I francescani hanno creato e aperto al pubblico una biblioteca intitolata a san Francesco nel quartiere di Bab Touma di Damasco: il racconto di padre Bahjat Elias Karakach
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domenica 21 febbraio 2021
sabato 20 febbraio 2021
Con Biden, per la Siria nulla cambierà
Di Elijah J. Magnier
Tradotto da A.C.
Molto difficilmente il presidente Biden metterà la Siria nella lista delle sue priorità per la semplice ragione che nessuna delle soluzioni che si prospettano finora si sposa con gli interessi degli Stati Uniti. Quindi si prevede (perlomeno nel primo anno di questa nuova amministrazione) che le truppe americane che attualmente occupano il nordest del paese e il valico di frontiera di Al-Tanf (che separa la Siria dall’Iraq), restino dove sono e che rimangano tali e quali tutte le misure prese nei confronti di Damasco. E così l’amministrazione Biden presumibilmente potrà ottenere dei vantaggi dalle sanzioni imposte da Donald Trump senza che ci siano modifiche di rilievo. Ed è pure molto probabile che gli Stati Uniti continuino ad interpretare in modo sbagliato le dinamiche locali, a incoraggiare i conflitti e le divisioni tra le popolazioni che abitano nello stesso paese senza mai smettere di credere, erroneamente, di poter cambiare i regimi attraverso l’imposizione di pesanti sanzioni.
Gli Stati Uniti dovranno sicuramente prendere in esame una serie di fattori importanti prima di fare dei passi che cambino la loro posizione e la loro politica nei confronti della Siria. Washington innanzitutto privilegia gli interessi e la sicurezza nazionale di Israele nel Levante. E Tel Aviv ritiene che tenere le truppe d’occupazione americane nel nordest della Siria e al valico di al-Tanf sia importantissimo al fine di rallentare o cercare di impedire il flusso della logistica e dei commerci tra Beirut, Damasco, Baghdad e Teheran. Però le forze ausiliarie, quelle siriane e gli alleati dell’Iran hanno preso il controllo del valico di frontiera di Albu Kamal, più a nord. Fu una mossa orchestrata dal generale iraniano Qassem Soleimani (assassinato dagli Stati Uniti all’aeroporto di Baghdad nel gennaio 2020) che sorprese e amareggiò moltissimo le forze americane oltre a guastare la festa agli israeliani intenti a celebrare il controllo degli Stati Uniti sul più importante posto di frontiera tra l’Iraq e la Siria, quello di al-Tanf.
La presenza delle truppe degli Stati Uniti in Siria fornisce un appoggio morale e militare a Israele e gli garantisce le informazioni raccolte dalla loro intelligence. Tel Aviv dichiara di aver lanciato più di mille attacchi contro vari obbiettivi in Siria a partire dal 2011, l’anno dell’inizio della guerra. Israele può infatti contare sul fatto che ci siano le forze americane nei paraggi (nonostante ci siano le loro basi in Israele) per riuscire a intimidire la Siria e far sì che i suoi leader non mettano in atto una strategia della dissuasione che gli impedirebbe di violare la sovranità del paese a suo piacimento. La presenza degli Stati Uniti infatti può essere utile a convincere il presidente siriano Bashar al-Assad a pensarci bene prima di attuare una ritorsione magari lanciando contro Israele una decina di quei missili di precisione che ha ricevuto dall’Iran. Finora le violazioni di Israele del territorio e quindi della sicurezza siriana hanno avuto un costo irrilevante. E l’assenza di una risposta adeguata da parte di Assad non può che generare altri attacchi israeliani. Il presidente siriano ha deciso di non seguire l’esempio di Hezbollah che con le sue minacce ha causato il ritiro dell’esercito israeliano dal confine con il Libano per sei mesi ( e ancora oggi resta invisibile): la paura che si avverasse la promessa del segretario generale Sayyed Hassan Nasrallah di uccidere per vendetta un soldato israeliano era consistente.
Pertanto Israele farà di tutto per riuscire ad influenzare l’amministrazione Biden e convincerla a non ritirare le truppe dalla Siria. Questo farà sì che non ci siano dei cambiamenti nel corso di quest’anno anche perché ovviamente non è facile per gli Stati Uniti decidere di abbandonare il valico di frontiera che separa la Siria dall’Iraq.
Il secondo motivo è che Joe Biden vede nella Russia un avversario. Infatti il presidente Putin ha ordinato l’ampliamento dell’aeroporto siriano di Hmeimin (che opera sotto il comando e l’amministrazione russa nel governatorato occidentale di Latakia) per ospitare i bombardieri strategici che trasportano bombe nucleari. E questo significa che la Russia sta costruendo una base che sfida quella americana e turca di Incirlik in cui ci sono cinquemila soldati americani e cinquanta bombe nucleari che sono parte delle riserve della NATO, una base da cui partirebbe la risposta ad un attacco russo nel caso di guerra nucleare. Per la Russia la Siria è diventata il suo fronte avanzato contro la NATO, la sua finestra sul Mediterraneo e la sua indispensabile base navale in Medio Oriente.
L’ex presidente Donald Trump aveva ordinato il ritiro di gran parte delle sue truppe da molte zone del nordest siriano, nei governatorati di Hasaka, Deir ez-Zor e Raqqa. Il ritiro permetteva alla polizia militare russa e all’esercito siriano di schierarvi le loro forze in gran numero e di controllare una serie di posizioni lungo il confine tra Siria e Turchia. Biden a questo punto non è più in grado di riavere quel pieno controllo delle province che gli Stati Uniti avevano prima dell’avanzata russo-siriana e deve lasciare il nordest alla Russia e all’esercito di Damasco. Quindi l’opzione migliore per la nuova amministrazione americana potrebbe essere quella di lasciare le cose come stanno. Se invece Biden ordinasse alle sue truppe di andarsene da tutte quelle zone che occupano ancora in Siria verrebbe accusato di lasciare il paese nelle mani della Russia, un avversario dell’America, nonché di rompere l’equilibrio esistente tra le due superpotenze e di nuocere agli interessi degli Stati Uniti nel Levante.
Per quanto riguarda i Curdi Biden non può, per la pressione esercitata sugli Stati Uniti da Israele e dalla lobby curda, ma anche per via del sostegno di cui gode la causa di questo popolo in Occidente, lasciarli come se niente fosse alla mercè della Turchia che li perseguiterebbe considerandoli terroristi. Le YPG siriane (Unità di Protezione popolare) finanziate e armate dagli Stati Uniti e da qualche stato europeo, sono il ramo siriano del PKK , il Partito dei Lavoratori del Kurdistan che è considerato un’organizzazione terroristica dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea (e anche dalla Turchia).
Fino ad ora gli Stati Uniti hanno impedito ai Curdi di trattare con il governo di Damasco il rientro di queste province nello stato. Su richiesta americana i Curdi preferirebbero abbandonare la città di Afrin alla Turchia piuttosto che consegnarla al governo siriano. Gli Stati Uniti come compensazione per la Turchia vorrebbero che continuasse ad avere l’accesso diretto da Afrin e Idlib per mantenere divisa la Siria. I Turchi a questo punto si tranquillizzerebbero visto che non apprezzano affatto l’atteggiamento protettivo degli Stati Uniti nei confronti dei Curdi. Washington vorrebbe anche continuare a tenere la Russia sotto pressione in un paese tutt’altro che unito e non controllato per intero dal governo di Damasco. L’aver permesso alla Turchia di occupare Idlib e Afrin e ai Curdi di avere il controllo delle risorse più importanti, petrolio e agricoltura, ha inferto un duro colpo al processo di ricostruzione della Siria e ostacola non poco il suo ritorno alla prosperità dopo dieci anni di guerra.
Se il presidente Biden decidesse di normalizzare i rapporti con il presidente Assad la sua amministrazione sarebbe sottoposta ad una fortissima pressione. Non ci sarebbero più motivi per tenere le truppe in Siria. E Biden verrebbe attaccato aspramente da molti guerrafondai occidentali (che nel corso degli anni hanno fatto di tutto per rovesciare Assad e cambiare il regime senza però riuscirci) dovesse mai dare il via ad un processo di distensione. A questo punto è chiaro che Biden non può fare la scelta di abbandonare i Curdi.
