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sabato 3 marzo 2012

Il male minore

 Ecco perché i cristiani avranno comunque la peggio

da "Il Sussidiario"
sabato 3 marzo 2012
 

L’esercito del presidente siriano Bashar Assad ha riconquistato Baba Amr, il quartiere della città di Homs che era stato liberato dai ribelli. Nel frattempo si intensificano le violazioni dei diritti umani da parte del regime. Secondo quanto riferisce il Media Center of Syrian Revolution, una fonte di informazioni vicina ai ribelli, solo a febbraio nel quartiere di Baba Amr sarebbero morte 420 persone, inclusi 19 bambini, 22 donne e 13 ragazzi deceduti in carcere durante le torture. Le forze di Assad avrebbero aperto due dighe sul fiume Assi, minacciando di allagare l’area archeologica di Darkoush. Elementi fedeli al regime avrebbero inoltre sequestrato e distrutto le medicine dalle farmacie per impedire ai cittadini rimasti feriti di ricevere medicazioni. Ilsussidiario.net ha intervistato Gian Micalessin, inviato de Il Giornale, sulla posta in gioco dell’attuale fase del conflitto siriano.
Micalessin, quali sono i principali rischi di quanto sta avvenendo in Siria?
Innanzitutto, nella componente dei rivoltosi siriani c’è un’altissima percentuale di Fratelli musulmani. Non a caso se guardiamo i messaggi che corrono sul web, scopriamo che una componente dei Fratelli musulmani libici in questi giorni ha raggiunto la Siria per combattere. Lo scenario che si ripete è sempre lo stesso: il Qatar utilizza i Fratelli musulmani, sostenendoli e finanziandoli, per portare al successo le rivolte nei vari Paesi arabi e quindi controllarli. E’ quanto è avvenuto in Tunisia, dove le elezioni sono state vinte dagli islamisti del partito di Ennahda. La stessa dinamica si è vista in Egitto, dove i Fratelli musulmani hanno conquistato il 47% dei seggi. Durante la rivoluzione libica, il Qatar ha inviato direttamente i suoi militari e dopo la caduta di Gheddafi ha favorito le fazioni islamiste. In Siria stiamo assistendo allo stesso scenario, con un elemento in più: l’influenza della Turchia, grande potenza musulmana che si affaccia sul Medio Oriente e appoggia vari gruppi e componenti. Tra i rischi della Siria ci sono anche quelli di un’opposizione divisa e incapace di contrapporsi al regime.
Come valuta la situazione dei cristiani, che rischiano di trovarsi tra due fuochi?
I cristiani siriani hanno purtroppo di fronte l’esempio non felice dell’Iraq, dove una volta caduto il regime di Saddam si sono trovati alla mercé dei fondamentalisti. I cristiani in Iraq sono stati sterminati e le loro chiese sono state attaccate. Per salvarsi, i cristiani irakeni sono fuggiti proprio in Siria. I cristiani siriani, che hanno ascoltato i loro racconti, oggi si chiedono se accadrà loro la stessa cosa. Per questo per il momento preferiscono appoggiare il regime piuttosto che stare con i rivoltosi. E’ una scelta determinata da condizioni oggettive. Spostandoci in Egitto, i copti del resto non hanno certo tratto vantaggio dalla rivoluzione, che ha fatto sì che le chiese fossero attaccate e i cristiani fossero discriminati.

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venerdì 2 marzo 2012

Nel 2012 divampa la guerra contro i cristiani

 Adesso tocca alla Siria

da " Corrispondenza Romana"
(di Giulio Meotti su Il Foglio del 18-02-2012)

“The war on christians”. La guerra ai cristiani. Così ha titolato la copertina di Newsweek. Il servizio di otto pagine della rivista era firmato da Ayaan Hirsi Ali, la dissidente e apostata di origini somale attualmente residente a Washington, dove lavora per l’American Enterprise Institute for Public Policy Research. Adesso un nuovo rapporto dell’organizzazione no profit Open Doors getta nuova luce sulle dimensioni di questa agonia nel mondo islamico.

Nel documento annuale World Watch List 2012, Open Doors elenca otto su dieci paesi islamici fra le nazioni dove la fede cristiana viene di più perseguitata. Gli altri due, Corea del nord e Laos, sono regimi comunisti in cui l’anticristianesimo è dogma di stato. A Pyongyang, da quando si è instaurato il regime comunista nel 1953, sono scomparsi circa 300 mila cristiani e adesso si stima che vi siano dai 50 ai 70 mila cristiani nei terribili campi-prigione a causa della loro fede. Ma più generalmente ben 32 delle 50 nazioni della classifica sono islamiche.
“Si tratta di un genocidio in corso che meriterebbe un allarme globale”, scrive Ayaan Hirsi Ali. “La cospirazione del silenzio che avvolge quest’espressione di intolleranza religiosa deve finire”. Un consistente peggioramento è registrato per i cristiani in Pakistan, che entra nella top ten, mentre il Sudan passa dal 35esimo al sedicesimo posto. La Nigeria vanta il più alto numero di martiri cristiani e passa dal 23esimo al tredicesimo posto.
Nell’Egitto della “primavera araba” scenari di attentati a chiese e gruppi di cristiani portano il paese dalla diciannovesima alla quindicesima posizione. L’Afghanistan è al secondo posto, seguito dall’Arabia Saudita, custode della Mecca e di Medina, che vieta ufficialmente ogni culto non islamico. Poi troviamo la Somalia e l’Iran, dove un pastore aspetta la condanna a morte per apostasia.
Questa preziosa World Watch List, la lista nera dei paesi ove la persecuzione è più dura, è compilata attraverso un questionario appositamente progettato, composto da cinquanta domande sui vari aspetti della libertà religiosa. Dal 2003 a oggi, oltre 900 cristiani iracheni (per gran parte assiri) hanno trovato la morte negli attacchi terroristici nella sola Baghdad e 70 chiese sono state date alle fiamme.
Nel 2011 estremisti islamici hanno ucciso almeno 510 cristiani in Nigeria, dato alle fiamme o distrutto più di 350 chiese in dieci stati del nord. Impiegano armi da fuoco, bombe di benzina, persino machete, gridando “Allah Akbar” (Dio è grande) quando attaccano gruppi di cittadini. Tra i loro obiettivi si contano chiese, pub, consigli comunali, saloni di bellezza, banche.
Gli islamisti di Boko Haram si sono concentrati nell’eliminazione dei cattolici. Nel Sudan meridionale i cristiani sono bersaglio di bombardamenti aerei, omicidi mirati, sequestri e altre atrocità. Per la fine dell’anno, oltre 200 mila cristiani d’Egitto avranno abbandonato le loro case. Tutti gli occhi sono adesso puntati sulla Siria, dove si è passati da una rivolta contro il regime di Bashar el Assad a una guerra religiosa fra la maggioranza sunnita e le minoranze che detengono il potere: alawiti, ismailiti, cristiani, drusi e curdi.
I cristiani rappresentano poco meno del dieci per cento, tanto quanto gli alawiti, mentre i tre quarti dei siriani sono sunniti. Adnan al Aroor, sceicco esiliato in Arabia Saudita e fra i leader della rivolta contro Assad, ha incitato i seguaci, attraverso appelli e sermoni, a “fare a pezzi, tritare e dare in pasto ai cani” la carne dei cristiani, bollati come “collaborazionisti”.
La condizione dei cristiani è stata denunciata in un recente rapporto dell’agenzia cattolica Asia News: “Rivoluzione più ‘islamica’, cresce la violenza contro i cristiani”. A Homs, epicentro degli scontri, si contano già più di 230 cristiani uccisi. Nei quartieri misti l’80 per cento degli abitanti cristiani sono partiti e si sono stabiliti presso amici o parenti nelle regioni cristiane, spesso nei rifugi sulle montagne. I cristiani di Hama e della sua provincia fanno lo stesso. Il fenomeno è progressivo e implacabile.
Il paese si sta spaccando attorno alle linee etniche e confessionali. Musulmani sunniti non entrano più nei quartieri alawiti e viceversa. Al Qaida ha allungato le mani nella rivolta. Insieme al Libano, la Siria è oggi l’unico paese arabo dove l’islam non è formalmente definito religione di stato e la religione non è riportata sulle carte d’identità. Il regime degli Assad ha sempre usato la laicità per tenere assieme le etnie e dominare il paese.
Nel 1971, con la presa del potere da parte del colonnello Hafez el Assad, dal progetto di Costituzione venne omesso ogni riferimento all’islam come “religione di stato”. Migliaia di persone, mobilitate dai Fratelli musulmani, scesero in piazza per denunciare il “testo ateo”. Agnès-Mariam de la Croix, una delle voci più significative oggi della comunità cristiana siriana, ha dichiarato che “fino a ieri i cristiani non erano stati oggetto di una persecuzione ‘diretta’.
Ma oggi sembra che il dato stia cambiando. Come se la tendenza che covava stia diventando una consegna”. Il 25 gennaio è stato ucciso il primo prete cristiano, Basilios Nassar. Uno slogan della resistenza anti Assad promette scenari poco edificanti: “I cristiani a Beirut e gli alawiti al muro”.
Giulio Meotti

