Nunzio vaticano: Per la Chiesa in Siria è tempo di
uscire all'attacco e non stare a guardare
di
Bernardo Cervellera
In un'intervista con
AsiaNews, mons. Mario Zenari, da tre anni nunzio a Damasco, descrive tutti gli
elementi che compongono l'ingarbugliata matassa siriana. La profonda divisione
fra sunniti e alawiti (sciiti) e l'odio che cresce. I cristiani troppo timidi
devono impegnarsi a costruire una società dove vi sia rispetto per l'uomo e i
suoi diritti, parità per le donne, uguaglianza fra tutti i cittadini, libertà
religiosa e di coscienza. Essere in Siria è una missione. A Homs un sacerdote
dialoga con i ribelli e con l'esercito per garantire aiuti ai poveri, salvare la
vita degli abitanti, seppellire i morti che nessuno vuole toccare. In un anno di
violenze sono stati uccisi almeno 800-900 bambini. La maggioranza è stata
colpita in strada da sconosciuti cecchini. La Siria sta cambiando e non si torna
indietro.
Damasco (AsiaNews) - "Questa è l'ora dei cristiani"; è iniziato "un nuovo
processo storico in Siria" da cui non si torna indietro e "i cristiani non
possono perdere questo appuntamento con la storia": parla in modo quasi
concitato mons. Mario Zenari, da tre anni nunzio vaticano a Damasco, mentre
ricorda l'impegno missionario dei cristiani, che è essere "come agnelli in mezzo
ai lupi", ma con un'identità e un compito. Proprio perché in Siria il fossato
fra le diverse componenti sociali si sta allargando sempre più, egli vede con
urgenza che i cristiani escano nella società e costruiscano ponti di
riconciliazione, difendendo i valori tipici della dottrina sociale detla Chiesa:
dignità umana, rifiuto della violenza, uguaglianza fra uomo e donna, le libertà
fondamentali, libertà di coscienza e di religione, la separazione fra religione
e Stato. " È urgente - dice - uscire all'aperto, all'attacco e non stare a
guardare". Mons. Zenari, 66 anni, racconta storie di ordinario eroismo di alcuni
sacerdoti rimasti a Homs durante questo mese di bombardamenti e violenze.
Partecipando alla commozione per la tragedia dei bambini belgi uccisi in un
incidente stradale in Svizzera, ricorda che in Siria sono già stati uccisi
800-900 bambini, in maggioranza colpiti "alla testa e al cuore" da sconosciuti:
"La loro uccisione è un'atrocità" ed è necessario che la comunità internazionale
garantisca "giustizia a questi piccoli". Ecco l'intervista completa che mons.
Zenari ha rilasciato al telefono di AsiaNews.
leggi l'intervista su ASIA NEWS
http://www.asianews.it/notizie-it/Nunzio-vaticano:-Per-la-Chiesa-in-Siria-è-tempo-di-uscire-all'attacco-e-non-stare-a-guardare-24257.html
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lunedì 19 marzo 2012
domenica 18 marzo 2012
Intervista esclusiva a Jocelyne Khoueiry sulla situazione siriana
Jocelyne Khoueiry è nata a Beirut il
15 agosto 1955. Maronita, è laureata in Teologia e giornalismo. Nel 1975, allo
scoppio della guerra in Libano ha preso le armi per difendere i quartieri
cristiani di Beirut mettendosi al comando di un gruppo di ragazze che si sono
battute con coraggio non inferiore a quello degli uomini. A partire dagli anni
'80, seguendo un suo processo di maturazione interiore e di approfondimento
della Fede, ha lasciato le armi ed ha fondato un'associazione mariana chiamata
“La Libanaise: Femme du 31 mai” con il compito principale di promuovere la
formazione cristiana della donna. L'associazione ha avuto l'appoggio delle
Suore Carmelitane del convento di Harissa (tra le quali vi era allora Suor
Agnes Marie de la Croix).
Da allora ha agito su tre piani:1)
ha tenuto migliaia di conferenze in tutto il mondo (di cui molte in Italia) per
far conoscere e comprendere la situazione del Libano e, in generale, della
regione; 2) ha svolto un'incessante opera di formazione cristiana delle donne e
delle ragazze che aderiscono al movimento; 3) ha avviato un'opera di assistenza
morale materiale a famiglie in difficoltà, con particolare riguardo per i
bambini. A tal fine ha costituito un centro, dedicato a Giovanni Paolo II°,
dove operano anche psicologi infantili e operatori sociali. Attualmente sta
anche curando la ristrutturazione di un antico convento a Jouniè che dovrebbe diventare un centro di
spiritualità e ospitare pellegrini da tutto il paese. Conosce molto bene la
situazione siriana, anche perchè è amica di suor Agnese ed ha con lei frequenti
contatti.
Le ho rivolto alcune domande
1) Da quello che trasmettono in
media libanesi che idea Ti sei fatta sulle cause della guerra in Siria ?
I media libanesi trasmettono
quotidianamente i dettagli della guerra in Siria. Da quanto ci viene mostrato
possiamo constatare che vi è in corso una crisi complessa che si sviluppa a
diversi livelli. Il primo è quello delle rivendicazioni di riforme concernenti
la costituzione del paese, in particolare in materia di libertà e pluralità
politica. Il secondo è quello degli islamisti sunniti, o almeno delle sue fazioni
più estremiste, che stanno cercando di prendere il potere. Questo livello non è
più allo stadio di una richiesta di riforme, ma piuttosto ha l'aspetto di un
colpo di stato armato e molto violento che non fa differenza tra civili e
militari e che non esita a terrorizzare la popolazione per raggiungere i suoi
scopi. D'altra parte abbiamo avuto un esempio di queste agitazioni anche in
Libano, nelle regioni del nord, tra l'anno 2000 e il 2008, quando le operazioni
terroriste di questi gruppi, legati a quelli siriani, si sono rivolte contro
reparti dell'esercito libanese.
Il terzo livello della crisi è di
ordine regionale e internazionale ed è allo stesso tempo politico e
confessionale. Politico perchè strettamente legato al conflitto
israelo-palestinese che ha diviso la regione in due fronti: il fronte israelo
americano ed i suoi alleati sunniti (paesi dei petrodollari e Giordania) che
vogliono un nuovo Medio Oriente segnato dalla supremazia di Israele, una
predominanza sunnita ed una pace imposta secondo le condizioni (e gli
interessi) di Israele. Questo progetto prevede la neutralizzazione di tutte le
potenze che possono costituire un ostacolo alla sua realizzazione e che
costituiscono il secondo dei fronti di cui ho parlato.
Secondo diverse analisi della
situazione siriana, ed in considerazione agli avvenimenti della cosiddetta
« primavera araba », la Siria sta affrontando un'operazione
multidimensionale manipolata da una volontà straniera, ormai scoperta, che ha
fissato il « timing » dell'azione, finanziato la sua realizzazione,
fornito le armi ed i gruppi armati che provengono dalla Libia, attraverso il
territorio turco, e dal nord del Libano. D'altra parte questo spiega perchè
figure pacifiche e stimate dell'opposizione ( che da tempo chiedono
legittimamente una riforma ed un cambiamento del regime) hanno contestato la
violenza armata e l'ingerenza straniera.
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2) Quale è la posizione della Chiesa libanese (in particolare del Patriarca Maronita Bechara Rai) sulla situazione siriana?
2) Quale è la posizione della Chiesa libanese (in particolare del Patriarca Maronita Bechara Rai) sulla situazione siriana?
La posizione della Chiesa libanese,
ed in particolare il Patriarca Maronita Bechara Rai prende in considerazione la
totalità degli elementi che presenta la situazione. Dopo aver osservato e
sperimentato le conseguenze della politica occidentale ed americana e dei suoi
alleati sulla presenza cristiana in Iraq, Terra Santa ed Egitto; e dopo aver
ascoltato i diversi interventi dei Vescovi orientali al Sinodo nell'ottobre
2010, i responsabili della Chiesa in Libano e in tutta la regione sono
obbligati a essere più vigili nei loro giudizi che non devono andare contro la
ragione ed i fatti reali. La Chiesa afferma la necessità di un cambiamento, di
riforme e di un rispetto delle libertà, ma quello che sta avvenendo in Siria
rischia di mandare al potere un regime teocratico e salafita che sarà molto
diverso dagli slogan dietro ai quali ha nascosto le sue azioni. Un regime
ideologicamente contrario alla libertà ed alle diversità culturali. La Chiesa
vuole attirare l'attenzione su questo pericolo e considera che l'attuale regime
ha ancora la possibilità di realizzare i cambiamenti richiesti da una grande
parte del popolo siriano. Per questo la Chiesa ritiene che sia imperativo
fermare la violenza, avviare un dialogo ed arrivare ad un minimo di intesa
perchè una guerra civile in Siria si trasformerà immediatamente in una guerra
confessionale che potrà incendiare tutta la regione e non solo il Libano.
