di Riccardo Cascioli
Stando a quanto si legge da alcuni giorni e alle dichiarazioni dei leader politici mondiali, sembrerebbe che la questione fondamentale riguardo la guerra in Siria ruoti tutta attorno al possibile uso delle armi chimiche e alla ricostruzione precisa della strage dello scorso 21 agosto compiuta a Ghouta con il gas sarin. Peraltro ci sono anche su questo punto molte perplessità.
Un primo rapporto presentato al Consiglio di sicurezza dell’Onu punta chiaramente il dito contro il regime di Assad quale responsabile della strage (pur senza mai nominarlo direttamente). E il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha rilasciato dichiarazioni pesanti sull’uso di queste armi e sulla necessità di punirne i responsabili, proprio il giorno dopo l’accordo tra Russia e Usa per mettere sotto controllo l’arsenale chimico di Assad. Oltretutto lo scorso 13 settembre una nota rilasciata dalle Nazioni Unite spiegava chiaramente che la Missione degli esperti incaricati di accertare quanto accaduto non è finita e che gli stessi esperti devono tornare in Siria «per completare la propria indagine e preparare il rapporto finale». Dunque, tempi e modi scelti da Ban Ki-moon per il suo discorso sono quanto meno intempestivi e fanno nascere molte domande.
La cosa però più grave è che la questione delle armi chimiche rischia di far passare in secondo piano la vera tragedia della Siria: una guerra civile sanguinosa che va avanti da due anni e mezzo, ha provocato intorno ai 100mila morti e quasi due milioni di profughi. La testimonianza di Domenico Quirico dopo il rilascio, e le immagini viste in questi giorni delle violenze perpetrate sia dai ribelli sia dai soldati di Assad, fanno largamente percepire l’abisso di male in cui questo paese è caduto.
Gas o non gas, ciò che davvero è urgente in questo momento è fermare questa guerra, e su questo la comunità internazionale dovrebbe sentirsi tutta coinvolta. L’aver bloccato l’intervento armato di Stati Uniti e Francia è stato il primo passo, si è almeno evitata una escalation che avrebbe rapidamente propagato l’incendio siriano ai paesi confinanti. Ma non può bastare, e sarebbe davvero tragico se i paesi più influenti si sentissero già a posto con la coscienza per aver trovato l’accordo sul controllo delle armi chimiche.
Lo ripeto: è necessario fare di tutto per fermare questa guerra, il che implica – ad esempio - bloccare sul serio l’afflusso di armi verso l’uno e l’altro fronte e costringere tutte le parti a sedersi intorno a un tavolo negoziale. Passaggio sicuramente non facile perché due anni e mezzo di guerra hanno reso tutti più “cattivi” e poi le potenze regionali e mondiali devono davvero convincersi che la pace conviene a tutti, senza dimenticare – come abbiamo scritto ieri – che tra i ribelli ci sono tantissimi miliziani stranieri venuti in Siria per combattere la “guerra santa”.
Eppure, per quanto difficile, questa strada non ha alternative credibili.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-vero-criminee-non-fermarequesta-guerra-7313.htm
Maaloula, il martirio della Chiesa d'Oriente
La Bussola Quotidiana - 16-09-2013
di Giorgio Bernardelli
La festa dell'Esaltazione della Croce - la festa per eccellenza dei cristiani di Maaloula - vissuta da esuli nelle chiese di Damasco. Mentre nella loro città continua la battaglia tra esercito siriano e guerriglieri islamisti di Jabat al Nusra.
Grazie ai reportage di Gian Micalessin mandati in onda dai RaiNews24, abbiamo potuto vedere in questi giorni quale sia la situazione in questa città dalle antichissime radici cristiane, divenuta il simbolo della sofferenza delle Chiese d'Oriente. Dopo l'assalto degli islamisti iniziato ormai una decina di giorni fa, l'esercito siriano è rientrato a Maaloula. Ma la cittadina - nota per il fatto che qui si parla ancora l'aramaico, la lingua utilizzata da Gesù - è appoggiata a una montagna impervia. E da lì i miliziani di al Nusra sparano sulle case, ormai in gran parte abbandonate dalla gente fuggita a Damasco, che dista appena 50 chilometri.
Le notizie più aggiornate ieri sera le ha fornite l'agenzia russa Itar-Tass: secondo un suo corrispondente che si trova sul posto, anche ieri gli scontri sarebbero stati molto pesanti: i ribelli avrebbero cercato di contrattaccare scendendo dalla montagna, ma sarebbero stati respinti. Una fonte dell'esercito siriano ha parlato all'Itar-Tass di 300 o 400 miliziani uccisi; numeri impossibili da verificare nella guerra di propaganda che puntualmente affianca quella che si combatte in questo angolo della Siria. Ma il dato certo è che si continua a sparare in questo luogo simbolo del cristianesimo siriaco. E dunque chi fino a pochi giorni fa affollava le sue chiese si è dovuto unire ai 450 mila cristiani che - secondo il dato fornito dal patriarca greco-melchita Gregorio III Laham - hanno già dovuto abbandonare le loro case a causa di questo conflitto. Lasciando solo gli uomini e le donne di Dio - i monaci - a tenere radicata una tradizione cristiana millenaria (e a stare accanto ai più deboli, quelli che dal cuore di una guerra non possono nemmeno fuggire).