Per quanto riguarda invece l’Iran, è risaputo che gli Stati Uniti e Israele vorrebbero che non restasse in Siria ma non hanno gli strumenti per poter obbligare gli alleati di Teheran e i suoi consiglieri militari ad andarsene. La Russia non è riuscita a convincere Assad a farlo perché il presidente della Siria tiene in grande considerazione i suoi rapporti con l’Iran, il paese di cui si fida di più in assoluto. Teheran non ha mai imposto nulla al presidente siriano e Assad sa perfettamente che i due paesi hanno un destino comune. Quindi l’opzione resta aperta. Non si prevede che Biden cambi posizione e neppure che possa immaginare uno scenario in cui l’Iran sia destinato a fare le valige a meno che non ci sia contemporaneamente un ritiro americano. Ma se anche tutto ciò avvenisse l’influenza dell’Iran in Siria non diminuirebbe, indipendentemente dalla partenza o meno dei consiglieri iraniani.
Riguardo alla Turchia, non c’è molto da stare allegri. Biden vorrebbe che Ankara rinunciasse ai sistemi di difesa missilistica russi S-400. Ma non ha la possibilità di imporre dei cambiamenti ai rapporti tra la Turchia e la Russia perché i due paesi sono ormai arrivati ad un livello notevole di cooperazione. In seguito alla costruzione del Turkstream, il gasdotto che parte da Anapa, sulla costa russa per raggiungere la Turchia, la Bulgaria e la Serbia, gli scambi a livello turistico e commerciale sono aumentati in modo significativo. Il presidente Recep Erdogan che guida il secondo paese più potente della NATO chiede la fine dell’appoggio statunitense ai Curdi siriani. Vorrebbe che il presidente Biden portasse i suoi soldati fuori dalla Siria e gli consegnasse il nordest del paese così potrebbe eliminare I Curdi e annettersi parti della Siria come ha fatto con Idlib e Afrin. Ma Biden adesso non lo può fare.
La nuova amministrazione guidata dal presidente Joe Biden non dispone di grandi opzioni. Probabilmente manterrà le sanzioni che colpiscono duramente la popolazione della Siria e trarrà benefici proprio da quelle cosiddette “trumpiste” (imposte da Donald Trump) contenute nel “Caesar Civilian Protection (punishment) Act” ovvero la “legge di Cesare”. Il presidente americano vivrà nella speranza che, in un modo o nell’altro, cambi qualcosa e che quindi la posizione degli Stati Uniti in Siria migliori. In Siria si stanno avvicinando le elezioni presidenziali e naturalmente nei prossimi mesi e anche anni Assad non cadrà. Nonostante questa guerra devastante che dura da ormai dieci anni e che ha visto la partecipazione di tanti paesi occidentali e arabi lui è rimasto al potere. La vera svolta potrebbe esserci se le forze americane in Iraq e Siria fossero obbligate ad andarsene, una possibilità che potrebbe avverarsi in futuro proprio durante il mandato di Biden.
https://ejmagnier.com/2021/02/15/la-siria-non-e-nella-lista-delle-priorita-di-biden/
mercoledì 17 febbraio 2021
Aggiornamento sulla situazione attuale e prospettive
di Peter Ford, ex ambasciatore del Regno Unito
trad. Gb.P. OraproSiria
A uno sguardo veloce, poco è cambiato in Siria dalla scorsa estate. La situazione di stallo militare nel Nord, la crisi Coronavirus e il cambio di amministrazione a Washington hanno assicurato che nulla di importante potesse accadere per porre fine al conflitto in Siria, che ha ormai superato i dieci anni. Guardando meglio tuttavia, i rumori che annunciano il cambiamento non sono mai stati lontani. A mettere in ombra tutto è la terribile situazione economica, determinata in gran parte dalle sanzioni, dalle imminenti elezioni presidenziali in primavera e dalle prospettive per le relazioni USA / Iran.
Il Nord
A seguito dei guadagni territoriali principalmente nel sud di Idlib lo scorso marzo, il governo siriano ora controlla circa il 70% del paese. Il pesante intervento turco, utilizzando devastanti attacchi di droni, ha fermato l'avanzata governativa dello scorso anno, ha prodotto una sorta di cessate il fuoco e non ha assicurato ulteriori progressi significativi da parte dell'Esercito Arabo Siriano. È avvenuto un po' di riordino di linee del fronte logore, con i Turchi che hanno recentemente rimosso alcuni avamposti militari abbandonati in territorio controllato dal governo, ma questo non sembra indicare una ritirata turca più generale. Anzi, al contrario, l'amministrazione turca, di fatto, mette sempre più radici nella zona di confine. Gli uffici postali turchi, le scuole e le cliniche sono solo i segni più evidenti della nuova presenza ottomana, insieme all'uso della lira turca. I paragoni con il nord di Cipro sono fin troppo evidenti.
Dietro questo scudo turco, in gran parte della zona di confine, le milizie controllate dalla Turchia, tra cui una parte dell'Esercito Siriano Libero (ESL) con la loro "amministrazione autonoma" e i consigli locali, tassano e amministrano una stanca popolazione locale, in gran parte turkmena, che era una delle minoranze che prosperavano sotto il regime secolare e tollerante di Damasco prima del conflitto. Se e quando queste zone torneranno in seno allo Stato, la situazione non potrà che essere come quella che prevalse in Francia dopo la rimozione di Vichy. Lo stesso vale per le aree controllate dai curdi (vedi sotto). Molti curdi, a proposito, sono stati "ripuliti etnicamente" (deportati) dalle aree controllate dai turchi, accumulando ancora più problemi per il futuro.
A Idlib la situazione della sicurezza è caotica. La dominante milizia sunnita salafita, Hayat Tahrir Al Sham (HTS), continua a governare il "pollaio", occupandosi principalmente di saccheggi e combattendo con piccoli gruppi jihadisti, alcuni, a differenza di essi, apertamente affiliati ad Al Qaeda. HTS ha cercato senza molto successo di prendere le distanze da Al Qaida, con il suo leader Al Julani che recentemente è apparso indossando un completo. La speculazione è che HTS stia cercando di posizionarsi per un finale di partita in cui un Idlib semi-autonomo potrebbe emergere da un accordo generale. È difficile immaginare uno scenario in cui Damasco accetterebbe un simile accordo.
Nel nord-est le forze statunitensi stimate in modo variabile tra 600 e 2.000 agiscono efficacemente come scudi umani dietro i quali i leader delle milizie curde appoggiate dagli Stati Uniti governano un'area che rappresenta un quarto della Siria, con le sue ricche risorse di petrolio e grano. Finché queste modeste forze statunitensi rimarranno al sicuro, sarebbe un suicidio per l'Esercito Arabo Siriano tentare di avanzare, poiché ciò significherebbe innescare massicce rappresaglie da parte dell'USAF (Aviazione USA).
I leader delle milizie curde gestiscono le cosiddette Forze Democratiche Siriane ("Qasd", per usare l'acronimo arabo) che sono peshmerga con una lievitazione di forze arabe, soprattutto nelle aree a predominanza tribale del sud e dell'est. I rapporti suggeriscono che molte di queste forze arabe, alcune delle quali sorvegliano ironicamente gli impianti di produzione di petrolio controllati dagli Stati Uniti, sono "Qasdi di giorno, ISIS di notte". I campi di sfollamento per le famiglie dell'ISIS nelle aree USA / curde, alcune grandi come grandi città, sono incubatrici per l'ISIS. Il campo più grande, Al Hol, con i suoi 65.000 abitanti, è sulla buona strada per diventare la Kandahar della Siria.
Altro rifugio dell'Isis nella zona vietata di Al Tanf - non accessibile cioè per le forze governative siriane. Al Tanf è un'enclave che si trova a cavallo dei confini di Siria, Giordania e Iraq, controllata da un paio di centinaia di forze statunitensi la cui missione è quella di equipaggiare, addestrare e dirigere il gruppo armato jihadista locale, Maghawir Al Thawra, e negare alla Siria uno strategico passaggio di confine. Gli Stati Uniti ei loro alleati si lamentano del fatto che il governo siriano non consente l'ingresso di cibo in questa zona remota e arida brulicante di nemici. Non c'è nulla che impedisca l'approvvigionamento dall'Iraq, ma ciò richiederebbe agli Stati Uniti di accettare una certa responsabilità per una situazione interamente da loro creata.
È stato riferito che elementi dell'Isis basati ad Al Tanf o nei pressi, si sono lanciati nelle ultime settimane per compiere una serie di imboscate e omicidi nel deserto centrale, la Badia, a sud di Deir Ez Zor. Questi sporadici attacchi dell'ISIS sono lontani dall'essere una minaccia strategica, ma stanno aumentando e un Esercito Arabo Siriano coadiuvato dai suoi alleati iraniani e russi sta affrontando una sfida per contenere un ISIS risorgente.
