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martedì 17 marzo 2015

Gli Usa “aprono” alle trattative con Assad. L'Arcivescovo Hindo: scelta obbligata, no a condizioni-capestro

 Agenzia Fides.  16/3/2015

Hassakè  – La disponibilità dell'Amministrazione Usa a trattare con il regime siriano di Bashar al Assad è una “opzione che si doveva imboccare già da tempo” e a questo punto rappresenta “una scelta obbligata, se davvero si vuole cercare una via d'uscita da questa tragedia iniziata quattro anni fa”. Così l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, a capo dell'arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi, commenta con l'Agenzia Fides le dichiarazioni rilasciate dal Segretario di Stato Usa, John Kerry, il quale in un'intervista televisiva ha ammesso che gli Usa “alla fine” dovranno negoziare con Bashar al Assad per porre fine al conflitto in Siria entrato nel quinto anno. Secondo l'Arcivescovo siro-cattolico, tutto potrà dipendere dal modo con cui verrà prospettata la via negoziale da parte degli Usa e degli altri attori geopolitici. 
“Prima di tutto - sottolinea Mons. Hindo - una proposta concreta di negoziato deve essere posta sul tavolo in tempi brevi. In caso contrario, vorrà dire che si sta prendendo solo tempo, credendo così di favorire l'ulteriore indebolimento dell'esercito siriano, che in realtà sta guadagnando terreno su tutti i vari fronti”. 
Inoltre, a giudizio dell'Arcivescovo Hindo, eventuali trattative potranno partire “solo se si eviterà di porre pre-condizioni stupide e provocatorie all'interlocutore. In questo senso - aggiunge Mons. Hindo - non mi tranquillizzano le voci che prefigurano offensive militari nelle aree di conflitto autorizzate a non tenere in nessun conto i confini tra Stati sovrani. Non mi sembra un modo corretto di iniziare. Chi vuole il bene del popolo siriano e di quello iracheno, non può continuare a approfittare delle crisi per perseguire propri interessi geopolitici. E deve farla finita anche di accreditare l'esistenza di fantomatici 'ribelli moderati' . Perchè col passare del tempo tutte le fazioni armate contro Assad si sono omologate all'ideologia jihadista”.

http://www.fides.org/it/news/57216-ASIA_SIRIA_Gli_Usa_aprono_alle_trattative_con_Assad_L_Arcivescovo_Hindo_scelta_obbligata_no_a_condizioni_capestro#.VQcGHo6G92V





foto diffuse dagli jihadisti sulla distruzione delle statue , icone, pietre tombali e croci dalle chiese in Iraq











Basta frottole

di Fulvio Scaglione

giovedì 19 febbraio 2015

I 21 copti assassinati: morire pregando Gesù




 di Marina Corradi

mercoledì 21 gennaio 2015

Il pericolo degli jihadisti tornati dalla Siria



La rete del terrore nel cuore d'Europa



di Riccardo Redaelli

 L’effetto mimetico, di imitazione, è da sempre una delle conseguenze più temute da chi combatte il terrorismo: perché il terrore genera terrore. Da un lato, acuisce le paure – e talora le ossessioni – di chi subisce le violenze, con il dilagare fra la popolazione della paura di finire vittima della cieca violenza terroristica. Dall’altro lato, gli attentati – e tanto più quelli clamorosi, che riescono a imporsi sui media di tutto il mondo – scatenano la corsa all’emulazione, alla ripetizione. Proprio nel giorno in cui venivano seppelliti i vignettisti e i collaboratori di Charlie Hebdo, in Belgio ieri sera le forze dell’ordine, nell’ambito di una vasta operazione, hanno neutralizzato un commando di altri reduci dalla Siria che, a quanto risulta, erano in procinto di compiere un grande attentato, forse a Bruxelles. 

Ancora una volta, la guerra civile siriana si rivela un germinaio che contamina l’intero scenario mediorientale, con migliaia di jihadisti che si muovono agevolmente fra Europa, Levante e le altre regioni del Medio Oriente. Verrà il momento in cui si potrà riflettere con maggior pacatezza sugli errori compiuti da troppi Stati, fra cui molti europei, all’indomani dello scoppio delle rivolte contro 'il regime del crudele Bashar al-Assad': nella foga di sostenere i suoi oppositori, in pochi hanno prestato attenzione ai demoni che si andavano annidando in quel territorio. E oggi paghiamo il prezzo di questo errore di valutazione: abbiamo in qualche modo permesso la crescita di gruppi salafiti-jihadisti e, ora che stiamo bombardando (qualcuno dice un po’ svagatamente) il califfato di al-Baghdadi, subiamo la vendetta jihadista.