Il Consiglio di sicurezza interviene sulla crisi siriana

Dall' Osservatore Romano del 3 marzo 2012

Chiesto l’accesso alle zone dei combattimenti

DAMASCO, 2. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso disappunto per il fatto che non sia stato ancora concesso alla responsabile degli aiuti umanitari dell’Onu, Valérie Amos, l’accesso in Siria, e ha pertanto sollecitato le autorità di Damasco a provvedere. «I membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite richiedono alle autorità di Damasco che l’accesso di Amos sul territorio siriano venga concesso immediatamente e senza ostacoli» si legge nella dichiarazione del Consiglio.

I Quindici deplorano il rapido deterioramento della situazione umanitaria, in particolare il numero crescente di civili coinvolti, la carenza di cibo e di servizi sanitari disponibili, soprattutto nelle zone maggiormente interessate dagli scontri, come Homs, Hama, Deraa e Idlib. I Quindici richiedono inoltre l’accesso immediato, pieno e libero degli operatori umanitari, per garantire assistenza alla popolazione, e invitano il Governo siriano a collaborare pienamente con l’Onu e le altre organizzazioni umanitarie per consentire l’evacuazione dei feriti provenienti dalle zone colpite.

Intanto, oggi l’Ue ha annunciato che preparerà «ulteriori misure restrittive mirate contro il regime» siriano. La politica delle sanzioni proseguirà «fino a quando continueranno le violenze e gli abusi dei diritti umani» assicurano i Ventisette. Il premier britannico, Cameron, ha dichiarato che il Governo siriano «deve rispondere di crimini contro l’umanità perché responsabile della repressione nel Paese». La cosa fondamentale è «riunire gli elementi di prova e avere un’immagine della situazione in maniera che questo regime criminale risponda dei suoi atti».

Il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi di Sant’Agata, ha dichiarato che «la priorità in Siria è quella di portare aiuti a una popolazione che soffre».

Quello che sostengono controcorrente le comunità religiose presenti nel paese


Se vincono i rivoltosi per i cristiani ci sarà solo la fuga
di Alessandra Nucci

Il popolo siriano è con Assad, l'esercito non massacra i civili bensì li difende dalle bande armate e a soffiare sul fuoco sono i grandi media stranieri, arabi e occidentali, che falsificano i dati. Questa lettura alla rovescia della crisi siriana viene da fonti laiche, come la Rete Voltaire”,  ma anche da religiosi cristiani all’interno del Paese.

“L’80 per cento della popolazione è con il governo, come lo sono tutti i cristiani,” stima il vescovo caldeo di Aleppo, Mons Antoine Audo, gesuita, che ha accusato senza mezzi termini i grandi media, fra cui  la BBC e Al-Jazeera, di reportage non obiettivi e critiche ingiuste al regime di Assad.

Anche madre Agnès-Mariam de la Croix, superiora delle carmelitane del Monastero di Saint Jacques le Sulcis, che si trova in un villaggio a 90 km da Homs, sottolinea il divario fra la realtà sperimentata dalla popolazione e quella sposata dai grossi media internazionali. Questi presentano come una insurrezione popolare quello che i siriani e le televisioni locali conoscono come un tentativo di sovversione istigato da forze in gran parte estranee al paese. 

La religiosa ha fornito una serie di cronache dettagliate, a partire dall’aprile 2011 che sono state tradotte in inglese, arabo e italiano, ospitate su siti web di Francia, Italia, Belgio, Svizzera, Libano, Stati Uniti, Canada, Palestina, Syria, Israele e Africa del Nord.

“Qualsiasi cosa viene offerta su questo mercato derisorio dell’informazione,” ha scritto madre Agnès. Un esempio fra i tanti, il video realizzato da giovani siriani per promuovere una canzone araba. Vi appare una banda di giovani vestiti di nero che viaggiano armati su delle vetture decapottabili stile agenti di security. “Con nostro grande stupore lo stesso video è comparso su al-Jazeerah come prova dell’arroganza dei servizi segreti siriani.”

La fonte delle accuse a senso unico è una sola, concordano cattolici e Rete Voltaire: si chiama “Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo”, e ha sede a Londra. Per stabilire chi ha ragione si chiamano in causa i testimoni oculari. Rete Voltaire ricorda le manifestazioni alla presenza degli osservatori inviati dalla Lega araba: in tutto, secondo i giornali locali, a Homs sono scesi in piazza 3500 persone  per protestare contro il regime,  mentre oltre 100.000 si sono attivati a sostegno del Presidente al-Assad. E secondo l’Osservatorio di Londra? Nessuno a favore di Assad, 250.000 contro.

In questa situazione i siriani sul terreno hanno fatto vari tentativi per farsi prendere in considerazione dai grandi media, escludendo la possibilità di uno scambio di numeri. Fra questi una manifestazione in giugno in cui centinaia di migliaia di persone (secondo le fonti governative) tenevano per i bordi una bandiera siriana larga 18 metri e lunga oltre due chilometri (2.300 metri).

La Siria rimane uno dei Paesi del vicino Oriente in cui la libertà, compresa quella  religiosa, è relativamente bene assicurata. Quello che inquieta l’Occidente è che a Damasco hanno sede Hezbollah, che coltiva legami stretti con l’Iran, e l’ufficio politico di Hamas. Tuttavia, sostiene Madre Agnès, le grandi potenze giocano sul fondamentalismo religioso per mettere in risalto le differenze che separano, mentre i punti che uniscono sono molto più numerosi. “Per noi è uno spaesamento surreale la posizione di certi paesi: non siamo abituati a una Francia bellicosa, che favorisca l’estremismo e risusciti i vecchi demoni delle divisioni confessionali. La stessa sorpresa dagli Stati Uniti. Non hanno invaso l’Afghanistan per disfarsi di Al Qaeda ? Come possiamo vedere i fondamentalisti più feroci sollecitare l’aiuto degli USA? È il mondo all’incontrario.”

“Che cosa cerca l’Occidente? – si domanda la religiosa - La libertà o il fondamentalismo islamico? Oppure la libertà del fondamentalismo?”

Dopo il veto posto in Consiglio di Sicurezza da Russia e Cina a una risoluzione di condanna verso Damasco,  il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki Moon, ha annunciato che ritorneranno gli osservatori della Lega araba.