In un' altra svolta della situazione disordinata nell'Est, non tutto va bene nel campo curdo. L'ente politico-militare curdo, il PKK, è meno soddisfatto dello status di cliente statunitense rispetto ai signori della guerra Qasdi, e più incline a cercare un accordo con il governo siriano. Non a caso, si pensa che il governo stia giocando su queste tensioni, e sulle tensioni curdo-arabe. Sorprendentemente, il governo detiene ancora enclavi all'interno delle due più grandi città prevalentemente curde, Hasakah e Qamishli, enclavi che sono state recentemente private di scorte alimentari dai Curdi presumibilmente in risposta alle pressioni che il governo stava esercitando sulle aree curde vicino ad Aleppo.
Gettiamo nel calderone le regolari minacce turche di attaccare il Qasd, le pattuglie militari russo-turche, le milizie iraniane che sopportano il peso maggiore della lotta nel deserto contro l'ISIS, l'Iran che recluta centinaia di Siriani nel nord-est nelle milizie controllate dall'Iran e convogli militari statunitensi che vengono presi a sassate nei villaggi arabi e sarà chiaro che la situazione nel Nord Est e nell'Est è potenzialmente una polveriera.
È probabile che il governo centrale, non avendo alternative se desidera riottenere l'accesso al proprio carburante e ai propri cereali, intensificherà gli sforzi per sfruttare fessure e punti di debolezza. Gli Stati Uniti, da parte loro, sembrano vedere l'occupazione de facto come un costo basso, indolore (per se stessi) e produttiva in termini di negare il successo ad Assad e alla Russia e causare problemi all'Iran. È probabile che queste ipotesi vengano messe in discussione col passare del tempo.
Dato il quasi stallo sulla maggior parte dei fronti, il governo ha congedato una parte considerevole dell'esercito, una mossa popolare con famiglie a lungo private dei loro figli.
Israele ha continuato e persino intensificato i suoi continui bombardamenti non provocati sulla Siria, apparentemente prendendo di mira le forze iraniane ma spesso colpendo militari e civili siriani. La faccia tosta israeliana è stata portata a tali estremi che i Russi, che hanno a lungo assecondato gli israeliani nel loro comportamento, secondo quanto riferito, hanno iniziato a consentire all'Iran di effettuare spedizioni di attrezzature attraverso la base aerea russa di Humaymen. Questo presumibilmente per riportare gli israeliani alle regole di ingaggio non dichiarate (no bersaglio di siriani) piuttosto che per stabilire un accordo permanente.
L'economia
La
situazione economica è davvero disastrosa. Alcuni dati per
capire:
Il costo di un paniere alimentare di prodotti di base è
aumentato del 247% in un anno. L'inflazione annuale complessiva si
aggira intorno al 180-200%.
4,8 milioni di persone dipendono dalle
donazioni alimentari del Programma Alimentare Mondiale (WFP)
La
produzione di cotone è diminuita di un terzo a causa della scarsità
di semi, carburante e fertilizzanti.
Per la prima volta in 31 anni
la Siria deve importare vacche da latte, in parte a causa di malattie
e indisponibilità causa sanzioni dei medicinali veterinari.
Su undici centrali elettriche solo sette sono operative a causa dell'indisponibilità di gas e pezzi di ricambio (la maggior parte del gas naturale siriano si trova nell'area Usa / curda). Le sanzioni impediscono a Siemens, Ansaldo e Mitsubishi di fornire ricambi.
Non ci sono solo brutte notizie. L'aeroporto di Aleppo è ora aperto per i voli internazionali. Sono iniziati i lavori per la ricostruzione del mercato centrale di Homs, con la partecipazione del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). Era stato ostacolato dalla riluttanza di molti negozianti a tornare alle loro proprietà, costringendo il governo a emettere ordini di possesso (e quindi essere criticato per la confisca da organizzazioni per i diritti umani).
Politica
Le elezioni presidenziali, secondo la legge elettorale, si terranno tra il 16 aprile e il 16 maggio. Anche se il risultato può sembrare una conclusione scontata, il presidente Assad vorrà che la sua rielezione sia il più convincente possibile. (Non ha ancora confermato che resterà in corsa, ma questo è dato per scontato.) Questa considerazione da sola determinerà probabilmente una riluttanza a intraprendere a breve termine qualsiasi azione militare rischiosa, per riprendere Idlib, per esempio. Anche la smobilitazione parziale si inserisce in questo quadro.
Negoziati
Altri cicli di discussioni saltuarie si sono svolti in seno al Comitato costituzionale che si riunisce sotto gli auspici dell'ONU a Ginevra, il più recente, il quinto, si è tenuto a fine gennaio. Il Comitato comprende rappresentanti del governo, della società civile e dell'opposizione in giacca e cravatta con sede a Istanbul. Sono escluse le parti coinvolte in un conflitto armato reale - i gruppi armati di opposizione, l'Amministrazione Autonoma e i Curdi. In teoria, il Comitato sta ancora elaborando una nuova costituzione, ma sta inciampando su questioni di procedura.
Politica statunitense sotto Biden
Pochi si aspettano grandi cambiamenti nella politica statunitense. In particolare, Biden dovrebbe essere davvero molto risoluto per sfidare un consenso bipartisan sul fatto che gli Stati Uniti debbano mantenere la loro presenza militare in Siria, che tanto quanto le sanzioni punisce l'innocente popolo siriano per le colpe addebitate ai suoi leaders, privandolo dell'accesso al proprio petrolio e grano e mantenendo il paese diviso. Le sanzioni, d'altra parte, sono un argomento in cui sembra che l'amministrazione entrante potrebbe non essere contraria a considerare nuove opzioni.
Un approccio propagandato è l'eliminazione graduale delle sanzioni legata a una serie di concessioni da parte del governo. Un tale approccio sarebbe destinato al fallimento poiché le concessioni richieste trascinerebbero inevitabilmente il governo su un percorso verso la sottomissione e la sua stessa fine, e quindi non supererebbero mai la prima base.
Vi sono pressioni, tuttavia, su un'amministrazione (Biden) che afferma di mostrare più preoccupazione umanitaria rispetto al suo predecessore, soprattutto in un periodo di Covid, affinché faccia qualcosa per alleviare le sofferenze dei civili. Un suggerimento è stato quello di togliere dal tavolo le sanzioni secondarie. Ciò potrebbe consentire ad aziende non statunitensi di riprendere la fornitura di pezzi di ricambio e medicinali, ad esempio.
Prospettive
Sarebbe non azzardato prevedere un movimento scarso o nullo nel 2021. La rielezione del presidente potrebbe servire a rafforzare il senso di inutilità dei tentativi di cambio di regime o di "ricerca di giustizia" (il che equivale alla stessa cosa).
Tuttavia, ci vorrà di più per indurre Erdogan e Biden a modificare un corso che equivale a poco più che preservare l'attuale instabile status quo per far dispetto ad Assad, Russia e Iran.
La riduzione delle sanzioni, se arriverà, sarà marginale e farà poco per migliorare la misera sorte della maggior parte dei Siriani. I rifugiati continueranno a marcire nei loro campi. L'ISIS diventerà più forte. I colloqui politici sotto gli auspici delle Nazioni Unite probabilmente hanno superato la data di scadenza e potrebbero non riprendere nemmeno. La linea ufficiale dell'FCO che spera che la Siria proceda lungo il percorso dei colloqui di Ginevra verso la "transizione" prima che le sanzioni possano anche essere prese in considerazione, sembra sempre più una formula cinica per una stasi indefinita.
La possibilità più promettente di un movimento sul dossier nucleare iraniano potrebbe plausibilmente aprire nuove prospettive, anche se questo ha tempi lunghi e le cose potrebbero evolversi in modi attualmente non facili da prevedere.
Gli stessi Americani si dichiarano ansiosi di discutere quello che chiamano il "comportamento regionale" dell'Iran, e quanto sarebbe realistico senza alcuna contropartita da offrire? Dopotutto, cosa sarebbe più logico del fatto che gli Stati Uniti si ritirassero dalla Siria e interrompessero la loro guerra economica in cambio del ritiro delle forze dell'Iran?
Un simile approccio basato sul buon senso, tuttavia, difficilmente si raccomanderebbe ai falchi di Washington, almeno non prima che iniziassero a provare un po' di dolore a causa delle loro politiche. Alcuni disordini significativi nelle aree dominate dai Curdi potrebbero creare tale dolore, e questa è l'area che probabilmente sarà sotto sorveglianza più ravvicinata nel prossimo anno, piuttosto che le aree dominate dai Turchi dove i Turchi non hanno un evidente tallone d'Achille oltre alla piccola sacca di Afrin, con la sua popolazione curda, o qualsiasi nebulosa negoziazione politica.