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3) Quali possono essere le
conseguenze per il Libano della crisi in Siria?
La situazione politica, economica,
confessionale e della sicurezza in Libano è direttamente influenzata dalla
situazione siriana. Questo spinge i responsabili libanesi a voler controllare i
movimenti del traffico di armi e il passaggio di gruppi armati tra i due
territori. Non mi riferisco a quella parte della classe politica libanese che
attende una sconfitta del regime siriano e che è stata paradossalmente la sua
alleata privilegiata, contro i libanesi liberi, quando l'esercito siriano
occupava il Paese dei Cedri.
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4) Come sono i rapporti tra le comunità cristiane libanesi e quelle siriane?
4) Come sono i rapporti tra le comunità cristiane libanesi e quelle siriane?
I rapporti sono ottimi. Sono vissuti
in uno spirito di scambio e di comunione ecclesiale e pastorale. D'altra parte
le strutture dell'APECL (Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici)
facilita questa comunione nel quadro delle differenti attività. Noi pensiamo
che questi rapporti possono costituire una realtà positiva e pacificante
all'interno del conflitto. Sarà un passaggio non facile da realizzare,
soprattutto nelle condizioni attuali, ma che potrebbe non essere impossibile in
un futuro non troppo lontano
sabato 17 marzo 2012
Mère Agnès Mariam de la Croix intervistata alla TV francese Europe 1
IL PUNTO DI VISTA DELLA MADRE SULLA SITUAZIONE IN SIRIA
L'intervista di Jean-Pierre Elkabbach risale al febbraio 2012, ma è ancora di estremo interesse
Traduzione in italiano a cura della Fraternità Maria Gabriella
Jean-Pierre Elkabbach: Oggi Homs è una città ferita, insanguinata, ripetutamente colpita ; è
bombardata dall’ esercito regolare che sta battendo casa per casa. Perché Homs
è tanto presa di mira ?
Madre Agnès-Mariam della Croce : E’ diventata il bastione, il simbolo
della resistenza ed è anche divenuta un ghetto dove la comunità internazionale
promette tantissimo ma in realtà è incapace
di portare aiuto alle persone in pericolo.
J-P E. :
Perché dice ghetto ?
M.A-M :
Perché è accerchiata e comincia a mancare tutto.
J-P E. : Dunque dice « il ghetto di Homs »?
M. A-M :
Il ghetto di Homs, di Bab Amra più esattamente.
M. A-M :
Sono ribelli a maggioranza confessionale sunnita che vi si sono nascosti per portare
avanti la resistenza.
M. A-M :
Penso che nel passato si trattava un pò di un gioco come « il gatto e il
topolino » ma niente era ancora deciso, ma si lasciava deteriorare la
situazione da entrambe le parti, mentre oggi
il semaforo verde è stato dato per annientare la ribellione.
J-P E. : E dato da
chi ?
M. A-M : Penso che
sia stato dato dal governo siriano.
J-P E.. : Vuole
dire dal présidente Bachar el Assad ?
M. A-M : Si certo,
niente si può fare senza di lui.
J-P E. : Vi sono
altre città accerchiate dall’ esercito in questo momento ?
M.A-M :
L’esercito accerchia città con velleità di resistenza, sia per negoziare, sia
per annientare.
J-P E. :
Il regime attuale della Siria è denunciato dal mondo intero, tranne che da
Russia e Cina. Il regime usa la forza contro una parte del popolo. Può tenere
ancora molto tempo così ?
M. A-M :Personalmente
credo che il regime fondato da Hafez el Assad è già caduto, dato che il multipartitismo
è già in vigore in Siria. I giovani hanno domandato che nuovi partiti fossero fondati e si può dare la
propria opinione senza esser repressi. Perché il presidente Bachar el Assad è
spinto ad operare aperture verso la democrazia.
M.M-A :
Il regime è già crollato nella sua parte ideologica.
M. A-M :
Ho visto questo coi miei propri occhi. Questa cosa ci ricorda lo scenario della
guerra civile in Libano. Homs è in gran parte simile a Beyrouth durante gli
anni della guerra civile.
J-P E. :
Si conosce il quartiere dove Edith Bouvier si rifugia. Il suo fotografo è
riuscito a entrare in Libano a 30 chilometri di lì. Come salvare Edith
Bouvier ? Come salvarla, come farla evacuare, come farla uscire di
lì ? ( Nota dei traduttori : Il
1 marzo ha lasciato la Siria ed è arrivata all'ambasciata francese a Beirut, in
Libano, E. B. la giornalista ferita che era rimasta intrappolata a Homs)
M.A-M :Credo
che non ci sia un altro modo che l’intervento della Croce Rossa internazionale
con l’accordo della Croce Rossa siriana.
M.A-M :
Bisogna veramente insistere perchè vi sia un momento di pace, di stabilità
perché si possa entrare.
M.A-M :
Sì perfettamente.
J-P E..
Questo è ciò che domanda il governo francese e Alain Juppé.
Conosce questo tunnel di cui parlava
il giornale Libération ?
M. A-M :
Sì. E’ molto famoso. Sono costruzioni sanitarie, che erano usate peraltro per
il contrabbando e che oggi sono davvero un mezzo di comunicazione con il mondo
esterno, in particolare il Libano nord.
J-P E. :
Vuole dire che conduce al Libano. E quali cose passano di lì ?
M.A-M :
Allora : prima passa l’alimentazione, i medicinali, ma anche armi.
M. A-M :
Ce ne sono altri.
M. A.M :
Credo piuttosto che siamo dirigendoci verso una guerra confessionale, poiché si
esacerbano da entrambe le parti inimicizie confessionali, e questo è molto
male.
M. A-M :
Ecco, il tessuto sociale è stato scosso e la fiducia mutua è stata smussata.
Ecco la componente. Non è tutta la popolazione, certo, ma almeno una parte
della popolazone ha accettato di entrare in una mentalità di confronto
confessionale.
M.A-M :
Si sono armati. Sì, purtroppo una componente è armata. Quella della resistenza,
mentre per l’altra le armi sono
l’esercito del governo.
M. A-M :
Siamo stati di questo testimoni e a volte abbiamo negoziato tra le comunità religiose
che purtroppo sono antagoniste. Ma attualmente quelli che vogliono fare il gioco
dell’ antagonismo dico che non è la maggioranza del popolo siriano…
M. A-M :
Sono rapimenti e antirapimenti.
M. M-A :
Perfettamente.
M. A-M :
Ecco. Per evitare il massacro, oppure evitare una riscatto troppo oneroso.
M A-M :
Si, tra 20.000 e 40.000 euro.
M. A-M :
Sì e si svolge nel corso di parecchi mesi e purtroppo non è stato scoperto dalla
stampa.
M. A-M :Sono
andata 3 volte a Homs e vi ho anche passato delle notti. Ho visto con i miei
propri occhi gli ospedali di Homs pieni di cadaveri che arrivano al ritmo di 3
o 4 per ora. In una sola giornata abbiamo contato 100 cadaveri e non vi era più
posto nell’ obitorio.
Erano accatastati fino fuori. Non vi era nemmeno un posto sulle
barelle.
M.A-M :Li
ho visti con i miei propri occhi e credo che le cifre che vengono diffuse sono
fittizie: vi sono più morti in Siria e ciò non è riportato dalla stampa
internazionale che è troppo unilaterale.
M.A-M :Ho
chiesto alla Croce rossa siriana e agli ospedali sirani, soprattutto della mia
diocesi, di darmi i nomi e abbiamo fatto delle liste di nomi, ci sono dei
« veri vivi » che sono divenuti dei « veri morti »,
mentre le cifre anonime non dicono niente della situazione reale che prevale in
Siria.
M. A-M :Attualmente
credo che la minaccia viene da ogni parte, perché quando si entra nella sfera
pubblica, si trova sempre qualcuno che cerca di utilizzarti.
M. A-M :
Sì certo, forse non direttamente, ma vi sono
sempre manovre che potrebbero essere usate per fare luce su dei cristiani che
sono in pericolo e allora potremo essere presi di mira.
M. A-M :
Sì
M. A-M . Purtroppo,
mi dispiace.
M. A-M :
No, non è la verità. Si fa di me una caricatura. Non si capisce niente della
mia azione e non voglio giustificarmi. I fatti diranno ciò che faccio e perché
lo faccio.
M. A-M :…Sa
che in Siria con 23 milioni di abitanti, sono ben la metà nei servizi
segreti ! Se parlo con il negoziante, lo è forse…e va forse a dare
informazioni.