È la storia di Maaloula, divenuta in questi giorni simbolo potente grazie anche alla sua vicinanza rispetto a Damasco. Bisognerebbe però anche cominciare a ricordare che non è una storia nuova: la stessa cosa è già successa ai cristiani di Homs, a quelli di Aleppo, agli armeni di Deir el Zor... Luoghi importanti quanto Maaloula per la storia del cristianesimo d'Oriente. Luoghi che sono come le stazioni di una Via Crucis che coinvolge intere comunità.
Proprio in questi giorni si è tenuto in Libano il Sinodo della Chiesa siro-ortodossa, che insieme a greco-ortodossi e melchiti rappresentano le tre maggiori confessioni cristiane della Siria. Bastava guardare l'ordine del giorno dei lavori per rendersi conto della situazione: tra i punti in discussione figurava la vicenda del rapimento di uno dei vescovi che avrebbero dovuto essere lì presenti: il metropolita di Aleppo Youhanna Ibrahim, sequestrato nell'aprile scorso insieme al greco-ortodosso Boulos Yazigi. Il Sinodo non ha potuto far altro che ripetere come nessun gruppo abbia rivendicato il rapimento e che la Chiesa non può far altro che appellarsi «agli uomini di buona volontà, ai religiosi e a quanti cercano la pace, siano essi governi o istituzioni umanitarie, per proseguire gli sforzi per il loro rilascio».
Ma anche questo è un dramma che, nella catena senza fine delle lacrime della Siria, ne richiama subito tanti altri. «Le chiese e i monasteri dei cristiani del Medio Oriente oggi sono distrutti – scrivono i vescovi siro-ortodossi allargando lo sguardo -, le nostre istituzioni demolite, le famiglie disperse e bandite dalla terra dei propri padri e dei propri antenati, forzate a cambiare la propria religione, innocenti per queste tragedie e violenze subite. Molti sono i martiri per i quali invochiamo la misericordia dell'Altissimo e offriamo ai parenti le nostre condoglianze. Noi vescovi del Santo Sinodo - scrivono ancora - facciamo appello alle nazioni del mondo, specialmente a quelle che hanno più influenza, affinché operino per preservare quest'area da calamità e disastri che potrebbero estendersi ad altre parti del mondo. E chiediamo ai nostri fedeli di essere pazienti e continuare a pregare nonostante tutte queste avversità, per salvaguardare la nostra storia, la nostra tradizione, la nostra fede e anche la nostra lingua siriaca (l'aramaico ndr) che fu parlata da Nostro Signore Gesù Cristo e fu anche la lingua dell'antica Siria».
Restare nei luoghi della propria storia. È quanto chiedono i cristiani di Maaloula, che si augurano di poter tornare al più presto nella propria città. Ed è quanto anche i vescovi siro-ortodossi si sono impegnati in prima persona a fare. Tra i punti in discussione del Sinodo c'era, infatti, anche la questione della sede patriarcale: storicamente sarebbe Antiochia, ma dal 1959 è già stata trasferita a Damasco, la capitale della Siria. E domani? Il Sinodo ha dato una risposta chiara: «Abbiamo deciso - scrivono i presuli - che Damasco deve rimanere la capitale spirituale della Chiesa ortodossa siriaca, mantenendo così viva la tradizione apostolica. E abbiamo insistito sul fatto che non la sposteremo da Damasco in nessuna circostanza».
Di fronte alle minacce degli islamisti, parlano anche di questo oggi i cristiani in Siria. Sapendo che la fedeltà alla propria terra e alle proprie radici potrebbe comportare anche un prezzo molto alto da pagare.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-maaloulail-martirio-della-chiesa-doriente-7295.htm
Grazie ai reportage di Gian Micalessin mandati in onda dai RaiNews24, abbiamo potuto vedere in questi giorni quale sia la situazione in questa città dalle antichissime radici cristiane, divenuta il simbolo della sofferenza delle Chiese d'Oriente. Dopo l'assalto degli islamisti iniziato ormai una decina di giorni fa, l'esercito siriano è rientrato a Maaloula. Ma la cittadina - nota per il fatto che qui si parla ancora l'aramaico, la lingua utilizzata da Gesù - è appoggiata a una montagna impervia. E da lì i miliziani di al Nusra sparano sulle case, ormai in gran parte abbandonate dalla gente fuggita a Damasco, che dista appena 50 chilometri.