Il conto è particolarmente salato per l’Europa, che si ritrova a gestire ormai numeri consistenti dei cosiddetti returnees mujaheddin, ossia di jihadisti che si sono addestrati e hanno acquisito quelle capacità dei professionisti del terrore viste sanguinosamente all’opera a Parigi in questi giorni. La cancrena nel Levante ha fatto così da moltiplicatore sia quantitativo sia qualitativo del terrore: ha attratto grandi numeri di combattenti, li ha ulteriormente radicalizzati e ne ha migliorato le capacità operative. Soprattutto è preoccupante la capacità di network informale – ma non per questo meno efficace – dei nuovi gruppi jihadisti.
 E il Belgio è un caso da manuale: grandi comunità musulmane, predicatori radicali attivi da anni, strutture di 'hub del terrore' come Sharia4 belga, ossia una struttura jihadista estremamente flessibile e mutevole. Una struttura nata in Gran Bretagna, poi sviluppatasi in tutta Europa e in particolare in Belgio, che opera lungo due direttrici: da una parte il proselitismo, che serve a raccogliere sempre nuove reclute per i diversi teatri in cui si combatte il jihad, dall’altra parte l’azione di sostegno alle attività terroristiche. Le varie branche di Sharia4 forniscono armi agli aspiranti terroristi, li riforniscono di soldi, pagano loro il viaggio di andata (o di ritorno) verso le zone di combattimento.

E infatti, le armi con cui Amedy Coulibaly ha trucidato le sue vittime sembrano venire proprio dal Belgio. Dobbiamo aspettarci altri possibili attentati o tentativi di cellule terroristiche? Probabilmente sì: il clamore suscitato da un attentato di successo spinge all’imitazione gruppi organizzati e cani sciolti, spesso 'invisibili' alle forze di sicurezza perché mai legatisi strutturalmente alle organizzazioni jihadiste. Dobbiamo per questo cedere alla paura? Assolutamente no: il primo alleato del terrore è il nostro terrore. La paura che ci ossessiona e che ci spinge a reazioni esasperate, come l’idea ventilata di sospendere Schengen o ricorrere «a mezzi eccezionali».
Washington inizia a capire oggi come l’idea di ricorrere alla tortura per combattere il terrorismo jihadista sia stato un frutto avvelenato che ha danneggiato gli Stati Uniti molto più di quanto abbia fatto con i loro nemici. L’Europa non è un’isola felice, lontana da ogni guerra e violenza, ma non è neppure nelle mani di milioni di fanatici. Non perdere la testa, non etichettare ogni musulmano come un possibile assassino, non rinunciare alle nostre leggi e ai nostri valori. Al terrore rispondiamo con la nostra determinazione a non essere (troppo) spaventati.

mercoledì 31 dicembre 2014

Buon anno, amata Siria! che questo 2015 porti speranza di Pace

Una candela accesa e una preghiera per la pace in Siria: 

Iniziativa di S.B. Gregorio III, Patriarca greco-melchita, che invita ogni cristiano ad accendere una candela per simboleggiare una "fiamma di luce e speranza"

Dio Misericordioso e Onnipotente, fa' in modo di diffondere la pace nei cuori in Siria, come un tempo sei stato in grado di convertire San Paolo sulla via di Damasco, 
e  fa sì che le persone che sono fuggite dal pericolo possano tornare a casa presto.
Benedici tutti i Tuoi figli che sono divenuti rifugiati e che non hanno più casa. Dimostra la Tua misericordia a tutti coloro che sono esiliati, senza tetto e affamati.
Benedici tutti coloro che offrono loro dell'aiuto; risveglia la generosità e la compassione nei nostri cuori, Te lo chiediamo per Gesù Cristo nostro Signore, Amen.

Pace in Siria!

Anche qui nel buio siriano attendiamo Lui e la sua luce

Che cosa vuole dire celebrare il Natale in Siria? Qualche anno fa, quando non c’era ancora questa guerra, in molte città si viveva una festa di luci e di simboli. Era un fiorire di stelle e presepi di luci sui palazzi, balconi che riversavano cascate di luminarie, strade addobbate di rosso e oro, le tende delle case scostate di lato per lasciar vedere gli abeti illuminati all’interno, le corali che ogni sera offrivano canti e meditazioni.
Era festa per tutti, non solo per i cristiani, in un Paese dove da secoli si viveva insieme, ci si faceva gli auguri reciprocamente, i cristiani ai musulmani per le loro feste, i musulmani ai cristiani per Natale e Pasqua. Un calore vero di gente che si sentiva libera e gioiosa di manifestare la sua fede.
 
Oggi c’è la guerra, ma viene ancora il Natale. E i cristiani lo aspettano, e si preparano. E, chissà, forse proprio a causa della guerra, della distruzione, della povertà, della morte che ha toccato ogni famiglia, lo attendono in modo più profondo. Lo aspettano perché comprendono che o non è vero niente, o Dio non è Dio, non c’è, e la nostra speranza è falsa, oppure Dio c’è, ed è un Dio di amore, Uno che solo può portare la luce dentro tanto dolore.
E come capiamo che Lui è presente? Perché c’è gente che ha una luce negli occhi, che ha la speranza nel cuore e te la fa sentire. Dio c’è, e la fede è come un esercizio di speranza. Anzi, è la messa in pratica della speranza. Ci sono speranze piccole, semplici, quotidiane: ad esempio, sperare che almeno per le feste ci sia un po’ più di corrente elettrica, il gas per cucinare e il gasolio per scaldarsi. E speranze più grandi: meno gente che muore, qualche possibilità che la guerra finisca… e cominci davvero il cammino verso la pace. E poi c’è la speranza delle speranze: che tutti possano conoscere l’amore di Dio, ed essere finalmente liberi per sempre nell’amore. Ah, sì, questa è LA speranza.
 