M.A-M :Sono
favorevole a questo : che il popolo siriano sia ascoltato nella sua
totalità e decida egli stesso del suo avvenire senza che vi siano ingerenze intempestive
che non fanno che aggravare la
situazione.
M. A-M :
Io domando che vi sia davvero una posizione responsabile per fermare
l’effusione di sangue.
M. A-M :
Quel giorno, no. Perché erano entrati senza voler essere accompagnati e sono
arrivati al luogo dove sono stati bombardati, dunque da persone armate non
identificate, sono arrivati per caso.
M. A-M :
No, era una manifestazione pro regime che è stata bersaglio di un attacco.
M. A-M :
No, no, no, credo che Gilles Jaquier è arrivato lì per caso e poi ha davvero
condiviso il destino di una popolazione
che è stata quotidianamente bombardata.
Lei pensa che bisogna consegnare le armi ai ribelli?
M. A-M . No.
Sono contro. Alla signora Hillary Clinton, dico che non bisogna consegnare
delle armi ma fermare l’effusione di sangue.
M. A-M :
La soluzione è il dialogo e il pluralismo in Siria e lasciare il popolo siriano
decidere di se stesso.
TRADUZIONE :Fraternità Maria Gabriella
venerdì 16 marzo 2012
ANNIVERSARIO: MILIONI DI SIRIANI NON VOGLIONO LA RIBELLIONE VIOLENTA AD ASSAD
16 marzo 2012: Nell'imminente pericolo di un intervento armato ONU o del sostegno occidentale ai gruppi ribelli armati, ascoltiamo la volontà del popolo siriano
Millions of Syrians Stress Support to Reform Program, Adherence to Syrian Leadership
Mar 16, 2012
| ||
PROVINCES, (SANA) - In a national scene conveying a message to the whole world of the Syrian people's commitment to national unity away from foreign interferences and dictates, millions of Syrians on Thursday streamed into the homeland's streets and squares throughout the provinces in a global march for Syria.
Waving Syrian flags and banners with national slogans on them, the jubilant participants voiced rejection of foreign interference in the Syrian people's internal affairs and support to the comprehensive reform program led by President Bashar al-Assad to build the renewed Syria. The reverberating echoes of pro-Syria and pro-leadership chants were heard all through the Umayyad square in Damascus, and Saba Bahrat Square in Deir Ezzor, Saadallah al-Jaberi Square in Aleppo, al-Mohafazeh Square in Lattakia and al-Raqqa, along the cornice in Tartous, the President Square in Hasaka, al-Baladieh in Misyaf, the main street of Salhab, the Post roundabout in Daraa and the neighborhoods of al-Zahra, al-Nuzha, al-Hadara and al-Sheirat in Homs. . Syrian Communities Worldwide Stress Support to Reforms, Rejecting Foreign Interference in Syria's Affairs English Bulletin |
Perché alla primavera non segua l’inverno
Dall' Osservatore Romano del 16 marzo 2012
Intervista ad Al Jazeera del cardinale Tauran
Intervista ad Al Jazeera del cardinale Tauran
ROMA, 15. Se i cristiani saranno costretti ad abbandonare il Medio Oriente sarà una «tragedia»: è uno scenario di desolazione che va assolutamente scongiurato quello che il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Jean-Louis Tauran, delinea in un’intervista ad Al Jazeera, l’emittente televisiva più seguita nel mondo islamico.
Un’occasione inedita per affrontare temi spinosi come le persecuzioni religiose e l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente, la complessa situazione dei Luoghi Santi, come pure le prospettive della cosiddetta Primavera araba e l’intolleranza verso i musulmani immigrati in Europa, dove lo «scontro di civiltà » rischia di diventare uno «scontro di ignoranze».
I contenuti dell’intervista, realizzata il 24 febbraio scorso a Roma dal giornalista saudita di nazionalità britannica Sami Zeidan, sono stati anticipati oggi sul «Corriere della Sera» da Marco Ventura, il quale sottolinea come sia «la prima volta che un ministro della Curia si rivolge all’universo arabo-musulmano in un faccia a faccia televisivo». In pratica, «una svolta comunicativa» afferma Ventura.
La parte centrale dell’intervista — che da sabato andrà in onda per tre giorni nel programma «Talk to Al Jazeera» e sarà accessibile gratuitamente sul sito (http: // english. aljazeera. net/ programmes/ talktojazeera) — riguarda le violenze subite dai cristiani in diversi Paesi. Spariranno, dunque, le comunità cristiane dal Medio Oriente? «I cristiani — dice il cardinale nell’intervista secondo le anticipazioni del quotidiano italiano — condividono il destino dei popoli di quella regione e dove non c’è pace, la gente soffre.
Damasco, un anno di rivolte. I cristiani nel Paese diviso
AsiaNews - 15/03/2012 12:53
Damasco (AsiaNews) - Il 15 marzo di un anno fa le strade di Damasco si sono affollate per esigere anche in Siria i cambiamenti che la "primavera araba" stava portando in Nord Africa e nel Medio oriente. Giorni dopo a Deraa vi sono state proteste per la tortura e l'uccisione di alcuni bambini, colpevoli di aver scritto sui muri slogan anti-Assad.
di Nabil Hourani*
L'Iran porta "aiuti sanitari" a Damasco. Arabia saudita e Qatar vorrebbero armare i ribelli. Ma intanto il Paese è sbriciolato. Un testimone, sacerdote cattolico, racconta l'odio e la paura che cresce fra le comunità, ma anche i segnali di collaborazione fra cristiani e musulmani nell'aiutare i colpiti. Le Chiese divise fra un appoggio cieco ad Assad e un'opposizione non violenta per far maturare uno Stato di diritto, dove cristiani e musulmani sono uguali davanti alla legge.
Damasco (AsiaNews) - Il 15 marzo di un anno fa le strade di Damasco si sono affollate per esigere anche in Siria i cambiamenti che la "primavera araba" stava portando in Nord Africa e nel Medio oriente. Giorni dopo a Deraa vi sono state proteste per la tortura e l'uccisione di alcuni bambini, colpevoli di aver scritto sui muri slogan anti-Assad.
Da lì è iniziato il confronto sempre più duro fra l'esercito e molta parte della popolazione in varie città della Siria, fino al bombardamento durato un mese della città di Homs. Dopo un anno di proteste, la Siria è profondamente divisa da violenze molto vicine alla guerra civile. Perfino l'opposizione è sbriciolata in militari disertori, gruppi politici all'estero, gruppi politici all'interno. Il governo di Assad attua un disegno spietato contro tutti, mentre offre correzioni attraverso un referendum costituzionale e il lancio di nuove elezioni. Intanto i morti, secondo l'Onu sono almeno 8500 e sono migliaia i profughi in Turchia e in Libano. Il problema è pure che la Siria è divenuto un caso internazionale, uno scacchiere su cui combattono diversi interlocutori i cui interessi poco hanno a che fare con i bisogni della popolazione. L'Iran difende a spada tratta il suo alleato e oggi ha fatto giungere al governo degli "aiuti sanitari" attraverso la Croce rossa siriana. Arabia saudita e Qatar vogliono il cambiamento di regime e il contenimento dell'influenza iraniana e per questo sono pronti ad armare i ribelli. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu è diviso, con Russia e Cina che appoggiano Assad per frenare l'influenza degli Stati Uniti nella regione. I cristiani, talvolta timorosi di fronte al regime, temono la sua caduta, che verrebbe sostituita da un governo fondamentalista islamico. Ciò non toglie che molti di loro, pur non imbracciando le armi, sostengono una trasformazione non violenta della società siriana. La testimonianza che presentiamo sotto, mostra che proprio la divisione e le ferite della popolazione è il nuovo campo di missione della Chiesa in Siria. Per ragioni di sicurezza, l'autore viene designato con uno pseudonimo.
giovedì 15 marzo 2012
ANNIVERSARIO. Un anno dopo l’inizio della crisi siriana
Un testimone racconta.... Intervista di Silvia Cattori
L’ingegnere di cui abbiamo raccolto la testimonianza viveva nella città di Homs fino a che, nel giugno 2011, terrorizzato dagli orrori commessi nel suo quartiere, è fuggito dalla città con la famiglia per rifugiarsi presso i genitori in un villaggio vicino. Le sue affermazioni in questa intervista con Silvia Cattori contraddicono tutti i resoconti comparsi sui nostri principali media. Non divulgheremo il nome dell’intervistato per proteggerlo.
Silvia Cattori: La città di Homs, il quartiere di Baba Amro, sono stati oggetto di numerosi reportage di giornalisti entrati illegalmente in Siria, «nel cuore dell’esercito siriano libero». Vorremmo conoscere il vostro punto di vista su quanto è accaduto a Homs da un anno a questa parte.
