La testimonianza di un medico dei Maristi di Aleppo e l’appello al Santo Padre : ‘solo Lei ci può salvare’
Intervista realizzata dal 'Coordinamento per la Pace in Siria' a Nabil Antaki, medico e direttore di uno degli ultimi due ospedali funzionanti ad Aleppo. Nabil Antaki appartiene alla congregazione dei Maristi blu, che conta tra i suoi membri sia laici che religiosi. Quando la guerra ha investito Aleppo nel maggio 2012 lui ha deciso di rimanere con la moglie. «La Siria è il nostro Paese, le nostre radici sono qui. È qui che possiamo fare il nostro dovere e rendere il nostro servizio».
Dottor Nabil, sulla base di quanto a lei consta, cosa pensate dei reports di Amnesty International e di Medici senza frontiere, che parlano di una Aleppo distrutta (compresi diversi ospedali) dai barili bomba dell'esercito siriano?
Aleppo
è divisa in due parti, la parte est con 300.000 abitanti è nelle
mani dei gruppi armati e la parte ovest con 2 milioni di abitanti è
sotto il controllo dello Stato siriano; lì viviamo e operiamo noi.
Noi non sappiamo quello che accade nell'altra parte della città,
dunque io non posso né confermare né smentire, ma so due cose. La
prima è che noi siamo
bombardati quotidianamente dai ribelli e molti ospedali dalla nostra
zona della città sono stati distrutti, bruciati o danneggiati dalla
loro azione. La seconda è che siamo in una situazione di guerra ed è
possibile che le bombe sganciate dall’esercito siriano abbiano
toccato un ospedale, ma sicuramente non in modo intenzionale. Gli
statunitensi e gli occidentali con le loro armi tanto sofisticate
hanno spesso mancato i loro bersagli e causato dei ' danni
collaterali '…Ciò che rimprovero a Medici senza frontiere è che
danno conto delle sofferenze solo dell'altro lato della città, la
parte ribelle, e mai delle sofferenze della nostra parte. I loro
rapporti sono parziali.
Cosa
pensate della proposta di Sant'Egidio e dell'ex ministro Riccardi di
fare di Aleppo una “città aperta” e anche di introdurre una no-
fly-zone?
L'iniziativa
di Sant'Egidio era buona quando fu lanciata, nel luglio 2014. Allora
l'acqua era stata tagliata in Aleppo (dai gruppi armati) per ben 70
giorni consecutivi. Bisognava “salvare Aleppo” in primis. Ora
questa iniziativa è superata. Noi non abbiamo più bisogno che
Aleppo sia dichiarata città aperta e che siano aperti dei corridoi
umanitari. Benché la situazione sia cattiva, Aleppo non è più
sottoposta a un blocco come un anno e mezzo fa. Le persone e i
prodotti entrano ed escono attraverso una strada che l’esercito ha
aperto 17 mesi fa. I viveri entrano, nessuno muore di fame anche se
l'80% della popolazione deve ricevere un aiuto alimentare. Sì, la
città è accerchiata ma c'è sempre questa strada che ci collega
all'esterno. La città è danneggiata ma le persone continuano a
vivere adattandosi alla penuria di acqua, di elettricità --- Dunque,
attualmente i vantaggi della proposta di Sant'Egidio sono meno
importanti che il pericolo rappresentato da una no-fly-zone e da una
forza di interposizione, che avvantaggerebbero i gruppi armati e
metterebbero la città e i suoi abitanti in pericolo, alla mercè di
Daesh e al Nusra.
Perché
anche i gruppi cristiani sul luogo esitano a parlare delle cause
della loro sofferenza?
Avete
ragione quando dite che parliamo soltanto della sofferenza degli
aleppini e non delle cause. Lo
facciamo per molte ragioni. Uno: per essere ascoltati dall'opinione
pubblica occidentale che è stata a tal punto disinformata che le
dichiarazioni in ambito politico che dicono la verità non sono
neppure lette, ascoltate, prese in considerazione. Dunque, a partire
dalle sofferenze degli aleppini e dei siriani, riusciamo almeno a far
passare il messaggio che i ribelli armati sono responsabili della
sofferenza dei siriani o, perlomeno, corresponsabili. Quanti amici
intimi occidentali ho perso, all'inizio degli avvenimenti, perché io
dicevo loro la verità sulle interferenze esterne! Essi mi
rispondevano: voi arabi, vedete complotti ovunque! Adesso utilizzo
un'altra tattica: non parlo più di complotto o di piano
prestabilito, ma dico che ciò che era accaduto e che accade
attualmente in Siria non era affatto spontaneo… E ora il mio
discorso è accettato. L'importante è far passare il messaggio. In
secondo luogo, le persone hanno paura per le loro vite e dunque
parlano soltanto delle sofferenze e non delle cause e dei
responsabili delle nostre disgrazie. Hanno paura di essere uccisi. È
più facile parlare quando si vive all'esterno della Siria.