Italia Oggi Numero 036 pag. 13 del 11/2/2012

Una primavera piena di enigmi

L’allarme per il destino dei cristiani. I conflitti tra gruppi di potere che rischiano di degenerare in guerra civile.
Le occasioni perdute dei leader arabi e gli interventi interessati delle potenze occidentali. Intervista con Grégoire III Laham, patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti, su tutte le incognite che assillano il Medio Oriente

Intervista con Grégoire III Laham di Gianni Valente - 30 Giorni


Grégoire III Laham, patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti, ha la sua residenza abituale nel cuore della vecchia Damasco, a poche decine di metri dal luogo in cui san Paolo fu battezzato da Anania. Il suo è un punto d’osservazione unico per decifrare con occhi di vescovo quello che sta succedento in Siria.
Per indole, sua Beatitudine non è tipo da starsene tranquillo e silente davanti alle convulsioni che tormentano le vite dei suoi fratelli mediorientali, a cominciare dai cristiani. Già lo scorso marzo aveva convocato nella sede del Patriarcato quindici ambasciatori di nazioni occidentali e arabe residenti a Damasco: una consultazione aperta per discernere insieme l’apporto più lungimirante che la comunità internazionale avrebbe potuto fornire al superamento del conflitto siriano, per evitare che degenerasse in guerra civile. Poi, ad aprile, Grégoire ha raccolto spunti e suggerimenti emersi in quel colloquio in una lettera-documento, subito inviata a tutti i capi di Stato dell’area.
30Giorni ha incontrato il Patriarca dei Greco-Melkiti a Monaco di Baviera, dove Grégoire III ha preso parte al venticinquesimo Incontro internazionale di preghiera per la pace convocato nella capitale bavarese dalla Comunità di Sant’Egidio.


Il patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti Grégoire III Laham in occasione del venticinquesimo Incontro internazionale di preghiera per la pace organizzato a Monaco di Baviera dalla Comunità di Sant’Egidio lo scorso settembre [© Tino Veneziano]
Il patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti Grégoire III Laham in occasione del venticinquesimo Incontro internazionale di preghiera per la pace organizzato a Monaco di Baviera dalla Comunità di Sant’Egidio lo scorso settembre [© Tino Veneziano]
Tra i capi delle Chiese cristiane del Medio Oriente sembra crescere l’allarme per le possibili conseguenze della cosiddetta primavera araba.
GRéGOIRE III LAHAM: Per favore, evitiamo di confondere i problemi legati alle rivoluzioni di questi mesi con quelli connessi alle relazioni tra cristiani e musulmani. Quello aperto dalle rivoluzioni è uno scenario nuovo per il Medio Oriente, è piuttosto una questione di potere. E in contesti come quello della Siria le implicazioni religiose toccano soprattutto i rapporti dei musulmani tra di loro. I cristiani non sono di per sé un bersaglio. Ma se perdura una situazione di caos, di instabilità e di conflitto per il potere, le cose per i cristiani peggioreranno. In Medio Oriente è sempre avvenuto così. Nelle situazioni di caos e nelle rivoluzioni sanguinose i cristiani sono i primi a pagare, sempre e dovunque. “L’esperimento” iracheno è costato molto al piccolo gregge dei cristiani di quel Paese.
Cosa è riuscito a capire della situazione siriana?
L’unica cosa evidente è che a differenza di altri posti le rivolte non sono partite dal malcontento economico-sociale. In Siria era iniziato già dagli ultimi anni di potere di Assad padre un certo sviluppo nell’agricoltura, nell’industria, nella costruzione delle strade. C’era un sistema educativo e sanitario che ha garantito a tutti almeno l’alfabetizzazione e l’assistenza medica. Non si può realisticamente dire che a fare la rivoluzione sono i poveri.
E allora, cosa è successo?
Secondo me una radice della protesta è quella politica, con alcune implicazioni religiose. Nel partito Ba’ath che guida il Paese le leve del potere sono tutte in mano alla minoranza islamica alawita. I sunniti, che pure occupano l’ottanta per cento dei posti nella burocrazia statale, non controllano i posti-chiave.
Sui media occidentali tutto viene narrato in “bianco e nero”, come una battaglia per la libertà contro un regime dittatoriale.
C’è senza dubbio un desiderio generale di maggiore libertà politica. Ma c’è anche la contrapposizione di gruppi in lotta per avere in mano il controllo della situazione. E in questo anche il denaro gioca la sua parte.
Che vuol dire? Chi usa il denaro?
Le racconto un episodio. C’era una donna che faceva le pulizie a casa di un’anziana signora di mia conoscenza. A un certo punto, non si è fatta più vedere. L’anziana allora l’ha chiamata: cara, perché non vieni più da me? E quella le ha risposto: signora, io esco ogni giorno a manifestare una mezz’ora, e in tre giorni guadagno quello che lei mi dà per un mese… Anche a Derhaia una persona che conosco mi ha raccontato di giovani che uscivano a manifestare per una mezz’ora, con macchine fotografiche e cineprese, per poi tornare ognuno a casa propria. Insomma, c’è qualcosa di strano, di enigmatico.
Anche lei, Beatitudine, pensa che ci sia un complotto?
Non si tratta di tirare in ballo complotti. Ma certo ci sono manipolazioni e aspetti che rimangono enigmatici. Tutte le rivoluzioni del mondo arabo contengono questi elementi. Per quarant’anni i regimi di Mubarak e degli altri sono stati alleati riconosciuti dell’Occidente democratico, e poi dal giorno alla notte, come per magia, sono diventati dittatori… C’è qualcosa di artefatto. Io mi sono sempre augurato un processo di maturazione democratica che coinvolga le istituzioni, le università e i centri culturali, le nascenti organizzazioni professionali, gli uomini di religione. Solo una simile maturazione, che comprenda i dati culturali e diffonda la consapevolezza dei diritti dei singoli, può davvero portare allo sviluppo pieno di strutture democratiche. Invece, nel cambiamento repentino che ci troviamo davanti, rimane sullo sfondo qualcosa di indecifrabile. I Paesi arabi non sono preparati a un’instaurazione fulminea dei modelli europei di democrazia. E certi aspetti fanno temere che con le rivolte si possa tornare indietro.

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http://www.30giorni.it/articoli_id_77821_l1.htm

Una religiosa denuncia: In Siria, la guerra delle bugie

Pubblichiamo un po' in ritardo un articolo di AsiaNews che riteniamo tutt'ora interessante per sollecitare l'attenzione di molti sugli eventi in Siria

09/01/2012 11:17

di Fady Noun
Monastero di San Giacomo, Qara

Una religiosa carmelitana, attiva nel Paese in opere umanitarie, madre Agnès-Mariam de la Croix, respinge ogni violenza, sia che provenga dal regime siriano o dagli insorti. “Se continua così, temo il peggio”. Intanto la Lega araba ha deciso ieri al Cairo di continuare e rafforzare la missione degli osservatori, mentre ogni giorno si segnalano morti e scontri fra gruppi armati.

Beirut (AsiaNews) – La Lega araba  ha deciso che la missione dei 67 osservatori mandati in Siria continuerà. Ahmed al-Dabi, il capo della missione, ha presentato ieri ai ministri degli esteri della Lega riuniti al Cairo le sue osservazioni; non ancora un rapporto finale. Al-Dabi ha indicato che le autorità siriane hanno cooperato, anche se non pienamente, alla missione degli osservatori. I rappresentanti dell’Arabia saudita e dal Qatar hanno chiesto il ritiro della missione e maggior pressione sul regime di Damasco. La Lega alla fine ha deciso di mantenere la missione, rafforzandola sia sul piano logistico che finanziario. La Lega si è anche appellata ''al governo siriano e a tutti i gruppi armati affinché fermino immediatamente tutti gli atti di violenza''. In una bozza della dichiarazione conclusiva c'è un'esortazione-critica anche all'opposizione a cooperare con la missione. Gli inviati della Lega araba si sentono ''molestati'' non solo dal regime, ma anche dai suoi avversari i quali puntano ad un fallimento degli osservatori. Intanto emergoo sempre più evidenze di una lotta armata fra due fazioni, quella dell'esercito regolare e quella dei disertori. In questa situazione vi sono diverse vittime, fra cui la verità e la popolazione siriana, costretta ad assistere a un conflitto che si consuma sulla propria testa. Anche i cristiani - spesso timidi nel denunciare le violenze di Assad e timorosi di un futuro in mano all'islam integralista, rimangono vittime della polarizzazione. E' quanto denuncia la suora carmelitana madre Agnès-Mariam de la Croix, in un dialogo con l'esperto giornalista Fady Noun, che pubblichiamo di seguito.


