Siria, il “pizzo” all'Is è «contratto di protezione»
di Camille Eid
Avvenire, 4 settembre 2015
Volete restare qui? Queste sono le condizioni. Nella valanga di voci contraddittorie sulla prossima liberazione dei 270 cristiani di Qaryatain, rapiti dai jihadisti circa un mese fa, spunta un «contratto di protezione» (aqd dhimma, in arabo) concesso dal “Comandante dei credenti” Abu Bakr al-Baghdadi ai cristiani di Qaryatain, nella provincia di Damasco. Dopo una introduzione farcita di citazioni coraniche sul trattamento riservato nell’islam ai non musulmani, il documento elenca 13 condizioni alle quali i cristiani devono sottoporsi per godere della cosiddetta “protezione”. In puro stile mafioso, se non peggio.
Violare una sola condizione – specifica il documento che porta il timbro del “Dicastero della Giustizia” con data 30 agosto – rende il documento nullo e i contraenti «nemici da combattere». Vediamo quali sono: non costruire nuove chiese o monasteri; non mostrare croci né usare i microfoni durante le preghiere; non usare campane; non agire contro lo Stato islamico, ospitando ad esempio spie o ricercati, con il dovere di informare l’Is di eventuali mosse del nemico; rispettare l’islam e i musulmani; pagare la jizya (tassa prevista per i non musulmani in terra d’islam), fissata in 4 dinari d’oro per i benestanti, 2 per i meno abbienti e uno per i poveri, con facoltà di pagamento in due rate; divieto di detenere armi; divieto di vendere maiali e vino ai musulmani; attenersi alle regole imposte dal-l’Is, dal codice di abbigliamento alle norme del commercio.
Molte delle condizioni citate ricalcano alla lettera i «contratti di dhimma» stipulati dai primi califfi con la popolazione assoggettata in Medio Oriente. Si pone di nuovo il quesito del pagamento effettuato quattro giorni fa da uomini del clero siriaco ai jihadisti. Si è trattato di un versamento della jizya oppure di un riscatto per la liberazione del priore del monastero Mar Elian, padre Jacques Murad, e degli altri ostaggi? Forse entrambe le cose.
Su questo ultimo fronte, i recenti segnali positivi non trovano ancora conferme. Si è parlato, ad esempio, sui social-network dell’arrivo a Damasco di 9 famiglie cristiane di Qaryatain , 34 persone in totale, ma nessuna conferma in merito è giunta da altri ambienti. Nemmeno suor
Victoria, sorella di padre Jacques, possiede nuovi elementi. Interpellata dalla rete televisiva libanese Noursat, la religiosa si è limitata ad augurare il pronto rilascio di suo fratello, «un uomo di pace», e degli altri rapiti. Si parla addirittura di una smentita fatta dal portavoce della Croce rossa circa un ruolo dell’organizzazione nel trasferimento delle famiglie che dovrebbero essere rilasciate verso altre località.
C’è chi rimane comunque fiducioso, come il procuratore del patriarca siro-cattolico per la diocesi di Homs, monsignor Philippe Barakat. Il prelato dice di confidare nelle voci in circolazione e rivela che padre Jacques, presentendo il pericolo, lo ha pregato di invitare i cristiani di Qaryatain a lasciare il Paese in caso di suo assassinio. Ma i cristiani di Qaryatain, quelli riusciti a fuggire in tempo, non mollano. Mercoledì prossimo, come ogni 9 settembre, la festività del loro patrono, Mar Elian, sarà celebrata ugualmente. Non più nell’antico monastero che porta il nome del monaco – quello è stato raso al suolo con i bulldozer lo scorso 20 agosto – bensì a Zaidal, alla periferia di Homs, dove sono concentrate molte famiglie scappate dall’Is. Un piccolo messaggio per dire che l’amore, prima o poi, trionferà sull’odio e la morte.
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