Può anche essere che con l'Iran che amplia la sua impronta militare nel nord-est della Siria, un mancato rinnovo dell'accordo nucleare potrebbe portare l'Iran a perdere il suo attuale incentivo a non scuotere la barca con gli Stati Uniti e invece a indulgere in qualche altro "comportamento" in una regione della Siria attualmente vista da alcuni politici statunitensi forse compiacenti come un regalo che continua a fare.
In ogni caso, la Siria continuerà senza dubbio ad essere la cabina di pilotaggio in cui si svolgono le rivalità regionali, aggravando le difficoltà del conflitto interno ".
Peter Ford
https://www.patreon.com/posts/update-on-syria-47616440lunedì 15 febbraio 2021
La "lotta curda per l'indipendenza in Siria" è una campagna di propaganda statunitense per nascondere la prevista balcanizzazione del paese
di Janice Kortkamp
trad. Gb.P. OraproSiria
La "lotta curda per l'indipendenza in Siria" è una campagna di propaganda statunitense per nascondere la prevista balcanizzazione del paese. Questo è il mio modesto tentativo di spiegare questa complessa questione.
Riepilogo della situazione attuale: nelle ultime settimane, le "Forze Democratiche Siriane" (SDF) sponsorizzate dagli Americani - separatisti curdi e altri combattenti pagati profumatamente dagli Stati Uniti (dieci volte quello che percepiscono i soldati siriani) per i loro servizi mercenari - hanno assediato le parti delle città nord-orientali di Al-Hasakah e Qamishli ancora sotto il controllo del governo siriano. I civili hanno manifestato contro l'occupazione e l'assedio delle SDF, a cui le SDF stanno brutalmente rispondendo. L'altro ieri, le SDF create e sostenute dagli Stati Uniti hanno ucciso un manifestante e ne hanno feriti molti altri. Oggi il governatore della provincia ha annunciato che la Russia ha concluso con successo i negoziati e che nei quartieri di Qamishli è iniziata una parziale revoca dell'assedio.
Molti altri civili siriani in quelle aree hanno protestato contro le truppe americane e i mercenari nella provincia per quello che hanno fatto: rapire uomini per arruolarli a combattere per loro - tattiche di costrizione; bruciare i raccolti o inviare il grano e altri prodotti fuori dalla Siria; rubare il petrolio (insieme alle forze statunitensi) dai ricchi giacimenti petroliferi in quella zona (gli Stati Uniti stanno usando i profitti per finanziare l'addestramento e l'equipaggiamento continuo delle SDF); a volte cacciare le minoranze etniche e religiose dalle loro case nel tentativo di creare una popolazione a maggioranza curda; spesso lavorare con le milizie dell'ISIS invece di combatterle. Le forze statunitensi non hanno mai lasciato la Siria sotto Donald Trump - sono lì senza alcuna dichiarazione di guerra da parte del Congresso o un mandato delle Nazioni Unite - e Joe Biden ne ha già aumentato il loro numero.
Il governo siriano, come il governo iracheno, hanno chiesto molte volte che le forze americane lascino il loro paese. Invece di andarsene, le truppe statunitensi continuano a rubare petrolio - i giacimenti petroliferi più ricchi del paese si trovano nell'area occupata dagli Stati Uniti - e l'area è anche il granaio della Siria. La conseguente grave carenza di cibo e carburante sta causando terribili sofferenze al popolo siriano.
Le bugie e la propaganda:
1. "Aree curde" - Il terzo della Siria, nel nord-est occupato illegalmente dalle truppe statunitensi, non è "curdo", infatti i Curdi non costituiscono affatto la maggioranza della popolazione in quelle aree - le tribù Arabe sì e ci sono centinaia di migliaia dei Cristiani Assiri e di alcuni Armeni. C'erano pochi Curdi lì fino a quando negli ultimi 100 anni non furono trasferiti massicciamente dalla Turchia. Ad esempio nella città capitale della provincia di Al-Hasakah, chiamata anch'essa Al-Hasakah, un censimento francese nel 1939 elencava solo 360 Curdi con 7133 Arabi, 5700 Assiri e 500 Armeni. (1) La maggioranza dei Curdi sono musulmani sunniti ma ce ne sono alcuni che appartengono a sette diverse. Secondo uno studio completo del 2012 dell'Associazione Nazionale della Gioventù Araba dei villaggi nella provincia di Al-Hasakah c'erano 1161 villaggi Arabi, 453 Curdi e 98 Assiri. (2) La popolazione curda della Siria nel complesso è solo del 5-10%. In Siria, un paese le cui radici come entità geopolitica risalgono agli albori della civiltà, cento anni fa è come fosse ieri.
“I Curdi” non sono un collettivo unificato; ci sono numerosi gruppi con alleanze e obiettivi diversi: un vertiginoso coacervo alfabetico di acronimi, ma il gruppo sostenuto dagli Stati Uniti in Siria è l'ex YPG (Unità di Protezione Popolare). Nel 2017 il generale dell'esercito americano Raymond Thomas, capo del Comando Operazioni Speciali, ha detto ai leader delle YPG che dovevano "cambiare il loro marchio" prima della creazione delle "Forze Democratiche Siriane" - l'esercito mercenario armato, finanziato e addestrato dagli Stati Uniti. Ridacchiò quando annunciò il nuovo marchio, dicendo che era “un colpo di genio per mettere la democrazia da qualche parte. Ma ha dato loro un po'di credibilità ". (3 e 4)
Quando gli sforzi degli Stati Uniti per minare e rovesciare il governo siriano fallirono, il Segretario di Stato John Kerry annunciò il "Piano B" - la divisione della Siria - una "balcanizzazione" del paese (simile ai piani della Francia durante gli anni del Mandato Francese). Questo piano dividerebbe il paese secondo linee settarie ed etniche per creare stati più piccoli e più deboli. (5) Questo tipo di suddivisione - la vecchia strategia del "divide et impera", non funzionerebbe mai in Siria - a meno che l'intenzione non fosse quella di creare sempre più conflitti.
La popolazione siriana è mescolata in tutto il Paese nei grandi centri urbani, nelle città più piccole e in decine di migliaia di villaggi; mentre i quartieri o villaggi e anche alcune aree più grandi possono essere prevalentemente un'etnia o una setta religiosa, l'idea che ogni gruppo abbia la propria autonomia è antitetica alla cultura. Le oltre due dozzine di etnie e gruppi religiosi che compongono il popolo siriano sono integrate e condividono la Siria. Un esempio sono gli Armeni che vennero in massa cento anni fa per sfuggire al genocidio armeno dei Turchi Ottomani, lo stesso genocidio che molti gruppi curdi aiutarono i Turchi a perpetrare. Gli Armeni si sono pienamente integrati nella società siriana pur conservando le proprie tradizioni, lingua e religione cristiana.
Per dirla in termini a cui gli Americani possono far riferimento, quale sarebbe la reazione degli Americani se la Russia o la Cina avessero costruito basi a Orlando, dove addestrassero e armassero milizie di Floridiani provenienti da Cuba e chiedessero che la Florida fosse trasformata in "Cuba-stan "?
4. Israele corteggia da decenni i gruppi separatisti curdi (6) e la divisione della Siria è principalmente a favore delle ambizioni israeliane di prendere il controllo del Libano, oltre a prendere tutta la Palestina e finalizzare e legittimare il loro furto del Golan siriano. Per raggiungere questi obiettivi, vogliono che Hezbollah sia schiacciato in Libano e che i paesi indipendenti dell'arco settentrionale del Medio Oriente - Siria, Iraq e Iran - siano tolti di mezzo (perché non sono sotto la completa sottomissione agli Stati Uniti che agiscono come guardia del corpo straniera e militare di Israele).
L' Arco della Resistenza di questi tre grandi paesi con forti eserciti che operino in un'alleanza unificata sarebbe il più grande baluardo contro l'espansionismo israeliano. È fondamentale capire che Israele non si sta "difendendo" - le intenzioni di Israele sono che a nessun Paese sia permesso di avere la capacità di difendersi dall'aggressione israeliana.
Concludendo:
La propaganda statunitense / occidentale per promuovere i separatisti Curdi è stata totalmente fuorviante, proprio come lo è stata per l'intero conflitto siriano per 10 anni. Mentre molti Curdi hanno combattuto coraggiosamente contro l'ISIS e al Qaeda nella Siria settentrionale e nord-orientale, quelle battaglie non sono paragonabili alla coraggiosa lotta dell'Esercito Arabo Siriano e dei suoi alleati contro le centinaia di migliaia di terroristi e delegati estremisti (la maggior parte dei quali stranieri) che imperversano nel Paese dal 2011.
