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martedì 20 agosto 2013

Sulle due sponde mediterranee. Appello ai cristiani.

di Riccardo Redaelli



Sono ormai decine le chiese prese d’as­salto e bruciate in Egitto. E innumerevo­li le abitazioni, le scuole e i negozi della mi­noranza cristiana messi a ferro e fuoco. Nel Paese sconvolto dalla carneficina di questi giorni – in cui l’estremismo delle fazioni ha preso il sopravvento su ogni tentativo di mo­derazione e compromesso – i cittadini di fe­de copta vivono una tragedia nella tragedia: quella di essere un bersaglio facile, spesso indifeso, della rabbia islamista, che accusa i cristiani di aver boicottato la presidenza Morsi. Tanto che lo stesso imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, la più alta autorità reli­giosa sunnita, è intervenuto per chiedere la cessazione di questi attacchi e la protezione delle chiese.


Non è purtroppo una novità: in Medio O­riente, negli ultimi decenni, non vi è stata crisi politica e di sicurezza che non abbia vi­sto le minoranze cristiane quali vittime de­signate, dall’Iraq post-Saddam all’Egitto, dal­l’Algeria degli anni 90 alla Siria oggi scon­volta dalla guerra civile. Agli occhi dei setta­ri, quelle comunità appaiono infatti come una presenza pericolosa: ora accusate di complottare contro i partiti dell’islam poli­tico – e quindi di essere il nemico subdolo che mina la rivoluzione – ora additati come portatori dei deprecati valori “occidentali” e dell’idea di democrazia.
Dei “diversi” da al­lontanare o da schiacciare, perché testimo­niano la pluralità culturale e religiosa che è stata la caratteristica storica del Medio O­riente e che gli islamisti vogliono cancella­re a favore di una tetra e fittizia uniformità dottrinale.

Ed è paradossale pensare che le minacce ai cristiani del Medio Oriente vengano proprio perché essi incarnano i valori della tolleran­za e della democrazia, della pluralità reli­giosa e culturale, mentre in Europa avviene l’inverso: sempre più, la testimonianza del­l’essere cristiani è infatti dipinta come una sfida di retroguardia alla democrazia e alla tolleranza. Sulla sponda sud del Mediterra­neo vengono accusati di introdurre una de­mocrazia che minaccia la religione domi­nante, lungo quella settentrionale sono in­dicati come coloro che – in nome della reli­gione – sminuiscono la tolleranza e la ric­chezza culturale occidentale.

La colpa è del­le loro idee, che vengono attaccate come sempre più “balzane”: accompagnare al ri­spetto pieno di ogni apporto culturale e reli­gioso la salda consapevolezza delle radici giudaico–cristiane dell’Europa, la pretesa di festeggiare il Natale di Cristo a Natale e Pa­squa di Risurrezione a Pasqua, di difendere pubblicamente e anche a livello di discus­sione politica princìpi che saldano dottrina della Chiesa ai grandi valori della tradizione classica e del diritto delle genti.

Tutto ciò avviene perché si è diffuso il pre-giudizio – sbagliato e autolesionista – che al­la crescente pluralità etnica e culturale del­le popolazioni europee si debba rispondere nascondendo le proprie radici e omettendo ogni riferimento alla cultura cristiana che permea le nostre società. È quel fenomeno che viene chiamato di “neutralizzazione” del religioso. Apparentemente opposto a quel­lo che sembra un “eccesso di religione” dal­l’altra parte del Mediterraneo, e che invece a esso è strettamente collegato.

Perché tut­to ciò fa parte di una difficile, faticosa presa di coscienza del mutamento delle nostre so­cietà e del problema conseguente di rico­noscersi nella pluralità senza per questo di­venire una società di “indistinti”. Non a ca­so, il cardinale Scola, nel suo ultimo libro (“Non dimentichiamoci di Dio. Libertà di fe­di, di culture e politica”) sottolinea che lo spazio veramente pubblico, nelle società contemporanee, è solo quello che rende pos­sibile «il raccontarsi» reciproco, scommet­tendo sulla libertà dei cittadini di esprime­re la propria esperienza con una logica di mutuo riconoscimento. Una via obbligata sulle due sponde del Me­diterraneo. Dove il posto dei cristiani non può diventare quello del privato silente o, di nuovo, del martirio.

“Riconoscere” significa accettarsi e non negare ad alcuno e ad alcun gruppo e comunità di fede che accetti le sem­plici ed essenziali regole dell’autentica de­mocrazia piena cittadinanza, libertà di esi­stere e di dare significato e contributo alla vita delle società di cui è parte.
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/IL%20POSTO%20%20DEI%20CRISTIANI.aspx


APPELLO PER I CRISTIANI PERSEGUITATI

Padre Gheddo: i cristiani perseguitati sono la "rivoluzione" di  Gesù


Il Sussidiario - lunedì 19 agosto 2013
Intervista a padre Piero Gheddo 

Le decine di chiese date alle fiamme in questi giorni in Egitto confermano una  drammatica realtà che troppo spesso viene nascosta o volutamente censurata.
Ancora oggi, in molti Paesi del mondo, migliaia di cristiani vengono  perseguitati e costretti a subire ogni forma di violenza: ogni anno sono oltre  100mila i credenti uccisi, rapiti o torturati, mentre assistiamo a ripetute  distruzioni di luoghi di culto e simboli religiosi.
IlSussidiario.net ha commentato queste richieste con  padre Piero Gheddo, giornalista e missionario del Pime.

Come giudica l'appello del Meeting di Rimini?
 Si tratta indubbiamente di un messaggio attuale ed opportuno, del quale abbiamo  già parlato molte volte ma su cui è sempre necessario riportare l’attenzione.
Proprio perché il tema del Meeting di quest'anno è “Emergenza Uomo”, è  indispensabile tornare a parlare di questa drammatica situazione: in Egitto, ad  esempio, decine di chiese e di conventi sono stati bruciati.

Perché sono sempre i cristiani le prime vittime?
 Il cristianesimo ha rappresentato l’unica rivoluzione capace di cambiare  radicalmente il corso della storia umana. Siamo a conoscenza di tantissime  rivoluzioni, recenti e non, ma tutte si sono preoccupate di cambiare le leggi,  il potere politico o la disuguaglianza economica.
  
Cosa ha cambiato invece il cristianesimo?
 Ha cambiato il cuore dell’uomo, attraverso la Chiesa, la grazia di Dio, la  predicazione e i sacramenti. E proprio questo cambiamento rappresenta la  “rivoluzione” di Gesù, una rivoluzione dell’amore che ha portato al  riconoscimento della dignità e dell’uguaglianza di tutte le donne e di tutti gli  uomini, creati dallo stesso Dio. Non dimentichiamo che anche la Carta delle Nazioni Unite è fondata proprio sul cristianesimo e sui valori cristiani: la  rivoluzione dell’amore cambia in profondità l’uomo e, a lungo andare, anche la  società.

