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lunedì 24 ottobre 2016

La tregua rifiutata dai jihadisti, il trasferimento di ISIS da Mosul, la carità dei monaci

missile lanciato la sera del 22 ottobre dai jihadisti sul Carmelo di Aleppo: fortunatamente inesploso, altrimenti avremmo dato addio alla Comunità delle Sorelle Carmelitane!

di Patrizio Ricci
IL SUSSIDIARIO, 24 ottobre 2016

Continua la campagna mediatica a tutto campo e le condanne contro Mosca e Damasco: venerdì il consiglio dell'Onu per i diritti umani ha condannato i bombardamenti russi ad Aleppo ed è stata giudicata "patetica" quella che rappresenta l'unica possibilità di soluzione politica del conflitto: la richiesta di separare l'opposizione armata dai gruppi jihadisti che il rappresentante russo aveva chiesto di inserire come emendamento. La risoluzione non ha avuto nessuna considerazione del fatto che la Russia dal 20 ottobre ha interrotto i bombardamenti mirati sui quartieri di Aleppo est ed ha aperto 8 corridoi umanitari (di cui 2 per i combattenti che decidessero di uscire indenni) per consentire l'afflusso di aiuti all'interno dell'enclave e la fuoriuscita di civili. E in tema di "diritti umani", la risoluzione ha ignorato che la cittadinanza residente ad Aleppo est è ostaggio dei terroristi. Infatti i corridoi umanitari aperti dai russi sono sotto costante tiro delle armi leggere e delle bombe di mortaio dei guerriglieri. L'agenzia Sir (Servizio Informazione Religiosa) ha riportato quando sta accadendo: "Aleppo, al via la tregua decisa da Mosca e Damasco. Ma i jihadisti sparano sui civili che vogliono lasciare la parte Est della città". Ulteriori dettagli erano stati dati durante il briefeing tenuto il 13 ottobre dal Capo di stato maggiore delle Forze armate russe S.F. Rudskogo: la maggior parte dei combattenti anti­governativi non solo rifiuta di lasciare le proprie posizioni ma non consente neppure la fuoriuscita dei civili. E se questi ultimi insistono, vengono giustiziati pubblicamente.
Il sabotaggio dei ribelli ha impedito ai convogli umanitari promessi dall'Onu di accedere ai quartieri isolati. In questo contesto deteriore di grave sofferenza per i civili, la Ue ha deciso di inasprire ulteriormente le sanzioni contro la Siria. 
Intanto, i cannoneggiamenti sulle zone residenziali di Aleppo ovest non si sono mai interrotti: solo nella giornata di venerdì hanno causato 8 morti e 30 feriti. La notizia di questo quotidiano stillicidio umane, è confermata da tutti i vescovi di Aleppo. Il problema di fondo è evidentemente che gli Usa ed i loro alleati rifuggono la stessa idea di Aleppo in mano governativa: se avessero voluto, minacciare i ribelli di togliere loro il supporto sarebbe stato sufficiente per ottenere il rispetto delle tregue. E' tragicomico che solo Erdogan abbia tirato fuori 150 uomini della milizia Ahrar-al Sham ed abbia addirittura promesso a Putin di adoperarsi per far uscire al Nusra. Tuttavia gli eventi hanno preso un segno diverso: nella zona sudovest della città, ai jihadisti sono arrivati di rinforzo più di 1200 uomini molto ben equipaggiati e pronti a sferrare un contrattacco. Così la fragile tregua è già caduta: ieri sono ricominciati i bombardamenti russi e gli scontri tra l'esercito siriano e le milizie anti­Assad lungo la linea strategica nel sud­ovest di Aleppo dove queste ultime si stavano riorganizzando.
Le brutte notizie arrivano sempre insieme: un diplomatico russo ha dichiarato all'agenzia Ria Novosti che ai terroristi dell'Isis che lasceranno Mosul, sarà assicurata dalla coalizione Usa una via di fuga verso il nord della Siria: "Più di novemila militanti Isis saranno ri­dispiegati da Mosul alle regioni orientali della Siria per sferrare una offensiva di grandi dimensioni, che comporterà la cattura di Der Ezzor e Palmira". La notizia è confermata anche dall'agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu.
Questa prospettiva sembra sia presa molto sul serio dal comando russo­-siriano visto che due divisioni meccanizzate provenienti da Damasco sono giunte sabato ad Aleppo. Anche la componente aeronavale russa sarà rinforzata: la portaerei Kuznecov naviga nel Mediterraneo e dirige verso la Siria accompagnata da un'imponente squadra navale. Inutile dire che il capo della Nato Jens Stoltenberg già vede la cosa come una minaccia. Purtroppo negli ultimi tempi sembra che la Nato, in ogni momento di crisi, quando si è ad un passo dal risolverla pacificamente, ritiri sempre la mano. Chi oggi dice di "percepire la minaccia" è però lo stesso Occidente che sta appoggiando la "rivoluzione" innescata da gruppi settari che non si sarebbero mai mossi senza un sicuro appoggio militare, politico e finanziario. 
E' un mondo che, barando, vuol cambiare le carte in tavola: nel caso siriano, anziché rispettare e trarre vero profitto da secoli di cultura e memoria di cui è ricca la Siria, vuole fare tabula rasa e poi lucrare secondo le ambizioni di pochi.
Non è questa la strada della presenza cristiana in terra siriana. Ed i tanti monasteri cristiani che ne portano memoria, lo dimostrano. Sono letteralmente piantati nel deserto, ma anche in mezzo alla guerra costituiscono luoghi di amicizia concreta per cristiani e musulmani. La presenza del monastero di Mar Yakub in Siria, nella località di Qara sui monti Qalomoun, vicino al Libano, risponde alle molte domande sollecitate da queste righe di cronache contraddittorie.