La primavera araba è un fenomeno complesso. E’ allo stesso tempo rivoluzione sociale, cambiamento demografico e culturale, rivolta contro le dittature e guerra mediatica. Su questo piano, la partita che si gioca in questo momento in Siria è assolutamente squilibrata, e il regime siriano ne è ben cosciente. Su un piano ufficiale, siamo in presenza di un sistema di comunicazione sclerotizzato che si basa sulla sola propaganda. Dall’altra parte abbiamo un sistema sofisticato, posto in opera in fretta ma con efficacia, non senza aiuto dall’estero; un sistema di collegamenti mediatici che amplificano, funzionano in circolo e si basano sui telefoni cellulari, i siti sociali e le reti satellitari. Senza tener conto, beninteso delle reti diplomatiche e politiche delle potenze occidentali, dei Paesi del Golfo, della Turchia e dell’Onu.

Sola dimenticata, la popolazione civile di questo Paese di 23 milioni di abitanti. Una maggioranza silenziosa che, come sempre, non si colloca in nessun campo, ma assiste passivamente, impotente, alle minoranze attive che giocano sul suo destino, facendole violenza. Si tratta di un’insurrezione armata? La popolazione serve da scudo umano fra gli antagonisti. Le crudeltà a cui è sottoposta diventano di giorno in giorno più intollerabili. Le sanzioni? E’ lei che ne soffre per prima. Non c’è già più carburante per riscaldarsi e l’inverno è rigoroso. L’isolamento internazionale? E’ il settore dei servizi turistici che è colpito con violenza, e con esso migliaia di impieghi perduti.

Posizione del monastero S. Giacomo in relazione agli avvenimenti della Siria

Dall’inizio della crisi, la posizione del nostro monastero e del suo abate si è conformata ai seguenti precetti, coerentemente con le convinzioni e le esigenze della coscienza cristiana e monastica.
1 – Farsi un’idea chiara della posta geopolitica, attraverso uno studio approfondito e documentato
2 – Essere in comunione con la gerarchia ecclesiastica, tra cui i Patriarchi d'Oriente.
3 – Non assumere alcuna posizione politica, non per paura degli uni o degli altri, ma perché non ci sentiamo politicamente coinvolti. La nostra testimonianza è altrove, nell’Avvento in noi e intorno a noi del Regno di Dio, i cui mezzi non sono quelli del mondo. Noi non siamo né a favore né contro alcuna delle parti in conflitto. Noi prendiamo solo posizione contro tutto quello che è contrario alla legge di Dio e ai diritti dell’uomo.
4 – Dare aiuto a chiunque sia in difficoltà, qualsiasi sia la sua appartenenza.
5 – Se nessuno lo fa: avere il coraggio di criticare ad alta voce la disinformazione, perché si tratta di un attentato alla verità e di un modo di incoraggiare l’impunità dei malfattori, chiunque siano.
6 – Prendere posizione a favore dei poveri e dei maltrattati. Soprattutto i civili innocenti, sia che siano perseguitati dal regime, sia che lo siano da parte delle bande armate dell’insurrezione.
7 – Fare attenzione all’identità dei malfattori, come a quella delle vittime, onde poter discernere ed aiutare adeguatamente coloro che sono nel bisogno.

A questo proposito, Madre Agnès-Mariam de la Croix, in piena sintonia con la sua comunità, ha:
- Aiutato l’opposizione del villaggio assediato dall’esercito. Su richiesta degli insorti, Madre Agnès-Mariam ha avuto degli incontri coi militari al fine di alleggerire la pressione e garantire il rispetto della libertà di movimento della popolazione.
- Avviato una operazione per la liberazione dei prigionieri di diritto comune detenuti senza processo
- Accettato che dei membri dell’opposizione si rifugiassero nel monastero per una riunione segreta. Nel corso della quale è stato promosso un manifesto per il dialogo nazionale, che è stato ripreso dal Presidente della Repubblica.
- Accettato la richiesta dell’UCIP-Libano di invitare dei giornalisti cattolici. Questo gruppo è stato il primo al mondo ad avere segnalato che la popolazione civile è il bersaglio di una violenza che non proviene dal regime. Il fatto di averlo detto ha scatenato gravi accuse contro Madre Agnès-Mariam, che non si sono ancora placate. La comunità è fiera di essere perseguitata per avere contribuito a fare luce su questi aspetti tenebrosi delle guerre dell’ombra.
- Scritto, il 5 novembre 2011, su L’Orient-le Jour, quotidiano libanese filo-oppositori, una lettera al presidente Bachar El Assad per chiedere l’intervento di osservatori della Croce Rossa che verifichino se i feriti siano adeguatamente curati negli ospedali, a prescindere dalla appartenenza politica, e per sollecitare la creazione di un comitato ad hoc che si occupi dei prigionieri detenuti indefinitamente senza processo.
- Continuato a fornire le vere liste dei veri morti, in contrasto con le false liste di falsi morti divulgate vergognosamente dal fraudolento Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo.
- Visitato, a rischio della vita, i quartieri dell’opposizione nella città di Homs e nel villaggio di Kusayr. Nel corso di questa visita, Madre Agnès-Miriam, nascosta da un burqa, ha visto con i suoi occhi le bande armate cambiare pelle e, scambiata per una mussulmana, ha raccolto le confidenze dei sunniti insorti. Si è rattristata nel constatare che lo spirito di queste popolazioni minoritarie è rivolto all’islamismo militante. Esse costituiscono un contesto in crescita propizio alle bande armate che infieriscono crudelmente contro la popolazione civile di ogni confessione solo se cerchi di mantenere una normalità di vita affidandosi alle istituzioni vigenti.
- Lanciato una campagna di aiuti per le famiglie sinistrate di Homs e Kusayr
- Ospitato persone e famiglie senza tetto e raccolto bambini abbandonati
- Ottenuto visti di ingresso per la stampa mainstream. Questa parte sarà ulteriormente trattata.
In tempi segnati da gravi manipolazioni e da conflitti che vedono gli innocenti pagare un prezzo di sangue, la nostra comunità non ha paura, nonostante le voci e quanto si dirà, di camminare sulla strada di Cristo che insegna la verità e predica l’amore per il prossimo e la protezione dei più deboli e di qualsiasi essere umano che ha bisogno.

Fonte originale: qui


Notizie dei cristiani di Homs e Hama, Siria

Dal Monastero di S. Giacomo

Per memoria e per la storia

25 Gennaio 2012

I cristiani della diocesi di Homs, Hama e Yabroud sono bene integrati nel tessuto sociale, come cittadini a pieno titolo. Prima di questi avvenimenti che insanguinano la Siria, menzionare la propria confessione religiosa era solo  inopportuno. Oggi non è più così. Il conflitto in corso si è trasformato, da una rivendicazione popolare di libertà e democrazia, in una rivoluzione islamista.

Venerdì 20 gennaio lo slogan fatidico è stato pronunciato dai comitati di coordinamento della rivoluzione: “Il popolo vuole dichiarare la Jihad!” Fino ad oggi noi cristiani non siamo stati oggetto di una persecuzione “diretta”. I cristiani erano vittime delle violenze che colpivano tutta la popolazione che partecipa alla vita civile. Oggi sembra che il dato stia cambiando. Come se la tendenza che covava fosse diventata ormai una consegna. Il futuro lo dirà. Resta il fatto che quelle di cui vi portiamo a conoscenza sono aggressioni dal carattere ormai francamente anticristiano.

1 – Oggi 25 gennaio Padre Basilios Nassar, curato greco ortodosso del villaggio di Kafarbohom, provincia di Hama, è stato ucciso da alcuni insorti mentre recava aiuto ad un uomo aggredito dagli insorti nella via Jarajima di Hama. E’ la prima volta, dall’inizio dell’insurrezione, che un prete è l’obiettivo della violenza cieca che è diventata l’arma temibile di una insurrezione sempre più manipolata.
Abbiamo ricevuto diverse telefonate da parte di amici preti che erano inquieti.
Questo assassinio è allarmante. Conferma il timore di vedere la rivoluzione siriana trasformarsi in un conflitto confessionale. Sotto la copertura di una rivendicazione di libertà e democrazia, gli insorti si rivelano essere degli islamisti che attaccano civili innocenti, in un processo di discriminazione religiosa.