Siamo circondati dalla sofferenza, e sappiamo bene che non possiamo evitarla. Dio non ha mai promesso questo, dolore e morte fanno parte della vita. Quello che Dio promette, e mantiene, è insegnarci a vedere il senso di tutto, e quando vediamo il senso, allora siamo liberi. «La verità vi farà liberi», è questo il significato delle parole di Gesù. 

Il presepio è nato con San Francesco. Era di ritorno proprio dall’Oriente (dove aveva potuto predicare il Vangelo perché il Sultano, visto che Francesco era davvero un uomo di Dio, lo aveva lasciato libero di annunciare la Buona Novella). Tornato in Italia, ha voluto ricreare la povertà del luogo dove Gesù si era incarnato e ha deciso di far celebrare una Messa di notte, nel bosco di Greccio, davanti a una mangiatoia che è diventata altare, con un asino e un bue e le torce dei presenti che illuminavano la radura. Quello è stato il primo presepio. Ma il desiderio di Francesco era così grande, che durante la Messa gli è apparso il Signore, proprio come un Bambino nella mangiatoia. Ecco, questo è il nostro Natale (ma dovrebbe essere il Natale di tutti): se lo desideriamo davvero, Dio è lì, viene per noi. Ancora. In una mangiatoia. Non ha bisogno di granché, può venire anche nella Siria devastata dalla violenza.
Ha bisogno solo di noi, asini e buoi, pronti a riscaldarlo con la nostra fede. Ha bisogno solo del nostro desiderio, bruciante come le torce nella notte. Se nel nostro Natale non mettiamo il desiderio di Dio, allora è solo consumismo, è solo “la pausa invernale”, l’occasione per ottenere in regalo qualcosa che ci piace. O la lagna degli auguri, spesso convenzionali, di amici e parenti.
 
Ma se c’è il desiderio del nostro cuore, allora sì. Si accende una luce dolce e forte insieme.. Magari solo dentro, nessuno la vede. Ma ce l’abbiamo dentro, e illumina tutto. Perché, e questa è la buona notizia, DIO È. 
È lì, fatto uomo per noi. Buon Natale del Signore Gesù a tutti. Ai siriani e a tutti gli uomini di buona volontà.
Un gruppo di cristiani in Siria
Avvenire, 23 dicembre 2014

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/Anche-qui-nel-buio-sirianobr-aspettiamo-Lui-e-la-sua-luce.aspx

sabato 4 ottobre 2014

L’odio, la morte e un’altra logica


la chiesa maronita di Hamidieh di Aleppo colpita da un missile degli islamisti


sepolti insieme i 50 bambini della scuola Akrama di Homs

il memoriale del genocidio armeno di Deir elZor distrutto da ISIS






venerdì 26 settembre 2014

Il Vescovo di Aleppo: l'intervento armato contro l'ISIS porterà altro caos



Intervista a padre Georges Abou Khazen

di Davide Malacaria

Ormai il 60% della popolazione ha abbandonato Aleppo, la città siriana che sta diventando il simbolo di questa guerra che dura tempo e che molti si ostinano a chiamare civile, ma che di civile non ha nulla. Simbolo perché la presenza cristiana è più numerosa che altrove in Siria, anche se ora è ridotta a un piccolo gregge. E perché ormai da anni resta in un tragico stallo che vede metà città occupata dai tagliagole anti-Assad che rendono impossibile la vita nei quartieri non occupati. I cosiddetti ribelli vi imperversano con bombardamenti continui, giorno e notte, e nei mesi scorsi hanno tagliato per ben due volte le tubature che rifornivano di acqua l’intera popolazione civile. Il vescovo di Aleppo, padre Georges Abou Khazen, racconta di quei giorni, quando flussi continui di gente si affollavano presso le fontane edificate vicino a chiese e moschee per tentare di limitare i danni di quell’atto terroristico che ha prostrato la città. Una penuria di acqua che ancora continua, nonostante il ripristino della rete idrica, aumentando i disagi di una popolazione stremata dai bombardamenti continui.

È a Roma il vescovo, come altri nuovi vescovi di fresca nomina riuniti in Vaticano. E lo incontriamo alla Delegazione di Terra Santa, sua dimora provvisoria prima di tornare alla sua città che da poco, rivela, sta conoscendo un nuovo orrore: i cannoni dell’inferno, come gli jihadisti chiamano il loro ultimo ritrovato balistico. Si tratta di bombole di gas che i cosiddetti ribelli anti-Assad lanciano a grande distanza e fanno esplodere contro civili inermi, spesso modificati applicando sulla bomba artigianale pezzi si ferro e altro che, nell’esplosione, spandono all’intorno schegge, aumentandone la portata letale. Una sorta di bombe a frammentazione fatte in casa, vietate dalle convenzioni internazionali. Bombole di gas che probabilmente arrivano in Siria sotto forma di aiuti umanitari alla popolazione…

Inoltre, prosegue il presule, i miliziani hanno iniziato a usare i tunnel sotterranei che partono dalla cittadella, l’antica fortezza di Aleppo, per raggiungere le varie zone della città: in particolare per piazzare i loro ordigni esplosivi sotto gli edifici storici; ormai il suk, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è un cumulo di macerie.

