013, al- Nusra si è impadronita della città di Maaloula per la seconda volta. I militanti erano entrati nella più famosa città cristiana della Siria, dove i residenti parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù Cristo. Durante l’assalto hanno rapito le monache del monastero greco-ortodosso di Mar Takla (di cui ancora oggi non si conosce esattamente la sorte, ndr). Inoltre hanno compiuto atti vandalici contro diverse chiese e le abitazioni dei civili. 
In precedenza, nel giugno 2013, la città storica una prima volta era finita sotto i riflettori dei media internazionali, quando i militanti di al-Nusra avevano conquistato il villaggio, prima di essere respinti dall’esercito siriano. Un leader di al-Nusra, parlando ad Al-Akhbar, ha affermato che “il gruppo non aveva trovato nessun uomo, donna o bambino, quando sono arrivati a Maaloula” e che “i residenti erano fuggiti prima della loro entrata. L’unica eccezione, sono state le monache trovate nel monastero e poi sequestrate”. 
Abu Sarkis, leader del Comitato di Difesa Nazionale, ha riferito ad Al-Akhbar, che i combattenti islamici quando sono entrati a Maaloula, hanno cominciato a gridare: “Allah è grande”; ” Cristiani: convertitevi all’islam e vi salveremo”. In seguito hanno detto ai cristiani che avevano tre opzioni: “convertirsi all’islam , pagare la jizya [una tassa per i non musulmani ai conquistatori], o lasciare le proprie case”. 
Con l’avanzata degli estremisti, si ripete la triste storia della conquista islamica di cui abbiamo accennato all’inizio dell’articolo. I militanti, avanzando nella conquista dei villaggi, hanno preso in prestito le parole pronunciate dal leader militare musulmano del VII secolo, Abu Ubaida ibn al-Jarrah, al popolo siriano dopo la battaglia di Ajnadayn: “Islam, tributo-omaggio, o la guerra”. 

Con la conquista di Maaloula, i militanti hanno catturato l’attenzione dei cristiani di tutto il mondo. Il villaggio occupato, però, non era per i gruppi armati la prima città cristiana ad essere sequestrata. Dall’inizio della crisi in Siria, gli slogan esibiti nelle proteste affermavano: “alawiti alla tomba e cristiani a Beirut”. Oltre a Maaloula, i militanti sono entrati in decine di villaggi. 
Gli abitanti, appresa la notizia del loro arrivo,  fuggivano per paura di essere uccisi.
 I non-musulmani che rimanevano erano costretti a piegarsi ai nuovi conquistatori, in cambio di aiuto e protezione. Ad esempio, nel villaggio di Rableh a Homs nel mese di agosto 2012, un gruppo radicale guidato da Abdul-Salam Harbeh, ha chiesto ai cristiani residenti di lasciare la cittadina. Coloro che si rifiutavano di “andare via”, sono stati uccisi. A molti altri sono state bruciate le case. Nelle zone controllate dai militanti radicali in Aleppo,  i mercanti cristiani sono costretti a pagare la metà dei loro profitti giornalieri ai jihadisti. Chiese e monasteri sono sistematicamente attaccati con esplosivi, come è accaduto alla Chiesa Evangelica della grande città. Inoltre, i quartieri cristiani di Damasco, come Bab Touma e Bab Sharqi sono spesso bombardati con mortai, causando la morte di molte persone.
Questi attacchi sono percepiti dalla gente come singole azioni dei terroristi islamici radicali, in contrapposizione all’approccio pacifico dei cristiani. I Consigli della Sharia dei principali gruppi radicali presenti in Siria, tengono seri dibattiti su come affrontare la questione dei “Nazareni (cristiani ndr)”. La discussione tra i Consigli è molto accesa.  Infatti si dibatte se gli “infedeli” possono essere considerati cittadini non musulmani in uno stato islamico.

A questo proposito, fonti di jihadisti hanno spiegato ad Al-Akhbar  i diversi approcci usati dal gruppo ISIS e dalla formazione di al-Nusra nei confronti dei cristiani nelle zone di opposizione controllata. Gli ISIS adottano una linea dura. Chiedono ai cristiani l’immediata osservanza delle disposizioni della Sharia, tra cui la demolizione di chiese. L’atteggiamento del gruppo al-Nusra è meno rigoroso. I due gruppi, prima delle recenti battaglie tra di loro, avevano discusso la questione molto a lungo, invocando per i cristiani il cosiddetto Patto di Omar, di cui abbiamo già parlato. Il confronto tra i due gruppi ha evidenziato alcune differenze: “Dopo la lettura del testo, la controversia è cresciuta ancora di più. Secondo gli ISIS il documento dovrebbe essere attuato alla lettera, mentre gli esperti di al-Nusra, vogliono attuare le disposizioni in maniera meno rigida. al-Nusra ha fatto sapere di voler rimandare la questione dopo la conquista dei territori”. La linea seguita dal gruppo (al-Nusra), è appoggiata da alcuni studiosi musulmani, i quali cercano di conciliare la Sharia dell’era del Profeta Maometto con la vita moderna. Questa linea è nettamente rifiutata dai salafiti. Gli storici sono in disaccordo nell’interpretazione del patto di Omar. I gruppi che sostengono al-Qaeda, vogliono adottare la versione più rigorosa, citando lo sceicco Ibn al-Qayyim, che a sua volta richiama Abdul-Rahman ibn Ghanan.
 Ecco il testo di riferimento per l’interpretazione della legge: 
“Ho scritto quello che Omar ibn al-Khattad ha imposto ai cristiani (di al-Sham, della Siria) - come condizione per sopravvivere-, quando gli ha concesso la pace: non devono edificare nelle loro città o in periferia nuovi monasteri, chiese, celle, eremi. Non sono autorizzati a riparare gli edifici di culto, né possono ristrutturare quelli che sono ubicati presso i quartieri musulmani. I cristiani di Siria, non possono rifiutare l’ingresso dei musulmani nelle Chiese, in qualsiasi ora del giorno e della notte. Hanno l’obbligo di accogliere ogni viaggiatore musulmano nelle case, e di offrire per tre notti, vitto e alloggio. Nelle Chiese e nelle case, non possono essere nascoste spie, o qualsiasi nemico dei musulmani.  In pubblico è proibito tenere spettacoli sul cristianesimo. Non possono invitare la gente del popolo ad abbracciare la fede cristiana; non devono impedire ai parenti di convertirsi all’Islam se questi lo desiderano. Hanno il dovere di onorare i musulmani, senza imitarli negli abiti, a partire dal turbante, dai sandali, dal taglio dei capelli. E’ proibito ridere sui mezzi di trasporto, e cingere sul fianco le spade come i musulmani. Non sono autorizzati a vendere vino, e radersi la parte anteriore della testa.  I cristiani, manterranno nell’abbigliamento il proprio stile, dovunque si trovino. Le croci nelle Chiese non devono essere visibili. Quando camminano per le strade frequentate dai musulmani, non possono mostrare croci o libri sacri. Inoltre è proibito recitare preghiere ad alta voce quando sono presenti i musulmani. Se i cristiani violano qualsiasi condizione descritta in questo accordo, perderanno la protezione dei musulmani, i quali saranno liberi di trattarli come nemici e ribelli”. 