Spesso, in presenza di appelli, ci si chiede cosa possono fare i governi.  Secondo lei?
 Come sta avvenendo in Egitto, il caso più recente, spesso i Paesi non sembrano  neanche accorgersi delle continue persecuzioni, seppur denunciate. E’ per questo  motivo che la drammaticità di questa situazione dovrebbe essere sempre  evidenziata, appena possibile, ad esempio durante i viaggi istituzionali e  durante ogni accordo culturale o economico.

Che nesso c'è tra libertà religiosa e pace? Perché la libertà religiosa è il più  importante di tutti i diritti?
Perchè è il fondamento della libertà dell'uomo.....


lunedì 19 agosto 2013

Il vescovo-gesuita caldeo Antoine Audo spiega perché non potrà partecipare al Meeting di Rimini.

E racconta le paure, i fatalismi e i sorprendenti segni di speranza che convivono nella città sfigurata dalla guerra





Vaticaninsider - 11/08/2013
di Gianni Valente

«Dovevo andare al Meeting di Rimini, ma non è tempo di fare viaggi». Antoine Audo, gesuita e vescovo caldeo di Aleppo, preferisce stare accanto al suo popolo sofferente e non crede sia il momento di correre rischi inutili per partecipare a conferenze sulla condizione dei cristiani in Siria. Mentre spiega a Vatican Insider i motivi del suo forfait, Audo descrive la condizione attuale della città martire che era tra le più fiorenti del mondo arabo, e ora ha interi quartieri ridotti in macerie.


Da quando era iniziata la guerra, Lei era uscito e rientrato parecchie volte dalla Siria. E ora?

Ora è molto più pericoloso uscire da Aleppo. Devo essere prudente. E in ogni caso non è il momento di lasciare la mia gente. La tensione aumenta, e la presenza dei vescovi qui adesso è più importante per le nostre comunità, anche a livello psicologico. 
Si sente minacciato?
Tutti ripetono a me e agli altri vescovi di muoversi con discrezione, di non indossare le vesti episcopali quando usciamo per non essere rapiti anche noi come è successo al vescovo siro-ortodosso Yohanna Ibrahim e a quello greco- ortodosso Boulos al-Yazigi.
Che ne è stato di loro?
Girano tante voci. Le ultime, attribuite dai giornali a un politico degli Usa, collegavano il rapimento a un “complotto” con implicazioni ecclesiastiche per costringere il Patriarcato siro ortodosso a lasciare Damasco e a trasferirsi in Turchia. Ma non sono cose serie. Sono solo speculazioni interessate.
È circolata la notizia della sparizione di padre Dall’Oglio?
Ne parlano tutti. Tutti si chiedono quale fosse lo scopo del suo rientro in Siria. Il conflitto, il caos e la lotta tra le varie fazioni rende tutto ambiguo e problematico da spiegare.
Anche a Aleppo la situazione è confusa?
Qui cresce da mesi l’incertezza e la paura. Tutti si fanno in continuazione la stessa domanda: che ne sarà di noi? E l’inquietudine è particolarmente sentita nei quartieri cristiani. Secondo me, Aleppo continua a vivere la situazione peggiore, almeno dal punto di vista psicologico.
Per quale motivo?
Gli abitanti delle altre zone, compresa Damasco, hanno delle vie di fuga, se i loro quartieri vengono travolti dal conflitto. Da Damasco, da Homs, da Lattakia e dalla costa possono fuggire verso il Libano, la valle dei cristiani e Beirut. Aleppo invece è chiusa nella morsa delle forze in guerra. La Turchia lascia passare  le armi e i gruppi che entrano per combattere il regime di Assad, e il primo obiettivo rimane Aleppo. Mentre dicono che nel nord-est si consolida sempre di più il controllo dei curdi.
Dalle immagini satellitari diffuse da Amnesty si vedono quartieri di Aleppo ridotti in macerie.
Almeno in mezzo milione hanno dovuto lasciare le loro case. Ci sono zone completamente abbandonate. L’80 per cento della popolazione non lavora da mesi e mesi. Tanti non hanno più soldi nemmeno per mangiare.  Si respira dovunque una povertà disperata, in una città che una volta era fiorente e dinamica.
Quale stato d’animo registra tra i suoi fedeli?
In molti cresce il fatalismo: qualsiasi cosa accadrà - dicono - sarà volontà di Dio. Sono i discorsi che si fanno per tirare avanti. Altri provano a reagire, e la reazione più immediata e realista è la fuga, che è già iniziata da tempo. Chi ha ancora soldi e mezzi fugge verso il Libano, i Paesi del Golfo, o l’Europa. I poveri rimangono tutti qui.

O la fuga, o la rassegnazione.  Non c’e nient’altro?
I giovani, loro sono incredibili. Oggi quelli dei gruppi Scout hanno rimesso a posto le sale e gli impianti sportivi che gestiscono per ricominciare le loro attività. Vogliono uscire fuori dalla paura e dal senso di rovina che sembra inghiottire tutto.

 Il 28 luglio, mentre Papa Francesco era a Copacabana, più di mille giovani hanno partecipato a una giornata di preghiera e convivenza in comunione di spirito coi milioni di loro coetanei radunati dalla Gmg di Rio. Io e altri tre vescovi della città abbiamo partecipato a diversi momenti di quella giornata. E il prossimo fine settimana, dopo l’Assunta, circa 200 giovani organizzano un festival sulla speranza. Nella condizione in cui vivono, i nostri ragazzi sono molto colpiti e confortati quando sentono Papa Francesco che li invita a non farsi rubare la speranza.


E Lei?
Come vescovo e come gesuita mi sembra di cogliere dettagli importanti del suo stile, del suo modo di vivere la sua relazione con Cristo. Alla rinuncia di Benedetto XVI mi sono chiesto in che modo la Chiesa sarebbe mai potuta ripartire, dopo che si metteva da parte un teologo così grande e sensibile. Papa Francesco è stata la risposta inimmaginabile venuta dallo Spirito Santo. Come vescovo sento che è una ripartenza, un nuovo inizio.

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-audo-meeting-rimini-27102/


ALEPPO: Il dolore della comunità dei Fratelli Maristi e di tutta Aleppo per l'assassinio del dottor Amine Antaki



Le strade che conducono alla città  di Aleppo sono sempre sotto attacco da parte di gruppi terroristici. Sabato 10 agosto. un autobus civile, che trasportava civili provenienti dal Libano ad Aleppo è stato attaccato da un gruppo terroristico della cosiddetta "opposizione armata" in Siria. Il Dr. Amine Antaki, uno dei passeggeri degli autobus, è stato ucciso durante l'attentato, come attestano i testimoni.

I terroristi hanno sparato contro il bus sulla strada Khanaser ad Aleppo per fermarlo. Il Dr. Antaki che sedeva dietro al conducente, è stato ucciso da un colpo in testa durante l'assalto. I terroristi responsabili dell'attacco sono membri di un gruppo estremista jihadista. Sua moglie, seduta accanto a lui,  è sopravvissuta all'aggressione.