A monsignore chiediamo dell’Isis, che incombe a 20 chilometri da Aleppo. «Ora si parla tanto di Isis – risponde – e americani e altri vogliono intervenire per fermarlo. Ma temo che si stia ripetendo un tragico errore: ogni volta che gli americani sono intervenuti militarmente in una regione hanno solo alimentato il caos e le divisioni. A proposito di questo Isis c’è poi da ricordare che Hillary Clinton di recente ha detto che gli Usa si trovano a combattere ciò che hanno creato loro stessi. Già perché l’Isis fu creato per andare contro Assad… ».
Non che non serva intervenire, specifica monsignore, ma per fermare questo mostro serve ben altro che le bombe: «Anzitutto occorre fermare i finanziamenti e il flusso di armi verso questi miliziani: hanno armi sofisticatissime, chi gliele dà?». Gli diciamo che sui giornali italiani scrivono che questi armamenti sono stati saccheggiati dall’Isis all’esercito iracheno. Sorride ironico: vero in parte, spiega, e in parte no. «Poi bisogna smettere di comprare il petrolio dall’Isis», continua. Anche qui accenniamo a quanto riferiscono i giornali, secondo i quali sarebbe venduto ad Assad e agli iracheni. Sorride di nuovo: «Lo comprano le grandi compagnie petrolifere, a dieci dollari al barile invece che a cento…», afferma con sicurezza, come di cosa che in Siria sanno anche i sassi.

E invece continuano a rullare i tamburi di guerra. «Un intervento militare – prosegue il presule – aumenterà la destabilizzazione e renderà ancora più difficile la convivenza tra islamici e cristiani. E dire che questa è andata avanti per secoli, nonostante episodi critici. La Siria era esemplare in questo: c’era convivenza, pluralismo, rispetto. Una caratteristica che ancora dura, anche sotto le bombe cristiani e musulmani si sostengono a vicenda, si aiutano come possono. Questo anche perché per secoli il punto di riferimento degli islamici è stata l’Università di Al Azar, al Cairo, che propugnava un islam moderato. Oggi si sta diffondendo un islam più intransigente, quello wahabita dell’Arabia Saudita: i miliziani apportatori di morte e distruzione vengono da queste scuole, sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria, quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E istituiscono i loro tribunali. Sono cose ignote all’islam della regione. E dire che l’Arabia Saudita sembra sia l’asse portante dell’alleanza che si sta formando contro l’Isis… ». Chiosa monsignore. Lo incalziamo, spiegando che in Occidente si pensa che siamo di fronte a una guerra tra islam e cristianesimo. Non è così, ripete: gli jihadisti ammazzano anche gli islamici che non la pensano come loro, buttano giù le loro moschee. Non è così, ripete.

Gli Stati Uniti, oltre a programmare l’intervento militare, hanno deciso di armare i ribelli moderati siriani. Chiediamo a monsignore cosa ne pensa di questa decisione. «Moderati? E quali sono? Ce lo dicano, noi in Siria non ne vediamo. Tutto il mondo ora parla dell’Isis, ma tutti i gruppi armati che stanno insanguinando la Siria fanno barbarie simili a quelle dell’Isis. Un tempo c’erano anche siriani tra i cosiddetti ribelli, ma oggi l’80% di questi sono stranieri. Non ci sono moderati in Siria. Tra l’altro lo stesso Obama ha detto solo un mese fa che parlare di ribelli moderati in Siria è solo “fantasia”… non ne verrà nulla di buono da questa decisione. Sono armi che vanno in mano a terroristi, ad Al Qaeda». Tra l’altro racconta dei tanti siriani che sono fuoriusciti dalle fila dei ribelli per tornare con Damasco. Un fenomeno carsico che ha interessato centinaia, se non migliaia di persone, del quale l’Occidente ignora l’esistenza.

Resta che Assad è dipinto come un tiranno sanguinario da tutti i media nostrani… «Non sarà la Regina d’Inghilterra, ma ci sono tanti regimi dispotici nel mondo arabo – risponde monsignore -. Parlano delle violazioni dei diritti dell’uomo da parte di Assad… guardino l’Arabia Saudita, dove alle donne è proibito praticamente tutto. Dove a chi non è wahabita è proibito anche pregare in pubblico… Avevano chiesto che il regime si aprisse: Assad ha aperto al pluralismo e nelle ultime elezioni c’erano diversi partiti. Nonostante la guerra sono state abolite le leggi d’emergenza. Ha dato vita a una nuova Costituzione. Alle elezioni il popolo lo ha votato in massa. Certo, non si tratta di una democrazia occidentale, ma ci sono regimi molto peggiori in Medio Oriente…», conclude. E aggiunge che dei cristiani non c’è più traccia nelle zone cadute in mano ai ribelli: le chiese sono state distrutte e non ci sono più sacerdoti né suore né fedeli. Una situazione particolarmente dolorosa per il vescovo.