 (*Fondamentalisti: non so se è solo dei fondamentalisti o di tutti gli islamisti che vogliono instaurare la sharia: quindi se è l’idea anche del Fronte Islamico , è un bel dilemma chiamarlo dei “moderati”).  
QUI il testo originale in inglese.
Syria: Caliph’s ‘Convert or Leave’ Pact Revived for Christians
http://english.al-akhbar.com/node/18323

http://www.papaboys.org/siria-il-patto-del-califfo-ripristinato-per-i-cristiani-convertitevi-o-lasciate-il-paese/




Zahran Alloush, leader dell’ “Esercito dell’Islam”, recentemente è diventato comandante militare del “Fronte Islamico”. Nell’intervista che potete vedere nel video, afferma che i siriani desiderano – a suo personale parere- avere uno Stato Islamico. Poichè  ritiene la democrazia "imperfetta". ( Francis Marrash )

mercoledì 29 gennaio 2014

I ribelli siriani cercano di distruggere il monastero di Sednaya

29 gennaio '14: è in atto il sesto attacco contro la santa città di Sednaya





Orthodoxie- 27 gennaio 2014

In Siria , nonostante i colloqui di "Ginevra 2" i ribelli siriani non danno l'impressione di voler il cessate il fuoco , secondo le informazioni del primo canale della televisione russa .
 I loro obiettivi sono chiese e monasteri ortodossi , nei quali cercano un rifugio  donne e bambini. Questo è il modo per combattere il regime di Bashar al- Assad, dicono i ribelli  . 
Negli ultimi  due anni , i ribelli stanno ripetutamente cercando di prendere il monastero situato in cima alla collina .
 È esistito fin dal VI secolo e , per la prima volta nella sua storia , è da così a lungo sotto assedio . La strada che conduce alla chiesa  assorbe i colpi. 
" I banditi hanno cominciato l'assalto all'alba . In primo luogo hanno fatto saltare le porte e hanno sparato colpi di mortaio nel cortile del monastero . Se non ci fossero muri in pietra , ci sarebbero stati molti morti " , ha detto l'abate del monastero dei Cherubini , il padre Nectaire. 
 I combattenti del  gruppo di autodifesa hanno fermato  i ribelli davanti alla clausura del monastero . La battaglia è durata sei ore e poi , dopo aver lasciato i cadaveri , gli attaccanti si sono ritirati . Ora hanno preso una piccola città a tre miglia di distanza . 
"A un certo punto , sembrava che non saremmo riusciti a tenere il monastero . C'erano 300 ribelli, e hanno attaccato da più parti . Una guarnigione che è venuta  dalla città ci ha salvato " , racconta  Samir , un combattente di un gruppo di auto-difesa .
 La città di Sednaya si trova ai piedi della collina su cui si trova il monastero . La maggioranza della popolazione è cristiana . Samir è un musulmano , ma difende il monastero ortodosso . Se non ci fosse stato il suo plotone , in cui ci sono cristiani e musulmani , il destino della città siriana di Maaoula si sarebbe ripetuto . 


I ribelli , presenti in questa città fino ad ora , hanno danneggiato tutte le chiese cristiane.
 " Il monastero cristiano è un obiettivo per i ribelli . Quante volte hanno tirato sulla statua di Gesù Cristo , con ogni sorta di proiettili , al solo scopo di distruggerlo . In questo modo , dicono che stanno combattendo il governo di Assad ", ha affermato , indignato , padre Nectaire . Allo stesso modo , chiese e monasteri di Sednaya sono sotto il fuoco . Sono vigiliati, ma non li possono proteggere dal fuoco.
 Esplosioni di mortai interessano anche il convento femminile della Madre di Dio . 

« Non capisco perché , mentre si svolgono i  colloqui in Svizzera , i ribelli non hanno smesso di colpire . Perché impedire ai fedeli di venire al nostro monastero?  E perché, dopo essere esistito da quasi 1500 anni , il convento è ora minacciato? " chiede la sorella Parasceve , una monaca del convento . 

Di lasciare il loro monastero dove è conservata una delle quattro icone dipinte , secondo la tradizione , dall'Apostolo Luca , le suore non sono disposte, anche se i ribelli entrassero in città . 
Ma gli orfani che sono accolti nelle mura del convento sono stati spostati in un luogo più sicuro.