La risposta dei monaci è stata tener viva la fede. Quando la carmelitana franco­libanese madre Agnese visitò per la prima volta nel 2000 quei luoghi, trovò solo dei ruderi. Ma da quelle rovine è nata una comunità monastica che ha scelto di pregare soprattutto per preservare l'unità della Chiesa. Poi, da quando è cominciato il conflitto nel 2011, la comunità ha cominciato ad organizzare distribuzioni per venire incontro ad un bisogno enorme. I convogli di cibo e abbigliamento, organizzati dalle monache e monaci del monastero, sono arrivati lontano, fino alla campagna a sud di Aleppo, dove ci sono parecchi campi profughi e non arrivano le organizzazioni umanitarie. Madre Agnese ha promesso alle famiglie, la maggior parte musulmane, di continuare a soccorrerle nei bisogni primari. Da qui la grande operazione della consegna quindicinale dei pacchi a cui ci chiede di collaborare. Potrete voi stessi visitare il sito Mar Yakub Charity per vedere le iniziative in corso. Non sono iniziative che fanno 'loop' su se stesse ma che indicano la speranza di cui tutti abbiamo davvero bisogno.

venerdì 23 settembre 2016

Patriarca Gregorios: dramma rifugiati, la vera risposta è mettere fine alla guerra.


IL SUSSIDIARIO
16 settembre 2016

Gregorio III : in mezzo ai profughi ci sono anche i jihadisti

Ben 75mila profughi siriani si trovano intrappolati in un deserto al confine con la Giordania, dopo che le autorità del Paese hanno chiuso il confine per il timore di infiltrazioni da parte dei terroristi. Un rapporto di Amnesty International basato su immagini riprese dal satellite, filmati e testimonianze in prima persona mostra la drammatica situazione all’interno dell’area nota come il Berm. Il numero dei rifugi improvvisati fuori da Rukban, uno dei due valichi tra la Siria e la Giordania, è cresciuto da 363 di un anno fa a 6.563 del luglio scorso a 8.295 di settembre. I profughi nel deserto del Berm sono senza cibo né assistenza medica, con una diffusione impressionante di malattie e una mortalità molto elevata. Ne abbiamo parlato con Gregorio III Laham, patriarca cattolico siriano con doppia sede a Damasco e Beirut.

Che cosa è possibile fare per i 75mila profughi intrappolati al confine tra Siria e Giordania? 
Tutto ciò che posso fare è invitare il mondo intero a lavorare per la pace. Queste vittime e tragedie nascono dal fatto che qualcuno fa la guerra, manda i soldati e arma i terroristi. Tutto ciò è frutto di questa mancanza di un progetto di pace in Siria da parte della comunità internazionale. Se ci fosse la pace tutti i rifugiati rimarrebbero nelle loro case e avrebbero sia da mangiare sia da bere. Mentre finché c’è la guerra, ciascuno è sotto il bastone del terrorismo internazionale. Dateci la pace per favore, è questo che mi sento di gridare al mondo intero.

Lei che cosa ne pensa del fatto che la Giordania non lascia entrare chi fugge dalla guerra? 
La Giordania ha paura del traffico di terroristi. Sono tanti i jihadisti che transitano dopo essersi infiltrati in mezzo ai rifugiati, e ciò ha costretto le autorità di Amman a chiudere le frontiere. I terroristi stanno facendo tanto male sia all’interno sia all’esterno della Siria.
Chi dovrebbe prendersi cura dei rifugiati nel Berm? 
Sia la Siria sia la Giordania, ma quando c’è la guerra i rifugiati rimangono ovunque senza nessun aiuto, diventando spesso vittime e ostaggi. E i rifugiati non sono soltanto i 75mila del Berm, ce ne sono molte altre migliaia. Sono tutti aspetti della guerra. Per questo Papa Francesco ha invitato i Paesi del Medio Oriente a pregare per la pace.

In che modo è possibile ricostruire la pace in Siria? 
Questo è il vero dilemma per tutti. Quando nel 2014 Papa Francesco si recò in viaggio in Giordania, invitò tutti a “operare per la pace” in modo da formare un’alleanza internazionale con la partecipazione di Stati Uniti, Russia, Ue e Paesi arabi ed evitare la tragedia delle vittime della guerra. E’ soltanto un’alleanza internazionale che può mettere fine alla guerra e al terrorismo, nessuno può costruire la pace da solo. Unione Europea, Stati Uniti e Russia devono formare un’alleanza internazionale che prenda delle decisioni comuni, e l’Arabia Saudita seguirà.

Secondo lei i Paesi europei dovrebbero accogliere un numero maggiore di rifugiati? 
In teoria sì, ma la vera questione è mettere fine alla guerra per risolvere il problema dei rifugiati alla radice. I Paesi europei non sono preparati per questo flusso migratorio. E’ molto difficile fare fronte a tutti i bisogni dei migranti per quanto riguarda l’abitazione, il cibo e la scuola. E’ inutile quindi discutere su chi debba accogliere i rifugiati, la vera risposta è mettere fine alla guerra.

Intanto che c’è la guerra però bisogna fare qualcosa per i rifugiati. Che cosa? 
I Paesi europei stanno già facendo tanto per accogliere i rifugiati e non possono fare di più: il numero delle persone ospitate è già molto alto. Gli Stati del Vecchio Continente non sono preparati per un’ondata migratoria così massiccia.
Qual è l’impegno della Chiesa in Siria? 
La Chiesa in Siria sta lavorando per aiutare la gente a ricostruire chiese e case e per venire incontro ai bisogni dei bambini. Stiamo lavorando per ricostruire il Paese.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2016/9/16/SIRIA-Gregorio-III-Damasco-in-mezzo-ai-profughi-ci-sono-anche-i-jihadisti/723602/


Lettera di mons Samir Nassar, arcivescovo di Damasco

AED France
La famiglia disgregata
Sei anni di guerra son riusciti a svellere il baluardo della società siriana: la famiglia, la cellula di base che ha assorbito i colpi e le disgrazie di questa violenza senza fine, salvare il paese e la Chiesa fino al 2014 ... L'insicurezza, l'intolleranza, la violenza e la distruzione caotica hanno sradicato più di due milioni di famiglie. Prive di casa e disperse un po' ovunque,  come le famiglie potrebbero ancora portare questa prova così pesante?
Le madri eroiche
Dall'inizio della guerra, dal 15 marzo 2011, è comune vedere una la famiglia incentrata su una mamma. Sono gli uomini che vanno in guerra e muoiono lì spesso. Un detto popolare recita: "un ragazzo senza padre non è un orfano"  ; la famiglia è riunita attorno alla madre che assicura l'unità e la sopravvivenza della casa ... In questa lunga e pesante sofferenza, queste madri eroiche vivono in povertà e nelle lacrime, hanno onorato la loro vocazione, vivendo in tende e pagando con la vita.  C'è un sacrificio più grande?