Risposta: Sono originario di Homs. Vivevo nel quartiere di Bab Sebaa. A metà aprile del 2011, gruppi di persone hanno cominciato a riunirsi pacificamente nel centro di Homs, sulla via Al-Kowatly, per chiedere riforme. Ben presto, però, la gente ha cominciato a sospettare di queste manifestazioni, c’era qualcosa di strano, di poco chiaro: taluni avevano comportamenti provocatori, estranei al sentire comune del nostro paese, ad esempio lanciavano slogan che incitavano alla Jihad. Molto rapidamente tutte le persone che conoscevo hanno smesso di manifestare, non si sentivano più a loro agio e concordi con questo genere di proteste del venerdì, all’uscita dalle moschee.
A giugno sulla strada di Hadara [a Bab Sebaa], sono stati ritrovati una quindicina di corpi di alauiti, fatti a pezzi, teste e membra tagliate, con un cartello: « vendita carne ». Sconvolti da questo eccidio, degli alauiti hanno incendiato dei negozi appartenenti a sunniti. Persone raccontavano di atti orribili di cui erano stati testimoni. Macchine di alauiti sono state date alle fiamme. L’inquietudine montava. A quel punto alauiti e cristiani hanno cominciato a marcare i loro negozi e macchine con delle croci ben visibili. Un giorno ho visto sotto il cofano di un camion, appartenente a sunniti, un carico di armi e munizioni. Ho visto sunniti armati sparare contro alauiti, sparare all’impazzata per uccidere. Si udivano di continuo detonazioni, spari, e le urla « Allah Akbar ». I miei bambini erano turbati, avevano paura. Così ho preso la decisione di lasciare Bab Sebaa e con la mia famiglia mi sono rifugiato dai miei genitori, in un villaggio vicino Homs.
Non avevamo mai visto questo genere di cose in Siria. Fino ad allora avevamo vissuto in perfetta armonia, non c’era mai stato nessun problema tra Siriani di diverse religioni. Per la prima volta ho sentito parlare di salafiti...
Sono tornato a Bab Sebaa due volte, a luglio e agosto. Il quartiere si stava svuotando, lentamente stava cessando di vivere. La maggior parte delle famiglie è fuggita, i bambini non c’erano quasi più, le scuole sono state chiuse. Poche famiglie sono rimaste solo perché non sapevano dove andare. L’ultima volta sono tornato a novembre. Homs era ormai diventata una città fantasma. Nessuno osava più avventurarsi in certi quartieri, la città era morta.
Silvia Cattori: Anche i sunniti sono stati perseguitati? Anche loro erano fuggiti?
Risposta: Sì, certamente. La grande maggioranza dei sunniti si è opposta a questi estremisti ed era contraria alle milizie armate. Il mio medico era sunnita e non era d’accordo con la loro violenza, ne aveva paura. Andava a pregare in moschea ma non partecipava alle manifestazioni. Poco a poco tutti i suoi pazienti sunniti hanno cominciato a disertare il suo studio. Si è sentito minacciato e ha lasciato Homs. Nella via dove abitavo solo due famiglie sunnite sono rimaste. I Siriani che sostengono gli oppositori armati sono una piccola minoranza. Gli oppositori armati hanno comportamenti inumani che spaventano gli stessi sunniti, non solo i cristiani o gli alauiti.
A maggio, Fadi Ebrahim, un giovane sunnita di 25 anni, è stato visto mentre scattava delle foto, cosa che era stata proibita dai miliziani, ed è stato rapito. Tempo dopo il suo cadavere è stato ritrovato in mezzo alla spazzatura a Bab Sebaa, nel mio quartiere.
Silvia Cattori: Temporalmente, a quando risale la rottura tra questa minoranza di manifestanti e la popolazione inquietata dai loro comportamenti?
Risposta: Credo fosse la fine di aprile quando la grande maggioranza delle persone, tra cui moltissimi sunniti, ha smesso di manifestare con loro. Solo i più fanatici hanno continuato ad andare a queste manifestazioni che partivano il venerdì dalla moschea. Sunniti che si erano rifiutati di manifestare sono stati rapiti, taglieggiati, uccisi. Queste manifestazioni anti-Bashar el-Assad non hanno mai raccolto più di qualche migliaio di persone, ma hanno beneficiato di una enorme risonanza mediatica all’estero.
Poco a poco si è preso coscienza del vero pericolo che correva il nostro paese. Certamente il timore che un intervento esterno facesse accadere anche a noi ciò che era successo al popolo libico, ha contribuito. A quel punto sono cominciate grande manifestazioni di milioni di persone in tutto il paese a sostegno di Assad, che chiedevano un cambiamento progressivo e pacifico, e soprattutto si opponevano a qualunque intervento straniero.
Silvia Cattori: Suoi parenti hanno subito violenze di cui ha la prova che siano state commesse dalle milizie armate?
Risposta: Sì. Due cugini della famiglia di mia moglie, originari di Al Qusayr, un villaggio vicino Homs abitato da cristiani e sunniti. Il primo, un ingegnere di 24 anni, è stato ucciso nel febbraio del 2012 mentre usciva da casa sua. L’altro, di 30 anni, è stato rapito dieci giorni fa e poi ritrovato impiccato ad un albero. È proprio ad Al Qusayr che l’esercito regolare si sta concentrando ora per sgominare i ribelli.
Dal lato della mia famiglia, in dicembre, un cugino di 33 anni è stato rapito a Baba Amro. È stato ritrovato due settimane dopo tra la vita e la morte a causa delle torture che aveva subito. È rimasto in ospedale per due mesi. Altri tre uomini erano stati presi con lui. Ad uno di loro, sunnita, hanno straziato le gambe. Gli altri due erano alauiti: sono stati sgozzati. Pensiamo che nostro cugino non sia stato ucciso perché è cristiano.
A gennaio, un mio vicino - l’unico che era rimasto a Bab Sebaa con la famiglia - mentre usciva dal suo palazzo in compagnia della figlia per accompagnarla all’università, è finito sotto il fuoco di cecchini. Lui è rimasto ucciso sul colpo, la figlia ferita.
Silvia Cattori: Vorremmo davvero capire chi sono questi che sgozzano, torturano, rapiscono. Nel caso di suo cugino, ad esempio, lui è tornato, cosa ha potuto testimoniare?
Risposta: Lui e i suoi amici sono stati fermati all’entrata del quartiere di Baba Amro ad un posto di blocco militare da uomini mascherati che indossavano uniformi dell’esercito regolare. Hanno mostrato i loro documenti ai militari dicendo di essere dalla loro parte, gli uomini mascherati li prendevano in giro, dicevano: « Sì, sì, lo vediamo che siete nostri amici...! ». A quel punto hanno capito che quegli uomini mascherati erano miliziani dell’«Esercito libero» (ESL). Qui da noi, dal nome e dalla regione di provenienza, si può capire a che religione si appartiene. Gli uomini mascherati hanno immediatamente sgozzato i due alauiti. Poi hanno torturato alle gambe il sunnita ma l’hanno liberato dopo aver minacciato la sua famiglia. Mio cugino è stato portato via, gli dicevano che sarebbe stato liberato se veniva pagato un riscatto. Sono cominciati dei negoziati tra i miliziani e le forze governative per ottenere il suo rilascio. Come dicevo, è stato ritrovato due settimane dopo in uno stato spaventoso.
Silvia Cattori: Credo a quanto mi racconta, ma i nostri media - facendo affidamento sui resoconti di giornalisti entrati illegalmente in Siria - imputano sistematicamente al governo di el-Assad gli atti barbari che lei attribuisce agli estremisti sunniti. Come può capire il pubblico da che parte sta la verità?
Risposta: Le violenze e gli orrori che subiamo da ben un anno sono commessi dalle milizie. Conosciamo il nostro popolo; la nostra gente, i nostri soldati, non sono violenti. Fanno ciò che possono. Rischiano la vita per proteggerci da queste milizie armate che rapiscono, taglieggiano, uccidono. Più di 3.000 soldati sono morti nel corso dell’ultimo anno.
La situazione è diventata crudele, la vita quotidiana dei Siriani è sconvolta dal caos e dall’insicurezza provocata da queste milizie. È duro, molto duro, vedere le persone costrette ad andarsene, il popolo cadere nella miseria. Molti hanno perso il lavoro. Le sanzioni dell’Onu aggravano la situazione.
Silvia Cattori: Abbiamo appreso ascoltandola che Baba Amro era un quartiere abbandonato dai suoi abitanti da molto tempo. Nessuno dei nostri media ha raccontato questo. Quando l’esercito ha dato l’assalto all’ESL [Esercito Siriano Libero], quindi, non c’erano civili presi in ostaggio, come pretendeva l’informazione nostrana?