Gli
Stati Uniti stanno usando la causa dei separatisti Curdi come
facciata - una storia di copertura - per un esercito mercenario
creato per eseguire una balcanizzazione illegale della Siria, un
Paese che non è mai stato aggressivo contro l'America né una
minaccia in alcun modo.
Senza la coalizione illegale degli Stati
Uniti, i Curdi e tutti gli altri combattenti che si sono uniti alle
SDF dovrebbero reintegrarsi con la Siria e continuare la lotta contro
ISIS, al Qaeda, le forze di occupazione illegali della Turchia e
altri delegati terroristi, a fianco dell'Esercito Arabo Siriano e dei
suoi alleati a cui appartengono.
Fonti
(1) Utrecht University Repository, p 11, Sectarianism in the Syrian Jazira: community, land and violence in the memories of World War I and the French mandate (1915- 1939). https://dspace.library.uu.nl/handle/1874/205821
(2) Associazione nazionale della gioventù araba, studio sulla distribuzione della popolazione nella provincia siriana di Hasakah, 22 agosto 2013. http://www.asharqalarabi.org.uk/%D8%AF%D8%B1%D8%A7 % D8% B3 ...
(3) Reuters, il generale degli Stati Uniti ha detto all'YPG siriano: "Devi cambiare il tuo marchio", 21 luglio 2017. https://www.reuters.com/…/us-general-told-syrias-ypg…
(4) Anadolu Agency, il generale maggiore degli Stati Uniti spiega il rebranding dell'YPG lontano dal gruppo terroristico PKK, 25 gennaio 2018. https://www.youtube.com/watch?v=cHpaIO-Pj10
(5) The Guardian, John Kerry afferma che la partizione della Siria potrebbe essere parte del "piano B" se i colloqui di pace fallissero, 23 febbraio 2016. https://www.theguardian.com/…/john-kerry-partition…
(6) Haaretz, Dentro gli improbabili legami non ufficiali tra Israele e i Curdi, 12 ottobre 2019. https://www.haaretz.com/middle-east-news/syria/.premium.MAGAZINE-israel-and-the-kurds-an-unlikely-and-unofficial-relationship-1.8234659
sabato 13 febbraio 2021
"Quanto è facile e veloce distruggere una nazione. E quanto è più difficile ricostruirla. Che ferita terribile e profonda!"
di mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco
Sembra che la guerra siriana sia il dramma più crudele cui ha assistito il mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Quando si è registrato un calo delle violenze legate al conflitto, al tempo stesso si è insinuata una guerra economica ancora più dura, che ha messo in ginocchio ogni residua speranza di ripresa per il popolo che, al contrario, ha visto raddoppiate le proprie sofferenze.
Quello di oggi resta uno scenario dominato dal caos:
1 - Le vittime: almeno 950mila, che hanno gettato altrettante famiglie nel dolore, nel lutto e nella precarietà.
2 - Oltre 200mila persone disperse, e fra queste vi sono due vescovi e quattro sacerdoti di cui non si sa più nulla da tempo. Un incubo per i loro familiari e per gli amici, che non sanno cosa sia successo ai loro cari.
3 - Almeno 13mila sfollati interni provenienti da diverse aree vivono nella più completa miseria, incertezza e disperazione.
4 - Sono 95mila i siriani con mani, piedi o gambe amputate o paralizzate. Essi rappresentano un grave problema che lo Stato non è in grado di affrontare e le cui conseguenze sono durissime sia a livello medico che psicologico.
5 - In base alle ultime stime sono 2,5 milioni gli edifici distrutti, danneggiati, rasi al suolo o inagibili per la guerra. Le rovine giacciono dappertutto rendendo diverse aree città fantasma, che sono diventati nel tempo campi per profughi o senzatetto.
6 - Ad una crisi generalizzata si sommano anche i blocchi e le sanzioni internazionali, che limitano anche quei pochi aiuti, risorse o finanziamenti che possono arrivare dall’esterno. Ricordiamo anche il crollo della moneta locale, la lira siriana, l’inflazione galoppante che si vanno ad aggiungere alla pandemia di nuovo coronavirus in un mix dagli effetti devastanti e che ben inquadrano la situazione attuale della nazione.
Del resto, come è facile e rapido distruggere un Paese fino alle sue fondamenta, così è altrettanto difficile, arduo e lento provare a ricostruirlo.
Di fronte a queste scene di desolazione, la Chiesa in Siria - sebbene minoranza nel Paese - non ha voluto restare solo una spettatrice silenziosa ma ha voluto lanciare un Sinodo del rinnovamento e contribuito a portare la luce dello Spirito (Santo) in molti modi diversi. Da qui la testimonianza diretta e attiva nella promozione di opere di carità nel campo della sanità, dell’istruzione, un programma pastorale dedicato ai giovani, la mediazione familiare e un aiuto per i nuclei in maggiore difficoltà, non solo a livello economico. A questi si aggiungono anche l’attenzione per le persone più fragili, il sostegno a quanti sono stati colpiti dalla guerra in modo materiale o umano, sconvolti da quella che è stata una vera e propria frantumazione del Paese. In questo senso, le serate dedicate all’adorazione del Santissimo Sacramento sono state uno degli appuntamenti più sentiti nel tentativo di capire l’essenza del messaggio (cristiano) in questo orizzonte di devastazione.
Quanto è facile e veloce distruggere una nazione. E quanto è più difficile ricostruirla. Che ferita terribile e profonda!
“Maestro, non t'importa che moriamo?” (Marco 4, 35)
Anche se il mondo ha dimenticato la Siria, il Signore veglia sulla nazione e il suo popolo e non lascerà affondare e sparire nel nulla la sua barca.
FONTE : AsiaNews
lunedì 8 febbraio 2021
Cronaca dalla Comunità delle Trappiste della Siria
La Comunità con il suo Vescovo Mons. Abou Khazen Vicario Apostolico dei latini |
Carissimi amici,
uno degli eventi più importanti del 2020 è stato certamente l’esplosione al porto di Beirut in agosto, evento colossale e quasi apocalittico che ha scosso tutto il Medio Oriente e ha impressionato il mondo. Si è letto che si è trattata dell’esplosione più grande della storia dopo quelle dell’atomica in Giappone. Noi qui, pur essendo vicine al confine col Libano, non abbiamo percepito nulla, ma ci hanno detto che in quasi tutto il Libano si sentito il fragore e anche la terra tremare. Pur nella tragedia della distruzione si può davvero credere che la Vergine di Harissa, Regina del Libano, e san Charbel, dalla montagna che sta a ridosso della città e guarda il mare, hanno protetto Beirut, perché se il mare non avesse assorbito il 50% della potenza dell’urto, tutta Beirut sarebbe stata rasa al suolo.
Difficile per tutti immedesimarsi con lo stato di miseria e morte che la “bomba” ha lasciato dietro di sé. E che desiderio grande di poter offrire un contributo, un aiuto! Commuoventi le immagini degli sciami di giovani che si sono riversati nella zona devastata per scavare e ripulire con le loro mani, provenienti da tutto il Libano e oltre.
E noi? Cosa possiamo fare? Questa è la domanda che emerge sempre di fronte all’incredibile susseguirsi delle difficoltà in cui versano questi popoli. La risposta affiora nel cuore, nella notte, di fronte al nostro Tabernacolo, davanti al quale ci è sempre dolcissimo sostare in preghiera per portare al Signore il dolore dei fratelli nel mondo. Sembra niente, come il seme. È niente. Eppure è la nostra parte, è il nostro tutto, che il Signore può accogliere e moltiplicare come vuole. La povertà (dovuta alla svalutazione e alle sanzioni) e la paura per la diffusione del contagio da Covid 19, già assillavano sia la Siria che il Libano in questi ultimi mesi, e non era immaginabile pensare che le disgrazie non fossero ancora finite. Come faranno questi Paesi a rialzarsi ora? Come faranno soprattutto se viene meno la speranza?