L'esodo di giovani
La mobilitazione generale decretata nel mese di ottobre 2015, chiamando tutti i giovani con meno di 45 anni al servizio militare, ha messo in difficoltà quelle famiglie che non hanno potuto partire e aspettavano sul posto la fine di questa guerra interminabile. Questa fascia di età è la spina dorsale delle attività economiche ancora rimanenti ... Questi giovani sono scomparsi rapidamente. Alcuni hanno raggiunto le caserme e gli altri hanno scelto di fuggire, seguendo l'immigrazione clandestina spesso irreversibile, destabilizzando il mercato del lavoro e la modesta vita familiare privata delle risorse.. Quale futuro per  una comunità senza giovani?
La Chiesa indebolita
Gli effetti di questi cambiamenti hanno indebolito la Chiesa. Le famiglie spesso scelgono di raggiungere il figlio partito ... Da qui l'esodo accelerato delle famiglie ... uno svuotarsi vertiginoso di fedeli in tutte le parrocchie. Squilibrio demografico: in assenza di giovani, le nostre figlie lasciate sole si sposano con musulmani poligami. Quindi ci sono meno matrimoni e un minor numero di battesimi. Per la prima volta, la Chiesa si trova ad affrontare un problema cruciale: un prete su tre presente a Damasco ha scelto di trasferirsi in altri paesi ... più tranquilli. Come trattenere i sacerdoti a Damasco? Cosa diviene la Chiesa senza preti?

Guardiani di pietre
Le Città morte nel nord della Siria sono una forte fonte di ispirazione su ciò che potremmo diventare ... Come evitare di diventare guardiani di pietre? Tocca ai cristiani orientali di riconsiderare la loro vocazione e di vivere nella scia della chiesa primitiva, piccola minoranza che viveva senza garanzie nè protezione. Saremo in grado di assumere questa sfida apostolica?  "O ci ridurremo a guardiani di pietre? "

14 settembre 2016- Festa della Croce Gloriosa 
+ Samir Nassar, Arcivescovo maronita di Damasco
http://www.aed-france.org/syrie-lettre-de-mgr-samir-nassar-archeveque-de-damas/

venerdì 16 settembre 2016

fra Firas: la tregua per ora funziona, aiutateci togliendo le sanzioni

Le immagini di questa pagina si riferiscono alla celebrazione  della festa
di Eid Al Adha nello spazio giochi
allestito dai Fratelli Maristi di Aleppo

IL SUSSIDIARIO,
14 settembre 2016

“Ad Aleppo il coprifuoco è entrato in vigore in un clima pieno di aspettative. Dopo oltre cinque anni di guerra la gente è ormai stanca e desidera veramente con tutto il cuore che questa pace abbia inizio a ogni costo”. E’ la testimonianza di padre Firas Lutfi, viceparroco della chiesa di San Francesco ad Aleppo e superiore del Collegio di Terra Santa.
Il cessate il fuoco è incominciato in tutta la Siria a partire dal tramonto di lunedì, e nelle prime 24 ore ha retto tutto sommato bene. Per padre Firas, “se non si instaura una pace duratura anche quella minoranza di cristiani rimasti qui perché sentono di avere una missione se ne andranno, e la Chiesa siriana si trasformerà in un museo vuoto”. Mentre sulle sanzioni economiche stabilite dall’Unione Europea dice: “Colpiscono soprattutto la povera gente, andrebbero subito eliminate”. 

Quale clima si respira ad Aleppo nel primo giorno dall’entrata in vigore della tregua? 
Qui ad Aleppo si respira un clima di positività e una grande speranza che questa tregua sia davvero definitiva, che sia l’inizio di una pace piena, completa e vera. L’atmosfera è piena di aspettative, anche se qualcuno teme che la tregua sia utilizzata da entrambe le parti per armarsi ancora di più. Ma dopo oltre cinque anni di guerra la gente è ormai stanca e desidera veramente con tutto il cuore che questa pace abbia inizio a tutti i costi.

Ci sono state violazioni della tregua? 
Lunedì alcuni lanci di razzi hanno causato danni materiali e diversi feriti. Non si tratta però di una violazione della tregua, in quanto non tutte le fazioni sono state incluse nell’accordo tra Usa e Russia. Mosca infatti ha insistito sulla necessità di dividere in modo rigoroso i gruppi che appartengono a un’opposizione moderata da un lato e Isis e Al Nusra dall’altra.
Nel primo giorno di tregua la gente è uscita di casa o continua a nascondersi? 
In realtà il primo giorno di tregua ha coinciso con la festa musulmana del Sacrificio, durante la quale la gente di solito sta in casa.
Chi era fuggito dai quartieri bombardati vi è ritornato? 
No. Quando si accende il conflitto in una zona della città, quei quartieri smettono di essere abitabili e le case sono tutte distrutte o semi­distrutte. La gente quindi cerca delle stanze in affitto altrove e non torna se non a condizione che i militari abbandonino completamente quella zona. Comunque gli aleppini sono abbastanza fiduciosi, anche se qualcuno è perplesso in quanto in passato è avvenuto che queste tregue durassero per una o due settimane, e poi tutto precipitasse nuovamente nella situazione peggiore.