Cosa
pensate dei media che parlano di Aleppo e della Siria? Perché essi
credono a fonti non affidabili? Perché per esempio descrivono come
angeli i cosiddetti “elmetti bianchi” di al Nostra?
I
giornalisti che ci intervistano orientano sempre l'intervista verso
il piano umanitario e rifiutano che si parli di altre cose. E
tuttavia, noi tentiamo di dire la verità. In tutti i miei scritti io
dico che noi siamo bombardati dai gruppi armati ribelli che ci
lanciano mortai, razzi e bombole di gas riempite di esplosivi e
chiodi. Dal 2011, i siriani hanno compreso che ciò che accadeva non
era una rivoluzione per portare in Siria una maggiore democrazia, un
maggior rispetto dei diritti umani e minor corruzione. I siriani
sapevano, fin dall'inizio, che la “primavera araba” era il nome
nuovo del “caos costruttivo” di Condoleeza Rice e del “nuovo
Medio-Oriente” dell'amministrazione Bush e che questa “primavera”
in Siria sarebbe sfociata o nel caos e nella distruzione del paese o
in uno Stato islamico. Disgraziatamente, le due alternative forse
riusciranno entrambe.
Per
tornare ai media occidentali, essi non hanno che una sola fonte di
informazione, l'Osservatorio siriano dei diritti dell'uomo basato a
Londra, che nasconde, sotto un nome molto credibile, un centro di
diffusione della disinformazione.
Il
giorno di preghiera per la Siria organizzato dal Papa Francesco nel
settembre 2013 è stato molto importante, ha contribuito a evitare
gli imminenti bombardamenti statunitensi in seguito alla
disinformazione sulle armi chimiche a Ghouta. Cosa pensate che egli
potrebbe fare ora? Cosa dirgli?
Direi
a
Papa
Francesco: fin dal primo giorno del vostro pontificato, i siriani L’hanno
amata e hanno adottata. Le Sue svariate dichiarazioni, omelie,
tweets, sono tanto apprezzati e diffusi tra di noi. Noi sentiamo che,
in Lei, il Vangelo è al centro di tutto, sfidando la burocrazia e il
politicamente corretto di una falsa diplomazia.
Lei
ha domandato più di una volta ai cristiani di Siria (e del Medio
Oriente) di non lasciare la terra dei loro antenati, di restare
attaccati alle loro radici per dare un senso alla loro appartenenza e
alla loro presenza in Siria. È esattamente ciò che il mio gruppo e
io stesso ci sforziamo di fare da decenni (in allegato un video realizzato ormai vent'anni fa *)
Diverse
organizzazioni cattoliche internazionali (e molte Ong tra cui la
nostra) fanno del loro meglio per dare sollievo alle sofferenze dei
siriani e in particolare dei cristiani sul piano umanitario.
Santo
Padre, La imploriamo di fare ancora di più. Le
dichiarazioni, il sollievo alle sofferenze, l'incitazione a restare
nel paese non hanno impedito alla metà dei cristiani di Aleppo di
andarsene definitivamente. I cristiani di Siria hanno una duplice
paura: temono fisicamente i fanatici islamisti di Daesh, e hanno
anche paura di perdere il loro futuro e quello dei loro figli a forza
di pazientare e di aspettare la fine del conflitto. Se si vuole che
l'altra metà dei cristiani rimanga, bisogna fermare la guerra.
Noi
La imploriamo di usare la Sua autorità morale, il Suo prestigio
incontestabile per fare pressione sui diversi governi affinché
cessino di armare e di finanziare i gruppi armati, perché lottino
effettivamente contro Daesh e perché facciano fermare il passaggio
dei terroristi attraverso le nostre frontiere del Nord.
Perché
una soluzione politica negoziata possa riuscire, bisognerebbe che
l'opposizione accetti l'attuale governo della Siria, perché non si
può negoziare con qualcuno di cui si esige, come precondizione,
l'eliminazione.
Santo
Padre, solo Lei può fare qualche cosa per fermare la
distruzione del nostro bel paese, per far cessare la morte di
centinaia di migliaia di esseri umani e per permettere ai cristiani
di Siria di restare, o di ritornare, nel loro paese.