Le notizie più aggiornate ieri sera le ha fornite l'agenzia russa Itar-Tass: secondo un suo corrispondente che si trova sul posto, anche ieri gli scontri sarebbero stati molto pesanti: i ribelli avrebbero cercato di contrattaccare scendendo dalla montagna, ma sarebbero stati respinti. Una fonte dell'esercito siriano ha parlato all'Itar-Tass di 300 o 400 miliziani uccisi; numeri impossibili da verificare nella guerra di propaganda che puntualmente affianca quella che si combatte in questo angolo della Siria. Ma il dato certo è che si continua a sparare in questo luogo simbolo del cristianesimo siriaco. E dunque chi fino a pochi giorni fa affollava le sue chiese si è dovuto unire ai 450 mila cristiani che - secondo il dato fornito dal patriarca greco-melchita Gregorio III Laham - hanno già dovuto abbandonare le loro case a causa di questo conflitto. Lasciando solo gli uomini e le donne di Dio - i monaci - a tenere radicata una tradizione cristiana millenaria (e a stare accanto ai più deboli, quelli che dal cuore di una guerra non possono nemmeno fuggire).
È la storia di Maaloula, divenuta in questi giorni simbolo potente grazie anche alla sua vicinanza rispetto a Damasco. Bisognerebbe però anche cominciare a ricordare che non è una storia nuova: la stessa cosa è già successa ai cristiani di Homs, a quelli di Aleppo, agli armeni di Deir el Zor... Luoghi importanti quanto Maaloula per la storia del cristianesimo d'Oriente. Luoghi che sono come le stazioni di una Via Crucis che coinvolge intere comunità.
Proprio in questi giorni si è tenuto in Libano il Sinodo della Chiesa siro-ortodossa, che insieme a greco-ortodossi e melchiti rappresentano le tre maggiori confessioni cristiane della Siria. Bastava guardare l'ordine del giorno dei lavori per rendersi conto della situazione: tra i punti in discussione figurava la vicenda del rapimento di uno dei vescovi che avrebbero dovuto essere lì presenti: il metropolita di Aleppo Youhanna Ibrahim, sequestrato nell'aprile scorso insieme al greco-ortodosso Boulos Yazigi. Il Sinodo non ha potuto far altro che ripetere come nessun gruppo abbia rivendicato il rapimento e che la Chiesa non può far altro che appellarsi «agli uomini di buona volontà, ai religiosi e a quanti cercano la pace, siano essi governi o istituzioni umanitarie, per proseguire gli sforzi per il loro rilascio».
Ma anche questo è un dramma che, nella catena senza fine delle lacrime della Siria, ne richiama subito tanti altri. «Le chiese e i monasteri dei cristiani del Medio Oriente oggi sono distrutti – scrivono i vescovi siro-ortodossi allargando lo sguardo -, le nostre istituzioni demolite, le famiglie disperse e bandite dalla terra dei propri padri e dei propri antenati, forzate a cambiare la propria religione, innocenti per queste tragedie e violenze subite. Molti sono i martiri per i quali invochiamo la misericordia dell'Altissimo e offriamo ai parenti le nostre condoglianze. Noi vescovi del Santo Sinodo - scrivono ancora - facciamo appello alle nazioni del mondo, specialmente a quelle che hanno più influenza, affinché operino per preservare quest'area da calamità e disastri che potrebbero estendersi ad altre parti del mondo. E chiediamo ai nostri fedeli di essere pazienti e continuare a pregare nonostante tutte queste avversità, per salvaguardare la nostra storia, la nostra tradizione, la nostra fede e anche la nostra lingua siriaca (l'aramaico ndr) che fu parlata da Nostro Signore Gesù Cristo e fu anche la lingua dell'antica Siria».
Restare nei luoghi della propria storia. È quanto chiedono i cristiani di Maaloula, che si augurano di poter tornare al più presto nella propria città. Ed è quanto anche i vescovi siro-ortodossi si sono impegnati in prima persona a fare. Tra i punti in discussione del Sinodo c'era, infatti, anche la questione della sede patriarcale: storicamente sarebbe Antiochia, ma dal 1959 è già stata trasferita a Damasco, la capitale della Siria. E domani? Il Sinodo ha dato una risposta chiara: «Abbiamo deciso - scrivono i presuli - che Damasco deve rimanere la capitale spirituale della Chiesa ortodossa siriaca, mantenendo così viva la tradizione apostolica. E abbiamo insistito sul fatto che non la sposteremo da Damasco in nessuna circostanza».
Di fronte alle minacce degli islamisti, parlano anche di questo oggi i cristiani in Siria. Sapendo che la fedeltà alla propria terra e alle proprie radici potrebbe comportare anche un prezzo molto alto da pagare.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-maaloulail-martirio-della-chiesa-doriente-7295.htm
Guarda Chi "Saudi Arabia's Campaign to Silence Arab Christians" http://araborthodoxy.blogspot.ie/2013/09/saudi-arabias-campaign-to-silence-arab.html
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