2 – Ieri mattina il figlio dell’emiro islamista di Yabroud, il signor Khadra, aspettava in strada, insieme ad altri tre uomini armati, il maggiore cristiano Zafer Karam Issa, 30 anni, sposato da un anno, davanti alla sua abitazione. Lo hanno ucciso sparando su di lui un centinaio di colpi d’arma da fuoco che ne hanno crivellato il corpo e sono fuggiti.
I funerali si sono svolti oggi all’una, con la partecipazione del villaggio turbato. Il curato di Yabroud, R.P. Georges Haddad, ha pronunciato parole ispirate: “Dio è amore e misericordia. Incita l’uomo ad amare il suo prossimo e a non voltargli le spalle. Noi ci rivolgiamo a quelli che si sono eretti come giudici supremi dei loro fratelli, che si arrogano il diritto di condannare a morte un essere umano. Essi gridano falsi slogan e mettono il paese a ferro e fuoco. Zafer, da buon soldato fedele alla sua patria, avrebbe voluto morire in uno scontro col nemico per liberare il Golan. E’ stato ucciso da chi? E perché? Da un fratello, nel suo villaggio, davanti alla sua casa. Torniamo in noi e riflettiamo sulla strada che abbiamo imboccato. La nostra esistenza si fonda sull’amore e l’accettazione dell’altro. Non lasciamo che gli stranieri ci impongano dei comportamenti che istillano sfiducia, odio e divisione. Noi tendiamo le nostre mani in segno di riconciliazione con tutti: quelli vicini e quelli lontani. Che il sangue dei nostri martiri porti al nostro caro paese la pace e un domani migliore”

3 – In  settimana, il giovane cristiano Khairo Kassouha, di 24 anni, è stato anche lui ucciso uscendo da casa a Kusayr.

4 – Padre Mayas Abboud, rettore del piccolo seminario dei greci cattolici a Damasco, ci ha raccontato di essere stato contattato ieri dalla vedova del martire Nidal Arbache, un autista di taxi recentemente ucciso dagli insorti. Dalal Louis Arbache gli ha detto al telefono: “Caro padre, qui a Kusayr siamo esposti alla prepotenza degli insorti che qui dettano legge. Noi ci aspettiamo ogni sorta di violenza. Non abbiamo niente e nessuno che ci protegga. La supplico padre, consideri questo come un testamento. Se dovesse capitarmi qualcosa di brutto, le affido mio figlio, si prenda cura di lui. Tutta la nostra famiglia è minacciata dalle bande armate”.

5 – Ci riferiscono anche che André Arbache, marito di Virginie Louis Arbache, è stato sequestrato la settimana scorsa. Non si sa niente di lui. La famiglia teme il peggio.

6 – Sempre a Kusayr, un cugino di padre Louka, curato di Nebek, racconta questo: “Rientravo a Kusayr, quando sono stato controllato dagli insorti ad una rotatoria della città. Mi hanno chiesto i documenti e mi hanno fatto attendere due ore per verificare se il mio nome fosse inserito nelle liste diramate dai comitati di coordinamento della rivoluzione che sono oramai diventati organi pseudo-giudiziari. Se il mio nome fosse stato inserito, sarei stato ucciso sul posto come fanno con gli altri.

7 – A Homs la lista del Governatore si allunga. Vi sono più di 230 cristiani che sono stati abbattuti. Molti sono stati sequestrati. Spesso gli insorti chiedono un riscatto che varia da 20.000 a 40.000 dollari per persona.

8 – In alcuni quartieri misti, come Bab Sbah o Hamidiyeh a Homs, l’80% degli abitanti cristiani sono partiti e si sono stabiliti presso amici o parenti nelle regioni della Valle dei cristiani. I cristiani di Hama e della sua provincia fanno lo stesso. Il fenomeno è progressivo ma implacabile.

Madre Agnès-Mariam de la Croix
Testo originale: qui
Traduzione tratta da http://www.cp-madonnadellegrazie.it/

Offensiva a Homs dell’esercito siriano


Dall' Osservatore Romano del 2 marzo 2012



Pesante il bilancio degli scontri con i gruppi ribelli

DAMASCO, 1. Le forze governative siriane hanno lanciato ieri un’operazione a Bab Amro, quartiere di Homs. Pesante il bilancio degli scontri con i gruppi di ribelli: almeno quindici civili uccisi, secondo fonti degli attivisti. Intanto, la comunità internazionale cerca un’intesa su possibili azioni in aiuto della popolazione. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha dichiarato che Washington sta facendo «tutto il possibile» per cercare di trovare una soluzione alla crisi siriana. Stati Uniti e Francia stanno preparando una nuova bozza di risoluzione da presentare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per permettere l’accesso dei soccorsi da parte degli operatori umanitari nelle zone segnate dai disordini.


I ministri degli Esteri delle sei monarchie del Golfo Persico (Bahrein, Oman, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti) incontreranno il capo della diplomazia russa a Riad il prossimo 7 marzo per discutere sugli sviluppi in Siria. Lo ha annunciato oggi il ministro degli Esteri del Kuwait. «Una riunione si terrà a Riad il 7 marzo con il ministro degli Esteri russo e i colleghi del Consiglio di Cooperazione del Golfo» ha detto Sheikh Sabah Khaled Al Sabah.


L’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Kofi Annan, ha auspicato di potersi recare presto in visita a Damasco per portare «un messaggio chiaro», ovvero che le violenze e le uccisioni devono cessare. Parlando con la stampa al termine di un incontro con il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, Annan ha chiesto il sostegno della comunità internazionale.

giovedì 1 marzo 2012

Convegno a Roma sulla Primavera Araba

Si è svolto ieri a Roma, a cura della Comunità di Sant'Egidio, un convegno sulla Primavera Araba.
Di seguito forniamo un video del convegno




Per il programma del Convegno, clicca qui 

La lettera del card. Leonardo Sandri pro Siria e Terra Santa in occasione della Colletta del Venerdí Santo

1 Marzo 2012

Eccellenza Reverendissima,

Ricordare la Colletta del Venerdì Santo significa richiamare un impegno che risale all’epoca apostolica. Lo attesta San Paolo, scrivendo ai cristiani della Galazia: ci pregarono di ricordarci dei poveri: ed è ciò che ho preso molto a cuore (2,10). E lo ribadisce ai fratelli di Corinto (1Cor. 16; 2Cor. 8-9) e a quelli di Roma: è parso bene, infatti, di fare una colletta per i poveri che si trovano fra i santi in Gerusalemme (15, 25-26).

La Terra Santa attende la fraternità della Chiesa universale e desidera ricambiarla nella condivisione dell’esperienza di grazia e di dolore che segna il suo cammino. Vuole riconoscere, prima di tutto, la grazia del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente e quella della Visita Papale a Cipro. Tali eventi hanno accresciuto l’interesse del mondo e il ritorno di tanti pellegrini sulle orme storiche del Signore Gesù. Ma è sensibile anche al dolore per l’acuirsi delle violenze verso i cristiani nelle regioni orientali, le cui conseguenze si avvertono fortemente in Terra Santa. I cristiani d’Oriente esperimentano l’attualità del martirio e soffrono per l’instabilità o l’assenza della pace. Il segnale più preoccupante rimane il loro esodo inarrestabile. Qualche segno positivo in talune situazioni non è sufficiente, infatti, ad invertire la dolorosa tendenza dell’emigrazione cristiana, che impoverisce l’intera area delle forze più vitali costituite dalle giovani generazioni.

Tocca perciò a noi di unirci al Santo Padre per incoraggiare i cristiani di Gerusalemme, Israele e Palestina, di Giordania e dei Paesi orientali circostanti, con le sue stesse parole: Non bisogna mai rassegnarsi alla mancanza della pace. La pace è possibile. La pace è urgente. La pace è la condizione indispensabile per una vita degna della persona umana e della società. La pace è anche il miglior rimedio per evitare l’emigrazione dal Medio Oriente (Benedetto XVI nell’omelia conclusiva del Sinodo per il Medio Oriente).