SPERANZA è la parola che ricorre più spesso nelle nostre preghiere. Un bene di prima necessità da queste parti, dove si sente dire “É meglio andarsene!”. Qui in Siria, come anche in Libano, dove addirittura i governanti, prima di dimettersi, consigliavano alla popolazione la fuga. Come se non bastasse si viene addirittura a sapere che tra le case distrutte di Beirut giravano ricconi che offrono soldi alla gente che ha perso tutto, per acquistare le case distrutte. Con niente le comprano, con gli aiuti le ricostruiscono e avranno così fatto un affare d’oro mentre i proprietari fuggono dalla loro terra verso l’ignoto. Sì, non si finisce mai di meravigliarsi di come ci sia tanta gente che approfitta delle disgrazie altrui, accanto invece a chi sa vivere una solidarietà che supera l’inventiva umana.
Quale sarà la possibilità di ripresa del Libano? Quali forze esterne influiranno sulla sua economia, sul suo governo? Non è facile rispondere a queste domande nemmeno ora che sono passati molti mesi e ancora non sembra si sia raggiunta una stabilità di governo. Non saremo certo noi dalla Siria a poter rispondere dato che nemmeno noi sappiamo come si risolleverà il nostro Paese, martoriato su tutti i fronti.
Ora c’è soprattutto da capire come usciremo dal contagio virale che si sta diffondendo assai rapidamente e come la gente affronterà l’inverno, con scarsità di gasolio oltre che di corrente elettrica. Nell’autunno c'erano stati anche centinaia di focolai di incendi, in tutta la zona fertile della Siria, la fascia che costeggia il Mediterraneo, che hanno portato via grano, olivi e agrumi, le fonti di sostentamento della popolazione.
Possiamo comunque con speranza concludere raccontando un avvenimento significativo che ha segnato la vita delle Chiese di Siria: il giorno della solennità dell’Assunzione di Maria Vergine al cielo, assai cara alle Chiese d’Oriente, su iniziativa del Vescovo Maronita di Aleppo e col coinvolgimento dei Vescovi delle altre Chiese e dei loro fedeli, si è svolto un momento importante di preghiera comune e pubblica per implorare dalla Madonna l’aiuto nella pandemia. Celebrazione della Santa Messa e poi processione per le vie della città, nei quartieri più distrutti di Aleppo, con il Santissimo e l’Icona della Vergine. La cosa bella è che anche i fratelli musulmani hanno accettato di partecipare ed era presente il Mufti di Aleppo.
Che Dio benedica e conservi la disposizione del cuore dei cristiani e del nostro popolo verso la pace e la convivenza pacifica.
Un carissimo saluto,
dal Monastero Nostra Signora Fonte della Pace – Azer- Siria
sabato 30 gennaio 2021
Dieci anni dopo ... Non parlarmi più di gelsomino!
traduzione Gb.P. OraproSiria
A un decennio dagli eventi della cosiddetta "primavera araba" che hanno sconvolto diversi paesi del Maghreb, del Medio Oriente e della penisola arabica, l'ex diplomatico e saggista francese Michel Raimbaud ci dà la sua opinione sulle sue conseguenze.
Quando nel cuore dell'inverno 2010-2011 compaiono a Tunisi e poi al Cairo le prime "rivoluzioni arabe" che frettolosamente battezziamo "primavere", esse godono di un favorevole pregiudizio, foriere di libertà e rinnovamento. Rapidamente, destituiscono "tiranni" inestirpabili e fanno una forte impressione: la loro vittoria è inevitabile e l'epidemia sembra destinata a conquistare tutti i paesi arabi.
Tutti ? Non proprio. Gli Stati colpiti - Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Siria e dal gennaio 2011 Algeria e Mauritania - hanno in comune l'essere repubbliche, moderni, sensibili al nazionalismo arabo, governi con una laicità tollerante e ciò fa porre una domanda: "Perché noi e non loro? ". Lo dirà il futuro, i "loro" sottintende i re, i reucci o gli emiri che sfuggono miracolosamente alla primavera e sembrano promessi a un'estate eterna ben condizionata: l'Arabia di Salman e Ben Salman, gli Emirati di Zayed e Ben Zayed, il Qatar dalla famiglia Al Thani, ecc. Mettiamoci pure il Marocco e la Giordania ed ecco tutte le monarchie, dall'Atlantico al Golfo, al riparo per predicare la "rivoluzione" ... In bocca a uno sceicco wahhabita o ad un emiro, la parola "rivoluzione" sembra buffa ma basta darle il suo significato etimologico (movimento astronomico che riporta al punto di partenza) per scoprire che ben si addice a un movimento guidato da fondamentalisti con l'appoggio dell'Occidente per rompere la retorica del movimento nazionale arabo: cosa che gli esperti delle "nostre grandi democrazie" auto strombazzate rifiuteranno di ammettere.
In compenso, nei paesi arabi e altrove, molti avranno capito ben presto che cosa queste primavere invernali non erano, cioè rivoluzioni "spontanee, pacifiche e popolari". Nonostante le promesse di un domani felice fioriscano, non ci vorrà molto per disilludersi: nel vuoto creato dalla liberazione dei "tiranni", è il disordine che si insedierà piuttosto che la democrazia che ci si aspettava. Lo stupore lascerà il posto alla disillusione, al "caos creativo" dei neoconservatori e alla barbarie degli estremisti che fanno un brutto servizio alla dolce musica delle promesse.
Il caso a volte fa le cose bene, la notizia di dicembre 2020 - gennaio 2021 ha registrato in prima pagina uno spettacolare flashback della "rivoluzione" tunisina, la prima della saga lanciata il 10 dicembre 2010 quando il giovane Bouazizi si dà fuoco per protestare contro la corruzione e la violenza della polizia. Dopo il disordine iniziale legato alla "liberazione" da Ben Ali, la patria di Bourguiba, patria del nazionalismo arabo, aveva conosciuto elezioni e fasi di stabilizzazione, anche progressi nella democratizzazione con il partito Nahda di Ghannouchi o suo malgrado, prima di degenerare in una guerriglia civile tra Fratelli Musulmani e riformisti laici. Dieci anni dopo, il caos prende il sopravvento. I progressi verranno sepolti?
In Egitto, la "primavera del papiro" non ha mantenuto le promesse dei suoi profeti. A parte lo "sfratto" del vecchio Mubarak, il suo processo e la morte in prigione, il successo (temporaneo) dei Fratelli Musulmani e la presidenza rustica di Mohammad Morsi, hanno prodotto una democrazia problematica e un potere autoritario sotto forte pressione. Il generale al-Sisi non sembra avere il controllo delle sue scelte. In un paese diviso dal prestigio offuscato, è combattuto tra le vestigia del nasserismo e la disperata ricerca di finanziamenti da parte dell'Arabia e dei ricchi emirati: l'Egitto ha superato il traguardo dei 100 milioni di abitanti e si sta sgretolando sotto i debiti, i problemi, le minacce (Etiopia, Sudan e acque del Nilo). Lo slogan "nessuna guerra in Medio Oriente senza l'Egitto" è di attualità, ma non si temono più i "Faraoni" del Cairo ...
Al termine di dieci anni di guerra contro aggressori a più facce (paesi atlantici, Israele, forze islamiste, Turchia, Qatar e Arabia in testa, terroristi da Daesh ad Al Qaida), la Siria si trova in una situazione tragica, pagando per la sua fermezza sui princìpi, la sua fedeltà alle alleanze e il carico simbolico che porta: non avrà avuto la primizia di una chiamata al Jihad? L'America ed i suoi alleati respingono "l'impensabile vittoria di Bashar al-Assad" e la loro "impensabile sconfitta". A causa delle sanzioni, delle misure punitive dell'Occidente, dell'occupazione americana o degli intrighi turchi, dei furti e dei saccheggi, la Siria non può essere ricostruita. La "strategia del caos" ha fatto il suo lavoro. È giunto il momento delle guerre invisibili e infinite sostenute da Obama. Tuttavia, il futuro del mondo arabo dipende da qualche parte, e in gran parte, dalla forza del suo "cuore pulsante". Con tutto il rispetto per chi finge di averla seppellita, anche evitando di menzionare il suo nome, la Siria è indispensabile al punto di cristallizzare le ossessioni : nessuna pace senza di essa in Medio Oriente.
Passato attraverso la Rivoluzione dei Cedri nel 2005, dopo aver sopportato la primavera autunnale del 2019, le tragedie del 2020 e il caos del 2021, il Libano avrà avuto la sua rivoluzione. Sanzionato, affamato, asfissiato, minacciato dai suoi "amici", condivide volente o nolente il destino del Paese fratello che è la Siria. Un terzo della sua popolazione è composto da rifugiati siriani e palestinesi. Sta cambiando il suo destino, dopo cento anni di "solitudine" nel Grande Libano dei francesi?
