Testimonianza di mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, inviata ad AsiaNews che testimonia le drammatiche condizioni in cui versa la popolazione siriana. Quasi nove anni di guerra civile, le violenze dei gruppi jihadisti (da al-Nusra allo Stato islamico) che hanno insanguinato gran parte del territorio, l’emergenza profughi, le sanzioni internazionali contro Damasco e la crisi delle banche libanesi hanno messo in ginocchio il Paese. E i più colpiti, osserva mons. Nassar, sono “soprattutto i più fragili, i malati, i bambini e gli anziani“
Dall’austerità alla povertà
Immaginate che la vostra famiglia debba sopravvivere con un salario che è diminuito almeno del 50% in tre mesi. Uno scenario caotico che stravolge l’esistenza, che ha fatto innalzare in maniera vertiginosa i prezzi e che finisce per colpire la vita quotidiana di tutte le famiglie, in particolare modo quelle più povere e modeste.
Infatti, l’inflazione vertiginosa e l’impennata dei prezzi si ripercuotono su cittadini che già vivono in condizioni di austerità, facendo sperimentare loro povertà e una grande miseria.
La mancanza di carburante, del gas per uso domestico e della corrente elettrica, hanno fatto precipitare i più vulnerabili - soprattutto i più fragili, i malati, i bambini e gli anziani - nella più completa oscurità. Un dramma acuito dalle temperature glaciali, i cui effetti possono essere letali.
Carità congelata
La crisi bancaria del Libano ha di fatto bloccato i conti correnti dei siriani, sia quelli dei privati cittadini che delle imprese. Fra queste ultime sono comprese anche le associazioni caritative, che oggi sono costretti a dichiararsi incapaci di operare in un contesto contraddistinto da profonde ed enormi difficoltà. Sono giorni di miseria.
Oggi non è più possibile far fronte alle esigenze di base e ai bisogni primari e i poveri sono abbandonati a loro stessi e al loro triste destino. I loro miseri risparmi sono bloccati o congelati negli istituti bancari, pressoché inaccessibili.
Le condizioni socio-economiche della popolazione si fanno ogni giorno di più urgenti e drammatiche, e rischiano di aggravarsi ancora di più anche e soprattutto per il braccio di ferro in atto fra Iran e Stati Uniti. Uno scontro frontale che blocca la strada ai vari “Simone di Cirene” che cercano di portare aiuto, e impediscono di fatto qualsiasi forma di compassione, lasciando aperta la via dell’escalation e a un peggioramento ulteriore della situazione.
Quaresima anticipata
Questa crisi mai vista prima, nemmeno durante gli anni della guerra, getta i nostri fedeli in un tempo di digiuno e di Quaresima anticipato. Assicurare il pane quotidiano e un po’ di cibo sulle tavole è diventato l’incubo ricorrente di ogni giornata. Questa condizione del tutto nuova ha impoverito la Chiesa stessa, un “muro del pianto” dove ciascuno viene per piangere lacrime, gridare aiuto, cercare senza ostentarlo e nel silenzio più assoluto un po’ di consolazione. Un modo per vivere la passione di Cristo ben prima della Settimana Santa.
Sta emergendo sempre più una nuova vocazione con i colori delle Beatitudini e fondata sull’amore, sul perdono, sulla condivisione, sulla compassione. Una vocazione che è illuminata dalla luce della speranza della Pasqua.
Quaresima 2020
«Dopo la guerra delle armi, ora
combattiamo la guerra della fame»
Intervista
di Rodolfo Casadei a padre Ibrahim
Alsabagh
TEMPI,
29 gennaio 2020
«Non
è vero che la guerra ad Aleppo è
finita tre anni fa. Mentre io sono qui in Italia, cadono razzi e
bombe lanciati dai ribelli su Jamiet al-Zahra e Hamdaniya, i due
quartieri più occidentali della città. Nel corso di questo mese
sono morte già 12 persone e vari edifici sono stati distrutti. È il
modo con cui i jihadisti si vendicano dell’offensiva governativa
nell’Idlib, da dove non lasciano uscire i civili che vorrebbero
trasferirsi in luoghi più sicuri, e invece cadono vittime del fuoco
incrociato». Padre Ibrahim
Alsabagh,
parroco francescano della parrocchia latina di Aleppo, è in Italia
per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che le sofferenze
dei siriani e le traversìe dei cristiani non sono affatto finite,
anche se i media europei si occupano ormai di altre crisi
internazionali: Libia, Iran, ecc.