In città ci sono acqua, cibo, medicinali e ospedali funzionanti? 
In questo momento sta funzionando tutto abbastanza bene, anche per merito di questa tregua in quanto prima si aveva paura di portare gli aiuti nelle zone colpite. Gli ospedali sono attivi, anche se hanno il problema della mancanza di medicine. A volte i medicinali più costosi non sono più disponibili, e si tende quindi ad attendere l’arrivo di Onu, Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.
Il problema dell’emergenza dell’acqua è diminuito rispetto a qualche mese fa, anche se persiste nei quartieri vicini alle colline.
I cristiani di Aleppo come stanno vivendo questo momento? 
I cristiani nelle zone controllate dal governo siriano vivono la loro fede come prima, e sia pure con tanta prudenza partecipano alla messa. Il numero dei cristiani, in Medio Oriente ma soprattutto in Siria, sta però sempre più diminuendo. Solo nella città di Aleppo i cristiani prima del conflitto erano 150mila mentre adesso sono meno di 30mila. In tutta la Siria i seguaci di Gesù erano l’8­9% della popolazione, pari a 2 milioni di persone, mentre adesso sono 1 milione. Stiamo quindi parlando di un’emorragia, in quanto i cristiani si trasferiscono altrove in cerca della sicurezza e di una vita dignitosa.
E chi è rimasto? 
Il piccolo gregge che è rimasto lo ha fatto perché è convinto di avere una vocazione specifica: restare nel Paese dove è nato e dove la Chiesa apostolica trae le sue origini. La stragrande maggioranza però se ne è già andata, e se non si approda subito alla pace la Chiesa siriana rischia di trasformarsi in un museo senza fedeli. Il dramma cui stiamo assistendo in Medio Oriente è lo svuotamento della Chiesa che ha vissuto qui da due millenni.
Che cosa possiamo fare noi europei per aiutare chi vive in Siria? 
La priorità è abolire le sanzioni economiche che colpiscono soprattutto le persone più povere. Le banche in Siria sono praticamente tagliate fuori da tutto il resto del mondo. Le sanzioni infatti non bloccano solo l’invio di armi, ma anche qualsiasi trasferimento finanziario dall’Europa in Siria. Un mio parente in Italia o un’opera di carità italiana che aiuta i poveri, non possono inviare soldi alla mia parrocchia ad Aleppo perché le sanzioni lo impediscono. L’unico modo per portare le donazioni è farlo di persona quando si viaggia, anche se sappiamo che gli aeroporti europei prevedono un tetto di 3mila euro.
Qual è la logica da cui nascono le sanzioni? 
Chi ha instaurato le sanzioni lo ha fatto nella convinzione che i trasferimenti di denaro verso la Siria finiscano tutti alle organizzazioni terroristiche, mentre nella realtà non è sempre così. Le sanzioni impediscono anche di fare donazioni alla gente comune.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2016/9/14/CAOS-SIRIA-Firas-Lutfi-la-tregua-per-ora-funziona-aiutateci-togliendo-le-sanzioni/723181/


Per comprendere cosa sono di fatto le sanzioni alla Siria:

Due appelli da firmare per chiedere la rimozione delle sanzioni: 


lunedì 5 settembre 2016

A Mhardeh, i terroristi moderati preparano una strage di cristiani

unità armate di islamisti appartenenti all'opposizione siriana avanzano verso
la cittadina di Mhardeh, città natale del patriarca Ignazio IV Hazim,
 situata nella campagna di Hama.
 
Mhardeh costituisce uno dei maggiori agglomerati di greci ortodossi in Siria

IL SUSSIDIARIO, 5 settembre 2016
di Patrizio Ricci

La settimana scorsa i gruppi jihadisti Jund al Aqsa, Fatah al­Sham e Jaish al­Nasr, Jaish al­Izzah del Free Syrian Army (ed altri), tutti appartenenti al coordinamento Jeish Al­Fatah, hanno lanciato una violenta offensiva a nord della città siriana di Hama. Gli aggressori, provenienti da Idlib e da Aleppo, hanno avuto immediatamente ragione delle esili postazioni difensive della forza di nazionale di autodifesa (Ndf). I militanti di Jeish Al­Fatah si sono lanciati da più direzioni contro i check­point con veicoli kamikaze imbottiti di esplosivo ed hanno fatto largo uso di missili Atgm/TOW (regalati in quantità enormi dagli Usa durante la tregua del 27 febbraio). La situazione a nord di Hama è davvero preoccupante: nonostante i bombardamenti aerei siriani e russi, numerosi villaggi situati nella campagna a nord di Hama sono caduti sotto i colpi inferti dai combattenti islamici, forti anche di agguerritissime unità cecene. 