 Il Dr. Amine Antaki, nato nel 1944 in Siria, è stato un ginecologo molto conosciuto in Aleppo. Egli è stato considerato come uno dei migliori medici in Siria. Egli è stato anche coinvolto in molte attività sociali.
Viene ricordata da tutti la sua bontà, la timida modestia e la grande generosità con cui si è speso senza riserve nel dispensare la propria competenza di ginecologo famoso ma semplice.

"Amine era un vero Marista per l'educazione, la sua spiritualità e la sua testimonianza".
Della sua collaborazione all'opera di solidarietà dei Fratelli Maristi abbiamo raccontato qui: 
http://oraprosiria.blogspot.it/2013/07/lettera-da-aleppo-notizie-dai-maristi.html

sabato 17 agosto 2013

Siria, la rivolta è nelle mani degli islamisti

e in Iraq  e in Egitto......


da La nuova Bussola Quotidiana , 09-08-2013
di Gianandrea Gaiani


Al di là dei toni propagandistici tre sono gli elementi che emergono dai recenti sviluppi militari del conflitto siriano. Innanzitutto i governativi sono all’offensiva e con successo nei settori di Homs e Aleppo grazie agli aiuti militari russi e ai volontari sciiti giunti da Iran, Libano e Iraq.

Il secondo elemento è rappresentato dal crescente peso delle brigate islamiste, salafiti e membri di al-Qaeda, all’interno della galassia dei rivoltosi. Ormai sono loro a guidare le operazioni più importanti e a scontrarsi sempre più spesso con le milizie laiche o moderate e con i curdi. Come ha riferito il ministro degli Esteri, Emma Bonino, sembra siano stati gli uomini di al-Qaeda in Siria e Iraq a catturare il gesuita Padre Dall'Oglio anche se (come nel caso del reporter Domenico Quirico) non vi sono state rivendicazioni ufficiali. Il sospetto è che la cattura di ostaggi occidentali si riveli funzionale al piano di al-Qaeda di proporre uno scambio con i prigionieri ancora detenuti a Guantanamo e in altre carceri.

Gli unici successi militari registrati dai ribelli siriani sono da attribuirsi alle forze jihadiste. Gli “stranieri” dell'organizzazione Jaish al-Muhajireen wa Ansar (Esercito degli Emigranti e degli Aiutanti), il cui leader è il georgiano Abu Omar al-Aishani, hanno espugnato la base aerea di al-Menagh, vicino ad Aleppo . "Il valore di questa base è altamente simbolico", ha detto Charles Lister, analista del Jane's Terrorism and Insurgency Center, società di consulenza militare britannica. "Si tratta della prima grande conquista da parte dell'opposizione dopo diversi mesi - ha aggiunto - ma dal momento che è sotto il controllo di gruppi jihadisti, dimostra l'importanza del loro ruolo nei combattimenti". Lister ha seguito nell'ultimo anno l'ascesa dell'organizzazione jihadista sul campo di battaglia siriano e ha visionato diversi loro video, tra cui uno in cui cittadini occidentali discutono della loro guerra contro Damasco e chiedono sostegno in lingua inglese, francese, tedesca, spagnola, oltre che araba. Secondo gli analisti britannici, citati anche dal Wall Street Journal, Jaish al-Muhajireen sarebbe "la principale organizzazione di reclutamento di non-siriani nel conflitto siriano" e opera in stretto coordinamento con i militanti di al-Qaeda in Siria, dello Stato Islamico dell'Iraq e al-Sham, alleati a loro volta con il Fronte al-Nusra, riconosciuta come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti.

Il 3 agosto le milizie jihadiste del Fronte al-Nusra, Liwa al-Islam, il Battaglione al-Tawhid, Meghaweer e il Battaglione dei Martiri di Qalamon hanno espugnato un vasto deposito di armi e munizioni nei pressi di Qaldun, villaggio situato una cinquantina di chilometri a nord-est di Damasco, a ridosso della strategica autostrada che la collega ad Aleppo. Non c’è da stupirsi se il numero due della Cia, Michael Morell, in una intervista al Wall Street Journal, ha dichiarato che quello siriano “è probabilmente il problema più impellente nel mondo oggi a causa della dimensione che sta assumendo", sottolineando la presenza di combattenti stranieri fra le fila dell'insurrezione, come nei peggiori momenti della guerra in Iraq. Il rischio è che il conflitto si estenda oltre le sue frontiere o che il regime del presidente Bashar al Assad crolli e che la Siria diventi un nuovo santuario per al Qaeda. Le armi in possesso del governo, comprese le armi chimiche, rischiano di ritrovarsi nelle mani sbagliate, ha avvertito.

Il terzo elemento è rappresentato dalla progressiva islamizzazione dei movimenti ribelli laici o moderati come l’Esercito Siriano Libero, composto da disertori sunniti che hanno abbandonato le forze governative. Un esempio indicativo giunge dalla fatwa emessa dal Consiglio della Magistratura unita, affiliato all’Els: si prevede un anno di carcere per chiunque non osservi il digiuno nelle ore del giorno durante il mese sacro del Ramadan. Provvedimenti forse determinati dall’islamizzazione dei costumi imposta dai finanziatori sauditi e qatarini dei ribelli ma che lascia ben pochi spiragli per sviluppi diversi da quelli ipotizzati da Morell nel caso cadesse il regime di Assad.

I nemici contro i quali si battono con maggiore accanimento i miliziani qaedisti sembrano però essere donne e croissant. La cosa potrebbe far sorridere ma, come ha riportato il quotidiano Asharq al-Awsat, pubblicato a Londra in lingua araba, una “commissione della sharia” di Aleppo ha emesso una fatwa per vietare il consumo dei croissant definendoli haram, cioè vietati dall’islam, perché il dolce a forma di mezzaluna nacque per celebrare la vittoria delle armate cristiane sui turchi che assediavano Vienna nel 1683. Come è facile intuire i croissant si sono diffusi in Siria con la dominazione coloniale francese ma i censori islamici li hanno messi al bando perché lo considerano un simbolo della vittoria degli infedeli sui musulmani. Sempre ad Aleppo un’altra fatwa vieta alle ”donne musulmane di truccarsi o di indossare abiti aderenti” quali jeans o camicette.
Con simili “liberatori" non c’è da stupirsi che Assad stia vincendo la guerra o, almeno, non la stia ancora perdendo.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-siria-la-rivolta-e-nelle-mani-degli-islamisti-7046.htm


"La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi".

Lo sceicco Abu Mohammed al Julani, il capo del Fronte Al Nusra, affiliato ad Al Qaida, ha affermato  il 22 luglio scorso che i fondamentalisti che si battono contro il presidente Assad "non credono ne' ai partiti politici ne' alle elezioni parlamentari", ma solo a "un sistema di governo islamico".(ANSAmed).



La filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».

L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».


Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.

http://www.piccolenote.it/12941/il-terrore-abita-in-iraq


Egitto, Fratelli musulmani contro tutti



La Bussola Quotidiana 17-08-2013
di Valentina Colombo

Esercito contro Fratelli musulmani. Fratelli musulmani contro  l’esercito, contro i cristiani e contro tutti coloro che non si oppongono al “colpo di Stato terrorista”. Dalia Ziada, responsabile dell’Ibn Khaldun Center” al Cairo denuncia: “I Fratelli musulmani hanno promesso attacchi massicci in tutto l’Egitto dopo la preghiera del venerdì a mezzogiorno. Lo chiamano il venerdì della rabbia! Considerando tutte le chiese e gli edifici governativi cui hanno dato fuoco negli ultimi due giorni, mi domando se qualcosa possa peggiorare ulteriormente! Per favore che Dio salvi l’Egitto dai terroristi!” 
Il giornalista siriano Naman Tarcha lancia un ennesimo grido d’allarme nel tentativo di farci aprire gli occhi: “I Fratelli musulmani sono un partito politico che si nasconde dietro la religione per prendere il potere”. 

    continua la lettura quihttp://www.lanuovabq.it/it/articoli-fratelli-musulmani-contro-tutti-7089.htm
filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».
L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».
Titolo dell’articolo: La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi.

Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.
La filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».
L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».
Titolo dell’articolo: La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi.

Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.
filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».
L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».
Titolo dell’articolo: La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi.

Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.

mercoledì 14 agosto 2013

"Speriamo nel Dio della vita. E siccome speriamo in Dio, possiamo anche sperare nell’uomo".


Il monastero in mezzo alla guerra «assurda e atroce». 


TEMPI, 19 giugno 2013
di  Leone Grotti

Quattro suore trappiste in terra musulmana. Un monastero cistercense di stretta osservanza appollaiato su una collina mentre tutt’intorno infuria la guerra. È la storia di suor Marta e altre tre monache italiane che otto anni fa hanno deciso di fondare un monastero in Siria, in un villaggio maronita al confine col Libano, fra Homs e Tartous. Le quattro sorelle si sono mischiate ai sunniti e agli alawiti «per seguire l’esperienza dei nostri fratelli di Tibhirine», i monaci uccisi in Algeria da terroristi islamici la cui storia è stata anche raccontata dal film Uomini di Dio.
A Tempi.it suor Marta racconta cosa significa «vivere in un contesto in cui i cristiani sono minoranza» e perché non se ne sono andate da «una guerra assurda e atroce» che «distrugge la maggioranza della Siria», con «i cecchini appostati sui tetti» e i proiettili che non risparmiano neanche il loro monastero.



Suor Marta, che cosa significa seguire l’esperienza dei monaci di Tibhirine?
Il cuore dell’esperienza dei nostri fratelli era ciò che loro stessi esprimevano, cioè sentirsi come degli “oranti in mezzo ad altri oranti”. Si percepivano così: uomini di preghiera, che entravano in dialogo con i loro vicini musulmani proprio attraverso la preghiera. Cioè lo stare, come uomini, di fronte a Dio.


siria-suore-2
Perché avete deciso di ripetere la loro esperienza?
Ci siamo sentite interpellate da questa eredità, da questa “proposta” di vita: in un contesto in cui i cristiani sono minoranza, riscegliere la nostra vocazione monastica – nulla anteporre a Cristo – diventa allo stesso tempo un invito alla radicalità e un’apertura all’altro.
Perché proprio la Siria?
La scelta della Siria è dovuta a un cammino “provvidenziale”, di segno in segno. Non sapevamo nulla, allora, di questo paese. Pensare all’Algeria, soprattutto come donne, era impossibile. In Marocco c’è già una comunità di fratelli, fra cui i sopravvissuti di Tibhirine, e i vescovi in quel momento desideravano un profilo basso, niente comunità nuove. Allora abbiamo girato lo sguardo dal Maghreb al Mashreq e con l’aiuto di religiosi amici abbiamo fatto il primo viaggio sul posto, incontrando alcuni vescovi. Tutti ci hanno accolto bene, il vicario latino monsignor Nazzaro ci ha offerto un appartamento ad Aleppo, accanto ad altre suore, dove alloggiare il tempo necessario per cercare un terreno dove costruire il monastero. Il dado era tratto.
Che differenza c’è tra l’Algeria e la Siria?
La scelta del Medio Oriente ha aggiunto alla realtà del vivere in un paese a maggioranza islamica anche quella di trovarci immerse nella vita e nelle tradizioni delle Chiese orientali, che sono tutte presenti in Siria, ad eccezione di quella Copta.

Come avete individuato il luogo dove costruire il monastero?
Siamo rimaste ad Aleppo più di cinque anni, nel frattempo abbiamo trovato un terreno rurale presso un villaggio maronita al confine col Libano, fra Homs e Tartous. Nella nostra zona ci sono due piccoli villaggi cristiani, e poi villaggi sunniti e alawiti. Ci è piaciuta subito questa convivenza fra diversi, che del resto avevamo trovato in tutta la Siria, ed anche la semplicità e la bellezza naturale della zona, adatte a fare del Monastero un luogo di pace, di ascolto profondo.
Come siete state accolte dalla popolazione siriana?
Sia ad Aleppo sia nel luogo dove ci siamo trasferite per costruire il Monastero siamo state sempre accolte da tutti con calore, con simpatia.
Nessuna diffidenza?
siria-suore-3No, nessuna. Anzi, siamo state molto aiutate dai cristiani e dai musulmani. In Siria si vive insieme, i rapporti sono quotidiani, continui. E soprattutto c’è molto rispetto per ciò che è “religioso”, per la preghiera, per la fede in Dio. È questo che ci ha fatto sempre sentire a casa. A volte, quando ritorniamo in Italia, ci sentiamo molto più “estranee” a Roma. Certo c’era curiosità, perché l’ambiente non è cristiano. La gente aveva il desiderio di capire chi eravamo, anche perché non siamo infermiere o insegnanti.
La vostra zona è stata colpita dalla guerra civile?
Nella nostra zona l’instabilità è cominciata da subito, molto prima che ad Aleppo, ad esempio, ma grazie a Dio non ha raggiunto la gravità e l’atrocità che ora colpisce la maggioranza della Siria. Ci sono stati scontri a fuoco, più volte anche sul nostro terreno, ma non c’è mai stata una volontà distruttiva verso di noi o verso il villaggio da nessuna delle parti in causa, anche se più volte i proiettili sono arrivati vicini e abbiamo avuto qualche danno agli edifici. Noi siamo vicine al confine con il Libano, quindi molto spesso la notte ci sono bande armate di ribelli che cercano di entrare in Siria, trasportando armi e accompagnando nuovi combattenti. Cercano di aprirsi un varco nella zona, per poi andare a Homs e nelle parti dove si combatte di più.

siria-suore-1Quali sono state le immediate conseguenze della guerra?
Per noi, come per tutti, è stata ed è una cosa logorante. Da subito nella zona si sono guastati i rapporti di convivenza tra sunniti e alawiti, e presto si è arrivati alla violenza. Ci sono state uccisioni di civili, cecchini sui tetti, una vera tristezza. Prima vivevamo tutti insieme, i ragazzi andavano nelle stesse scuole, i negozi erano uno accanto all’altro.