Il presente appello alla Colletta si inscrive nella causa della pace, di cui i fratelli e le sorelle di Terra Santa desiderano essere efficaci strumenti nelle mani del Signore a bene di tutto l’Oriente.

Esso giunge all’inizio dell’itinerario quaresimale verso la Pasqua e potrà trovare il suo apice nel Venerdì Santo, oppure in occasioni considerate più favorevoli in ciascun contesto locale. Ma la Colletta rimane, ovunque, la via ordinaria e indispensabile per promuovere la vita dei cristiani in quella amata Terra.

La Congregazione per le Chiese Orientali si fa portavoce delle necessità pastorali, educative, assistenziali e caritative delle loro Chiese. Grazie alla universale solidarietà, esse rimarranno inserite nelle sofferenze e nelle speranze dei rispettivi popoli, crescendo nella collaborazione ecumenica ed interreligiosa. Renderanno gloria a Dio e difenderanno i diritti e i doveri dei singoli e delle comunità a cominciare dall’esercizio personale e pubblico della libertà religiosa. Si porranno al fianco dei poveri, senza distinzione alcuna, contribuendo alla promozione sociale del Medio Oriente. Soprattutto, vivranno le beatitudini evangeliche nel perdono e nella riconciliazione.

Papa Benedetto ci invita, però, ad andare al di là del gesto pur encomiabile dell’aiuto concreto. Il rapporto deve farsi più intenso per giungere ad una “vera spiritualità ancorata alla Terra di Gesù”: Quanto più vediamo l’universalità e l’unicità della persona di Cristo, tanto più guardiamo con gratitudine a quella Terra in cui Gesù è nato, ha vissuto ed ha donato se stesso per tutti noi. Le pietre sulle quali ha camminato il nostro Redentore rimangono per noi cariche di memoria e continuano a «gridare» la Buona Novella…i cristiani che vivono nella Terra di Gesù testimoniando la fede nel Risorto…sono chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata e continua ad essere pluralistica, multietnica e multireligiosa (Esortazione post-sinodale Verbum Domini, 89).

Ringrazio a nome del Santo Padre i pastori e i fedeli della Chiesa intera nella fiducia che essi confermeranno la loro generosità. E’ il grazie sincero condiviso dalla Chiesa latina raccolta nella Diocesi Patriarcale di Gerusalemme e nella Custodia Francescana, come pure dalle Chiese Melchita, Maronita, Sira, Armena, Caldea, che insieme compongono la Chiesa cattolica di Terra Santa.

Col più fraterno augurio in Cristo Gesù.

Leonardo Card. Sandri
Prefetto

a Cyril Vasil’, S.I.
Arcivescovo Segretario

Fonte: http://www.proterrasancta.org/la-lettera-del-card-leonardo-sandri-in-occasione-della-colletta-del-venerdi-santo/

Kofi Annan per una soluzione pacifica, fermando le violenze di tutti

01/03/2012 08:57 ASIA NEWS
SIRIA - ONU
L'ex segretario generale Onu non ha ancora ricevuto l'ok per recarsi in Siria. L'Onu sembra avvicinarsi alle posizioni del Vaticano, sottolineando una soluzione pacifica (e non militare) e condannando le violenze di tute le parti e non solo di Damasco. Continuano i bombardamenti ad Homs, città di enorme importanza strategica. Anche Cina e Russia sembrano disponibili a corridoi umanitari.

New York (AsiaNews) - Kofi Annan, nuovo delegato per la Siria da parte dell'Onu e della Lega araba, ha dichiarato che "supplicherà" Bashar Assad per partecipare allo sforzo internazionale di trovare una soluzione pacifica alle violenze che durano ormai da quasi un anno. L'ex segretario generale Onu e Premio Nobel per la pace ha sottolineato che egli desidera che "le uccisioni e le violenze devono fermarsi" e che "le agenzie umanitarie devono avere libero accesso per compiere il loro lavoro".

Annan ha anche ribadito che "c'è bisogno di un dialogo fra tutti gli attori della Siria" e che la via da privilegiare è "una soluzione pacifica veloce, attraverso il dialogo", sebbene - ha notato - all'Onu vi siano altri con idee differenti. La Lega araba, frange dell'opposizione siriana e alcuni Paesi occidentali, come la Francia e in parte gli Stati Uniti, vedrebbero bene una soluzione militare simile a quella attuata in Libia.

Fino ad ora Annan non ha ricevuto l'ok per entrare in Siria. Damasco ha richiesto maggiori informazioni sugli obbiettivi di della missione. Nei giorni scorsi la Siria aveva rifiutato la visita di Valerie Amos, capo delle agenzie umanitarie Onu. Con ogni probabilità, il motivo era che fino ad ora le discussioni e le risoluzioni sulla Siria al Consiglio di sicurezza e all'Assemblea generale delle Nazioni unite citavano solo le violenze di Damasco, senza citare quelle dell'opposizione.

Per l'Onu i morti per gli scontri iniziati nel marzo 2011 sono giunti a 7500. Per la Siria sono circa 2500, di cui oltre 1300 fra i militari.

La posizione di Annan, di dialogo con tutte le forze e di condanna delle violenze da qualunque parte, si avvicina a quella del Vaticano, espressa due giorni fa da mons. Silvano M. Tomasi, rappresentante della Santa Sede all'Onu di Ginevra. Al raduno della Commissione Onu sui diritti umani per un dibattito urgente sulla Siria, egli ha sottolineato l'importanza delle "organizzazioni regionali e multilaterali" come "strumenti per promuovere la pace e la stabilità nel mondo". Per questo mons. Tomasi dà il benvenuto "alle varie iniziative in favore della pace attraverso il sentiero del dialogo e della riconciliazione". Ma - ha aggiunto - "la responsabilità primaria poggia sulla popolazione della Siria e per questa ragione rinnovo l'appello del Santo Padre [del 12 febbraio: v. qui] "di dare la priorità alla via del dialogo, della riconciliazione e dell'impegno per la pace".

mercoledì 29 febbraio 2012

Violenze senza fine in Siria

Dall'Osservatore Romano del 1 marzo 2012


Secondo l’Onu sono oltre 7.500 le vittime

Damasco, 29. Mentre dalla Siria giungono drammatiche denunce di persistenti e quotidiane stragi di civili, non danno ancora risultati gli sforzi della diplomazia internazionale, che si conferma divisa, di dare soluzione alla crisi. Di almeno 7.500 morti dall’inizio delle proteste, nel marzo scorso, ha parlato il vice segretario generale dell’Onu per gli affari politici, Lynn Pascoe, in un’audizione ieri al Consiglio di sicurezza. Pascoe ha spiegato di non poter fornire il numero esatto delle vittime delle proteste, ma ha sostenuto che secondo rapporti credibili, in Siria muoiono oltre cento persone al giorno. Pascoe ha sostenuto che le mancate decisioni del Consiglio di sicurezza per «fermare la carneficina» hanno incoraggiato il Governo siriano a ritenere di poter agire «impunemente». Secondo Pascoe, circa 25.000 siriani sono scappati nei Paesi limitrofi mentre gli sfollati interni sono tra i cento e i duecentomila.

Il nunzio apostolico in Siria, l’arcivescovo Mario Zenari, in un’intervista ieri a Radio Vaticana, ha detto che molte delle vittime della repressione sono bambini, almeno cinquecento secondo l’Unicef. Il nunzio ha citato l’uccisione anche di un bimbo di dieci mesi, preso dai militari e fucilato con tutta la sua famiglia in una località vicina a Homs, e quella una bambina falciata da colpi di arma da fuoco mentre partecipava al funerale di un’altra bambina.

Oggi il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, riceverà a New York il suo predecessore, Kofi Annan, che ha nominato inviato speciale per la Siria, per definire le prossime mosse da intraprendere per fermare il massacro. Anche la responsabile dell’ufficio dell’Onu per gli affari umanitari, Valerie Amos, è pronta ad andare a Damasco per negoziare l’accesso degli aiuti umanitari alla popolazione non appena le verrà permesso dalle autorità siriane di entrare nel Paese.

