Sono ormai decine le chiese prese d’assalto e bruciate
in Egitto. E innumerevoli le abitazioni, le scuole e i negozi della minoranza
cristiana messi a ferro e fuoco. Nel Paese sconvolto dalla carneficina di questi
giorni – in cui l’estremismo delle fazioni ha preso il sopravvento su ogni
tentativo di moderazione e compromesso – i cittadini di fede copta vivono una
tragedia nella tragedia: quella di essere un bersaglio facile, spesso indifeso,
della rabbia islamista, che accusa i cristiani di aver boicottato la presidenza
Morsi. Tanto che lo stesso imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, la più alta
autorità religiosa sunnita, è intervenuto per chiedere la cessazione di questi
attacchi e la protezione delle chiese.
Non è purtroppo una novità: in Medio Oriente, negli ultimi decenni, non vi
è stata crisi politica e di sicurezza che non abbia visto le minoranze
cristiane quali vittime designate, dall’Iraq post-Saddam all’Egitto,
dall’Algeria degli anni 90 alla Siria oggi sconvolta dalla guerra civile. Agli
occhi dei settari, quelle comunità appaiono infatti come una presenza
pericolosa: ora accusate di complottare contro i partiti dell’islam politico –
e quindi di essere il nemico subdolo che mina la rivoluzione – ora additati come
portatori dei deprecati valori “occidentali” e dell’idea di democrazia.
Dei “diversi” da allontanare o da schiacciare, perché testimoniano la pluralità culturale e religiosa che è stata la caratteristica storica del Medio Oriente e che gli islamisti vogliono cancellare a favore di una tetra e fittizia uniformità dottrinale.
Dei “diversi” da allontanare o da schiacciare, perché testimoniano la pluralità culturale e religiosa che è stata la caratteristica storica del Medio Oriente e che gli islamisti vogliono cancellare a favore di una tetra e fittizia uniformità dottrinale.
Ed è paradossale pensare che le minacce ai cristiani del Medio Oriente
vengano proprio perché essi incarnano i valori della tolleranza e della
democrazia, della pluralità religiosa e culturale, mentre in Europa avviene
l’inverso: sempre più, la testimonianza dell’essere cristiani è infatti dipinta
come una sfida di retroguardia alla democrazia e alla tolleranza. Sulla sponda
sud del Mediterraneo vengono accusati di introdurre una democrazia che
minaccia la religione dominante, lungo quella settentrionale sono indicati
come coloro che – in nome della religione – sminuiscono la tolleranza e la
ricchezza culturale occidentale.
La colpa è delle loro idee, che vengono attaccate come sempre più
“balzane”: accompagnare al rispetto pieno di ogni apporto culturale e
religioso la salda consapevolezza delle radici giudaico–cristiane dell’Europa,
la pretesa di festeggiare il Natale di Cristo a Natale e Pasqua di Risurrezione
a Pasqua, di difendere pubblicamente e anche a livello di discussione politica
princìpi che saldano dottrina della Chiesa ai grandi valori della tradizione
classica e del diritto delle genti.
Tutto ciò avviene perché si è diffuso il pre-giudizio – sbagliato e
autolesionista – che alla crescente pluralità etnica e culturale delle
popolazioni europee si debba rispondere nascondendo le proprie radici e
omettendo ogni riferimento alla cultura cristiana che permea le nostre società.
È quel fenomeno che viene chiamato di “neutralizzazione” del religioso.
Apparentemente opposto a quello che sembra un “eccesso di religione”
dall’altra parte del Mediterraneo, e che invece a esso è strettamente
collegato.
Perché tutto ciò fa parte di una difficile, faticosa presa di coscienza
del mutamento delle nostre società e del problema conseguente di riconoscersi
nella pluralità senza per questo divenire una società di “indistinti”. Non a
caso, il cardinale Scola, nel suo ultimo libro (“Non dimentichiamoci di Dio.
Libertà di fedi, di culture e politica”) sottolinea che lo spazio veramente
pubblico, nelle società contemporanee, è solo quello che rende possibile «il
raccontarsi» reciproco, scommettendo sulla libertà dei cittadini di esprimere
la propria esperienza con una logica di mutuo riconoscimento. Una via obbligata
sulle due sponde del Mediterraneo. Dove il posto dei cristiani non può
diventare quello del privato silente o, di nuovo, del martirio.