Perché avete deciso di restare, potendo riparare in Italia fino alla fine del conflitto?
Non ci sembrava possibile, e neanche lo desideravamo, fare diversamente. È il nostro popolo, il nostro Paese ormai. La nostra comunità in Italia ci sostiene e poi siamo col villaggio, viviamo tutto questo con loro. Nonostante la paura che proviamo quando i colpi arrivano troppo vicini al Monastero, per Grazia, siamo molto serene. Di fatto, senza averlo previsto, siamo anche nella sola zona della Siria, quella di Tartous, rimasta ancora “vivibile”.


E se la vostra zona fosse presa dai ribelli? Non vi spaventa la possibilità di rapimenti come avvenuto a due sacerdoti e due vescovi?
La paura della gente, qui, è che si possa fare del nostro villaggio qualcosa di simile a Quseyr, o altre zone di confine: una postazione fissa dei jihadisti, che costringerebbero i cristiani alla fuga e ucciderebbero tutti quelli che non si uniscono ai salafiti. La paura più forte è la pressione che può venire dal confine col Libano.

La Siria è spaccata in due, pro e contro Assad?

La popolazione è stanca, sfinita dalle violenze atroci, da una parte e dall’altra, e dalla morte di tante, tantissime persone, soprattutto giovani. Poi le sanzioni internazionali, un vero giogo iniquo che pesa quasi esclusivamente sui poveri e sui più poveri fra i poveri.
Perché?
Il costo della vita è salito alle stelle, tanta gente soffre la fame e non ha più casa. È difficile però parlare di due fazioni. Diciamo che le fazioni erano molto diversificate all’inizio; ma tutto ciò che poteva essere la realtà interna della Siria è stata fin da subito spazzata via dal gioco di interessi esterni che proprio niente hanno a che vedere con la libertà e la dignità dei siriani. Poi, col protrarsi di questa assurda guerra, si è arrivati all’esasperazione del conflitto fra sunniti e sciiti. Ma se questo è il gioco “esterno”, “storico”, all’interno non è sempre così vero: in fondo, all’interno della Siria sempre più ci si divide tra chi accetta questa logica di morte e chi la rifiuta. Tra chi accetta che una visione fondamentalista possa prendere il governo del paese e chi la rifiuta totalmente. E tra questi ci sono anche molti sunniti. È questa la vera speranza della Siria: la gente stessa, sperando che la maggioranza avrà il coraggio di rifiutare la logica del più forte.

L’Occidente è spaccato tra chi pensa che sarebbe meglio armare i ribelli e chi crede che il dialogo e la trattativa siano l’unica soluzione percorribile.
Nessun dubbio. Non c’è altra strada se non quella del dialogo, di una soluzione politica che rispetti veramente la volontà dei siriani. Tutti i siriani, però, non solo i più mediatici. Perché di questi ultimi si parla tanto, ma nella realtà hanno ben poca voce. In Siria ormai c’è un arsenale di armi spaventoso, messo in mano persino a ragazzini. Non si può essere ingenui: purtroppo c’è chi vuole tutto questo. Ma chi si chiede davvero dove sia il bene, basta che guardi attorno e pensi alla storia di questi ultimi decenni: c’è una sola situazione in cui le armi non abbiano portato morte, distruzione, avvilimento delle persone, annientamento delle culture? Mi sembra che la voce della Chiesa sia molto chiara, a cominciare dal Papa. Basterebbe ascoltarla.

Avete ancora speranza per il futuro della Siria?

Ci dà speranza soprattutto la gente, la loro capacità di portare questa situazione mettendosi nelle mani di Dio. Questa è una vera forza per un popolo. Noi, poi, siamo cristiane e la speranza che ci fa vivere è più profonda e più forte di qualunque atrocità, di qualunque devastazione. Noi speriamo nel Dio della vita. E siccome speriamo in Dio, possiamo anche sperare nell’uomo, aldilà di tutto, anche se forse ci sarà ancora molto da patire. E poi ci sarà tanto “lavoro” dopo, bisognerà ricostruire. Non solo gli edifici, ma soprattutto l’integrità delle coscienze, il perdono reciproco, il rispetto. C’è speranza perché Cristo è davvero risorto, attraverso tutte le nostre morti.


http://www.tempi.it/siria-noi-suore-trappiste-che-restiamo-nonostante-la-guerra-seguendo-esempio-dei-monaci-di-tibhirine#.UcHARG1H45s

lunedì 12 agosto 2013

Il dramma dei profughi siriani

Campo profughi di Zaatari






da: La nuova Bussola Quotidiana - 01-08-2013
di Danilo Quinto

La guerra civile che da oltre due anni sconvolge la Siria si stima abbia prodotto oltre 100mila morti, al ritmo di 5mila morti al mese. Secondo i rapporti di Save the Children, all'interno della Siria 4 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, compresi i 3,6 milioni di sfollati interni, di cui più di un milione si sarebbe aggiunto negli ultimi due mesi.

Mentre infuria la battaglia, che molti analisti considerano decisiva, attorno all'aeroporto internazionale di Aleppo, la seconda città del Paese, per conquistare la quale i ribelli lanciarono un anno fa una massiccia offensiva e che le forze fedeli al presidente Bashar El Assad stanno cercando ora di riprendersi, continua il dramma dei profughi, che conosce dimensioni spaventose. Se ne contano 6mila al giorno, decine di migliaia al mese e secondo le Nazioni Unite hanno raggiunto il numero complessivo di circa 2 milioni – che potrebbero diventare 3 milioni entro la fine dell’anno - di cui 2/3 hanno abbandonato il Paese dall’inizio di quest’anno. Vivono nei campi d’accoglienza sorti ai confini con la Turchia, il Libano. l’Egitto e la Giordania. Più della metà sono bambini e molti di loro arrivano nei campi separati dai genitori. Sono oggetto di un’ondata di xenofobia molto grave, tanto che L’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) ha espresso le sue preoccupazioni, denunciando perfino che tra gli arrestati e i detenuti in Egitto, sono inclusi diversi minorenni e siriani registrati presso l’Unhcr.

Issam Bishara, responsabile per la Siria dell'Agenzia papale per il sostegno umanitario e pastorale in Medio Oriente (Cnewa) – che è attiva lungo il confine libanese nel fornire sostegno alle famiglie cristiane sfollate, greche, siriane, ma soprattutto armene  - ha spiegato nei giorni scorsi ad Asia News che "A differenza di Turchia e Giordania, il Governo libanese ha preferito non rendere ufficiali i campi profughi lungo il confine siriano. Si tratta piuttosto di accampamenti improvvisati dagli stessi rifugiati siriani, su aiuto di partiti locali o donatori arabi". Antonio Guterres, Alto commissario per i rifugiati presso le Nazioni Unite, ha reso noto, in un rapporto diffuso un mese fa, che il numero di profughi presenti in Libano ha raggiunto una cifra pari al 25% della stessa popolazione libanese. Secondo la Caritas libanese, nei campi, dove è assai difficile assicurare l’intervento umanitario, iniziano a scoppiare le prime epidemie, alle quali si aggiunge l’inasprimento degli scontri confessionali. L’ingresso in campo di Hezbollah (il ‘partito di Dio’ libanese) al fianco di Assad, ha infatti rovesciato le sorti del conflitto in Siria in favore del regime, ma ha riacceso un violento scontro confessionale tra sciiti e sunniti in Libano, dove i rifugiati vengono considerati un grave rischio socio-economico. In base ai dati di un sondaggio diffuso di recente, l’ 82% dei libanesi accusa i siriani di rubare lavoro e più del 54% dei libanesi ritiene che si dovrebbero chiudere del tutto le frontiere ai siriani.