Già, la Chiesa, come vive in questa tempesta? Monsignor Abou Khazen non fa discorsi teorici, parla di cose. E racconta dei 25.000 pasti che i gesuiti preparano ogni giorno per gli abitanti di Aleppo, cristiani e islamici. Un’opera sostenuta anche grazie alle donazioni di musulmani in quello che appare un ecumenismo della carità. Come tanta è la carità dispiegata nei quartieri cristiani verso i profughi musulmani che vi si affollano. Racconta dell’ospitalità delle famiglie cristiane, della loro sollecitudine verso questa gente che ha perso tutto. «Ci sono tanti ragazzi volontari che portano assistenza a queste persone, sia a livello umanitario, sia a livello psicologico, con particolare riguardo ai bambini». Ma cose analoghe capitano anche all’inverso, nei quartieri islamici dove trovano rifugio i cristiani.


Quindi racconta degli anziani e dei portatori di handicap ospitati in un locale del Vicariato: «Si trovavano in una struttura islamica che è stata bombardata dai miliziani, così li abbiamo ospitati noi. All’inizio c’erano anche dei bambini di un orfanotrofio, ma questi ultimi abbiamo dovuto spostarli in un’altra struttura, dal momento che era un po’ ingestibile. Questi locali appartenevano a uno studentato tenuto dalle suore. Pieni di crocifissi e immagini religiose. Immagini e crocifissi sono ancora tutti lì, insieme ai nostri ospiti che li hanno rispettati in maniera commovente». Il volto di monsignore si illumina mentre parla dei suoi “ospiti”, e rallegra il cuore.

Lo studentato è dedicato a “Gesù operaio”, specifica il presule. Quel titolo umile sta ancora lì, scolpito sulla pietra all’ingresso di questa struttura che ospita gli ultimi degli ultimi. Stride questa umiltà con il mostro feroce che ruggisce d’attorno.. Ma da queste parti è così da duemila anni. Dalla strage degli innocenti. Quella compiuta da Erode: non un truce islamista, ma uno scaltro funzionario dell’Impero.



Le ferite di Aleppo. Parla il vescovo Abou Khazen

«Mi viene da piangere confrontando quello che Aleppo e la Siria hanno rappresentato per secoli nella cultura, nell’arte e nella religione con lo scempio a cui siamo sottoposti in questi mesi. Ma sono convinto che siamo ancora in tempo per salvare questo tesoro dell’umanità»
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giovedì 11 settembre 2014

"Dopo aver supportato tutti questi gruppi estremisti, ora li si combatte...."

Combattere lo Stato islamico. Obama sceglie i sauditi; il Vaticano sceglie l'Onu

Il presidente Usa lancia il programma di lotta contro le milizie del califfato. Nell'alleanza da lui costruita vi sono gli Stati che hanno sostenuto l'Isis dal punto di vista economico e ideologico. Sono esclusi la Siria, l'Iran e la Russia. Il papa, il card. Sandri, mons. Tomasi, osservatore vaticano all'Onu, chiedono che ci si muova con l'Onu


AsiaNews - 10/09/2014

di Bernardo Cervellera

Non sembra vi sia molta intesa fra la Chiesa cattolica e Barack Obama su da farsi in Iraq. Mentre il presidente Usa sta per lanciare il suo programma di lotta allo Stato islamico (SI), con un'alleanza di 40 Stati, capeggiata da Washington, alcune personalità vaticane - dopo papa Francesco e mons. Tomasi - sottolineano l'importanza di far passare ogni iniziativa attraverso l'Onu.
A poche ore dall'annuncio di Obama , il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione vaticana per le Chiese orientali, incontrando i vescovi statunitensi ha chiesto loro, "come cittadini americani", di "sostenere il ruolo delle Nazioni Unite, presenti in particolare a New York, quale organo appropriato per le decisioni e gli interventi concreti in materie che riguardano le preoccupazioni generali e internazionali".
Il card. Sandri era a Washington per ringraziare la Chiesa degli Usa per il sostegno umanitario e sociale che essa dà alle comunità cristiane della Terra Santa e soprattutto dell'Iraq e della Siria.
Agli inizi di settembre, anche mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha sottolineato l'urgenza di un impegno internazionale di "protezione" verso le minoranze offese dell'Iraq assunto "in buona fede", nel quadro del diritto internazionale e del diritto umanitario.