In Palestina è la "primavera" perpetua. "Transazione del secolo", tradimenti tra amici e Covid oblige, la questione palestinese sembra abbandonata, tranne che per la Siria che paga a caro prezzo il suo attaccamento alla "sacra causa". Martirizzati, rinchiusi a vita, umiliati e vittime dell'etnocidio, i palestinesi sapranno scegliere i propri alleati senza tradire chi non li ha traditi? Tra inglese e francese, fate attenzione ai falsi amici, ma a volte costoro parlano turco o arabo. Il Re del Marocco, Comandante dei Fedeli e discendente del Profeta, Presidente del Comitato al-Quds, si è appena normalizzato con Israele, consegnando l'Ordine di Maometto a Donald Trump. È il quarto ad entrare nel campo dei liquidatori, dopo gli ineffabili Emirati Arabi Uniti, il Bahrain sopravvissuto a una primavera straordinaria e l'ex Sudan. Quest'ultimo ha messo al fresco Omar al-Bashir, ma ha anche rinnegato i suoi principi, compreso quello dei "tre no a Israele". Fa amicizia con lo zio Sam e muore d'amore per Israele, ma i due non hanno amici, soprattutto non tra gli arabi.
L'Iraq non ha avuto bisogno di una "primavera araba" per scoprire cosa significassero "democratizzazione" in stile americano e pax americana. Il paese di Saddam, martirizzato per trent'anni e semispartito in tre entità, lotta per liberarsi dall'abbraccio degli Stati Uniti, di cui i suoi leader sono tuttavia l'emanazione. Per i neoconservatori di Washington e Tel Aviv è servito come test della "strategia del caos", e sta pagando per questo.
Invasa illegalmente dalla NATO nel marzo 2011 in nome della "Responsibility to Protect", la Libia ha pagato un prezzo pesante alle ambizioni occidentali. Gheddafi vi morì in un episodio di cui Hillary Clinton, l'arpìa del Potomac, ha esultato indecentemente. Sul fronte della democratizzazione, la Jamahiriya, i cui indici di sviluppo erano esemplari, aveva ereditato dall'estate del 2011 un caos che aveva suscitato l'ammirazione di Juppé. Dietro le rovine libiche e le macerie del Grande Fiume, ricordi dei bombardamenti umanitari della coalizione arabo-occidentale, giacevano le casse che l'Asse del Bene aveva alleggerito di centinaia di miliardi di dollari dalla Jamahiriya, non persi per tutti. Il sogno di Gheddafi - un'Africa con una sua moneta indipendente dall'euro e dal dollaro - è stato rubato. Chi amava troppo la Libia può gioire: ora ce ne sono diverse, da due a cinque a seconda degli episodi.
Potremmo appesantire il bilancio parlando della tenace Algeria, dello Yemen martirizzato dai Sauditi e dall'Occidente, dell'Iran, ecc ...: le "primavere" sono state la peggior catastrofe che gli arabi potessero conoscere. Eppure, benchè intrappolati tra l'Impero americano e il blocco eurasiatico russo-cinese, il mutato contesto geopolitico sta lavorando a loro favore.
Se non hanno nulla da aspettarsi dagli Stati Uniti, che, da Obama a Biden passando per Trump, vedono il mondo arabo solo con gli occhi di Israele e con il profumo di petrolio, farebbero bene a scommettere sul ritorno della Russia come riferimento politico e l'arrivo della Cina attraverso le Vie della Seta. Sta a loro scegliere tra le guerre senza fine offerte loro dalla "potenza indispensabile" o la via di rinascita che l'alternativa strategica aprirebbe loro. Niente è ancora giocato del tutto.
Michel Raimbaud
venerdì 22 gennaio 2021
OraproSiria si unisce all'appello internazionale per porre fine alla punizione collettiva dei civili siriani
Patriarchi, esponenti delle Chiese del Medio Oriente e più di 90 personalità in tutto il mondo oggi hanno chiesto al presidente degli Stati Uniti Joe Biden di revocare le sanzioni economiche che stanno causando gravi danni alla popolazione civile della Siria, come richiama il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla coercizione unilaterale, Prof. Alena Douhan.
I firmatari della Lettera Aperta hanno affermato che "questa forma di punizione collettiva della popolazione civile sta portando la Siria verso una catastrofe umanitaria senza precedenti". Tra i firmatari ci sono membri di parlamento, attivisti per i diritti umani, leader cristiani, non solo della Siria, operatori umanitari, ex diplomatici e militari.
Appelli identici vengono inviati oggi dai firmatari di questa Lettera Aperta ai governi di altri paesi, tra cui Regno Unito, Francia, Germania e Svizzera. Tutti questi Stati hanno aderito alla campagna di sanzioni condotta dagli Stati Uniti contro la Siria, anche se non autorizzata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Chiediamo di aderire e rilanciare l'appello, per mettere fine alla sofferenza di un popolo innocente.
Al Presidente, 21 gennaio 2021
Washington, DC
Signor Presidente,
le porgiamo le nostre congratulazioni per il suo insediamento come 46° presidente degli Stati Uniti.
Non vogliamo tardare a contattarla per una risposta urgente alla grave crisi umanitaria in Siria. Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulle Misure Coercitive Unilaterali, la professoressa Alena Douhan, ha fatto appello alla fine di dicembre affinché gli Stati Uniti eliminino la complessa rete di sanzioni economiche che danneggiano gravemente il popolo siriano.
Il Relatore Speciale ha dichiarato che queste sanzioni statunitensi "violano i diritti umani del popolo siriano" e "esacerbano la già terribile situazione umanitaria in Siria, specialmente nel corso della pandemia di COVID-19", bloccando gli aiuti, il commercio e gli investimenti necessari al sistema sanitario e all'economia della Siria.
Le conclusioni del Relatore Speciale riflettono un crescente consenso nelle comunità degli aiuti umanitari e dei diritti umani sul fatto che questa forma di punizione collettiva della popolazione civile sta portando la Siria dentro una catastrofe umanitaria senza precedenti.
Dieci anni fa, la Siria era un granaio per la regione. Oggi è sull'orlo non solo della fame, ma della morte per carestia, secondo il Programma Alimentare Mondiale (PAM). Lo scorso giugno, il direttore del PAM, l'ex governatore David Beasley, ha avvertito che la metà dei siriani andava a letto affamata, e che il paese era sull'orlo della "fame di massa". Nel frattempo, la pandemia di COVID-19 imperversa nel paese, non frenata da un sistema sanitario in gran parte distrutto da dieci anni di guerra.
Milioni di siriani in difficoltà andranno a letto affamati e infreddoliti stasera. Le misure coercitive unilaterali imposte dagli Stati Uniti peggiorano la situazione economica del popolo siriano.
La esortiamo, signor Presidente, ad aiutare i siriani ad alleviare una crisi umanitaria che minaccia di innescare una nuova ondata di instabilità in Medio Oriente e non solo, attuando le raccomandazioni del Relatore Speciale delle Nazioni Unite.
Crediamo che i legittimi interessi nazionali degli Stati Uniti possano essere perseguiti senza punire collettivamente il popolo siriano con sanzioni economiche.
Rispettosamente
(seguono le firme)
Monsieur le Président de la République
Paris, le 21 janvier 2021
Monsieur le Président de la République,
le professeur Alena Douhan, rapporteur spéciale des Nations unies sur les mesures coercitives unilatérales, a appelé fin décembre 2020 les États-Unis à lever leur maillage complexe de sanctions économiques qui portent un lourd préjudice au peuple syrien.
La rapporteur spéciale a déclaré que les sanctions imposées par les États-Unis « constituent des violations des droits de l’homme à l’encontre du peuple syrien » et « exacerbent la situation humanitaire déjà affreuse que connait la Syrie, particulièrement dans le contexte de la pandémie du Covid-19 », puisqu’elles bloquent l’aide, le commerce et les investissements nécessaires au fonctionnement du système de santé et de l’économie de la Syrie ».
Les conclusions de la rapporteur spéciale reflètent un consensus croissant au sein de la communauté de l’aide humanitaire et de la communauté des droits humains, où l’on estime que cette forme de punition collective de la population civile est en train de mener la Syrie vers une catastrophe humanitaire sans précédent.
Il y a dix ans, la Syrie était un grenier à blé pour la région. Elle est aujourd’hui en passe de connaître non seulement la faim, mais la famine, selon le Programme alimentaire mondial (PAM). En juin dernier, le directeur du PAM, l’ancien gouverneur David Beasley, lançait un cri d’alarme en disant que la moitié des Syriens devaient aller se coucher avec la faim et que le pays était au bord d’une « famine de masse ». Pendant ce temps, la pandémie du Covid-19 fait rage dans tout le pays, incontrôlable suite à la ruine d’un système de santé largement détruit au fil de dix ans de guerre.