In questo contesto, foriero di rischi incalcolabili per l’intera Regione, da un lato alcuni Governi europei si limitano a fare appelli ai loro cittadini, perché con la generosità delle donazioni aiutino la sopravvivenza dei profughi accolti nei campi, che in questa torrida estate devono affrontare la pericolosa mancanza di acqua e dall’altro sembra sempre più lontano l’inizio di una Conferenza di pace - i colloqui erano inizialmente previsti per maggio; in seguito a difficoltà nel concordare chi avrebbe preso parte ad essi, il calendario era scivolato a giugno, poi a luglio e adesso si dice che il mese buono sarà settembre – che da più parti viene ritenuto l’unico strumento in grado di dipanare la situazione siriana.

Un dato è certo: quello diffuso, nei giorni scorsi, dal vice- segretario generale dell’ONU per gli affari umanitari, Valerie Amos, la quale ha comunicato che circa sette milioni di siriani hanno bisogno di aiuto umanitario urgente e che per mantenere i siriani dentro il Paese e dare sostegno ai profughi occorrono 3,1 miliardi di dollari. Sulla promessa degli aiuti fatta dai Governi occidentali - insieme ad un’azione politica finalmente seria ed efficace - si gioca buona parte dell’esito della crisi Siriana e il futuro del Paese.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-dramma-dei-profughi-siriani-6992.htm

Abusi e matrimoni forzati per i bambini rifugiati

foto Guillaume Briquet

Agenzia Fides - 7/8/2013

Zaatari  - La gente continua ad essere disperata e sempre più povera. I bambini fuggiti dalla guerra in Siria con le rispettive famiglie continuano ad essere sfruttati, abusati e costretti a matrimoni precoci, del tutto inusuali nel Paese. Circa due milioni di rifugiati siriani sono divisi prevalentemente tra Turchia, Libano, Giordania e Irak. 
L’Alto Commissariato per le Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha lanciato l’allarme per cercare misure di sicurezza più efficaci per evitare che i piccoli lavorino per portare avanti le rispettive famiglie, abbandonino la scuola o ritornino in Siria come bambini soldato. 
Dalle ultime stime dell’UNHCR nel campo di Zaatari, in Giordania, vivono 130 mila rifugiati siriani contro i quali si stanno costruendo vere reti di crimine organizzato, c’è anarchia totale e le loro scarse risorse vengono costantemente saccheggiate e distrutte. In Giordania, i rifugiati riescono a vivere solo fuori dai campi e controllati dalle autorità nazionali. 
Molti addirittura a causa delle difficili condizioni in cui si trovano a vivere a Zaatari, e agli alti livelli di criminalità che si registrano all’interno, preferiscono fuggire. 

http://www.fides.org/it/news/53315-ASIA_SIRIA_Abusi_e_matrimoni_forzati_per_i_bambini_rifugiati#.UgJ0R21H7wo


Il nunzio in Siria: c'è la disperazione dietro la tragedia di Catania


AVVENIRE- 10 agosto 2013


C'è una «forte disperazione» dietro alla tragedia  dell'immigrazione di Catania, dove sei migranti hanno perso la vita mentre tentavano di raggiungere la riva a bordo di un peschereccio sul quale viaggiavano, tra gli altri, profughi in fuga dalla Siria. A esprimere il suo dolore è il nunzio apostolico in Siria, Mario Zenari. «Oltre alle vittime del conflitto, il cui numero ha superato da tempo i 100mila morti indicati dalle Nazioni Unite, c'è chi ha perso la casa, chi non ha lavoro, chi vive in zone dove dilaga la criminalità e la malavita, in altre dove si tenta di imporre la Sharia. Queste persone da qualche parte devono andare», dice monsignor Zenari amareggiato.

Con alla mano i dati sui siriani di fede cristiana, il religioso indica come «i Paesi scandinavi» siano stati la meta prediletta anche prima del conflitto. L'emigrazione dei cristiani verso l'Europa è aumentata con lo scoppio della guerra nel marzo 2011, in cerca di un ambiente sicuro e affine per cultura e religione. «Sempre per i cristiani, in Europa ci sono comunità delle chiese orientali in Francia e in Belgio - spiega - L'Italia come destinazione di massa è invece un fenomeno nuovo. Bisogna vedere se (quello di Catania, ndr) è un caso isolato o se ce ne saranno altri».
Zenari riflette anche sull'identità di questi migranti siriani che hanno tentato di raggiungere l'Italia, ricordando che «solitamente i musulmani cercano di fuggire in un altro Paese arabo, come dimostra il milione e mezzo e più di profughi in Libano, Iraq, Turchia e Giordania. Ma abbiamo anche visto che le condizioni di vita in un campo profughi sono sempre più difficili».

Quello che Zenari può vedere con i suoi occhi, comunque, è che «le condizioni di vita in Siria sono sempre più difficili. Certe zone sono nel completo caos. Non c'è più il controllo del governo, non si sa chi comanda, la popolazione è sotto la spada di Damocle della criminalità, dilagano i sequestri delle persone appartenenti alla classe media, perchè i ricchi hanno già lasciato il Paese da tempo. Poi c'è il tentativo di imporre la Sharia, che non piace nemmeno ai musulmani. Le case distrutte, la mancanza di lavoro, i prezzi alle stelle: è chiaro che da una parte o dall'altra queste persone devono andare».


sabato 10 agosto 2013

Nel frattempo, il grande popolo Siriano continua a resistere...(Padre Daniel)