In un'intervista data alcuni giorni fa, Obama ha preannunciato che "ridurremo via via le loro capacità; restringeremo il territorio che essi [lo SI] controllano; e infine li vinceremo".
Il piano prevede anche un controllo delle frontiere internazionali per fermare l'arruolamento di giovani occidentali nelle file dei miliziani jihadisti; la condivisione delle informazioni fra gli Stati; un aiuto economico e militare alle milizie islamiche che combattono Assad e che nell'ultimo anno sono stati sempre più emarginati e vinti dall'Isis.
All'alleanza contro lo SI partecipano i Paesi Nato (compresa la Turchia), e un buon gruppo di Paesi arabi: sauditi, Bahrain, Emirati, Kuwait. Il Qatar rimane ambiguo. Il motivo: esso è fra i maggiori finanziatori dello SI, pur essendo un alleato degli Usa e permettendo ad essi l'uso della base aerea di Udeid. Il punto è che tale ambiguità si estende a tutti i Paesi arabi che nella lotta contro Bashar Assad hanno finanziato le milizie islamiche, foraggiato il jihad, aiutato i miliziani ad addestrarsi nelle loro frontiere (Turchia). Per non parlare delle armi vendute da Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania ai sauditi, al Qatar e agli emirati, passati poi nelle mani dell'opposizione islamica in Siria e quindi nelle mani dello SI.
Da questo punto di vista, il piano di Obama rischia di essere inefficace: anzitutto perché escludendo truppe di terra, è molto difficile vincere una guerra contro i miliziani solo con dei raid aerei. In secondo luogo, è difficile combattere contro un esercito islamico avendo come alleati proprio i suoi finanziatori economici ed ideologici. Infine, non si comprende perché in questa lotta contro la crudele egemonia dello SI si devono escludere Stati che hanno molti motivi per contrastare la sua diffusione: la Siria, l'Iran, la Russia e forse la Cina.
Certo, Assad è un dittatore, ma la sua statura morale non è né migliore né peggiore dei re sauditi, o del Kuwait, o dell'emiro del Bahrain. Lo stesso si può dire dell'Iran il cui atteggiamento verso i cristiani è 1000 volte più tollerante di quello dell'Arabia saudita.
Tali contraddizioni ed esclusioni fanno temere che questa alleanza dietro agli Usa servirà solo a confermare gli interessi particolari dei partner arabi: emarginazione dell'Iran, sovvertimento di Assad, sbriciolamento dell'Iraq e del Medio oriente. Il tutto avendo come sicario gli Stati Uniti d'America e mettendo la liberazione di Mosul e Qaraqosh all'ultimo posto delle loro priorità.
Far passare attraverso l'Onu un intervento - doveroso - contro l'ex Isis potrebbe invece aprire una collaborazione ancora maggiore nella comunità internazionale: perfino l'Egitto ha fatto sapere ad Obama che il loro impegno militare è assicurato solo con l'Onu.
I consigli del papa, del card. Sandri, di mons. Tomasi non sono delle osservazioni o esortazioni spirituali, ma buona politica internazionale per una guerra che non produca più disastri, ma fermi davvero l'aggressore e metta le basi per la pace in Medio Oriente.

http://www.asianews.it/notizie-it/Combattere-lo-Stato-islamico.-Obama-sceglie-i-sauditi;-il-Vaticano-sceglie-l'Onu-32119.html


Patriarca Fouad Twal: «Per la pace in Medio Oriente ascoltare la voce delle Chiese»

«L’Occidente dovrebbe intervenire in modo logico, non intervenire solo quando i suoi interessi sono minacciati… La comunità internazionale e l’America ci hanno 'regalato' tutti gli estremisti, tutti questi pazzi dell’Europa che hanno trovato rifugio in Siria». Così Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, commenta riguardo alla questione irachena e in questa intervista con efficace chiarezza richiama l’attenzione sulla tragedia di Gaza e sulla voce inascoltata dei patriarchi delle Chiese in Medio Oriente. 


Avvenire, 5 settembre 2014
di Stefania Falasca

Dopo l’accordo per il cessate il fuoco si pensa ora alla ricostruzione di Gaza. Per chi rimane nella Striscia quale possibilità di cambiamento vede in prospettiva? 
In questi giorni il vescovo ausiliare e l’amministratore del patriarcato di Gerusalemme hanno ottenuto il premesso di visitare Gaza. La tregua va bene, ma è un risultato raggiunto dopo la morte di oltre duemila palestinesi e una distruzione quasi totale. Non è la prima volta che la popolazione della Striscia paga simili conflitti. Ora abbiamo davanti una nuova costosa ricostruzione in termini di denaro, in termini umani. Ma io mi chiedo: distruggere Gaza, distruggere tutto un popolo e poi pensare di ricostruirlo… perché si è dovuto arrivare a questo? Chi curerà le ferite interiori? Chi quelle di tanti bambini che hanno visto l’orrore e la morte dei loro familiari? Io dico che se le condizioni sono e restano le stesse di prima della guerra, se queste condizioni non cambiano, noi continueremo ad avere gente disperata, prostata, frustrata. Continueremo ad allevare odio ed estremisti. E pagheremo tutti il risultato di questa politica. 