L'obiettivo ambito è prendere Hama (350mila abitanti) e Mhardeh, la città cristiana più popolosa della Siria. Mhardeh oltre alla sua indiscussa importanza religiosa e storica ha una grande importanza strategica. Per la sua posizione è la porta di ingresso alla fertile valle del fiume Oronte: la valle ospita la maggior parte delle principali minoranze presenti in Siria, compresa quella cristiana situata ad est dell'Oronte. L'attacco che i terroristi stanno compiendo è del tipo "shock and awe" (colpisci e terrorizza) ed ha lo scopo di alleggerire l'offensiva governativa ad Aleppo. Nello stesso tempo, l'obiettivo è dimostrare ai cristiani che il governo non li protegge e di punirli per il loro sostegno. 

Intanto, a Mhardeh la popolazione non dorme e molti cittadini si uniscono all'Ndf (forze difesa nazionale), e ai volontari cristiani del posto si sono aggiunti circa 1000 uomini dell'esercito arrivati venerdì, volontari cristiani Ndf accorsi da Damasco e giovani assiri della milizia cristiana Sootoro proveniente da Qamishli.
Con i terroristi alle porte, gli abitanti temono che possa ripetersi quando avvenne nel villaggio cristiano siro-­ortodosso di Sadad nell'ottobre 2013. Si tratta della strage più efferata di cristiani di tutta la guerra in corso: tutte le quattro chiese del paese furono saccheggiate e distrutte e 45 civili innocenti, donne e bambini furono torturati a morte dalle milizie jihadiste. I corpi mutilati di sei persone appartenenti ad una stessa famiglia furono trovati in fondo a un pozzo. Per una settimana, prima della riconquista governativa, 1.500 famiglie furono tenute come ostaggio e trattenute come scudi umani. 
Ed un mese prima del massacro di Sadad, anche la cittadina di Maalula  (dove si parla ancora l'aramaico come a Sadad) ebbe i suoi martiri. Successivamente, il dilavamento delle milizie settarie lungo la Valle dell'Oronte moltiplicò ovunque questi episodi di violenza e sopraffazione. Ecco in una breve registrazione come riferiva quelle circostanze padre Pizzaballa, l'allora Custode di Terrasanta. Si tratta di una lettera indirizzata nel 2013 al card. Sandri (Prefetto della Congregazione per le chiese orientali) e letta dallo stesso, nel corso dell'incontro ''cosa vogliono i siriani" svoltosi a Roma il 17 dicembre 2013. Il documento mostra come le violenze settarie dei "ribelli" contro i cristiani siano state sempre una costante nell'arco della cosiddetta "rivoluzione" fino a costituirne una caratteristica indissolubile. Mhardeh stessa (che subisce attacchi ininterrotti dal 2012) è testimonianza vivente di questa situazione. E' evidente che ciò che accomuna queste azioni non è certo la volontà di indire libere elezioni (il cui esito, vista la strenua resistenza delle popolazioni, è scontato), bensì di imporre un rigido stato islamico basato sulla sharia.
Tuttavia, nonostante le numerose evidenze, le persecuzioni contro i cristiani saranno considerate dalla Comunità internazionale "degne di attenzione" solo in seguito, quando una delle tante fazioni islamiche, l'Isis, intaccherà gli interessi occidentali in Iraq. Sarà comunque un'attenzione parziale, limitata solo ai soprusi compiuti dallo Stato Islamico. 
I fatti però sono di altro segno: la battaglia in corso a nord di Hama, con le notizie di stragi di civili e decapitazioni di militari, provenienti dai villaggi di Souran, Alfaya e Tayeb Al­-Imam (in quest'ultimo è stata decimata tutta la popolazione) dimostra per l'ennesima volta che Isis, al Nusra e Free Syrian Army (così come pure le altre svariate sigle combattenti) hanno lo stesso radicalismo religioso, operano tutte all'unisono e rispondono alle direttive delle stesse cabine di regia. Lo Stato Islamico, per impedire che l'esercito siriano mandi cospicui rinforzi nella zona di Hama, lo tiene impegnato nella zona desertica tra Hama ed Homs mediante continui attacchi. Questo tipo di azioni coordinate sta avvenendo anche in altre località della Siria come Kuwaires (Aleppo) dove l'Isis non ha alcun interesse strategico.
Basta focalizzare l'attenzione su una qualsiasi località della Siria per capire la verità di ciò che sta avvenendo, eppure il Dipartimento di Stato USA asserisce che il pericolo sia costituito esclusivamente dallo Stato Islamico (Isis) e che, perciò, gli altri gruppi jihadisti non sono da considerare terroristi. E' chiaro che Washington (e gli alleati nell'area) non avendo mai rinunciato a rovesciare lo stato siriano (secondo progetti già in piedi dal 2001) abbisognano di distinguere tra le varie "sfumature di grigio" della stessa matrice ideologica fondamentalista, secondo quello che il mercato offre. Così quando gli abitanti del posto si rifiutano di abbandonare il loro passato si fa tabula rasa, per far regredire le persone e spezzare la loro volontà.