            

martedì 28 gennaio 2014

Liberare gli ostaggi, salvare la Siria!

Appello comune alla Conferenza internazionale di Ginevra II sulla Siria da Sua Beatitudine il Patriarca Giovanni X di Antiochia e di tutto l'Oriente e da Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia



Il 26 gennaio 2014, Sua Beatitudine il Patriarca Giovanni X di Antiochia e di tutto l'Oriente e Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia hanno  fatto una dichiarazione congiunta indirizzata ai partecipanti alla Conferenza Internazionale di Ginevra II sulla Siria. I partecipanti alla Conferenza sono i rappresentanti delle parti in conflitto e la comunità mondiale . Il testo della dichiarazione è riportata qui sotto .

Noi Primati delle Chiese ortodosse fraterne , la Chiesa di Antiochia e la Chiesa russa , ci siamo incontrati a Mosca per portare ancora una volta testimonianza dell'amore in Cristo, amore che le nostre Chiese hanno conservato intatto attraverso i secoli e che si rivolge a tutte le persone , indipendentemente dalle loro nazionalità , religione o opinioni politiche .

Oggi le nostre comuni preghiere vanno al popolo siriano a lungo sofferente sottoposto a prove senza precedenti . La  terra , in cui musulmani e cristiani hanno convissuto per secoli , è stata riempita dalle lacrime di coloro che lamentano la morte dei loro parenti e amici e che sono stati portati lontano dalle loro case . La calamità che è piombata su una terra precedentemente pacifica non risparmia né i vecchi né i bambini , né musulmani né cristiani . Nessun cuore può rimanere indifferente alla tragedia orribile in Siria .

In questi giorni , la Svizzera ospita una conferenza internazionale che ha riunito i rappresentanti al tavolo negoziale delle parti in conflitto e la world community .  Rivolgiamo il nostro ardente appello ai partecipanti alla riunione , chiedendo loro di esercitare ogni sforzo possibile per porre fine allo spargimento di sangue e riportare la pace nel benedetto paese siriano.

Chiediamo ai partecipanti alla Conferenza internazionale di Ginevra II Siria di opporsi a qualsiasi manifestazione di estremismo per porre fine alla intolleranza e alla politica degli ultimatum . E ' solo il dialogo fraterno e libero all'interno della società siriana che può aprire la strada a una soluzione pacifica .



Ancora una volta , facciamo appello per l'immediato rilascio dei Cristiani che sono stati presi in ostaggio nel conflitto armato .
 I Metropoliti Paolo e Youhanna Ibrahim , gerarchi cristiani di Aleppo , sono  tenuti prigionieri da molti mesi . 
Da oltre un mese , le suore del Convento di S. Tecla nell'antica Maaloula sono pure tenute in ostaggio .
 Facciamo appello a tutte le parti di mostrare umanità e misericordia come prova della loro intenzione di seguire la via del ristabilire pace e  prosperità in Siria .

L’entità  del disastro spinge noi , Primati delle due Chiese ortodosse , all’appello a tutte le persone di buona volontà e a chiedere loro di aiutare coloro che soffrono nei campi profughi o di fronte alla miseria dopo aver perso le loro case e mezzi di sussistenza .

E ' necessario fermare la distruzione di inestimabili siti culturali e religiosi del patrimonio di cui la terra siriana è così ricca.  La loro distruzione è un crimine contro le generazioni future .

Noi crediamo che il Misericordioso Signore mostrerà la sua misericordia al popolo della Siria e rafforzerà e benedirà coloro che si sforzano di riportare la pace e la prosperità in questa terra antica e santa .


IL PATRIMONIO DELLA SIRIA IN ROVINA: FOTO DI UNA CATASTROFE 



   -READ:   http://www.theguardian.com/world/2014/jan/26/syria-heritage-in-ruins-before-and-after-pictures

lunedì 27 gennaio 2014

Fatwe ....



Raqqa ( Siria) - 20 gennaio 2014 - 
L'esercito dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL) [ Da'ech - داعش ] ha rilasciato una dichiarazione che espone quattro decreti nei termini seguenti :

Primo decreto sulle donne :
· Il niqab è obbligatorio .
· Le sorelle che circolano nelle strade devono rispettare le virtù islamiche di indossare il hijab completo, abaya , hijab , niqab e guanti inclusi.
 · Le donne non possono alzare la voce nelle strade e nei luoghi pubblici .
 · E’ loro vietato muoversi da sole di notte e devono essere accompagnate dai loro Mahrams , vale a dire , marito , padre o fratello .
· Coloro che non rispettano queste prescrizioni saranno punite, loro e i loro custodi .

Secondo decreto su musica, canzoni, immagini:
· La musica , le canzoni e le immagini sulle riviste sono vietati
· Vendita di dischi, strumenti musicali è pure vietata.
· Ascoltare canzoni erotiche in auto , autobus e luoghi pubblici è proibito .
· Vi è l'obbligo di rimuovere le immagini di uomini e donne dalle vetrine .
· Chiunque contravviene a queste prescrizioni sarà punito.

Terzo decreto riguardante l'uso di tabacco e narghilè .
· E' severamente vietato vendere tabacco e narghilè ,i refrattari vedranno i loro prodotti bruciati e i fornitori saranno puniti .

Quarto decreto relativo alla preghiera .
· La preghiera nella moschea è obbligatoria per tutti i musulmani
· Ogni commerciante deve chiudere il suo negozio dieci minuti prima della chiamata alla preghiera .
· Tutti i pedoni devono entrare nella moschea per la preghiera.

· Chiunque non ottempera a tale obbligo sarà punito e il negozio chiuso.