Risposta: Mio fratello è rientrato due volte a Baba Amro nel mese di novembre per trasportarvi delle merci. Ci ha raccontato che la quasi totalità degli abitanti aveva lasciato il quartiere, che tutto era stato distrutto, i negozi erano chiusi. C’era ancora acqua ed elettricità, ma pochissime persone; cento o duecento famiglie al massimo. Si pensi che a Baba Amro vivevano 90.000 persone prima dell’arrivo delle milizie armate.
Silvia Cattori: Quante persone sono fuggite da Homs?
Risposta: La grande maggioranza degli abitanti di Homs e dei sobborghi della città è scappata [4]. Penso diverse centinaia di migliaia di persone. Quando sono tornato a Bab Sebaa a novermbe, nella via dove abitavo solo due famiglie, su cinquecento, erano ancora lì. Tutti sono scappati, cristiani, sunniti, alauiti.
Silvia Cattori: Quando ha sentito che i combattenti dell’ESL erano stati cacciati da Baba Amro, cosa ha provato?
Risposta: Un grande sollievo. Da tempo aspettavamo l’intervento dell’esercito. Le immagini mostrate durante l’assalto di febbraio possono far credere che sia stato l’esercito governativo a distruggere Baba Amro. Ma come ricordavo prima, Baba Amro era stato stato distrutto molto prima dalle milizie.
Silvia Cattori: A Baba Amro ora la popolazione può rientrare, i gruppi armati sono stati cacciati. Che ne è degli altri quartieri?
Risposta: Uno dei quartieri più problematici, ora, è quello di Al Hamidia. Vi si trova una piccola minoranza di sunniti. I cristiani che vi sono rimasti hanno passato dei momenti molto duri. Sono stati vittime di aggressioni, furti, rapimenti, da mesi ormai. La gente non osava più uscire di casa. L’esercito non poteva andare in loro aiuto perché i miliziani controllavano le vie di accesso, avevano occupato le case dei cristiani e li tenevano in ostaggio.
L’unico quartiere di Homs da cui la gente non sia fuggita in massa è quello di Akrama [come invece nel caso di Al Hamidia]. È ad Akrama, dove cristiani e alauiti sono in maggioranza, che le persone in cerca di maggiore sicurezza cercavano di trovare un alloggio. Gli abitanti si sono organizzati per proteggersi. Qui gli abitanti si sentivano più sicuri rispetto le altre zone di Homs, almeno fino a gennaio.
I cristiani vivono la Quaresima “in silenzio, con le mani vuote, il cuore pesante e gli occhi rivolti a Cristo Risorto, che guida i nostri passi sulla via del perdono e della pace”
L’Arcivescovo Maronita: “Cristiani impotenti, mentre il conflitto è in un vicolo cieco”
“La sofferenza che viviamo è grande. Stiamo assistendo impotenti al dramma. Per fortuna il Santo Padre Benedetto XVI colma il vuoto chiedendo pace, giustizia, dialogo e riconciliazione” dice all’Agenzia Fides Mons. Samir Nassar, Arcivescovo maronita di Damasco, a un anno dall’inizio della rivolta e della violenza in Siria.
In un messaggio inviato a Fides, l’Arcivescovo ricorda che “quella che era iniziata come una piccola manifestazione nella parte meridionale della Siria, il 15 marzo 2011, si è ora trasformata in una crisi che inghiotte ogni città del paese. Di fronte a una crisi che, in un anno, è cresciuta dal livello locale a proporzioni regionali, la Siria è diventata una zona di conflitto internazionale, in cui la posta in gioco, che è politica, militare ed economica, sta plasmando il futuro del paese”.
Mons. Nassar nota che “il conflitto è in un vicolo cieco: da un lato, un forte potere centralizzato che rifiuta di farsi da parte; dall'altro, una sollevazione popolare che non accenna ad arrendersi, nonostante l'intensità della violenza. Questo conflitto, che sta paralizzando il paese, ha portato sanzioni economiche, inflazione, svalutazione della moneta locale (-60%), aumento della disoccupazione, distruzione, popolazioni sfollate e vittime a migliaia”. La gente “è sottoposta a pressioni enormi e intensa sofferenza, che cresce col passare del tempo. Odio, divisioni e miseria aumentano, in assenza di atti di compassione e di aiuti umanitari. La Siria sembra stretta nella morsa di una impasse mortale”, rimarca con preoccupazione.
Sulla condizione dei cristiani, l’Arcivescovo afferma: “L'attuale situazione di stallo sta alimentando l'angoscia dei fedeli che, alla fine di ogni Messa, si salutano con un addio, avvertendo così incerto il loro futuro. Le chiusure delle ambasciate a Damasco ha reso impossibile ottenere i visti, in modo da limitare notevolmente la possibilità di lasciare il paese”.
“In questo momento di grande tormento e divisione – spiega Mons. Nassar – la famiglia diventa l'unico rifugio per le vittime della crisi. La famiglia agisce come uno scudo che garantisce la sopravvivenza della società e della Chiesa. Per questo motivo, di fronte a tale tragedia, la Chiesa ha scelto di focalizzare la propria attenzione e preghiera per le famiglie, fornendo loro tutto l'aiuto e il sostegno possibile”.
Ma intanto “la crisi non sembra volgere al termine. Piuttosto, la tempesta è sempre più forte e non si vede la fine del tunnel”. Il quesito cruciale è: “Dove andrà e che fine farà la Siria?”. Con tale preoccupazione, conclude l’Arcivescovo, i cristiani vivono la Quaresima “in silenzio, con le mani vuote, il cuore pesante e gli occhi rivolti a Cristo Risorto, che guida i nostri passi sulla via del perdono e della pace”. (PA)
(Agenzia Fides 15/3/2012)
“La sofferenza che viviamo è grande. Stiamo assistendo impotenti al dramma. Per fortuna il Santo Padre Benedetto XVI colma il vuoto chiedendo pace, giustizia, dialogo e riconciliazione” dice all’Agenzia Fides Mons. Samir Nassar, Arcivescovo maronita di Damasco, a un anno dall’inizio della rivolta e della violenza in Siria.
In un messaggio inviato a Fides, l’Arcivescovo ricorda che “quella che era iniziata come una piccola manifestazione nella parte meridionale della Siria, il 15 marzo 2011, si è ora trasformata in una crisi che inghiotte ogni città del paese. Di fronte a una crisi che, in un anno, è cresciuta dal livello locale a proporzioni regionali, la Siria è diventata una zona di conflitto internazionale, in cui la posta in gioco, che è politica, militare ed economica, sta plasmando il futuro del paese”.
Mons. Nassar nota che “il conflitto è in un vicolo cieco: da un lato, un forte potere centralizzato che rifiuta di farsi da parte; dall'altro, una sollevazione popolare che non accenna ad arrendersi, nonostante l'intensità della violenza. Questo conflitto, che sta paralizzando il paese, ha portato sanzioni economiche, inflazione, svalutazione della moneta locale (-60%), aumento della disoccupazione, distruzione, popolazioni sfollate e vittime a migliaia”. La gente “è sottoposta a pressioni enormi e intensa sofferenza, che cresce col passare del tempo. Odio, divisioni e miseria aumentano, in assenza di atti di compassione e di aiuti umanitari. La Siria sembra stretta nella morsa di una impasse mortale”, rimarca con preoccupazione.
Sulla condizione dei cristiani, l’Arcivescovo afferma: “L'attuale situazione di stallo sta alimentando l'angoscia dei fedeli che, alla fine di ogni Messa, si salutano con un addio, avvertendo così incerto il loro futuro. Le chiusure delle ambasciate a Damasco ha reso impossibile ottenere i visti, in modo da limitare notevolmente la possibilità di lasciare il paese”.
“In questo momento di grande tormento e divisione – spiega Mons. Nassar – la famiglia diventa l'unico rifugio per le vittime della crisi. La famiglia agisce come uno scudo che garantisce la sopravvivenza della società e della Chiesa. Per questo motivo, di fronte a tale tragedia, la Chiesa ha scelto di focalizzare la propria attenzione e preghiera per le famiglie, fornendo loro tutto l'aiuto e il sostegno possibile”.