Come si può arrivare ad un giusto accordo e a una pacificazione? 
Per arrivare a un punto d’accordo giusto e a una giusta pace nella Striscia di Gaza occorre che ciascuna delle parti si metta un po’ al posto dell’altro. Tocca soprattutto ai grandi, ai politici, ai dirigenti avere un briciolo di logica e ad agire e lavorare realmente a favore di una pacificazione costruttiva. Anche la comunità internazionale da fuori deve avere questo sguardo e avere il coraggio di dire la verità, seppure non piace a tutti. Il fatto cioè che tutti abbiamo la stessa dignità, tutti abbiamo gli stessi diritti e doveri. C’è una legge chiave della politica internazionale che si chiama 'reciprocità'. Bisogna che si applichi questo principio. 

La Chiesa in Terra Santa può favorire questa prospettiva? 
Credo che tutte le Chiese cristiane che da secoli sono qui abbiano elementi in più per aiutare ad avere una visione completa. Possono aiutare ad avere quel giudizio equilibrato e quello sguardo orientato al bene di tutti, che le parti coinvolte nel conflitto faticano ad avere. La presenza delle Chiese cristiane è una presenza che è lontana dal fanatismo politico o religioso che si vedono nell’una o nell’altra parte. 

Il parroco di Gaza è stato ricevuto e incoraggiato dal Papa. 
Il fatto che il parroco sia rimasto lì durante il conflitto ha quindi un significato non solo per la Chiesa in Terra Santa? 
Noi rimaniamo accanto alla nostra gente, siamo dentro alla realtà, qualsiasi essa sia. Stiamo dentro alle sofferenze della gente e le nostre chiese sono sempre aperte a tutti. Questo mostra chiaramente chi siamo, qual è la nostra autentica identità. A Gaza come in Siria, come in Giordania, come anche in Iraq. 

La Comunità internazionale dovrebbe quindi, secondo lei, ascoltare anche la voce delle Chiese del Medio Oriente? 
Consultare il parere dei pastori delle Chiese che stanno, che vivono sul posto potrebbe contribuire a prendere giuste decisioni, potrebbe evitare tanti passi sbagliati. Non ascoltare la voce dei patriarchi delle Chiese ha portato a tanti sbagli. Purtroppo la politica che si persegue nell’area è una politica di interessi. Una politica che elude il grido dei pastori. La nostra presenza o la nostra non presenza qui, per la comunità internazionale, dice poco. 

Può fare un esempio di questa politica? 
Basta pensare a Gheddafi. Per quarant’anni è stato trattato come amico. Dopo quarant’anni hanno scoperto che era cattivo. Ma c’erano altri che erano anche peggio di Gheddafi e non sono stati toccati. Si cambiano i regimi e si distruggono Paesi solo per favorire certi interessi. 

Ma cosa deve fare l’Occidente per difendervi e difendersi dagli estremisti?
 
Intanto l’Occidente dovrebbe intervenire in modo logico, non intervenire solo quando i suoi interessi sono minacciati. In uno dei discorsi pronunciati in Giordania, rivolgendosi ai popoli della Siria il Santo Padre definiva 'criminali' quelli che vendono armi. 

Nell’omelia che lei di recente ha tenuto a Siracusa ha affermato che «l’Isis inizialmente è stato supportato dalla comunità internazionale». Può spiegare questa affermazione? 
Io ritorno alla Siria, perché tutto è cominciato da lì. Per abbattere il regime di Assad la comunità internazionale aveva supportato questi gruppi estremisti. La comunità internazionale e l’America ci hanno poi 'regalato' tutti gli estremisti, tutti questi pazzi dell’Europa che hanno trovato rifugio in Siria per combattere contro un regime che non piaceva all’America, non piaceva a Israele e alla comunità internazionale. Il regime sta ancora in buona salute e i morti aumentano di numero. È una politica cieca. 

Si è considerato però anche il silenzio di molti leader del mondo arabo sia per quanto avvenuto a Gaza sia rispetto al conflitto per il potere jhaidista in Iraq... 
Non sono mancati articoli di intellettuali islamici, di singoli musulmani che hanno espresso la loro contrarietà di fronte agli attacchi, alle violenze e all’ideologia degli jhaidisti. Ma da parte di molti governi dei Paesi arabi è mancata e manca totalmente una chiara e netta dichiarazione e posizione. Non c’è. Anche questi governi hanno evidentemente i loro interessi da proteggere. 

Il problema del fondamentalismo comunque resta. A suo parere come si può combattere? 
La nostra domanda è: chi è dietro, chi alimenta il fanatismo? 
Ma chi esalta in nome di Dio la violenza può essere neutralizzato solo da una buona e sana educazione. Se questa educazione non c’è si pagano i risultati. Il punto è questo. Tutto dipende da cosa s’insegna ai nostri bambini. Una cattiva educazione predispone al fanatismo, una buona educazione prepara le basi per un dialogo vero che tutti vogliamo. Il fanatismo, il fondamentalismo si trovano in diverse parti, non è una caratteristica solo degli islamisti, di fanatici rappresentanti dell’Islam. Ci sono anche da parte israeliana. 