Commercianti di Aleppo puniti  in piazza per non avere obbedito alla fatwa

http://www.leveilleurdeninive.com/2014/01/larmee-de-letat-islamique-dirak-et-du_20.html


LONDRA, 26 gennaio '14: manifestazione  di musulmani contro i colloqui di Ginevra

sabato 25 gennaio 2014

Ginevra 2: si riparte con opposizion​e e governo allo stesso tavolo. La Santa Sede in gioco. E l'Italia, quale ruolo per la pace ?



Il Sussidiario , 23 gennaio 2014
di ROBI RONZA

Per  non compromettere il buon esito del Salone dell’Orologeria, di importanza  ovviamente cruciale per l’economia elvetica, i colloqui per la pace in Siria che  vanno sotto il nome di “Ginevra 2” sono iniziati  non nella sede dell’Onu a  Ginevra bensì nel centro congressi di un albergo della non lontana Montreux. 

La seduta inaugurale, aperta alla stampa, non ha dato adito a grandi speranze  per il futuro di questi negoziati, che  continueranno a Ginevra a porte chiuse. 
Prima ancora che si aprissero, sulla loro sorte ha pesato un’assurda  pretesa, tuttavia non priva di precedenti in quest’epoca di crisi - fra le altre  cose - anche della diplomazia. La pretesa cioè di escludere a priori dalla  trattativa alcune delle parti in causa, ovvero pretendere di aprire loro la  porta ma solo a condizione che si impegnino a uscire poi dalla scena.
Lunedì scorso il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, sotto la cui égida i  colloqui hanno luogo, vi aveva invitato anche l’Iran, ma il giorno dopo si è rimangiato l’invito su pressione degli Stati Uniti che si sono opposti sia a  nome proprio, sia tramite la Coalizione nazionale siriana, ossia il fronte di  opposizione al regime di Assad sostenuto da Washington.
La soluzione di  una crisi va trattata con tutte le parti in causa, con tutti quelli che di fatto tengono il campo e non solo con i più belli e i più buoni (o  presunti tali). Piaccia o non piaccia l’Iran ha un ruolo tutt’altro che  secondario nella vicenda; lasciarlo fuori quindi non ha giustificazione alcuna.
Se si comincia a pretendere che qualcuno che è sul campo non sia anche al tavolo  dei negoziati ciò significa che non si mira alla pace ma a qualcos’altro. Poi magari non si arriva alla pace anche avendo messo attorno al tavolo tutti quanti; lasciando però fuori qualcuno non ci si arriva di sicuro. Diciamo perciò  che c’è qualcosa di quanto meno paradossale  nel fatto che alla conferenza  partecipano circa trenta Paesi e altri soggetti di diritto internazionale, ma  non l’Iran. C’è quasi tutta l’Europa occidentale, Italia compresa, tutti o quasi i Paesi arabi, ovviamente gli Stati Uniti e la Russia, ma poi anche l’Australia,  il Sudafrica, l’India, l’Indonesia, la Corea del Sud e così via, ma non l’Iran.
Dall’altro lato come si fa a porre l’impegno a uscire dalla scena quale  condizione preliminare a una delle parti in causa, in questo caso il regime di  Assad? Chi mai accetterebbe di trattare a questo prezzo? Non lo  accetterebbe  neanche uno che avesse l’acqua alla gola, non foss’altro che per vendere cara la  pelle; e tanto meno può accettarlo uno che, come Assad, sta resistendo con  successo all’attacco di milizie talvolta straniere e sempre finanziate  dall’estero, che, in quanto a rispetto dei civili e delle loro proprietà, non  sono meglio, anzi spesso sono peggio, delle sue truppe.
Peraltro per un verso il regime di Assad non poteva fare a meno di esserci, e per l’altro non ci si poteva permettere di lasciarlo fuori. Perciò sin dalla  sessione inaugurale dei negoziati il ministro degli Esteri siriano è entrato nella trattativa attaccando Ban Ki-moon e respingendo a priori tale condizione.

Poi magari durante i colloqui a porte chiuse che inizieranno domani a Ginevra si  arriverà imprevedibilmente a qualcosa di positivo. Siamo però appunto nel campo dell’imprevedibile.
La situazione è aggrovigliata oltre ogni dire, ma in fin dei conti il bandolo  della matassa è in mano alle potenze che finanziano il conflitto: dalla parte di  Assad la Russia e l’Iran, e da quella dell’insurrezione gli Stati Uniti,  ohimè  l’Unione Europea  e alcuni Paesi arabi. 
E’ innanzitutto a questo livello che la  trattativa deve cominciare, e il nostro governo potrebbe, se volesse, fare  qualcosa.



PAPA-HOLLANDE: Perché arruolare Bergoglio tra i ribelli islamisti?


 Il Sussidiario , 25 gennaio 2014
di ROBI RONZA

Parlando ieri a Roma alla stampa dopo il suo incontro con Papa Francesco, il presidente francese François Hollande ha sorprendentemente annunciato di aver chiesto al Pontefice che il Vaticano possa ricevere la visita di una delegazione della coalizione democratica siriana, ovvero di quella parte degli insorti contro Assad che sono sostenuti dall’Occidente. E dopo aver ricordato che la Santa Sede partecipa alla conferenza Ginevra 2, ha aggiunto di auspicare che essa contribuisca ad orientare tale conferenza verso una soluzione dalla crisi siriana nel segno della “transizione” (ossia dell’uscita di scena di Assad).

Nel comunicato diffuso sull’incontro la Sala stampa vaticana non è invece entrata nei dettagli, limitandosi a riferire su quali argomenti il Papa e Hollande si sono soffermati. Il video delle dichiarazioni di Hollande è sul sito della presidenza della Repubblica francese, mentre il comunicato della Sala stampa vaticana è sul sito della Santa Sede, dico per chiunque voglia farsene direttamente un’idea.  