Ma intanto “la crisi non sembra volgere al termine. Piuttosto, la tempesta è sempre più forte e non si vede la fine del tunnel”. Il quesito cruciale è: “Dove andrà e che fine farà la Siria?”. Con tale preoccupazione, conclude l’Arcivescovo, i cristiani vivono la Quaresima “in silenzio, con le mani vuote, il cuore pesante e gli occhi rivolti a Cristo Risorto, che guida i nostri passi sulla via del perdono e della pace”. (PA)
(Agenzia Fides 15/3/2012)
martedì 13 marzo 2012
I Francescani: “Urge uno sforzo di dialogo e di pace; non lasceremo le nostre missioni”
Damasco (Agenzia Fides) – “Le Ambasciate dei paesi occidentali chiudono, noi francescani restiamo, per stare accanto alla gente. Siamo qui da otto secoli, non lasceremo le nostre missioni, vogliamo continuare l’opera di amore e servizio a tutto il popolo siriano”: è quanto dice all’Agenzia Fides, fra Romualdo Fernandez, OFM, direttore del Centro ecumenico di Tabbale (Damasco) e Rettore del Santuario dedicato alla Conversione di San Paolo, a Damasco.
A un anno dall’inizio della rivolta, le Nazioni Unite hanno annunciato 8.000 vittime, mentre Ong come “Human Rights Watch” lanciano l’allarme per le mine antiuomo disseminate sulle strade verso il Libano. “La gente ha paura. Vediamo che aumentano le famiglie, anche cristiane, che lasciano la Siria per il timore di un futuro incerto e cupo. Anche il costo della vita è salito e per molti la quotidianità diventa insostenibile” racconta il francescano.
P. Fernandez lancia un appello: “Bisognerebbe investire di più e fare uno sforzo maggiore per promuovere il dialogo fra governo e opposizione. La comunità internazionale e i mass-media dovrebbero spingere di più per il dialogo”. I francescani auspicano “un incontro positivo, costruttivo, non violento per una apertura democratica e per riportare la pace”.
Il frate spiega: “La gente teme il risultato politico dopo le sommosse. La situazione è molto complessa: c’è la questione del confronto fra le diverse componenti della popolazione siriana e, d’altro canto, ci sono le pressioni degli stati vicini, in Medio Oriente. Noi cristiani, guardando l’odierna situazione dell’Iraq, speriamo che la popolazione siriana non soffra come quella irachena, martirizzata anche dopo la guerra. Quello che i cristiani temono è un vuoto di potere, che lasci spazio alle mafie, all’ingiustizia, agli estremismi. Noi comunque continueremo a pregare e a stare accanto alla popolazione”. (PA) (Agenzia Fides 13/3/2012)
“Rispetto dei diritti umani: perchè si applica in modo selettivo?”, chiede il Vicario Apostolico Mons Nazzaro
Aleppo (Agenzia Fides)
– “L'Occidente ricordi sempre di non fare agli altri quello che non vorrebbe sia fatto a se stesso”: con queste parole, ricordando un “motto della Sacra Scrittura”, Mons. Giuseppe Nazzaro OFM, Vicario Apostolico di Aleppo dei Latini, commenta all’Agenzia Fides l'attuale situazione in Siria, all'indomani della visita di Kofi Annan. Secondo gli osservatori, l'inviato dell'Onu ha lasciato la Siria senza importanti passi in avanti per fermare il conflitto in corso.
“Nè governo nè opposizione hanno accettato le proposte di cessate il fuoco o di dialogo”, nota con rammarico il Vicario. “Che l’opposizione sia guidata e manipolata fin dall'inizio, i timori sono fondati: vi sono in gioco altre sponde”, riferisce con preoccupazione. Secondo informazioni filtrate negli ultimi giorni e riportate dai mass-media (come AKI - Adnkronos International), il conflitto sarebbe alimentato anche da settori islamisti della società siriana.
Il Vicario rimarca a Fides: “L'Occidente, se vuole interessarsi del Medio Oriente, deve abbracciare tutta l'area che va dal Mediterraneo fino al Golfo Persico. Non si possono considerare solo dati eventi o situazioni, perché così vuole una certa filosofia occidentale. Per attuare profondi cambiamenti culturali e sociali ci vogliono secoli: non si possono pretendere immediati risultati, non si può ragionare con un metro di pensiero puramente occidentale”.
P. Nazzaro continua: “Perché il rispetto dei diritti umani si applica in modo selettivo solo alla Siria? Forse per ragioni politiche o commerciali? In molti altri stati del mondo, nello stesso Medio Oriente, avvengono abusi peggiori, nel generale silenzio. Intanto gli stati che perpetrano tali abusi votano risoluzioni all’Onu contro la Siria. Dove sta la morale?”, conclude. (PA) (Agenzia Fides 12/3/2012)
A un anno dall’inizio della rivolta, le Nazioni Unite hanno annunciato 8.000 vittime, mentre Ong come “Human Rights Watch” lanciano l’allarme per le mine antiuomo disseminate sulle strade verso il Libano. “La gente ha paura. Vediamo che aumentano le famiglie, anche cristiane, che lasciano la Siria per il timore di un futuro incerto e cupo. Anche il costo della vita è salito e per molti la quotidianità diventa insostenibile” racconta il francescano.
P. Fernandez lancia un appello: “Bisognerebbe investire di più e fare uno sforzo maggiore per promuovere il dialogo fra governo e opposizione. La comunità internazionale e i mass-media dovrebbero spingere di più per il dialogo”. I francescani auspicano “un incontro positivo, costruttivo, non violento per una apertura democratica e per riportare la pace”.
Il frate spiega: “La gente teme il risultato politico dopo le sommosse. La situazione è molto complessa: c’è la questione del confronto fra le diverse componenti della popolazione siriana e, d’altro canto, ci sono le pressioni degli stati vicini, in Medio Oriente. Noi cristiani, guardando l’odierna situazione dell’Iraq, speriamo che la popolazione siriana non soffra come quella irachena, martirizzata anche dopo la guerra. Quello che i cristiani temono è un vuoto di potere, che lasci spazio alle mafie, all’ingiustizia, agli estremismi. Noi comunque continueremo a pregare e a stare accanto alla popolazione”. (PA) (Agenzia Fides 13/3/2012)
“Rispetto dei diritti umani: perchè si applica in modo selettivo?”, chiede il Vicario Apostolico Mons Nazzaro
Aleppo (Agenzia Fides)
– “L'Occidente ricordi sempre di non fare agli altri quello che non vorrebbe sia fatto a se stesso”: con queste parole, ricordando un “motto della Sacra Scrittura”, Mons. Giuseppe Nazzaro OFM, Vicario Apostolico di Aleppo dei Latini, commenta all’Agenzia Fides l'attuale situazione in Siria, all'indomani della visita di Kofi Annan. Secondo gli osservatori, l'inviato dell'Onu ha lasciato la Siria senza importanti passi in avanti per fermare il conflitto in corso.
“Nè governo nè opposizione hanno accettato le proposte di cessate il fuoco o di dialogo”, nota con rammarico il Vicario. “Che l’opposizione sia guidata e manipolata fin dall'inizio, i timori sono fondati: vi sono in gioco altre sponde”, riferisce con preoccupazione. Secondo informazioni filtrate negli ultimi giorni e riportate dai mass-media (come AKI - Adnkronos International), il conflitto sarebbe alimentato anche da settori islamisti della società siriana.
Il Vicario rimarca a Fides: “L'Occidente, se vuole interessarsi del Medio Oriente, deve abbracciare tutta l'area che va dal Mediterraneo fino al Golfo Persico. Non si possono considerare solo dati eventi o situazioni, perché così vuole una certa filosofia occidentale. Per attuare profondi cambiamenti culturali e sociali ci vogliono secoli: non si possono pretendere immediati risultati, non si può ragionare con un metro di pensiero puramente occidentale”.
P. Nazzaro continua: “Perché il rispetto dei diritti umani si applica in modo selettivo solo alla Siria? Forse per ragioni politiche o commerciali? In molti altri stati del mondo, nello stesso Medio Oriente, avvengono abusi peggiori, nel generale silenzio. Intanto gli stati che perpetrano tali abusi votano risoluzioni all’Onu contro la Siria. Dove sta la morale?”, conclude. (PA) (Agenzia Fides 12/3/2012)
E l'albero si conosce dai suoi frutti...
Da IL FOGLIO QUOTIDIANO - 13 marzo 2012 - ore 11:40
Dalla piega che vanno assumendo gli eventi in Siria, forse possiamo incominciare a capire con una qualche certezza chi muoveva questa "primavera araba" siriana e a che scopo...
Dalla piega che vanno assumendo gli eventi in Siria, forse possiamo incominciare a capire con una qualche certezza chi muoveva questa "primavera araba" siriana e a che scopo...