martedì 9 agosto 2016

Dietro l'incontro Putin-Erdogan, o degli equilibri futuri dell'intero Medio Oriente, mentre l'Europa è inebetita.


di Mauro Bottarelli
IL SUSSIDIARIO, martedì 9 agosto 2016

Quella in atto in questi giorni ad Aleppo è la versione moderna della battaglia di Stalingrado. E, a mio modesto avviso, ha lo stesso valore storico. Ovviamente, l'Occidente finge di non vedere e si nutre di veline, ma quanto sta accadendo in queste ore avrà una valenza strategica: dopo giorni di avanzata delle truppe lealiste spalleggiate da Hezbollah, infatti, i miliziani dell'Isis sono riusciti a rompere l'assedio e per farlo hanno messo in campo, usciti dal nulla, oltre 6mila uomini. È guerra vera, sul campo, combattuta senza copertura aerea da parte degli uomini del Califfato: Daesh è indebolita, ma non è morta. E Daesh combatte in Siria per una ragione che ormai travalica anche le necessità geopolitiche di chi l'ha creata, armata e supportata - ­ leggi Usa e sauditi ­- perché nella mente di quei terroristi c'è l'idea di abbattere Assad per costruire davvero un mondo dove l'unica legge sia quella di Allah e dove vivere secondo i suoi precetti.
L'America, non a caso, ha cambiato strategia e attacca l'Isis in Libia: troppo compromessa la questione siriana, troppo forte il supporto russo ad Assad e ora che anche Erdogan ha mollato l'osso, riallineandosi con Mosca, appare una guerra persa, ancorché si possano vincere ancora delle battaglie. Ora vedremo davvero quali sono gli interessi che hanno trasformato la Siria in un deserto di morte e sofferenza per due anni, ora capiremo davvero quale logica sottendeva l'agire occidentale in quel Paese, mentre si continua a morire in Yemen, nel silenzio più assoluto di media e istituzioni internazionali.
Sembra inoltre, stando a quanto riferito dall'agenzia iraniana Fars, che stiano giungendo a sud di Aleppo anche i migliori reparti di Hezbollah, in particolare quelli che avevano combattuto e conquistato nel maggio del 2013 la cittadina di Qusayr, località vitale per la sicurezza del regime, poiché punto di snodo delle comunicazioni tra le città della costa e Damasco, ma, soprattutto, porta di accesso della valle della Bekaa, in Libano. Non sorprende come le milizie libanesi siano ormai la spina dorsale delle forze del fronte di Assad che, nell'ultimo anno, è stato costretto a ricorrere alla leva obbligatoria per dipendenti pubblici e ad arruolare i detenuti beneficiari di amnistia. Una situazione, che sembra far dipendere la tenuta del regime di Assad da alleati stranieri, Hezbollah, milizie sciite e iraniani, ma soprattutto dall'appoggio di Mosca. Un appoggio che verrà testato anche in relazione a quello che avverrà nelle prossime ore e che potrebbe avere risvolti decisivi sul fronte di Aleppo.
Sul fronte delle forze dell'opposizione, inoltre, la battaglia di Aleppo sta facendo emergere l'importanza di un nuovo raggruppamento (Jaysh al Fateh) all'interno della galassia dell'opposizione, costituito dalle più importanti sigle militari, gruppi jihadisti (provenienti da al Nusra) e milizie sostenute dagli attori regionali e internazionali  schierati contro il fronte di Assad. È difficile capire quanto potrà protrarsi l'offensiva dei ribelli, che in queste ore si è estesa al distretto economico e industriale di Aleppo, dopo gli ingenti quantitativi di armamenti  e munizioni sottratti alle strutture militari strappate al controllo dell'esercito di Assad. Ad Aleppo non si gioca solo il destino della Siria, ma degli equilibri futuri dell'intero Medio Oriente.
Ma c'è di più. Domenica quasi 3 milioni di cittadini turchi sono scesi in piazza a sostegno del presidente Erdogan e della sovranità nazionale dopo lo sventato golpe di luglio: una vera e propria parata dell'orgoglio turco, un punto di svolta nazionalista che i media europei ovviamente non hanno colto nella sua complessità, riducendo tutto alla disputa nominalistica sulla reintroduzione della pena di morte: Ankara non vuole più entrare nell'Ue, almeno l'Ankara scesa in piazza l'altro giorno e quindi la questione non è più legata ai trattati o agli status, ma al rapporto politico che l'Unione vorrà intavolare da oggi in poi con la Turchia. Ma non vedo gente come Juncker o la Mogherini molto attenti sul pezzo.
Chi invece lo è, da bravo scacchista, è Vladimir Putin, il quale oggi riceverà a Mosca proprio Erdogan e gli mostrerà come gira il mondo: ovvero, attorno all'asse euro­asiatico che è nei progetti del Cremlino, altro nodo che l'Europa prona all'alleanza con Washington non riesce a capire e interpretare, limitandosi a pratiche autolesionistiche come le sanzioni contro Mosca per la questione della Crimea: solo nel 2015, ci sono costate qualcosa come 7,5 miliardi di euro. Ma qui non si tratta di vile denaro, né di scambi commerciali, qui siamo a uno snodo della storia: la parata turca, infatti, è stata tutto tranne che islamista, in piazza c'erano le bandiere rosse della nazione e non quelle verdi dell'islam ed Erdogan sembra aver capito ciò che oggi Putin certamente gli ribadirà. Il capo di Stato turco ha imparato la lezione come già a suo tempo la imparò Stalin: ovvero, è lo spirito della nazione che funge da magnete per il popolo. Avanti, prima di tutto, la patria e, al seguito, anche la religione, se serve.
La distensione fra Mosca e Ankara «non influirà sul ruolo della Turchia nella Nato», dicono all'Auswärtiges Amt tedesco, ma la tensione con l'Europa rischia di compromettere gli storici rapporti fra i due Paesi. Non è un caso che nei giorni scorsi i militari tedeschi di stanza nella base turca di Incirlik siano stati messi in allarme, con misure di sicurezza aumentate. Ufficialmente la minaccia resta sempre quella degli integralisti dell'Isis, ma il timore è altro: Ankara sa che la Germania è l'unica voce che conta nell'Unione e la Germania della Merkel è il burattino degli Usa in seno all'Ue. Di fatto, il duello Berlino-­Ankara è solo un proxy di quello tra Washington e Mosca. Viviamo in tempi che non riusciamo a interpretare, temo, poiché non leggibili con gli occhiali di un Occidente senza più valori morali forti: festeggiamo le nozze gay come fossero l'esempio maggiore di progresso e civiltà e ci indigniamo quando Hamza Roberto Piccardo provoca chiedendo la legittimazione anche della poligamia, essendo anch'essa una libertà civile. Come mai non si gridò all'allarme culturale quando Carlo Sibilia del MS5 propose nel 2013 di legalizzare le "unioni di gruppo" e i "matrimoni tra specie diverse"? Perché i grillini non fanno paura ma gli islamici sì?
Due punti di riflessione, allora. Primo, sono proprio proposte come quelle dei grillini o le forzature come quelle contenute nel ddl Cirinnà a dare forza alle provocazioni come quelle di Piccardo, il quale inserisce un concetto di sacro (per l'islam) nel diluvio di nulla laicista della società attuale, un mondo di diritti e piagnistei sociali. Secondo, se temiamo una deriva che intacchi la laicità occidentale del nostro Paese, perché chi demonizza Piccardo è al contempo al fianco, ancorché solo moralmente, dei No Borders e di chi ha progettato e reso possibile un'invasione di massa del nostro Paese? Quale livello di lettura della società è saltato, nel frattempo? È che non siamo pronti ai tempi che ci toccherà vivere, non abbiamo lo spirito necessario ad affrontarli con coerenza e lucidità.
Tornano in mente le parole di Nietszche in Della guerra e dei guerrieri: «La guerra e il coraggio hanno operato cose più grandi che non l'amore del prossimo. Non la vostra compassione, bensì il vostro valore ha finora salvato chi era in pericolo». Bene, l'islam ­ sia esso quello moderato e istituzionale di Erdogan che quello estremista del Califfato ­ questo concetto lo hanno assorbito in nuce, essendo cardine del loro credo. Lo stesso vale per la Russia di Putin, Paese dove non sta crescendo l'ateismo, né il laicismo, ma dove, anzi, sta crescendo la spinta vocazionista del credo ortodosso. L'Occidente, invece, è spoglio, arriva nudo al traguardo di un cambiamento di assetti ed equilibri storico: l'America non ha credo, né morale, è un mondo che gira attorno al denaro e all'opportunismo, vive di potere e con esso si auto­perpetua.
 L'Europa no, l'Europa è persa nel limbo di ciò che fu e ciò che vorrebbe essere, mondi antitetici che in momenti storici come questi vanno in corto circuito e ci lasciano senza risposte, se non i plausi alle unioni gay e la certezza del diritto come fondamento dell'impero amorale. Non stiamo capendo cosa ci accade attorno e temo che quando lo faremo, sarà tardi e i dadi saranno già stati tratti. Il mondo che nascerà dalla nuova Stalingrado, ci vedrà come comprimari. Con tutti i rischi e gli svantaggi che questo comporta.