Mentre insomma a Ginevra, come purtroppo era prevedibile, la Conferenza internazionale sulla crisi in Siria rischia immediatamente di fallire, Hollande non esita a cercare di forzare la mano a Papa Francesco rendendo pubblico un appello che è di un’unilateralità sconcertante. Come ha recentemente dimostrato nel caso di una sua vicenda personale ormai però divenuta di notorietà planetaria, Hollande è capace di dire senza batter ciglio qualunque cosa in qualsiasi situazione. Ascoltandolo c’è talvolta di che esserne paradossalmente ammirati. Uno si domanda: “Ma come fa?”. E la domanda non può che rimanere senza risposta.

Venendo al caso della Siria senza dubbio il presidente francese aveva scelto l’interlocutore giusto, tanto più considerando il ruolo importante, anzi molto probabilmente decisivo, che il Papa ha avuto nel blocco all’ultimo momento di un attacco aereo americano che avrebbe avuto di certo conseguenze catastrofiche.
Come si fa, però, nel momento stesso in cui si chiede una mediazione di tale qualità e di tale livello, a pretendere di fissarne ciò che in gergo diplomatico si chiama l’“agenda”? È una gaffe degna di un dilettante, e tanto più grave considerando che, in quanto ad abilità politica, di tutto può essere accusato Hollande meno che di essere un dilettante. Se lo fosse stato non sarebbe giunto a una carica così più grande di lui.

Il Papa, “unico tra i grandi della terra che non ha armi da vendere e petrolio da comprare”, gode perciò nel Vicino e Medio Oriente di un grandissimo prestigio. E in modo del tutto particolare ne gode questo Papa per  il motivo più sopra ricordato.
Tra l’altro la Santa Sede è poi sempre riuscita a tenere aperto, sia con flessibilità che con fermezza, un certo dialogo con l’Iran khomeinista. Il suo costante e autentico impegno per la pace nel Levante è ben noto essendo ad essa strettamente legata la causa della libertà dei cristiani nell’area, e quindi di tutti.

Ad ogni modo, di positivo c’è che Hollande ha chiesto esplicitamente l’attenzione della Santa Sede al problema. Nel prossimo futuro si vedrà se anche altre importanti parti in causa, a partire dagli Usa e dalla Russia, sono sulla medesima lunghezza d’onda.
Se ciò fosse, la Santa Sede potrebbe fare molto per la pace in Siria.

http://www.ilsussidiario.net/News/roma/2014/1/25/PAPA-HOLLANDE-Perche-arruolare-Bergoglio-tra-i-ribelli-islamisti-/461736/

venerdì 24 gennaio 2014

La croce: segno di condanna per i cristiani siriani
























25 gennaio- conversione di San Paolo sulla via di Damasco

Il segno della croce e’ stato sempre presente nella vita dei cristiani del Medio Oriente in particolare in Siria; e’ presente ovunque nei nostri quartieri; sopra i campanili  delle nostre chiese; nelle classi  delle nostre scuole parrocchiali; all’entrata delle case; ed in special modo al collo dei nostri fedeli.
I nostri parenti ci insegnavano sempre di non uscire dalla casa prima di aver fatto il segno della croce, e questa bella abitudine si è  conservata fino ad oggi.
La croce e’ il  fondamento della vita cristiana, anzi uno stile da vivere e da testimoniare ogni giorno alle altre confessioni in cui ci viviamo.
Essere cristiano vuol dire essere un progetto vivo di testimonianza ed anche in questi giorni neri nella vita dei siriani cristiani , mi dispiace dirlo, è un progetto odierno di martirio per il cristianesimo.

Vi racconto la triste storia vera del ragazzo cristiano Fadi Matanius Mattah (34 anni) che è stato proprio decapitato quando i jihadisti hanno visto che portava la croce al collo.
L’episodio è avvenuto l’8 gennaio scorso. I due, Firas Nader (29 anni) e Fadi Matanius Mattah (34 anni), stavano recandosi in automobile da Homs al villaggio cristiano di Marmarita. Un gruppo di cinque jihadisti armati ha intercettato il mezzo e ha aperto il fuoco sulla vettura. Raggiunta l’auto, i miliziani, notando che Fadi portava una croce al collo, lo hanno decapitato, piantando la croce nel suo petto. Hanno poi preso denaro e documenti, lasciando Firas per terra ferito, credendo fosse già morto. Firas, testimone oculare di quanto avvenuto, è invece riuscito a mettersi in salvo, raggiungendo a piedi la cittadina di Almshtaeih ed è stato poi trasferito all’ospedale di Tartous. Alcuni fedeli sono riusciti a recuperare il corpo di Fadi, portandolo a Marmarita, dove la comunità cristiana locale, nel lutto e nel dolore, ha espresso forte sdegno per l’orribile atto.”

Ecco: tutti sappiamo bene che il cristianesimo è fondato sull’amore dato gratis a noi nella persona di Gesù e la croce è il segno vivo del cristianesimo. I nostri concittadini siriani musulmani sanno bene questa realtà.
Proprio davanti alla croce c’è l’incontro inseparabile tra l’amore ed il dolore: è una scelta definitiva nella vita dei cristiani siriani in questi giorni; perchè rischiano la propria vita.
Non è nella cultura dei siriani veri di commettere questi atti brutali; il siriano non uccide  il suo fratello siriano e questo è il bello della Siria; anche se noi  siamo di diverse confessioni ci vogliamo bene.