C’è l’accordo segreto tra Teheran e Washington: Assad ha i giorni contati
Il regime di Bashar el Assad avrebbe ormai i giorni contati, spiegano al Foglio fonti d’intelligence. Il suo destino sarebbe stato deciso in una serie di colloqui segreti intercorsi negli ultimi mesi tra Washington e Teheran. L’Amministrazione americana avrebbe confermato il proprio impegno a proseguire sulla strada della diplomazia in riferimento alla questione del nucleare iraniano, garantendo la propria opposizione a eventuali iniziative militari da parte israeliana. In cambio, la Repubblica islamica rinuncerà a difendere il rais siriano, favorendone di conseguenza l’isolamento e la destituzione. L’unica condizione posta da Teheran per abbandonare Assad è la richiesta che la rimozione del presidente siriano e dei suoi fedelissimi avvenga sulla falsariga di quanto verificatosi in Egitto con Hosni Mubarak, assicurando il passaggio del potere nelle mani di una ben individuata troika militare che, riferiscono le nostre fonti, avrebbe accettato di tradire e rovesciare il regime di Damasco. Il tutto nell’ambito di un’operazione, denominata “Dba” (Destroy Bashar el Assad), che sarebbe stata perfezionata a livello logistico e organizzativo nel quartiere generale di Doha. Fondamentale sarebbe ancora una volta il ruolo del Qatar che, insieme all’Arabia Saudita, continua a sostenere la necessità di intervenire militarmente a sostegno dell’opposizione e del Consiglio nazionale siriano. Si spiegano così i continui viaggi nella capitale qatariota di esponenti di spicco di Hezbollah e Hamas che, dopo svariati incontri con emissari iraniani, avrebbero acconsentito alla messa in pratica della nuova linea tattica e strategica adottata da Teheran nei confronti di Assad.
domenica 11 marzo 2012
L’amministrazione Obama sembra cominciare a valutare il rischio concreto di consegnare la Siria agli islamisti
LA DERIVA ISLAMISTA DELLE PRIMAVERE ARABE
di Gianandrea Gaiani
Gli sviluppi della crisi siriana e la progressiva deriva islamista assunta dalla cosiddetta “primavera araba” mettono in discussione la strategia adottata finora dall’Occidente. Nonostante le rivolte dell’ultimo anno abbiano preso il via grazie a movimenti liberali e libertari il rovesciamento dei vecchi regimi ha visto affermarsi gruppi islamici che solo in parte e solo eufemisticamente possono venire definiti moderati. Un risultato paradossale se si valuta la strategia statunitense sviluppatasi dopo l’11 settembre e se si considera che tutti i regimi (Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia e persino Gheddafi in Libia) erano alleati o comunque legati a Washington e all’Occidente che li hanno sacrificati sull’altare di un cambiamento che pare oggi fuori controllo. La Libia è nel caos tra scontri tribali e penetrazione islamista. Della settantina di milizie che stanno “feudalizzando” un Paese nel quale il Consiglio nazionale di transizione perde costantemente prestigio e influenza, le quattro più forti sono di matrice islamista e stanno inviando combattenti in Siria per il jihad contro il regime di Bashar Assad. In Egitto il Parlamento è in mano a Fratelli Musulmani e salafiti grazie ad elezioni farsa che hanno prodotto 52 milioni di voti contro soli 40 milioni di elettori. Oggi il loro potere si confronta, anche in cerca di compromessi, con quello dei militari che fin dalla caduta della monarchia hanno sempre governato ed espresso il presidente. Anche in Tunisia al successo del partito Ennhada, espressione dei Fratelli Musulmani, si affianca il crescente peso del “Partito della Liberazione”, formazione salafita che spesso conduce azioni violente per colpire persone e locali pubblici che non rispettano i dettami del più stretto islamismo. Azioni che preoccupano i laici, in un Paese tra i più moderni e aperti del mondo arabo, ma anche i servizi di sicurezza occidentali che rilevano in Tunisia la crescente presenza di salafiti già noti in Europa per il sostegno al terrorismo islamico. Come ha ricordato recentemente Massimo Amorosi, analista dell'Osservatorio Geopolitico Mediorientale di Roma, ha creato tensioni in Tunisia la visita del predicatore egiziano Wajdi Ghuneim, che in diversi sermoni ha invocato l'applicazione della Sharia e il ripristino della mutilazione genitale femminile. Il religioso noto per i rapporti con il gruppo palestinese Hamas (altro movimento legato ai Fratelli Musulmani) è un ex militare al quale è precluso il soggiorno in Gran Bretagna per “apologia della violenza terroristica”.
Una strana alleanza
La strategia messa a punto dall’Occidente di fronte alle rivoluzioni (o involuzioni) arabe resta in parte da decifrare. Emerge un asse che unisce statunitensi, franco-britannici e turchi alla Lega Araba e soprattutto ad Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti che insieme alla Giordania hanno svolto un ruolo finanziario e militare nel rovesciare Gheddafi e premono oggi per far cadere Bashar Assad. Così come emerge la crescente influenza turca nell’area compresa tra il Mediterraneo e l’Asia Centrale. Un contesto nel quale spicca ancora una volta l’assenza imbarazzante dell’Unione Europea in una crisi che si sviluppa minacciosamente nel suo giardino di casa. Londra e Parigi, tornate protagoniste sulla scena internazionale, schierano truppe scelte e istruttori militari al fianco degli insorti siriani così come fecero in Libia. Iniziative che rispondono a interessi nazionali non certi comunitari. Pare evidente la volontà di Washington e di Ankara di favorire la nascita di un blocco arabo sunnita che, rovesciando il regime scita siriano, isoli l’Iran e i miliziani libanesi Hezbollah. Non mancano però i dubbi su un’iniziativa che rischia di far cadere la principale area petrolifera del mondo nelle mani di gruppi radicali islamisti, parenti a volte molto stretti delle milizie di al-Qaeda e dei talebani afghani con i quali gli statunitensi stanno trattando, non a caso, in Qatar. Paradossale che le forze speciali britanniche segnalate a Homs al fianco dei ribelli siriani, combattano dalla stessa parte delle milizie irachene di al-Qaeda loro acerrime nemiche in Iraq. La presenza in Siria delle cellule di “al Qaeda in Mesopotamia”, dopo i devastanti attentati di Damasco e Aleppo contro comandi militari e di polizia, è stata ufficializzata da Baghdad e dall’intelligence statunitense. Ammissioni che hanno sgombrato il campo dalla propaganda degli insorti che indicava lo stesso regime di Assad come responsabile delle autobombe. Desta non pochi interrogativi e imbarazzi anche la considerazione che gli stessi Paesi che oggi combattono per impedire ai talebani di riportare la sharia a Kabul siano politicamente e militarmente impegnati a portarla a Tripoli, Damasco e in tutto il Medio Oriente così come è evidente che il sostegno delle monarchie arabe del Golfo alla libertà e alla democrazia venga meno quando a chiederle sono gli abitanti del Bahrein (dove Riad ha inviato truppe a sostegno dell’emiro) o gli stessi cittadini sauditi e del Qatar.
L’impasse siriana
L’amministrazione Obama sembra cominciare a valutare il rischio concreto di consegnare la Siria agli islamisti soprattutto dopo le amare lezioni giunte dalla Libia dove imponenti arsenali di armi moderne sono passati dai depositi dell’esercito di Gheddafi alle mani di insorti e terroristi di al-Qaeda nel Sahel , in Sudan e persino a Gaza e in Libano. Damasco dispone di ampie riserve di armi chimiche disseminate in una cinquantina di depositi che verrebbero tenuti d’occhio dai velivoli teleguidati statunitensi decollati dalla Turchia e forse anche da Israele e dalle basi britanniche a Cipro. Nelle mani di terroristi e jihadisti i gas nervini (Sarin e VX) di Assad diverrebbero armi micidiali se impiegate contro obbiettivi civili in ambienti urbani. Una preoccupazione che sembra smorzare le possibilità di un intervento militare internazionale sulla falsariga di quello attuato in Libia per non creare escalation e caos che faciliterebbero la sottrazione di armi di distruzione di massa ma anche delle sofisticate armi convenzionali di produzione russa in dotazione alle forze di Damasco. Quella siriana è però già a tutti gli effetti una guerra civile dove dei circa 7.500 morti registrati quasi un terzo sono militari e poliziotti governativi. Il conflitto siriano registra inoltre una progressiva internazionalizzazione. Aiuti militari, denaro e istruttori per i campi militari dei ribelli in Turchia giungono da Occidente e Paesi arabi mentre Russia, Cina e Iran appoggiano Damasco. Pasdaran iraniani e consiglieri militari russi affiancano le truppe governative che, nel timore di interventi militari stranieri e per ostacolare i traffici di armi che riforniscono i ribelli, già nel novembre scorso hanno minato i confini con Giordania, Turchia e Libano (le frontiere con Israele sul Golan sono già da tempo minate). Per Mosca non si tratta solo di difendere un alleato storico e un importante cliente ma anche di arginare islamismo e jihadismo che già minacciano la Russia caucasica e le repubbliche centro-asiatiche che in passato furono sovietiche ma prima ancora parte rilevante dell’impero ottomano. Il vertice di Tunisi dei cinquanta Paesi auto definitisi “amici della Siria” ha evidenziato le titubanze di Washington e dell’Occidente che mirano a mettere a punto una risoluzione che chieda la fine delle violenze per consentire a personale delle Nazioni Unite e alle agenzie umanitarie di entrare a Homs, contesa da governativi e ribelli. Difficile valutare se si tratti di un primo passo verso un intervento militare giustificato da “esigenze umanitarie” o di un ripensamento strategico dovuto al rischio di togliere di mezzo Assad per regalare la Siria ai jihadisti.