 Cari Amici,

purtroppo le violenze continuano in Siria. Il movimento della riconciliazione (Mussalaha) sta crescendo. Di più – la verità sul quello che sta veramente succedendo qui in Siria – si rivela sempre di più nell’Occidente. Nel frattempo il “grande” popolo Siriano continua a resistere. Noi preghiamo e lavoriamo con ardore per una pace sollecita e durevole, per la salvezza del popolo e del mondo intero.
P. Daniel


da Mar Yakub,  Padre Daniel  
 venerdì 26 luglio  – venerdì 2 agosto 2013

“Mentre tutti dormivano venne il nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò”, così  parla Gesù , nel vangelo di sabato nella parabola della zizzania in mezzo al grano (Mt 13, 25). Gesù ci insegna di vedere gli eventi del mondo in un altro modo, più profondo. Qualche anno fa, quando siamo venuti qui in Siria, non abbiamo incontrato una società politica perfetta, ma abbiamo incontrato  una società prospera e sicura e abbiamo anche esperimentato l’uguaglianza tra tutti i gruppi religiosi. C’era anche la libertà di religione, l’ospitalità e c’era anche una sana vita di famiglia. Nella vita pubblica, discriminazione, furto e criminalità non erano noti.  All’improvviso sono apparse le più orribili atrocità. Si massacrava, si saccheggiava e c’erano attentati in tutto il paese. La società abbastanza armonica si trasformava in un incubo. La “primavera” diventava un “caos”. La stampa informava che c’era una rivolta spontanea di un popolo da tanto tempo oppresso. Chi aveva una profondità più spirituale, aveva già notato dall’inizio che questa era una menzogna. I nemici avevano già da qualche tempo seminato questa zizzania, che adesso si manifestava chiaramente. Wesley Clark, un generale Americano, ha ammesso che la guerra in Siria era già stata progettata – insieme con quattro altri paesi – subito dopo gli attentati alle ”Twin Towers” a New York. 
Nel frattempo hanno distrutto l'Iraq sotto il motto di “Libertà per Iraq”!  E' uno dei più grandi crimini   contro l’umanità nella storia recente.  Rimarranno ancora  cristiani  in Iraq, a fronte dei   1,3 milioni di cristiani nel 2003 ?  
Una cosa simile è successa anche in Libia, che oggi fa pure parte della “collezione primaverile araba ” dell’Occidente. E che pensate dei cristiani in Egitto, Afghanistan e Siria? 


Jund al-Sham nel Krak des Chevaliers

Intanto, tutti questi paesi sono una miniera inesauribile di oro per l’industria di armi. 
I poveri sono venduti, dice il profeta Amos più di ventisette secoli fa, per servire il potere e la ricchezza delle grandi nazioni e dei dominatori mondiali. E mentre l’Islam ha sempre più libertà e supporto nell’Occidente, i cristiani  - gli abitanti originari-  invece, sono perseguitati, scacciati e massacrati nei paesi musulmani. Il gruppo russo punk “Pussy Riot” che ha disturbato in modo scandaloso una liturgia santa ortodossa, ha ricevuto in tutto l’Occidente tanta attenzione e supporto. Ma chi difende Amina Tyler chi si trova nella prigioni tunisine perché lei ha osato  protestare contro l’oppressione della donna? 
Dov’è  adesso Amnesty International ? Monsignor Paolo Yazigi, metropolita Greco-ortodosso di Aleppo e Monsignore Gregorios Yohanna Ibrahim, vescovo Siro-ortodosso di Aleppo, sono stati rapiti tre mesi fa. Dove sono le organizzazioni potenti dell’ONU? Che fa la Turchia? I più grandi problemi di questi paesi  non trovano le loro origini nella mancanza di “ più democrazia occidentale”. Al contrario.  La grande difficoltà oggi, non è la “crisi economica" generale, ma è il male, cioè il peccato che si trova nel nostro cuore e in questo mondo. Il male proviene dal diavolo e i suoi complici, i nemici di Dio e degli uomini, che consapevolmente e segretamente persistono a seminare zizzania. Colui che nega tutto questo, è un ingenuo irresponsabile.

Nel frattempo non permettiamo che questi  problemi arrivino a toccare troppo  il nostro cuore e cogliamo ogni occasione per fare un po' di festa. Fadia, la nostra bebè ha il suo primo dentino. Durante il pranzo abbiamo visto qualche immagine della coreografia e danza delle Giornate Mondiali della Gioventù  a Rio di Janeiro. Erano bellissime e piene d’ispirazione. 



I nostri bambini ballano insieme ad una suora  al ritmo della musica Araba con vestiti molto colorati. Si mangia una  torta e un piatto tipico: grani zuccherati. Durante i pasti continuiamo a guardare le immagini splendide  della gioventù, che balla, prega e testimonia. Infatti, è una glorificazione, non di uomini o delle organizzazioni umane , ma di Dio Padre , nostro Creatore, e di Gesù Cristo, il Salvatore tramite la Croce e dello Spirito Santo, la vera e potente forza di questo mondo. La gioventù canta e giubila, esplodendo di gioia, ma è anche silenziosa in modo impressionante ,  inginocchiata in adorazione per il Santissimo Sacramento.  E ci sono milioni di giovani! Intanto Papa Francesco esorta i fedeli a risvegliarsi e ad andar in giro, determinati - contro l’opinione pubblica – per aiutare i poveri e gli oppressi,  dovunque si trovino. Il Papa invita anche i pastori della Chiesa alla strada della riforma nello spirito del Vangelo. Dobbiamo impegnarci soprattutto per la salvezza degli uomini e per la gloria di Dio e non cercare di glorificare le nostre istituzioni religiose o ecclesiastiche. Speriamo che tutto questo sia effettivamente l’inizio di una vera svolta nella  nostra madre Chiesa.

Intorno a noi sentiamo incessantemente i rumori sordi delle esplosioni.   Ci troviamo comunque ancora in un posto molto pericoloso. Cosi restiamo a mangiare nel refettorio con sacchi di sabbia davanti alle finestre come nelle trincee di lusso della prima guerra mondiale. La sera siamo costretti a ritirarci presto, sedendoci o rimanendo sdraiati, nei nostri rifugi. Questa settimana hanno trovato ragni velenosi nel rifugio delle suore. Chi ha detto che le donne hanno sempre bisogno di tanto tempo per imballare? Non è per niente vero. In poco tempo tutti i materassi e le altre cose erano traslocati in un nuovo posto.  Hanno fatto tutto in modo velocissimo. Non c’è stato neanche tempo di prendere una foto di questa fuga. Così usciamo del solito tran tran e  c’è un po’ di distrazione. Parliamo del nuovo rifugio: già prima il refettorio era un posto dove si facevano tante cose e adesso non è più un luogo” polivalente” ma è diventato uno spazio “ omnivalente”, cioè un tipo di ripostiglio simpatico che è stato riorganizzato in modo ordinato in vari spazi separati.

Nel frattempo viviamo e soffriamo insieme la miseria del popolo Siriano e del suo paese. Ci sono già 100.000 morti  su cui piangiamo.  Fabbriche, scuole, ospedali e istituzioni pubbliche sono stati distrutti. Milioni di persone sono profughi in un paese che prima offriva rifugio in modo ospitale a tanti profughi soprattutto di Iraq e Libano. Tanti soffrono la fame e sono senza tetto. Mercoledì sera vediamo sulla televisione Siriana Al Akhbaria un’ampia intervista con Madre Agnes-Mariam sulla situazione in Siria e sopra tutto sul modo concreto della Musalaha,  il movimento più importante della riconciliazione. C’è tanto bisogno di dare al popolo il necessario cibo, cura, alloggio, scuola e ri-educazione. Il perdono reciproco e la riconciliazione hanno un effetto di guarigione. Secondo la Madre anche  i terroristi hanno il diritto di esprimersi  per scegliere un nuovo e buon orientamento di vita. Uno dei progetti concreti è un’iniziativa spettacolare olandese di una macchina ospedale polivalente con tante attrezzature (prezzo mezzo milione) per Homs e speriamo dopo anche una per Aleppo. Vedi:  http://helphoms.org  