 La gente che ha ammazzato Fadi sono stranieri; non sono della nostra cultura siriana!
Che cosa possiamo dire alla madre di Fadi,  davanti a questo atto barbarico che hanno commesso questi jihadisti?  ecco mi vengono in mente le parole indirizzate ai Romani del grande apostolo delle genti  San Paolo, cittadino siriano onorario, che dice: "chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? ” (Romani 8,35).
Gesù stesso disse a noi nel vangelo di Giovanni: “non vi scandalizzate; viene l’ora che chiunque vi uccide credera’ di rendere culto a Dio. e faranno questo perchè non hanno conosciuto nè il Padre nè me”. (Giovanni 16,1-2).
Ed ecco l’ora e’ gia’ presente; i cristiani siriani ogni giorno sono come le pecore portate al sacrificio per il nome di Gesu’.
Infine: questa nube nera che copre il cielo della Siria si sta allontanando  dal cielo blu della Siria con le preghiere  continue del Santo Padre e di tutta la comunita’ universale, e grazie agli sforzi internazionali per la pace in tutto il mondo.
Tutto il mondo sta pregando per l’amata Siria; e prima o poi  sara’ una voce di pace dall’alto che risuona gia’ nella coscienza di tutti gli uomini di buona volontà: “lasciate la Siria in pace”.

Concludo con la preghiera dal libro delle lamentazioni di Gregorio di Narek (951-1003), monaco e teologo armeno, intitolata “ Il suo sguardo mi salva”

Il tuo sguardo mi salva:


 “Fissa il tuo sguardo su di me,
 o Compassionevole,
 come un tempo su Pietro
 allorché ti rinnegò,
 perché sono del tutto annientato.

 Irradia su di me
 il raggio della tua misericordia,
 tu che sei tutto bontà,
 affinché, ricevuta la tua benedizione,
 Signore,
 io sia giustificato,
 io viva,
 e divenga puro dai miei errori
 che non sono le tue opere
 e che mi torturano.

Non ho l'audacia di tendere verso di te
 la mia mano colpevole,
 fino a che tu avvicini
 la tua destra benedetta,
 per rinnovarmi, io condannato.

Trionfa dunque ancora una volta
 della mia testardaggine
 grazie alla tua dolcezza
 venendo in mio soccorso,
 nella tua benignità.

E per la tua onnipotenza
 rimetti la somma totale dei miei peccati:
 i miei primi errori, con quelli
 della media età
 e quelli della fine della vita.
 O Cristo,
 ingegnoso nel realizzare l'impossibile,
 o Re, Luce dei giusti.!


La partecipazione del Pontificio Collegio Armeno di Roma alla Settimana di Preghiera per l’unita’ dei Cristiani.


Come tutti i riti orientali cattolici, anche noi abbiamo partecipato a questo evento celebrando la santa messa cantata in rito armeno nella chiesa di Santa Maria in via Lata, mercoledi 22-01-2014.
La Santa Messa e’ stata presieduta dal Rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma, Mons. Kevork Noradungian.
I canti sono stati eseguiti dal Coro di N. S. di Narek composto dai seminaristi del collegio armeno e dai membri laici del coro.
Nella sua omelia Mons. Kevork ha spiegato  :
Come ogni anno siamo riuniti per pregare per l’unita’ dei Cristiani, anzichè per l’unità delle chiese; perche’ i cristiani sono uniti nella persona unica di Gesu’, ma le  chiese sono diverse,
a- nell’interpretazione della fede, e questa va superata per arrivare all’unità della fede,
b-  si differenziano per i riti e liturgie, ciò che va conservato e non è argomento di discordia e di divisione. 
Anzitutto , si deve ritornare alle radici del vangelo; seguendo proprio la via dei discepoli di Gesù 'come abbiamo udito e visto questo trasmettiamo a voi', cioe’ cercare la persona di Gesù; vivere la fede trasmessa a noi anzichè cercare la diversita’ dei riti.
Secondo: ha presentato l’ecumenismo del martirio, cominciando dal primo martire nella chiesa Santo Stefano arrivando ai martiri della Siria, del sangue che si versa ogni giorno nella terra di Siria: i cristiani siriani sono il nuovo modello dell’ecumenismo del martirio.
E ha proseguito ricordando anche i due preti, i due vescovi e le suore di Maalula: tutti loro rapiti in Siria e fino ad oggi nessuna liberazione.


Mons. Noradungian si è posto la domanda: possiamo ancora permetterci il lusso di nutrire  le nostre paure dell’ "altro, diverso” da noi quando i semplici fedeli nelle loro differenze di rito ci hanno anticipato in cielo versando il loro sangue per testimoniare la loro ferma fede in Gesù Cristo Salvatore?
Terzo: ha sottolineato i punti importanti che ci uniscono nelle diverse chiese; la persona di Gesù come centro per il dialogo e per l’unita’; la fede trasmessa a noi dai discepoli ed il martirio e la vita esemplare dei santi.
Infine, abbiamo alzato una preghiera speciale per la pace in Siria ed abbiamo pregato anche per la conferenza sulla Siria di Ginevra2: affinche’ il Signore Gesu’ illumini la mente e lo spirito dei capi del mondo per arrivare a una uscita di pace per la Siria.

Padre KARNIK YOUSSEF

giovedì 23 gennaio 2014

Montreux, un primo passo


Fra insulti e accuse parte la trattativa


Piccole Note, 23 gennaio 14


Iniziato a Montreux il negoziato per tentare di riportare pace in Siria. Ovviamente le parti in causa si scambiano accuse reciproche, ma era prevedibile e previsto. Al tavolo mancano molte delle fazioni che fanno guerra ad Assad, quelle legate ad al Qaeda per intendersi, e l’opposizione è rappresentata solo da un gruppetto di oppositori più vicino all’Occidente. Gli altri hanno rifiutato ogni dialogo. Non per questo l’assise è delegittimata, dal momento che al tavolo siedono i veri protagonisti della guerra, ovvero tutti (o quasi) gli Stati che stanno finanziando i mercenari che insanguinano la Siria. Se la diplomazia trova un accordo tra Assad e i suoi veri nemici, le bestie feroci scatenate in Siria saranno rinchiuse nelle gabbie (non eliminate: possono tornare utili in altri scenari), come usa in questi casi.