http://cca.analisidifesa.it/it/magazine_8034243544/numero126/article_335127405250543564512322863788_3717816370_0.jsp
di Gianandrea Gaiani
Gli sviluppi della crisi siriana e la progressiva deriva islamista assunta dalla cosiddetta “primavera araba” mettono in discussione la strategia adottata finora dall’Occidente. Nonostante le rivolte dell’ultimo anno abbiano preso il via grazie a movimenti liberali e libertari il rovesciamento dei vecchi regimi ha visto affermarsi gruppi islamici che solo in parte e solo eufemisticamente possono venire definiti moderati. Un risultato paradossale se si valuta la strategia statunitense sviluppatasi dopo l’11 settembre e se si considera che tutti i regimi (Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia e persino Gheddafi in Libia) erano alleati o comunque legati a Washington e all’Occidente che li hanno sacrificati sull’altare di un cambiamento che pare oggi fuori controllo. La Libia è nel caos tra scontri tribali e penetrazione islamista. Della settantina di milizie che stanno “feudalizzando” un Paese nel quale il Consiglio nazionale di transizione perde costantemente prestigio e influenza, le quattro più forti sono di matrice islamista e stanno inviando combattenti in Siria per il jihad contro il regime di Bashar Assad. In Egitto il Parlamento è in mano a Fratelli Musulmani e salafiti grazie ad elezioni farsa che hanno prodotto 52 milioni di voti contro soli 40 milioni di elettori. Oggi il loro potere si confronta, anche in cerca di compromessi, con quello dei militari che fin dalla caduta della monarchia hanno sempre governato ed espresso il presidente. Anche in Tunisia al successo del partito Ennhada, espressione dei Fratelli Musulmani, si affianca il crescente peso del “Partito della Liberazione”, formazione salafita che spesso conduce azioni violente per colpire persone e locali pubblici che non rispettano i dettami del più stretto islamismo. Azioni che preoccupano i laici, in un Paese tra i più moderni e aperti del mondo arabo, ma anche i servizi di sicurezza occidentali che rilevano in Tunisia la crescente presenza di salafiti già noti in Europa per il sostegno al terrorismo islamico. Come ha ricordato recentemente Massimo Amorosi, analista dell'Osservatorio Geopolitico Mediorientale di Roma, ha creato tensioni in Tunisia la visita del predicatore egiziano Wajdi Ghuneim, che in diversi sermoni ha invocato l'applicazione della Sharia e il ripristino della mutilazione genitale femminile. Il religioso noto per i rapporti con il gruppo palestinese Hamas (altro movimento legato ai Fratelli Musulmani) è un ex militare al quale è precluso il soggiorno in Gran Bretagna per “apologia della violenza terroristica”.
Una strana alleanza
La strategia messa a punto dall’Occidente di fronte alle rivoluzioni (o involuzioni) arabe resta in parte da decifrare. Emerge un asse che unisce statunitensi, franco-britannici e turchi alla Lega Araba e soprattutto ad Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti che insieme alla Giordania hanno svolto un ruolo finanziario e militare nel rovesciare Gheddafi e premono oggi per far cadere Bashar Assad. Così come emerge la crescente influenza turca nell’area compresa tra il Mediterraneo e l’Asia Centrale. Un contesto nel quale spicca ancora una volta l’assenza imbarazzante dell’Unione Europea in una crisi che si sviluppa minacciosamente nel suo giardino di casa. Londra e Parigi, tornate protagoniste sulla scena internazionale, schierano truppe scelte e istruttori militari al fianco degli insorti siriani così come fecero in Libia. Iniziative che rispondono a interessi nazionali non certi comunitari. Pare evidente la volontà di Washington e di Ankara di favorire la nascita di un blocco arabo sunnita che, rovesciando il regime scita siriano, isoli l’Iran e i miliziani libanesi Hezbollah. Non mancano però i dubbi su un’iniziativa che rischia di far cadere la principale area petrolifera del mondo nelle mani di gruppi radicali islamisti, parenti a volte molto stretti delle milizie di al-Qaeda e dei talebani afghani con i quali gli statunitensi stanno trattando, non a caso, in Qatar. Paradossale che le forze speciali britanniche segnalate a Homs al fianco dei ribelli siriani, combattano dalla stessa parte delle milizie irachene di al-Qaeda loro acerrime nemiche in Iraq. La presenza in Siria delle cellule di “al Qaeda in Mesopotamia”, dopo i devastanti attentati di Damasco e Aleppo contro comandi militari e di polizia, è stata ufficializzata da Baghdad e dall’intelligence statunitense. Ammissioni che hanno sgombrato il campo dalla propaganda degli insorti che indicava lo stesso regime di Assad come responsabile delle autobombe. Desta non pochi interrogativi e imbarazzi anche la considerazione che gli stessi Paesi che oggi combattono per impedire ai talebani di riportare la sharia a Kabul siano politicamente e militarmente impegnati a portarla a Tripoli, Damasco e in tutto il Medio Oriente così come è evidente che il sostegno delle monarchie arabe del Golfo alla libertà e alla democrazia venga meno quando a chiederle sono gli abitanti del Bahrein (dove Riad ha inviato truppe a sostegno dell’emiro) o gli stessi cittadini sauditi e del Qatar.
L’impasse siriana
L’amministrazione Obama sembra cominciare a valutare il rischio concreto di consegnare la Siria agli islamisti soprattutto dopo le amare lezioni giunte dalla Libia dove imponenti arsenali di armi moderne sono passati dai depositi dell’esercito di Gheddafi alle mani di insorti e terroristi di al-Qaeda nel Sahel , in Sudan e persino a Gaza e in Libano. Damasco dispone di ampie riserve di armi chimiche disseminate in una cinquantina di depositi che verrebbero tenuti d’occhio dai velivoli teleguidati statunitensi decollati dalla Turchia e forse anche da Israele e dalle basi britanniche a Cipro. Nelle mani di terroristi e jihadisti i gas nervini (Sarin e VX) di Assad diverrebbero armi micidiali se impiegate contro obbiettivi civili in ambienti urbani. Una preoccupazione che sembra smorzare le possibilità di un intervento militare internazionale sulla falsariga di quello attuato in Libia per non creare escalation e caos che faciliterebbero la sottrazione di armi di distruzione di massa ma anche delle sofisticate armi convenzionali di produzione russa in dotazione alle forze di Damasco. Quella siriana è però già a tutti gli effetti una guerra civile dove dei circa 7.500 morti registrati quasi un terzo sono militari e poliziotti governativi. Il conflitto siriano registra inoltre una progressiva internazionalizzazione. Aiuti militari, denaro e istruttori per i campi militari dei ribelli in Turchia giungono da Occidente e Paesi arabi mentre Russia, Cina e Iran appoggiano Damasco. Pasdaran iraniani e consiglieri militari russi affiancano le truppe governative che, nel timore di interventi militari stranieri e per ostacolare i traffici di armi che riforniscono i ribelli, già nel novembre scorso hanno minato i confini con Giordania, Turchia e Libano (le frontiere con Israele sul Golan sono già da tempo minate). Per Mosca non si tratta solo di difendere un alleato storico e un importante cliente ma anche di arginare islamismo e jihadismo che già minacciano la Russia caucasica e le repubbliche centro-asiatiche che in passato furono sovietiche ma prima ancora parte rilevante dell’impero ottomano. Il vertice di Tunisi dei cinquanta Paesi auto definitisi “amici della Siria” ha evidenziato le titubanze di Washington e dell’Occidente che mirano a mettere a punto una risoluzione che chieda la fine delle violenze per consentire a personale delle Nazioni Unite e alle agenzie umanitarie di entrare a Homs, contesa da governativi e ribelli. Difficile valutare se si tratti di un primo passo verso un intervento militare giustificato da “esigenze umanitarie” o di un ripensamento strategico dovuto al rischio di togliere di mezzo Assad per regalare la Siria ai jihadisti.
http://cca.analisidifesa.it/it/magazine_8034243544/numero126/article_335127405250543564512322863788_3717816370_0.jsp
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