E’ possibile che la miseria senza fine abbia un effetto demoralizzante. Dall’altra parte invece questa situazione implica anche la speranza di una purificazione profonda. Questa sofferenza offre anche la possibilità di una crescita più forte dopo. 
La verità su quanto succede qui si rivela poco a poco e vien accettata sempre di più, anche se la Francia la nega in modo ossessivo. Quando la realtà di questa guerra contro la Siria sarà riconosciuta,  potrebbe causare una svolta nelle relazioni politiche nel mondo intero. 
Monsignor Francis A. Chullikat, rappresentante permanente della Santa Sede all’ONU ha parlato il 23 luglio 2013 della pace in Siria, in cui tutti saranno vincitori al contrario di una guerra dove tutti perdono. Il 25 luglio il Patriarca Cirillo di Mosca con rappresentanti di tutte le chiese ortodosse mondiali, insieme a Putin hanno espresso loro preoccupazione per la tragedia in Siria, dove i cristiani sono minacciati di sparire. Hanno dichiarato: “Sarebbe una catastrofe per l’intera civilizzazione . L’origine della nostra religione si trova qui in Siria!”.

Forse la vera storia è costituita da santi e martiri, come Padre Francois Mourad. Lui viveva l’esempio di Charles de Foucauld e ha fondato il monastero di San Simeone, lo stilita, a Ghassanieh (Nord Ovest di  Aleppo). Le chiese sono state distrutte ed i cristiani sono stati rapiti e assassinati. Quando la situazione cominciava ad essere pericolosa anche per lui, egli ha scritto al suo vescovo: “L’amore ha un sinonimo, cioè la sofferenza…e sono pronto a morire per la pace e che la Chiesa si ricordi che io do la mia vita con gioia per tutti i cristiani in questo beneamato paese”. La sua chiesa è stata distrutta e lui è stato assassinato domenica 23 giugno 2013. Padre Francois Mourad aveva solo quarantanove anni.

( traduzione A. Wilking)

giovedì 8 agosto 2013

Da una "Ginevra 2" dipende il futuro della Siria

FERMARE LA GUERRA CIVILE

A New York, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e il segretario generale Onu, Ban Ki-moon, si confronteranno sulla possibilità di convocare una Conferenza internazionale. 

Le speranze dell'arcivescovo melkita di Aleppo, Jean-Clément Jeanbart 


Damasco 6 agosto 13: è l' 11° attentato con autobomba subito dai civili nel quartiere cristiano di Jaramana






S.I.R.  Mercoledì 07 Agosto 2013
di Daniele Rocchi

La Siria sembra non trovare più spazio e titoli sulle prime pagine dei giornali. Le sue vicende, il sangue che continua a scorrere nel Paese, non fanno più notizia. Arrivano echi solo quando filtrano informazioni riguardanti la sorte di alcuni rapiti, come nel caso del giornalista italiano Domenico Quirico, inviato del quotidiano “La Stampa”, scomparso in Siria dal 9 aprile o più recentemente del padre gesuita, Paolo Dall’Oglio. Ma la piaga dei rapimenti in Siria è aperta e profonda e ne ha fatto le spese anche moltissima gente comune. Tra loro gli arcivescovi siro-ortodosso e greco-ortodosso di Aleppo, Yohanna Ibrahim e Paul Yazigi, rapiti in Siria lo scorso aprile. I due sarebbero vivi e tenuti prigionieri in territorio turco, secondo quanto riferito dal sito d’informazione al-Alam che riporta fonti locali di Aleppo che, a loro volta, citano fonti diplomatiche britanniche. La notizia, tuttavia, non trova conferme nella città siriana, come spiega al Sir monsignor Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo melkita di Aleppo. “Abbiamo sentito queste voci, le abbiamo lette in alcuni blog e social network, ma non abbiamo certezze a riguardo e soprattutto conferme di nessun genere. E lo stesso vale per il padre gesuita Paolo dall’Oglio”. 

Ad Aleppo, come in altre città segnate dai combattimenti, intanto, la vita va avanti tra mille difficoltà. Ai problemi della sicurezza si sommano quelli provocati dalla crisi economica e sociale: “Qui ad Aleppo la situazione sembra tranquilla. La popolazione deve fare, però, i conti con l’aumento dei prezzi, la mancanza di lavoro, ma i prodotti si trovano. Il Governo sta sostenendo la distribuzione del pane e di altri alimenti e combustibili. La situazione è migliore di venti giorni fa. Fuori città, invece, proseguono i combattimenti e non sappiamo cosa ci aspetta per il futuro”.

Invasione straniera. Un futuro che appare sempre più nelle mani della diplomazia internazionale e sempre meno in quelle dei siriani. “Sono certo - dice l’arcivescovo melkita - che se le sorti del nostro Paese fossero nelle mani dei siriani oggi avremmo già raggiunto la pace. Purtroppo i ribelli sono in larga maggioranza stranieri, sono mercenari e jihadisti al soldo di Paesi arabi e anche occidentali. Nella sua storia la Siria ha subìto tante invasioni, ma nessuna di queste ha mai fatto danni così gravi come quella che stiamo subendo in questi ultimi due anni. Truppe straniere stanno distruggendo la Siria”.

Verso “Ginevra 2”? Sul piano diplomatico qualcosa sembra muoversi. 

Domani, 8 agosto, a New York, il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, incontrerà il segretario generale Onu, Ban Ki-moon. In agenda le prospettive per la convocazione della Conferenza internazionale “Ginevra 2” per trovare una soluzione al conflitto siriano. Lavrov discuterà con Ban Ki-moon sulle prospettive per una soluzione in Siria in vista della convocazione di una Conferenza internazionale e anche gli sviluppi della situazione in Medio Oriente. 
“Spero tanto riescano a organizzare questa ‘Ginevra 2’ - sottolinea monsignor Jeanbart -, sarebbe un’ottima cosa. Credo anche che alcuni Paesi non sono interessati a questa iniziativa. ‘Ginevra 2’ sarebbe un’ottima base di partenza per limitare il commercio di armi nel nostro Paese. Un commercio iniquo che, come Chiesa, abbiamo sempre denunciato. 
La Siria non ha bisogno di armi ma di pace e di riconciliazione. Chiediamo alla comunità internazionale di aiutarci a trovare strade percorribili di pace e non sentieri di guerra. Il popolo è disperato e pensa di lasciare la sua terra per trovare un futuro altrove e questo è un fatto drammatico. La Siria non deve spopolarsi della sua gente, sarebbe un gran disastro se accadesse. Come cristiani vogliamo restare in questa terra che ha visto la Chiesa nascere”. “Un passo deciso verso ‘Ginevra 2’ - conclude l’arcivescovo - darebbe un forte stimolo alla speranza e forza per guardare con più ottimismo a un futuro migliore”.

http://www.agensir.it/sir/documenti/2013/08/00267745_da_una_ginevra_2_dipende_il_futuro_della_.html