(ANS – Aleppo) – Ad Aleppo non si combatte più, ma non per questo la situazione oggi è facile. Anzi, “alcuni addirittura dicono che erano meglio i tempi della guerra” racconta don Pier Jabloyan, Direttore della casa salesiana nella città, dove lui stesso è nato e cresciuto. Scarsità dei beni di prima necessità, difficoltà nell’approvvigionamento e lentezza nella ricostruzione finiscono per fiaccare l’animo e le speranze dei cittadini. I Salesiani, dopo aver resistito durante i lunghi anni della guerra, non mollano neanche ora. Perché prendono coraggio dai giovani stessi.
Don Jabloyan attualmente è responsabile per la comunità di Aleppo e quella di Kafroun, al confine con il Libano; un totale di cinque religiosi – tre sacerdoti, un coadiutore e un tirocinante coadiutore. Insieme mandano avanti un oratorio molto conosciuto e che, salvo i primi mesi iniziali – quando ancora non era chiaro che la guerra sarebbe stata lunga e logorante – è rimasto sempre aperto: “si può quasi dire che nessun giovane cristiano nato ad Aleppo non sia passato di qui” afferma il salesiano.
Osservare la tenacia avuta in passato, nelle attuali circostanzi, diventa uno stimolo per affrontare il presente. “La situazione oggi ad Aleppo è sempre difficile – prosegue –. Durante la guerra sapevamo che cadevano le bombe e i razzi, che c’erano grossi problemi e rischi per la vita… Ma finita la guerra aspettavamo la seconda fase, quella della ricostruzione, che credevamo partisse subito. Invece abbiamo capito che questo non avverrà fino a quando la situazione politico-militare non sarà più calma”.
Delle nuove sanzioni imposte dagli Stati Uniti stanno fermando la ricostruzione e costituiscono un problema anche per la vita quotidiana delle persone. “Immaginate, in un Paese come la Siria, produttore di gas, non abbiamo più gas, perché il materiale utilizzato per separare la sostanza per gli usi domestici adesso è stato sottoposto a embargo. L’unica preoccupazione giornaliera della gente ora è diventata procurarsi un po’ di gas, per la cucina, il riscaldamento… Questo fa soffrire tanto”. Anche il dollaro “impazzito”, che sale e che scende molto rapidamente per i giochi di mercato, ha bloccato le compravendite finanziarie. “Nessuno ora ha intenzione di rischiare i propri risparmi”, continua don Jabloyan.
Aleppo ora è una città che vede il 30% dei suoi quartieri rasi al suolo e dove anche il futuro delle famiglie è minacciato almeno per diversi anni, dato che molti ragazzi a causa della guerra sono emigrati. Ma la permanenza ininterrotta dei salesiani durante il conflitto è quanto c’è di più significativo che essi possano offrire. “Siamo rimasti e restiamo ancora qui” afferma con soddisfazione. Purtroppo, però, “dall’inizio dell’anno abbiamo interrotto gli aiuti: perché non ci sono più! Prima distribuivamo sacchi di vivere e a volte anche contanti per aiutare le persone a mantenersi. Tutti materiali che ci arrivavano da tanti benefattori, soprattutto dall’Europa, ma anche dagli USA: gente che crede nella missione dei Salesiani, nel futuro… Ora tante persone ne stanno soffrendo”.
Così i salesiani continuano a fare almeno quello che gli riesce meglio: animano l’oratorio, aperto tutti i giorni. Il venerdì è un giorno speciale, perché si fa catechismo. “Abbiamo quasi 750 ragazzi, oltre i catechisti che sono circa 50 e che attraverso il loro impegno e la loro testimonianza rendono un bel servizio alla Chiesa locale”.
“Perché – aggiunge – vi assicuro che non è facile parlare della fede in una situazione così drammatica. Anche se va detto che quando i nostri giovani manifestano la loro fede tra i loro coetanei, con il gioco, la testimonianza… sono loro a darci coraggio!”
Oltre al catechismo, che rimane il primo impegno per la comunità salesiana, i religiosi accompagnano anche i gruppi sportivi e le associazioni giovanili e curano gli incontri di formazione per i ragazzi delle superiori e dell’università “che vogliono essere ben formati nella fede cristiana, per capire come convivere con la guerra e mantenere fede”.
Inoltre, per conto della Conferenza Episcopale, i Salesiani hanno la cura dei detenuti cristiani nel carcere di Aleppo: “È bello, ci ricorda Don Bosco, i suoi inizi nelle prigioni…” prosegue il salesiano aleppino.
Tra le tante attività l’oratorio salesiano anima anche il teatro e organizza due spettacoli ogni anno, le cui repliche coprono circa 3 mesi l’anno. Dal progetto teatrale è nato poi un altro programma di video-animazione, che ora sta assumendo vita autonoma. Racconta don Jabloyan: “Durante la guerra non c’era alcuno studio di registrazione nella città, per cui ci siamo dati da fare per ottenere alcune attrezzature e formare alcuni giovani che seguissero attività dentro e fuori l’oratorio. In futuro vogliamo far crescere questo progetto, acquisire nuove strumentazioni ed estendere la formazione a un maggior numero di ragazzi e ragazze, perché comprenda tutto il Medio Oriente. La nostra idea è raccontare in forma gioiosa la spiritualità salesiana, ma in lingua araba, cosa molto rara da queste parti”.
Guardando al futuro con un po’ di speranza, il salesiano individua dei segnali benauguranti. In primo luogo, un appuntamento che avrà luogo in questo mese di marzo. “Tra qualche giorno ad Aleppo è previsto un primo sinodo della Chiesa di Aleppo: una Chiesa che conta sei vescovi di diversi riti cattolici, più tre vescovi dei riti ortodossi, quindi in totale nove vescovi per una sola città. Noi salesiani siamo chiamati ad occuparcene dal punto di vista della Pastorale Giovanile”.
Un certo ottimismo lo suscita anche il documento sulla fratellanza firmato dal Papa con l’Imam di al-Ahzar negli Emirati Arabi Uniti. Quel testo, afferma “invita ogni uomo a trovare un accordo sui principi basilari, quelli su cui non c’è da discutere. Lo vediamo con speranza, dopo l’esperienza del fondamentalismo religioso che ha portato tante persone a guardare l’altro come un nemico. È una bella testimonianza, e speriamo che nel prossimo futuro porti anche risultati concreti nella nostra situazione”.
“Speriamo – conclude – che le politiche internazionali, come il Papa, spingano verso una soluzione pacifica, molto attesa in Medio Oriente” conclude il salesiano.