Gas
e elettricità
«Stiamo combattendo contro due mostri:
il freddo e il carovita», esordisce. «Il gasolio per il
riscaldamento scarseggia a causa delle sanzioni contro la Siria e
contro l’Iran, solo in alcune zone della città si riesce ad
acquistare quello del governo a prezzo calmierato, che è circa la
metà del prezzo di mercato. Per le bombole del gas da cucina bisogna
fare la fila dalle 5 di mattina, e magari si riesce a fare l’acquisto
alle 11. C’è gente che si fa pagare per tenere il posto nella coda
a chi non può stare lì tutta la mattina dall’alba. L’elettricità
va e viene in modo del tutto irregolare anche nei quartieri più
centrali di Aleppo come il nostro: ciò provoca cortocircuiti e
incendi. La città continua ad essere economicamente soffocata perché
continua a non disporre più del suo hinterland: a nord ci sono i
territori controllati dai turchi e dai curdi, a ovest c’è la
regione dell’Idlib dove i governativi combattono contro i
jihadisti. L’autostrada che collegava Aleppo al sud del paese
continua ad essere impraticabile: adesso è sotto il fuoco
dell’esercito, che cerca di riconquistarla da anni. A questi
problemi di vecchia data si è aggiunta la crisi del Libano: per
tutti gli anni della guerra è stato un polmone per la Siria, tanti
avevano spostato lì i loro conti bancari e attività finanziarie per
aggirare le sanzioni. Ma da quando sono iniziate le proteste di
piazza, anche il sistema bancario libanese è andato in difficoltà:
le banche restano chiuse per giorni a causa delle manifestazioni, e
quando sono aperte non permettono di prelevare più di 1.000 dollari
alla settimana dai conti correnti bancari. Anche per chi deve aiutare
i poveri e i bisognosi questo è diventato un grosso guaio».
La
guerra della fame
L’insieme di tutti questi problemi,
ai quali vanno aggiunti i contrasti fra il presidente e l’uomo
d’affari più ricco del paese, suo cugino Rami Makhlouf, hanno
provocato una forte svalutazione della lira siriana, che negli ultimi
dodici mesi ha perduto metà del suo valore rispetto al dollaro, e
nelle sole due prime settimane di gennaio 2020 il 33 per cento, col
cambio che passava da 900 a 1.250 lire siriane per un dollaro. «Il
governo ha arrestato alcuni speculatori e ha aumentato alcuni
stipendi, ma non abbastanza da restituire il potere d’acquisto dei
salari eroso dall’inflazione», riprende padre Ibrahim. «Ormai i
siriani parlano di “guerra della fame” che ha preso il posto
della guerra con le armi, che si continua a combattere nell’Idlib e
nelle campagne attorno ad Aleppo. Quasi la metà delle 580 famiglie
della nostra parrocchia vive sotto la soglia della povertà assoluta:
recentemente abbiamo tenuto una riunione di emergenza per deliberare
l’acquisto e il dono di 100 litri di gasolio a 250 nostre famiglie
che altrimenti morirebbero letteralmente di freddo. Altre risorse
importanti vanno alle cure mediche: è vero che in Siria funziona il
progetto Ospedali Aperti per curare nelle cliniche private malati
gravi che non hanno da pagare, ma ad Aleppo non c’è nessuno
convenzionato per chi ha bisogno di chemioterapia, e la nostra gente
dovrebbe andare a Damasco. Insieme ai pacchi alimentari periodici, ai
pannolini e al latte in polvere per i neonati, queste sono le nostre
spese principali».
Non
dimenticatevi di noi
Padre Ibrahim conclude con un appello
accorato: «Siamo riusciti a salire sopra l’onda che stava per
travolgerci, grazie a Dio e a tutti quelli che ci hanno aiutato. Ma
il momento decisivo per evitare che la presenza cristiana sia
spazzata via da Aleppo viene adesso. Non dimenticatevi di noi».
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