Des millions de Syriens très durement affectés iront se coucher ce soir en ayant faim et froid. Les sanctions coercitives unilatérales imposées par les États-Unis rendent encore pire la détresse économique du peuple syrien.
Nous vous conjurons, Monsieur le Président, d’aider les Syriens à alléger une crise humanitaire qui menace d’entraîner une nouvelle vague d’instabilité au Moyen-Orient et au-delà, en apportant votre soutien à la rapporteur spéciale des Nations unies et en vous assurant que les sanctions économiques appliquées en France et en Europe ne violent pas les droits humains du peuple syrien et n’aggravent pas la situation humanitaire déjà désastreuse en Syrie.
Nous pensons que les intérêts nationaux légitimes de la France et de l’Europe peuvent être défendus sans punir collectivement le peuple syrien au moyen de sanctions économiques.
Veuillez agréer, Monsieur le Président de la République, l’expression de notre très haute considération.
Professeur Michael Abs, secrétaire général, Conseil des Églises du Moyen Orient
Sa Béatitude, Joseph Absi, primat de l’Église grecque-catholique melkite, Patriarche d’Antioche et de tout l’Orient, d’Alexandrie et de Jérusalem
Abdelmadjid Ait Saadi, président, Activités culturelles internationales,
Alger Baron (John) Alderdice, ancien président de l’Assemblée d’Irlande du Nord
Baron (David) Alton de Liverpool, KCSG, KCMCO
Dr Nabil Antaki, les Maristes Bleus, Alep
Sa Sainteté, Mor Ignatius Aphrem II, patriarche syriaque orthodoxe d’Antioche et de tout l’Orient
Mgr Joseph Arnaoutian, Évêque arménien catholique de Damas
Dr Andrew Ashdown, Humanitarian Aid Relief Trust, (HART), Londres
Mgr Antoine Audo, SJ, Évêque catholique chaldéen de Syrie
Karine Bailly, présidente, Solidarité Chrétiens d’Orient
Gérard Bapt, ancien député, Assemblée Nationale, République française
Professeur Adel Ben Yousseff, Université de Nice Sophia-Antipolis
Benjamin Blanchard, directeur général, SOS Chrétiens d’Orient, Paris
Ivana Borsotto, présidente, Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario
José Bustani, ancien ambassadeur et ancien directeur, Organization for the Prohibition of Chemical Weapons
Mgr (George) Lord Carey, ancien archevêque de Canterbury
Dr Anas Chebib, président, Collectif pour la Syrie & France-Near East Association
Dr Selma Cherif, vice-présidente de l’ATLMST-SIDA, Tunisie
Norbert Clasen, publiciste, Allemagne
Mgr Christopher Cocksworth, Évêque de Coventry
Pierre le Corf, travailleur humanitaire,
Alep Baron (Patrick) Cormack of Enville
Baroness (Caroline) Cox of Queensbury, fondatrice, Humanitarian Aid and Relief Trust (HART)
Pierre Cuipers, sénateur, République française
General Francis Richard Baron Dannatt, GCB, CBC, MC, DL
Dr Maher Daoud, président, Association médicale franco-syrienne
Didier Destremau, ancien ambassadeur de France, président de l’Association d’Amitié France-Syrie
Brig. Général (ret) Grégoire Diamantidis, armée de l’Air française
Jorge M. Dias Ferreira, principal représentant de New Humanity auprès des Nations unies
Dr John Eibner, président international, Christian Solidarity International (CSI)
François Ernenwein, président, Confrontations (Association d’intellectuels chrétiens),France
Dr Vilmos Fischl, secrétaire général, Conseil Œcuménique des Églises de Hongrie
Revd. Fr. Peter Fuchs, directeur, CSI-Allemagne
Revd. Hans-Martin Gloël, Église Évangélique d’Allemagne (EKD)
Dr Joy Gordon, Ignacio Ellacuria, S.J. professeur d’éthique sociale, Loyola University-Chicago
Angélique Gourlay, présidente, CSI-France
Mezri Haddad, ancien Ambassadeur, Tunisie
Dr Salem El-Hamid, président, Société germano-syrienne
Professeur Franz Hamburger, Johannes Gutenberg-University, Mainz
Mgr Gregor Maria Hanke, OSB, Évêque, diocèse d’Eichstätt
Revd. Ernst Herbert, Comité œcuménique pour la liberté de religion, Allemagne
Fr. Ziad Hillal,
SJ Hellmut Hoffmann, ancien ambassadeur, République Fédérale d’Allemagne
Jacques Hogard, officier de la Légion d’Honneur et président d’EPEE, Paris
Major Général John Taylor Holmes, DSO, OBE, MC.
Mgr Vitus Huonder, ancien évêque de Chur, Suisse
Dr Erica Hunter, Senior Lecturer, SOAS, Université de Londres
Lord (Raymond) Hylton of Hylton, ARICS, DL
Mgr Jean-Clement Jeanbart, archevêque de l’Église grecque catholique melkite d’Alep
Professor Emérite Edmond Jouve, Université de Paris (Frank)
Baron Judd, ancien ministre for Overseas Development
Christianne Kammerman, ancienne sénatrice, République française
Mohamed Karboul, ancien ambassadeur, Tunisie
Sabine Kebir, weltnetz.tv, Berlin
Ridha Kechrid, ancien ministre de la Santé et ancien ambassadeur, Tunisie
Makram Khoury-Machool, directeur, European Center for the Study of Extremism, Cambridge
Fr. Benedict Kiely, fondateur, Nasorean.org
Mgr Fülöp Kocsis, archevêque, diocèse grec-catholique de Hajdudorog
Paul Kurt, président, International Society of Oriental Christians (IGOC)
Professeur Joshua Landis, University of Oklahoma
Mgr Michael Langrish, ancien évêque d’Exeter
Hervé Legrand, OP, vice-président, Confrontations (Association d’intellectuels chrétiens français)
Professeur Karl Lehner, médecin, Rosenheim
Daniel Lillis, JP KHS MA FRSA, directeur, Lillis International Government Relations Consultancy, London
Ricardo Loy Madera, secrétaire général, Manos Unidas, Madrid
Ahmed Manai, président, Institut tunisien des Relations internationales
Mouna Mansour, présidente, Cœurs sans Frontières
Thierry Mariani, membre du Parlement européen
Philippe Marini, maire de Compiègne et ancien sénateur
Kenneth Charles McDonald, président, Marist International Solidarity Foundation (FMSI)
Charles de Meyer, président, SOS Chrétiens d’Orient
Clemens Count von Mirbach-Harff, secrétaire général, Malteser International
Rt. Revd. Michael Nazir-Ali, ancien évêque de Rochester, président, Oxford Centre for Training and Research Development (OXTRAD)
Revd. Ibrahim Nseir, Église presbytérienne, Alep
Peter Oborne, journaliste et diffuseur, Londres
Clara Pardo, présidente de Manos Unidas, Madrid
Françoise Parmentier, présidente, Actenscène, Paris
Revd. Albert Pataky, président, Église pentecôtiste de Hongrie
Mario Alexis Portella, J.D., J.C.D., chancelier, Archidiocèse de Florence
Revd. Fr. Timothy Radcliffe, OP, ancien maître de l’Ordre des prêcheurs
Michel Raimbaud, ancien ambassadeur, France
Général David John Baron Ramsbotham, GCB, CBE
Col. François Richard, président fondateur, CPP, Ar-Bed Conseil
Dr Antoine Salloum, président, Soins Pour Tous, Paris
Mgr Athanasius Schneider, évêque auxiliaire d’Astana
Revd. Professeur Michael Schneider, SJ, St. Georgen-College, Frankfurt am Main
Professeur Hans Otto Seitschek, Université Ludwig-Maximilians, Munich
Revd. Haroutune Selimian, président, Église évangélique arménienne de Syrie
Mgr András Veres, évêque de Győr, président de la Conférence des évêques de Hongrie
Professeur Michel Veuthey, professeur associé de droit international, Université de Webster, Genève
Dr Audrey Wells, Hon Research Associate, Royal Hollow College, University of London
Admiral Alan William Baron West of Spithead, GCB, DSC, PC
Mgr (Rowan) Lord Williams, ancien archevêque de Canterbury
Jean-Pierre Vial, ancien sénateur, France
Sa Béatitude, Ignatius Youssef III Younan, patriarche syriaque catholique d’Antioche et de tout l’Orient