Diplomazie divise sul referendum in Siria

Dall'Osservatore Romano del 29 febbraio 2012

DAMASCO, 28. La comunità internazionale si divide sul referendum tenuto domenica in Siria sulla nuova Costituzione che introduce il multipartitismo, approvata con l’89,4 per cento di sì e con un’affluenza alle urne del 56,4 per cento.
Secondo un portavoce del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, «è poco probabile che il referendum sia credibile, visto il contesto generalizzato di violenza e di violazione dei diritti». Secondo  diversi Governi occidentali si è trattato di una farsa, mentre diametralmente opposto è il giudizio del ministero degli Esteri di Mosca, che parla di un passo verso la democrazia.
Secondo Mosca, proprio l’affluenza alle urne dimostra il seguito limitato delle opposizioni che avevano invitato al boicottaggio, che dunque «non possono parlare a nome del popolo siriano. Un riconoscimento dell’opposizione è venuto invece dai ministri degli Esteri dell’Unione europea, che ieri hanno varato nuove sanzioni contro Damasco.
Sempre ieri, il ministro degli Esteri cinese, Yang Jiechi, in una telefonata con l’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ora inviato in Siria, gli ha augurato risultati positivi nel promuovere una soluzione politica della crisi.
Nel frattempo, la Croce rossa e la Mezzaluna rossa sono riuscite a entrare ad Hama, facendo arrivare, dopo mesi, aiuti a 12.000 persone. Anche a Homs la Mezzaluna rossa ha potuto portare forniture mediche nel quartiere di Bab Amro, dove ha evacuato feriti, ma non è riuscita a ottenere il permesso di portare in salvo i giornalisti stranieri bloccati. Fonti locali hanno riferito che sono stati trovati i corpi di 64 persone uccise, molte delle quali donne.

ascolta l'intervista sui massacri anche di bambini in Siria

intervista su Radio Vaticana a Monsignor Zenari
 http://212.77.9.15/audiomp3/00304015.MP3

Da "La Bussola Quotidiana" Siria, il grande gioco

Siria, il "grande gioco"

di Gianandrea Gaiani
08-02-2012


La crisi siriana somiglia sempre di più a quella libica dello scorso anno, con la differenza che il caos che da mesi domina l’ex regno di Muammar Gheddafi non sembra avere insegnato nulla all’Europa, che affronta le crisi del mondo arabo semplicemente sostenendo la strategia di Washington che però ha interessi ben diversi dai nostri, anzi, ora più che mai divergenti.

Il “copione libico” è evidente soprattutto dalle caratteristiche della campagna mediatica che da mesi mira a ingigantire stragi e repressioni attuate dal regime di Bashar Assad, che certo esistono ma non bisogna dimenticare che tra i quasi 6 mila morti registratisi secondo l’Onu dall’inizio della rivolta, circa un terzo sono militari e poliziotti. Questo significa che in Siria si combatte una guerra civile con un esercito degli insorti armato da turchi, sunniti-libanesi e qatarini, in parte gli stessi che appoggiarono la rivolta contro Gheddafi.
Come in occasione della guerra libica riempiamo i giornali occidentali di notizie non verificate rilanciate da social network, sedicenti associazioni per i diritti umani e l’immancabile al-Jazira che fa capo a quell’emirato del Qatar che gioca alla grande potenza in tutti gli scenari medio orientali. Ci abbeveriamo della propaganda degli insorti ripetendo l’errore compiuto in Libia dove enfatizzammo notizie di stupri di massa (con viagra!) compiuti dai mercenari di Gheddafi o di numeri spropositati di vittime che vennero poi smentiti da Human Rights Watch ed altre organizzazioni.

Intendiamoci, il regime di Bashar Assad è tra i più violenti e autoritari del Medio Oriente, ma lo era anche quando, nel febbraio 1982, l’insurrezione dei “Fratelli Musulmani” venne stroncata nel sangue dal padre di Bashar, Hafez Assad, che ad Hama uccise tra i 25 mila e i 50 mila ribelli nella totale indifferenza de mondo. Lo era anche quando, fino al 2010, francesi e italiani gli vendevano elicotteri da combattimento Gazelle e sistemi di puntamento per i carri armati. Lo era anche quando, sempre nel 2010, la Turchia di Receyp Erdogan, che oggi ospita e addestra l’esercito ribelle, aveva firmato un patto di cooperazione militare con Bashar Assad, oggi stracciato con la stessa disinvoltura con la quale l’Italia “congelò” il trattato di amicizia con la Libia di Gheddafi.

Nella gestione delle crisi determinate dalla cosiddetta “primavera araba” gli interessi e l’influenza delle potenze, grandi o regionali, sono ormai ben delineati, fatta esclusione per l’Europa. Russi e cinesi, dopo aver abbandonato la Libia astenendosi sulla Risoluzione 1973 che autorizzò la campagna militare contro Gheddafi, sono decisi a difendere la Siria, come hanno dimostrato alle Nazioni Unite; non tanto per proteggere un Assad ormai senza futuro (anche se è un ottimo cliente militare e tecnologico per Mosca) quanto per gestire una transizione che lasci spazio anche a forze laiche e non solo ai Fratelli Musulmani. Non è un caso che tutte le minoranze siriane inclusi i cristiani sostengono il regime, la cui laicità ha sempre rispettato i culti più diversi.

Mosca, con il supporto discreto ma importante di Israele, vuole evitare che la Siria diventi un “protettorato” turco e intende fermare la deriva islamista che sta emergendo dalla “primavera araba” prima che determini insurrezioni simili nel Caucaso e in altre regioni asiatiche russe ed ex sovietiche, non a caso un tempo sotto il controllo dell’Impero Ottomano. Mosca e Pechino hanno poi tutto l’interesse a ostacolare la politica di Washington, ormai palesemente allineata con le forze del cosiddetto “islam moderato”.

Washington, abbandonata la strategia improntata alla stabilizzazione dell’era Bush, punta decisamente a destabilizzare l’intero mondo arabo cavalcando il crollo di regimi peraltro filo-americani come quello di Ben Alì in Tunisia, di Mubaraq in Egitto e persino di Gheddafi, che negli ultimi anni aveva portato decisamente la Libia nell’orbita occidentale. Il repentino mutamento della politica statunitense ha spaventato soprattutto l’Arabia Saudita, monarchia medioevale che per non rischiare di fare la stessa fine ha puntellato con le sue truppe il regno del Bahrein minacciato da una rivolta sciita e ha contribuito a influenzare l’esito delle elezioni egiziane comprando con una marea di banconote da dieci dollari (una per ogni voto) i vasti consensi riscossi dal partito salafita.

Obama, con i turchi come alleati regionali che rappresentano oggi anche un punto di riferimento ideologico per il Medio Oriente, puntano a creare un blocco sunnita omogeneo guidato dai Fratelli Musulmani e da partiti affini. Un blocco in grado di combattere o isolare l’Iran sciita e i suoi alleati, il regime alauita siriano e gli hezbollah libanesi. Gli statunitensi vogliono restare dietro le quinte, fornendo supporto strategico e logistico ma lasciando agli alleati regionali i compiti di prima linea come è accaduto in Libia e come potrebbe accadere presto in Siria, campo di battaglia sul quale Qatar e Turchia premono per mettere alla prova le loro capacità di leadership militare regionale.
Dopo dieci anni di guerre e con l’attuale crisi finanziaria, gli Stati Uniti possono sperare di mantenere la loro leadership globale nei prossimi decenni solo fomentando instabilità e disordine nel “cortile di casa” dei loro diretti rivali militari, finanziari ed economici: Russia, Europa, Cina, India, Giappone…..

Se guardiamo attraverso questa ottica le recenti iniziative statunitensi si intravvede il disegno globale. Nel Pacifico Washington mobilita gli alleati (e gli ex nemici come il Vietnam) per far fronte all’espansionismo cinese. Vende armi a tutti perché a differenza che in passato non garantisce un ombrello di sicurezza ma esorta a spendere di più per la difesa, meglio se acquistando armi americane. Se Cina, Taiwan, Corea del Sud e Giappone saranno impegnati in una massiccia corsa al riarmo avranno meno risorse da destinare allo sviluppo.