La novità di questa assise rispetto a quella precedente, che non produsse nulla, consiste nel fatto che Assad, dopo anni di guerra, può trattare con i propri avversari. Una novità non da poco: una fase nuova, anche se Kerry ieri ha precisato che non c’è posto per Assad nel futuro della Siria. Un atto più o meno dovuto da parte del Segretario di Stato americano, che si è esposto oltremodo per dar vita a questa assise e non può passare per filo-Assad agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, pena una perdita di autorevolezza che vanificherebbe il negoziato.

Comunque il nodo del ruolo di Assad nella pacificazione e nel futuro della Siria è il punto focale della questione. Potenti del mondo hanno investito miliardi di dollari per cacciarlo, difficile si rassegnino ad accettare che l’uomo resti al suo posto. Vedremo se nei colloqui usciranno alternative accettabili al regime o se invece si accoglierà la richiesta di Damasco di procedere a libere elezioni, così che sia il popolo a decidere. Una richiesta che ha le sue basi sul consenso che il governo di Damasco gode tra il suo popolo: non avrebbe potuto rimanere al potere in questi anni senza un largo consenso popolare, che deriva dalla constatazione che l’alternativa è terribile. Anche se al momento pare più probabile che la questione sia procrastinata, e si trovino accordi minimali riguardo a una cessazione più o meno parziale delle ostilità e sugli aiuti umanitari destinati alla stremata popolazione locale. Anche questo sarebbe un inizio.


Gli incontri a Montreux proseguiranno nei prossimi giorni, non c’è che sperare che ne esca qualcosa. C’è in ballo il destino di milioni di esseri umani, dalla Siria al Libano (Paese nel quale ha iniziato a tracimare il conflitto siriano) a tutto il Medio Oriente. E la pace nel mondo.



Dal Vaticano tre proposte per la Siria

Conferenza di Montreaux:
 Intervista a mons. Silvano Tomasi, nunzio all’ONU.


di Maria Acqua Simi
Giornale del Popolo,  22.01.2014 
  
«La conferenza di pace sulla Siria, detta “Ginevra 2”, è un primo segno positivo che c’è un minimo di volontà politica di trovare risposta a una guerra che in tre anni ha fatto oltre 130mila morti». La voce di Mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra, è calma. Il tono pacato di chi sa che i tempi di riconciliazione per la crisi siriana saranno lunghi, andranno ben oltre “Ginevra 2”. Ma non per questo sedersi al tavolo delle trattative in questi giorni dev’essere considerato uno sforzo inutile.

Cosa si aspetta la Santa Sede dalla Conferenza di pace?
Il desiderio del Santo Padre e della Santa Sede è che possa arrivare a stabilire i primi passi per un cessate il fuoco e avviare un processo di ricostruzione che cominci con l’assistenza immediata alle vittime delle violenze: i rifugiati, gli sfollati interni e soprattutto i bambini che sono rimasti orfani perché tanti civili sono stati uccisi. Il primo obiettivo è che la violenza smetta: su questo punto c’è una convergenza di tutti i leader religiosi di tutte le confessioni. Questa è un’aspirazione legittima e un dovere per tutte le forze politiche che si incontrano a Ginevra 2  e vogliono trovare una soluzione. Questa conferenza è un primo segno positivo che c’è un minimo di volontà politica di confrontarsi e trovare una risposta a questa guerra.

La Santa Sede avanzerà proposte concrete a margine dell’incontro?
La scorsa settimana in Vaticano c’è stata una riunione organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze, per arrivare a proposte concrete per facilitare i lavori di “Ginevra 2”. Perché l’orrore delle violenze in Siria spinge appunto a essere creativi e avere il coraggio di fare proposte nuove. 
Un primo passo è chiedere un cessate il fuoco efficace senza pre-condizioni politiche. Il secondo passo è fermare il flusso di armi e il finanziamento a tutti i partecipanti del conflitto, che sia il Governo o che siano i ribelli, l’opposizione o gruppi isolati. Tagliando questo flusso di armi e soldi si può accelerare un vero processo di riconciliazione. Il terzo punto - legato al cessate il fuoco - è proporre la ricostruzione del Paese. Ma in modo che a partecipare al processo di costruzione, che avrà bisogno del sostengo internazionale, siano innanzitutto i giovani siriani. Questo è importante, perché altrimenti rimangono tentati di affiliarsi a questo o a quell’altro gruppo armato e continuare la violenza.

Parlerete esplicitamente dei cristiani coinvolti nella guerra?
La Santa Sede ha un interesse particolare per tutti i cristiani del Medio Oriente e in particolare per quelli della Siria; perché è un diritto di queste persone poter vivere in pace nell’ambiente dove da molti secoli danno testimonianza privilegiata della vita cristiana. 
Questo perché sono state le prime comunità della storia ad essere evangelizzate. Allo stesso tempo, l’importanza della presenza di comunità cristiane in Medio Oriente è quella di creare diversità nella società e quindi di favorire una ricerca della democrazia e di un nuovo inizio che porti a un tipo di società che possa essere inclusiva, sulla base di una cittadinanza comune che dia a tutti diritti e doveri in egual modo. Da qui si può costruire un modo di vivere insieme che favorisca il contributo di tutti al bene e comune e dall’altra l’espressione delle proprie identità.