sabato 30 aprile 2016

Aleppo: l’ospedale bombardato













Piccole Note,
29 aprile 2016

Nella notte di ieri ad Aleppo è stato bombardato un ospedale di Médecins sans frontières. L’opposizione, gli Stati Uniti e l’Onu accusano il governo di Damasco. Una trentina le vittime della strage, l’ennesima di questo mattatoio a ciclo continuo.
La vicenda è stata comunicata dai media con l’enfasi “dovuta”, un’altra occasione per rilanciare la narrazione ufficiale che vede gli intrepidi patrioti siriani lottare per la libertà contro un dittatore sanguinario, il quale ha lanciato i suoi aerei all’attacco nonostante sia in vigore il cessate il fuoco. L’obiettivo colpito ha poi dato alla notizia i contorni di un crimine di guerra.
Poco importa che tali “patrioti”, armati e supportati da una vasta coalizione internazionale, siano in realtà alleati con al Nusra, affiliata ad al Qaeda, e che tra quelle e questa, come ha ricordato l’accademico americano Juan Cole in uno scritto che abbiamo riportato, vi sia un flusso costante di armi (armi americane fornite ai “moderati” tramite sauditi e turchi). Cosa che tra l’altro avviene anche con l’Isis.
E che al Nusra, come l’Isis, non ha aderito alla cessazione delle ostilità, continuando a incrudelire sulla popolazione civile siriana e di Aleppo in particolare. Un’opera alla quale hanno partecipato, in coordinato disposto, anche fazioni “moderate” che alla tregua avevano aderito.
A tali crimini accenna Mouna Alno-Nakhal su Mondialisation,  Riportiamo: «Bisogna sapere che tra il 27 febbraio, data dell’inizio della tregua, e il 22 aprile, i servizi statistici di Aleppo hanno registrato 440 morti o feriti gravemente a causa dei colpi di mortaio dei terroristi moderati […] nelle ultime 24 ore, Aleppo ha pianto 15 morti, 120 feriti, 300 colpi sono caduti su tutti i quartieri della città senza eccezione alcuna, di cui 7 sulle moschee proprio al momento della preghiera di mezzogiorno; 60 negozi e 80 case sono state totalmente distrutte (e anche due scuole proprio prima degli esami di fine anno)».
Negli ultimi giorni, infatti, i cosiddetti “ribelli” – in realtà una legione straniera finanziata dall’estero -, hanno intensificato i loro attacchi, martellando le zone sotto il controllo governativo.
Il 25 aprile, tra l’altro, hanno festeggiato  a loro modo il genocidio armeno, ricordato il giorno precedente nei quartieri armeni della città: tali quartieri sono stati bombardati: 17 i morti, tra cui 3 bambini.
 Secondo gli abitanti del luogo a far strage sono state le milizie legate alla Turchia, Paese nel quale tale sanguinosa vicenda storica è tema sensibile. L’eccidio ha suscitato le proteste degli armeni, che hanno chiesto a gran voce ad Assad di difenderli.
 E non sono gli unici abitanti della città a chiedere al Presidente di intervenire risolutamente per porre fine allo stillicidio quotidiano, totalmente ignorato dai media occidentali, che invece sono pronti a contabilizzare, anche in eccesso, tutte le vittime delle operazioni di Damasco contro le milizie jihadiste.
Vi risparmiamo le foto dei corpi di bambini straziati dai colpi dei ribelli “moderati” che pure ci è stato dato di vedere in questi giorni grazie ad alcune fonti siriane.

Ma al di là dello sconcerto per l’oblio dei crimini compiuti dai protégé dell’Occidente e dell’enfatizzazione dei crimini altrui (peraltro quando sono i ribelli a colpire gli ospedali non fa “notizia”), resta da capire chi davvero ha compiuto la strage.
Se la propaganda occidentale e Msf accusano Damasco, Fares Shebabi. esponente di un partito non di governo al Parlamento di Damasco, ha invece affermato che l’ospedale «è stato bombardato da missili lanciati dai terroristi che cercavano di colpire la Cittadella […] a un volo di uccello dal luogo in cui si trova l’armata siriana». 
Anche il governo siriano ha  smentito.

Propaganda per propaganda, val la pena di riportare ambedue le versioni. Sulle quali, purtroppo, non avremo mai certezze.
Resta da capire invece un altro punto dolente della questione e riguarda il ruolo di Msf, tra i cui fondatori figura Bernard Kouchner, deciso assertore dell’ingerenza umanitaria (pare sia stato l’ideatore di questa nuova teoria, usata come ideologia di copertura per interventi bellici non proprio umanitari).
 Tanti sono gli ospedali e le strutture mediche di Msf in Siria, ma solo nei territori sotto il controllo degli jihadisti e dei ribelli “moderati”. Non sappiamo se ne hanno anche in territori controllati dall’Isis, ma sicuramente non è una possibilità remota, dato che il responsabile italiano Loris De Filippi, in una recente intervista, pur specificando che l’organizzazione non ha contatti diretti con tale organizzazione terroristica, dopo aver spiegato che Msf ha «canali aperti con i jihadisti», ha affermato che «bisogna trattare anche con l’Isis».
Msf fa il suo lavoro, che è quello di prestare soccorso alle popolazioni strette nei conflitti. ma è alquanto ovvio che, in cambio della loro presenza in loco, prestano i loro servigi anche a jihadisti di ogni genere, come ammesso anche dai medici che vi prestano servizio.
 Ovviamente il fatto di prestare un’efficace assistenza sanitaria anche a dei terroristi, cosa che può apparire più o meno meritoria agli occhi delle vittime dei terroristi stessi, non autorizza il governo di Damasco a bombardare.

  Il punto della questione è però un altro e l’ha spiegato Isabelle Defourny, direttore delle operazioni di Msf in Francia, in una dichiarazione ripresa dalla Reuters nel febbraio scorso: «In problema affrontato in Siria dal personale medico è che se si dà GPS (coordinate), si indica dove sei». Temono, infatti, questo almeno il motivo ufficiale, che in questo modo si offra a Damasco un obiettivo sensibile da colpire. Così si è deciso di non dare tali coordinate.
 Particolare che spiega, e dettaglia meglio, anche Giordano Stabile sulla Stampa del 29 aprile, che scrive: «La ong mimetizza le sue strutture in modo che non possano essere individuate».
  Una politica adottata solo in Siria: altrove Msf ha scelto diversamente, tanto che quando gli americani bombardarono l’ospedale di Kunduz, in Afghanistan, protestarono vivacemente anche perché era stato segnalato.
  E però resta che portare strutture in zone di guerra, e una guerra asimmetrica e caotica come quella siriana, e «mimetizzarle» le espone ai rischi altissimi, come è accaduto ieri.

Forse sarebbe il caso di provare a trattare la questione, oltre che con l’Isis, anche con il governo siriano. Magari si uscirà da questa spirale di pericolosi equivoci.
Certo, non aiuta il fatto che il governo di Damasco ritenga che Msf sia una ong di supporto all’intelligence francese, con la quale d’altronde è presumibile abbia rapporti, fosse solo per ragioni di sicurezza; né il fatto che Parigi sia sempre stata in prima linea nel sostenere il regime-change siriano, sia a livello politico che attraverso la fornitura di armi e logistica alle diverse fazioni jihadiste. Ma tentar non nuoce, magari tale problema potrebbe essere messo a tema nei negoziati di Ginevra.