Anche le trattative in atto con i talebani in Qatar (guarda caso, ancora il Qatar) potrebbero indicare il tentativo di mediare un rapido disimpegno dall’Afghanistan magari in cambio della rinuncia al jihadismo contro gli Stati Uniti. Un recente rapporto della Nato ha rivelato che i pakistani tengono sotto stretto controllo i talebani e si apprestano a riprendere Kabul una volta partiti gli occidentali. Il presidente afghano Hamid Karzai ne è consapevole e infatti nell’ottobre scorso ha stretto un accordo strategico con l’India che impegna Nuova Delhi a rimpiazzare se necessario con propri soldati le forze della Nato. Ci sono quindi gli elementi per immaginare tra pochi anni l’Afghanistan come nuovo campo di battaglia nel confronto tra India e Pakistan.
Alla luce di questi rapidi mutamenti l’Europa sembra seguire ciecamente gli Stati Uniti, quasi senza essere consapevole di ciò che fa. In Afghanistan ci ritireremo quando ce lo dirà Obama e sosteniamo la destabilizzazione dei Paesi arabi del Mediterraneo come se avere sharia, fratelli musulmani e salafiti alle porte dell’Europa e dell’Italia possa avere qualcosa a che fare con i nostri interessi. La primavera araba non porterà la democrazia perché l’Islam non è democratico né libertario. In Egitto, dove il confronto tra islamisti e militari potrebbe ora degenerare in guerra civile, i brogli elettorali sono stati enormi. Sono scomparsi o quasi i movimenti laici, liberali e libertari che avevano iniziato la rivolta e, come ha ricordato Daniel Pipes, 40 milioni di elettori hanno messo nelle urne 60 milioni di schede. Il principio “un uomo un voto” nell’Islam si amplia evidentemente a “un uomo, un voto e mezzo”.
In Tunisia le libertà personali vengono minacciate dagli “islamici moderati” che insultano e aggrediscono donne non velate e impediscono a cinema e teatri di mettere in scena spettacoli ritenuti “offensivi” per l’islam. In Libia regna il caos più totale, i partiti islamici sono già una dozzina ma tutte le forze tribali e politiche sono d’accordo che la sharia sarà alla base di leggi e costituzione. Saranno pure “moderati” ma la sharia non ha nulla in comune non solo con la libertà dell’individuo e la democrazia ma neppure con la Carta dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite.

Del resto della “internazionale” dei Fratelli Musulmani fanno parte anche i terroristi di Hamas, che controllano Gaza con l’aiuto del nuovo Egitto, e personaggi come Yusuf al Qaradawi che da al Jazira (ancora il Qatar) esortò nel 2003 tutti i musulmani a uccidere cittadini americani per vendicare l’invasione dell’Iraq e ha definito Hitler una punizione divina per gli ebrei. Di questo passo potremo sdoganare presto anche i “nazisti moderati” ma pochi mesi or sono Qaradawi ha definito con precisione lo sviluppo della primavera araba dichirando che “liberali e i laici hanno avuto la loro occasione di governare, ora tocca agli islamici. Dobbiamo far vedere al mondo com'è una guida religiosa”.

Se l’Egitto esplodesse, se la Libia diventasse un’altra Somalia e se i moderati si mostrassero un po’ meno moderati i problemi sociali, politici, strategici sarebbero tutti dell’Europa e, considerata la totale assenza di solidarietà che domina la Ue, in buona parte dell’Italia. Le prossime ondate di disperati provenienti dalla sponda sud del Mediterraneo non arriveranno sulle coste del North Carolina o della Florida, ma su quelle italiane. Anche per questo i nostri interessi oggi non sono più coincidenti con quelli degli Stati Uniti e del resto Washington non perde occasione per dimostrare il suo disinteresse per il Vecchio Continente e persino per la Nato, che Obama non ha neppure informato di aver anticipato di una anno, al 2013, la fine dell’impegno bellico americano a Kabul.

Ai nostri interessi erano molto più funzionali i regimi laici (anche se corrotti e dittatoriali) di quelli islamici che si stanno configurando e che non danno maggiori garanzie di onestà e trasparenza e ancor meno di stabilità. Oggi dovremmo “difendere” Assad al fianco dei russi invece di aiutare l’asse Usa/turco/islamista a rovesciarlo per imporre la sharia a Damasco e ripristinare l’Impero Ottomano? Sarebbe già qualcosa se i leader europei almeno si ponessero la domanda e trovassero anche risposte adeguate ai nostri interessi.
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/home.htm

martedì 28 febbraio 2012

Le parole dell’ Arcivescovo Jean-Clement Jeanbart: parole dolorasamente sconosciute

da VietatoParlare.it   



Un’interessante intervista del metropolita cattolico di Aleppo, può essere utile perché l’informazione si sta chiudendo come è accaduto sulla Libia.
(Il video l’ho messo per far capire chi è mons Jean-Clement Jeanbart, non c’entra con l’intervista del 5 febbraio, ma il video mi è piaciuto, è molto bello, questa è la vita!
La vita che non interessa a nessuno durante i giochi di guerra. Proprio mentre si invoca il diritto umanitario)

Arcivescovo Jean-Clement Jeanbart, Metropolitan Greco Melchita Cattolico Aleppo
“I media internazionali non figurino correttamente la realtà siriana, si stanno aggiungendo benzina sul fuoco …”.
Arcivescovo Jean-Clement Jeanbart, contattato da Apic all’inizio di questa settimana, ha detto che i cristiani siriani vivono nella paura. L’Arcivescovo Greco Melchita Cattolico di Aleppo, la seconda città più grande vicino al confine con la Turchia, le paure per il futuro delle minoranze in Siria e l’istituzione di un regime nelle mani degli islamisti.
Secondo le informazioni raccolte sul posto, decine di cristiani sono stati uccisi dai ribelli a Homs, provocando l’esodo di alcuni quartieri. “Ora le persone vengono uccise in pieno giorno, rapita da banditi che chiedono riscatti alti … Prima, abbiamo avuto la sicurezza. Oggi, tra quei cristiani che hanno i mezzi e il denaro stanno lasciando “, ha detto al APIC, sottolineando che la situazione è attualmente calma in Aleppo.

Fra' Pizzaballa: «Aiutate i cristiani in Siria»

di Riccardo Cascioli
21-02-2012
 - La bussola quotidiana


Fra' Pizzaballa
E’ vero che è in atto una fuga dei cristiani?
Il numero dei cristiani è generalmente in calo in tutto il Medio oriente, quindi anche in Siria. Ovviamente questa situazione di paura sta incentivando la fuga. Ma non tutti, è soprattutto il ceto medio a cercare altrove prospettive per il futuro, soprattutto i giovani.

In Italia e in Europa i media tendono a semplificare il conflitto siriano, come la repressione di Assad contro un movimento che invoca democrazia e libertà. Ma davvero si può semplificare in questo modo?
No, la situazione è molto più complessa. Certamente Assad ha delle responsabilità oggettive, il suo regime è chiaramente oppressivo. Ma il movimento interno di opposizione è molto frastagliato, si va da movimenti laici a gruppi fondamentalisti. C’è sì da parte di alcuni anche un desiderio di maggiore libertà, ma c’è anche un aspetto religioso-sociale: i sunniti, che sono la stragrande maggioranza della popolazione, sono contro gli sciiti. Il regime di Assad, seppure laico, è composto dagli alawiti, che sono una minoranza derivata dagli sciiti.

Poi ci sono le implicazioni internazionali…
La Siria è un po’ la cartina di tornasole della situazione in Medio Oriente, sono coinvolti i paesi vicini e le grandi potenze. C’è di mezzo l’Iran, l’Hezbollah, Israele al confine sud, gli Emirati arabi. E anche Russia e Cina che hanno i loro agganci. La Siria è un po’ il crocevia dove tutti questi interessi si incontrano e si scontrano.