Prossimamente papa Francesco si recherà in Medio Oriente. Quale sarà la cifra di questo viaggio?
È presto per anticipare il messaggio che il Papa darà. Certamente il fatto di farsi pellegrino in Terra Santa come per ricordare i 50 anni dall’incontro tra Paolo VI e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora, diventa un messaggio di riconciliazione e un invito a tutti i gruppi e le comunità che vivono fianco a fianco in Medio Oriente ad accettarsi e rispettarsi nella diversità e contribuire così a creare una società più ricca. Specialmente oggi, dove tutte le comunità sono pluraliste, diventa essenziale trovare una formula di convivenza che renda possibile l’esistenza costruttiva di ciascuno. Il viaggio del Santo Padre darà questo messaggio. Dopo tutto è lì che Gesù è nato e noi lo chiamiamo “Principe della pace” non per retorica, ma perché la pace è la condizione indispensabile per lo sviluppo.

Un’ultima domanda, forse un po’ impertinente. Molti analisti in questi giorni si dicono scettici sull’effettiva efficacia di questa Conferenza di pace sulla Siria. Lei pensa che potrà esserci un vero passo utile per la pace o sarà invece un percorso molto lungo?
La situazione nel Medio Oriente è estremamente complessa. Per quanto riguarda la Siria, specialmente, si giocano interessi a livello globale tra grandi poteri politici e a livello regionale tra l’Arabia Saudita che difende i sunniti e l’Iran che invece si identifica con gli sciiti e i problemi interni delle varie minoranze che compongono la Siria. Quindi il segreto è cercare un filo di interesse comune che leghi questi tre livelli di presenza nello scacchiere politico e strategico del Medio Oriente. Davanti a questa complessità, certo, il processo sembra lungo e difficile. Ma se non comincia col primo passo, non si può fare un lungo viaggio.


Siria: La guerra per lo sviluppo e la democrazia?


The Huffingtonpost, 07/01/2014
.... L'obiettivo della guerra in Siria non è la democrazia e il rispetto dei diritti umani. Arabia Saudita e altri regimi arabi che sostengono le opposizioni sono essi stessi dittature corrotte. Una guerra civile non realizza mai la democrazia e il rispetto dei diritti umani, perché questi sono altamente correlati con lo sviluppo economico e sociale. Ecco perché la guerra in Siria è contro lo sviluppo di quella nazione.
....Pertanto , la situazione di stallo ha portato una soluzione politica alla ribalta . Ma, anche se tutti i paesi e i gruppi che sono coinvolti raggiungessero un accordo  la guerra non finirà facilmente. La guerra ha fatto rivivere al-Qaeda in Iraq , che ha intensificato le sue operazioni in Iraq. Secondo le Nazioni Unite lo scorso anno 8.868 persone sono state uccise in Iraq da parte di gruppi estremisti. La guerra in Siria si è diffusa in Libano, dove si sono verificate molte operazioni terroristiche ed esplosioni di recente .
 La distruzione della Siria e gli eventi catastrofici sono il risultato del cercare di portare un cambio di regime attraverso un intervento militare. Le forze democratiche sperano che ci sarà un cessate il fuoco, seguito da negoziati politici, l'uscita di tutte le forze straniere (in particolare dei terroristi islamici), e il riconoscimento dei diritti di tutte le minoranze etniche e religiose. Se ciò accade, elezioni libere possono essere indette lì, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, che pongano fine ai gruppi estremisti islamici in quella regione .
Iniziato a Montreux il negoziato per tentare di riportare pace in Siria. Ovviamente le parti in causa si scambiano accuse reciproche, ma era prevedibile e previsto. Al tavolo mancano molte delle fazioni che fanno guerra ad Assad, quelle legate ad al Qaeda per intendersi, e l’opposizione è rappresentata solo da un gruppetto di oppositori più vicino all’Occidente. Gli altri hanno rifiutato ogni dialogo. Non per questo l’assise è delegittimata, dal momento che al tavolo siedono i veri protagonisti della guerra, ovvero tutti (o quasi) gli Stati che stanno finanziando i mercenari che insanguinano la Siria. Se la diplomazia trova un accordo tra Assad e i suoi veri nemici, le bestie feroci scatenate in Siria saranno rinchiuse nelle gabbie (non eliminate: possono tornare utili in altri scenari), come usa in questi casi.
La novità di questa assise rispetto a quella precedente, che non produsse nulla, consiste nel fatto che Assad, dopo anni di guerra, può trattare con i propri avvers
Comunque il nodo del ruolo di Assad nella pacificazione e nel futuro della Siria è il punto focale della questione. Potenti del mondo hanno investito miliardi di dollari per cacciarlo, difficile si rassegnino ad accettare che l’uomo resti al suo posto. Vedremo se nei colloqui usciranno alternative accettabili al regime o se invece si accoglierà la richiesta di Damasco di procedere a libere elezioni, così che sia il popolo a decidere. Una richiesta che ha le sue basi sul consenso che il governo di Damasco gode tra il suo popolo: non avrebbe potuto rimanere al potere in questi anni senza un largo consenso popolare, che deriva dalla constatazione che l’alternativa è terribile. Anche se al momento pare più probabile che la questione sia procrastinata, e si trovino accordi minimali riguardo a una cessazione più o meno parziale delle ostilità e sugli aiuti umanitari destinati alla stremata popolazione locale. Anche questo sarebbe un inizio.
Gli incontri a Montreux proseguiranno nei prossimi giorni, non c’è che sperare che ne esca qualcosa. C’è in ballo il destino di milioni di esseri umani, dalla Siria al Libano (Paese nel quale ha iniziato a tracimare il conflitto siriano) a tutto il Maedio Oriente. E la pace nel mondo.