Detto questo, val la pena sottolineare che l’enfatizzazione, più o meno in buona fede, della strage di ieri, renderà ancora più ardua la ricerca di vie di pace. Che poi è l’unica cosa che conta per porre fine alla mattanza scatenata da potenze locali e globali decise a porre fine al governo di Assad in Siria, come già avvenuto per Saddam in Iraq e in Libia con Gheddafi (un copione che ripete con tragica monotonia).

http://piccolenote.ilgiornale.it/28303/siria-lospedale-bombardato

da: IL SUSSIDIARIO , 30 aprile 2016
fra Ibrahim Alsabagh (Aleppo):le bombe non sono di Assad, ma di Isis e al Nusra

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 Secondo l’Ansa l’aviazione di Assad ha colpito due ospedali. E’ così?
No, i missili che hanno colpito i due ospedali provenivano dalla parte controllata dai ribelli. Nella zona controllata dall’esercito regolare ci sono tanti morti, tanti feriti, tante case distrutte, tante strade bombardate. Le lezioni nelle scuole sono state sospese, e io stesso ho chiesto a tanti miei parrocchiani di non venire più per le attività nella chiesa se non per la messa quotidiana 

venerdì 25 dicembre 2015

NATALE A DAMASCO

Mons. Zenari: la sofferenza dei bambini mette alla prova la nostra fede 




Il Sussidiario, venerdì 25 dicembre 2015
intervista di Pietro Vernizzi

Aprendo l’Anno Santo, il Papa ci ha invitato a praticare le opere di misericordia corporale. Qui in Siria non ne manca nessuna”. Sono le parole dell’arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, che le ricorda una a una. 
Dare da mangiare agli affamati: in Siria ci sono 13 milioni di persone senza più niente. Dare da bere agli assetati: il 72% della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Assistere gli ammalati: i bambini con arti amputati non si contano più. Seppellire i morti: in Siria si sono contate 300mila vittime, e spesso per celebrare i funerali i familiari rischiano a loro volta la vita.

Il Natale è la nascita di Gesù. Come ci raggiunge il Mistero di Dio nella Damasco in guerra di oggi? Da questo punto di vista ritengo emblematica la canzone “Tu scendi dalle stelle”, la cui strofa recita “Tu vieni in una grotta al freddo e al gelo”. Ancora oggi viviamo il Mistero della nascita di Cristo in queste condizioni. Nonostante la grave povertà in cui si trovano, le famiglie cristiane a Damasco non hanno perso la fede e la speranza. Pensiamo a centinaia o migliaia di bambini nati lontani dalle loro case, nei campi profughi, a temperature proibitive. E’ questo il Mistero del Natale che viviamo qui a Damasco: Cristo si è unito alla natura umana di tutti i secoli e di tutte le latitudini.
Il Papa ha da poco aperto l’Anno Santo. Che cos’è per lei la misericordia? Il Papa ci invita a praticare le opere di misericordia corporali e spirituali, e l’esercizio delle opere di misericordia qui a Damasco è a 360 gradi.
Vediamole una a una. Dare da mangiare agli affamati … In Siria sono più di 13 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. In quest’opera di misericordia sono uniti cristiani, musulmani e non credenti.
Dare da bere agli assetati … Secondo le statistiche il 72% della popolazione siriana non ha accesso all’acqua potabile, perché sono state danneggiate le infrastrutture.
Assistere gli ammalati … Qui ci sono un milione di feriti, e i bambini con gli arti amputati non si contano.
Seppellire i morti … In Siria si sono contate 300mila vittime. Ancora all’inizio del conflitto ho assistito al funerale di un papà ucciso mentre stava accompagnando la figlia all’università, ma hanno dovuto aspettare una settimana perché non riuscivano a trovare i brandelli di carne. Per non parlare di quanti hanno rischiato la vita per raccogliere i cadaveri dei loro familiari lasciati per strada, mentre i cecchini sparavano all’impazzata. In Italia quando c’è un funerale si va all’agenzia delle onoranze funebri, mentre in Siria ogni volta si rischia la vita.
Lei per che cosa prega in questo Natale, monsignor Zenari? Pregherò perché sia l’ultimo vissuto in queste condizioni, e perché il prossimo sia celebrato in mezzo agli ulivi. Nelle ultime settimane c’è già qualche segno di germoglio di primavera: spero che germoglino gli ulivi.
Papa Francesco ha detto: “A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona”. Come può essere vero di fronte alle sofferenze del popolo siriano? Qui la fede è veramente messa alla prova: pensiamo soprattutto alla sofferenza dei bambini. Ci è messo tutti i giorni di fronte il mistero di Gesù Cristo in croce, e occorre un bel salto di fede per starci di fronte. Questo è soprattutto vero per la terribile tragedia della sofferenza delle persone innocenti.
Lei che risposte si dà di fronte a tutto questo? Il 28 dicembre celebreremo la festa dei Santi Innocenti, dedicata a qualche decina di bambini uccisi dal Re Erode. In Siria invece la strage degli innocenti ha fatto 100mila vittime tra bambini e ragazzi. Accettare questa sofferenza è una sfida per l’intelligenza e per la nostra fede. Arrestare questa strage di innocenti è il primo dovere per tutti.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2015/12/25/NATALE-A-DAMASCO-Mons-Zenari-la-sofferenza-dei-bambini-mette-alla-prova-la-nostra-fede/665890/


Urbi et Orbi. Papa Francesco: dove nasce Dio, nascono pace e misericordia

Fermare guerre e atrocità, essere vicini ai cristiani perseguitati
Al Signore, Francesco chiede che “l’intesa raggiunta” all’Onu “riesca quanto prima a far tacere il fragore delle armi in Siria e a rimediare alla gravissima situazione umanitaria della popolazione stremata”. È altrettanto “urgente”, prosegue, che “l’accordo sulla Libia trovi il sostegno di tutti, affinché si superino le gravi divisioni e violenze che affliggono il Paese”. Ancora, il Papa chiede alla comunità internazionale di “far cessare le atrocità che, sia in quei Paesi come pure in Iraq, Yemen e nell’Africa sub-sahariana, tuttora mietono numerose vittime, causano immani sofferenze e non risparmiano neppure il patrimonio storico e culturale di interi popoli” ...  “Il mio pensiero va pure a quanti sono stati colpiti da efferate azioni terroristiche, particolarmente nelle recenti stragi avvenute sui cieli d’Egitto, a Beirut, Parigi, Bamako e Tunisi. Ai nostri fratelli, perseguitati in tante parti del mondo a causa della fede, il Bambino Gesù doni consolazione e forza. Sono i nostri martiri di oggi”. ...             http://it.radiovaticana.va/news/2015/12/25/urbi_et_orbi_francesco_dove_nasce_dio,_nasce_la_pace/1196835