“Riconoscere” significa accettarsi e non negare ad alcuno e ad alcun gruppo
e comunità di fede che accetti le semplici ed essenziali regole dell’autentica
democrazia piena cittadinanza, libertà di esistere e di dare significato e
contributo alla vita delle società di cui è parte.
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/IL%20POSTO%20%20DEI%20CRISTIANI.aspx
Si tratta indubbiamente di un messaggio attuale ed
opportuno, del quale abbiamo già parlato
molte volte ma su cui è sempre necessario riportare l’attenzione.
Il cristianesimo ha rappresentato l’unica rivoluzione capace
di cambiare radicalmente il corso della
storia umana. Siamo a conoscenza di tantissime
rivoluzioni, recenti e non, ma tutte si sono preoccupate di cambiare le
leggi, il potere politico o la
disuguaglianza economica.
Ha cambiato il cuore dell’uomo, attraverso la Chiesa, la
grazia di Dio, la predicazione e i
sacramenti. E proprio questo cambiamento rappresenta la “rivoluzione” di Gesù, una rivoluzione
dell’amore che ha portato al riconoscimento
della dignità e dell’uguaglianza di tutte le donne e di tutti gli uomini, creati dallo stesso Dio. Non dimentichiamo
che anche la Carta delle Nazioni Unite è fondata proprio sul cristianesimo e
sui valori cristiani: la rivoluzione
dell’amore cambia in profondità l’uomo e, a lungo andare, anche la società.
Come sta avvenendo in Egitto, il caso più recente, spesso i
Paesi non sembrano neanche accorgersi
delle continue persecuzioni, seppur denunciate. E’ per questo motivo che la drammaticità di questa situazione
dovrebbe essere sempre evidenziata,
appena possibile, ad esempio durante i viaggi istituzionali e durante ogni accordo culturale o economico.
APPELLO PER I CRISTIANI PERSEGUITATI
Padre Gheddo: i cristiani perseguitati sono la "rivoluzione" di Gesù
Il Sussidiario - lunedì 19 agosto 2013
Intervista a padre Piero
Gheddo
Le decine di chiese date alle fiamme in questi giorni in
Egitto confermano una drammatica realtà
che troppo spesso viene nascosta o volutamente censurata.
Ancora oggi, in molti Paesi del mondo, migliaia di cristiani
vengono perseguitati e costretti a
subire ogni forma di violenza: ogni anno sono oltre 100mila i credenti uccisi, rapiti o torturati,
mentre assistiamo a ripetute distruzioni
di luoghi di culto e simboli religiosi.
Dal Meeting di Rimini 2013, iniziato domenica, è stato lanciato un appello per chiedere alle istituzioni nazionali e agli organismi internazionali, secondo le norme del diritto internazionale, “di fare tutto il possibile per difendere, tutelare, proteggere e garantire l’esistenza dei cristiani ovunque nel mondo”. E’ stato inoltre
chiesto “di riconoscere ai cristiani il diritto elementare alla ricerca
e alla testimonianza della verità,
impedendo ogni limitazione della loro libertà
espressiva e associativa”.
IlSussidiario.net ha commentato queste richieste con padre Piero Gheddo, giornalista e missionario
del Pime.
Come giudica l'appello del Meeting di Rimini?
Proprio perché il tema del Meeting di quest'anno è
“Emergenza Uomo”, è indispensabile
tornare a parlare di questa drammatica situazione: in Egitto, ad esempio, decine di chiese e di conventi sono
stati bruciati.
Perché sono sempre i cristiani le prime vittime?
Cosa ha cambiato invece il cristianesimo?
Spesso, in presenza di appelli, ci si chiede cosa possono
fare i governi. Secondo lei?
Che nesso c'è tra libertà religiosa e pace? Perché la
libertà religiosa è il più importante di
tutti i diritti?
Perchè è il fondamento della libertà dell'uomo.....
continua la lettura qui: http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2013/8/19/APPELLO-MEETING-Gheddo-i-cristiani-perseguitati-sono-la-rivoluzione-di-Gesu/2/420253/