http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/Per%20la%20pace%20in%20Medio%20Oriente%20ascoltare%20la%20voce%20delle%20Chiese%20.aspx

mercoledì 15 gennaio 2014

Memorie di Aleppo perduta



Arrivano notizie da Aleppo, sempre più tragiche, sempre più angoscianti. E giorno dopo giorno si scava dentro di me un’assenza, una privazione. Mitica Aleppo della mia giovinezza... 
Lo zio Zareh abitava di fronte alla cittadella, e aprire le finestre alla mattina significava immergersi in un’atmosfera di Medioevo ancora vivo: non gli scenari aggiustati e corretti di un film hollywodiano in costume, ma la realtà concreta di mendicanti e cavalieri, di stracci dimenticati su una soglia e di donne accovacciate per terra, che vendevano le loro povere cose (frutta, oggetti, latte condensato), distese su un tappetino bisunto. Le cugine venivano a svegliarmi con un appetitoso vassoio di caffè, latte e cioccolata, marmellata di rose, brioche e panini dolci. Mi avevano sistemato in una camera orientaleggiante, con tende oscure alle finestre e un ampio, sontuoso letto a baldacchino (ahimè abitato da innumerevoli famiglie di ragni, che scendevano piano piano appena spegnevo la luce: dopo una prima notte di incubi, dormii sempre raggomitolata sotto il lenzuolo).

Poi andavamo in esplorazione, io e le sette cugine. Furono giorni felici di passeggiate interminabili nell’antica città, con brevi soste nella quiete ombrosa di qualche caffè, ammirando le facciate delle case, le rose rampicanti, i grandi portoni austeri e le vezzose finestre con le persiane dipinte. Era il mese di maggio, il calore non ancora fortissimo, un intossicante profumo di gelsomini in fiore (ma anche, a volte, di decomposizione...). E poi andavamo nel suk, e ci perdevamo nei suoi immensi corridoi a volta, intrisi di aromi d’Oriente. Le mille spezie dai colori intensi, i venditori di salsiccette arrostite coi loro trespoli e la merce illuminata da una minuscola lampada ad acetilene, gli antri dei venditori di tappeti dall’odore secco e polveroso, che mi facevano venire in mente il deserto d’Arabia e le infinite strade percorse dai lenti cammelli per portarli fin là. Accettavamo volentieri un caffè e un dolcetto da monsieur Ibrahim, amico di vecchia data di zio Zareh e di Alice, la sua bella, maestosa moglie assira. Le cugine si perdevano in chiacchiere, nel melodioso francese aleppino; io stavo seduta su un tappeto, respirando con gioia quella misteriosa atmosfera. E un giorno lo zio ci raggiunse, ci portò dai venditori di gioielli e mi regalò un braccialettino di filo d’oro. 
Zio Zareh è morto tanti anni fa, e anche zia Alice. Le cugine sono emigrate. Stanno fuggendo gli armeni di Aleppo, e la città sta morendo. I bombardamenti dalla terra e dall’aria l’hanno rasa al suolo, mi dicono i profughi. E il mio cuore piange.


di Antonia Arslan

http://www.luoghidellinfinito.it/Rubriche/Pagine/memorie-di-aleppo.aspx




suor Rima Nasri , in un corso di iconografia con Andres Bergamini

http://oraprosiria.blogspot.it/2013/01/non-dimenticate-suor-rima-e-le.html



15 Gennaio: è trascorso un anno dal terribile attentato all'Università di Aleppo:cara Suor Rima, dal Cielo intercedi per la tua amata Aleppo e per la Pace in Siria!

giovedì 5 dicembre 2013

Conferenza stampa Patriarca Yazigi: 'sospendiamo la nostra visita nel Golfo dopo il sequestro delle Suore di Maloula'.



Conferenza stampa tenutasi oggi , 5 Dicembre 2013 , da Sua Beatitudine il Patriarca Giovanni X di Antiochia  Primate della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia e di tutto l'Oriente per discutere le ultime vicende legate al rapimento di alcune monache ortodosse e orfanelle del convento patriarcale greco-ortodosso  di Santa Tecla  Maaloula  , che si è verificato il Lunedi 2 dicembre 2013

 "Nel mezzo delle tragedie , ha detto il Patriarca,  che avvolgono la Siria e dell'emorragia umana che colpisce il nostro popolo , ma anche dell'ambiguità che continua ad aleggiare sul destino dei nostri due vescovi di Aleppo , Jean ( IBRAHIM ) e Paul ( Yazigi ) , il nostro Patriarcato di Antiochia e di tutto l'Oriente ha accolto con grandissimo dolore la notizia della detenzione dei nostri figli , le suore e le orfanelle del monastero di Santa Tecla in Maaloula, lunedi 2 dicembre 2013 e del loro trasferimento fuori del loro monastero, in Yabroud . Dato che i primi tentativi di far liberare i nostri figli  prigionieri non hanno portato al risultato desiderato , il Patriarcato Greco Ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente lancia un appello urgente e rivolto  alla comunità internazionale e a tutti i governi per intervenire e compiere gli sforzi necessari per fare liberare le nostre sorelle , illese . Allo stesso modo , ha proseguito il Patriarca Giovanni , ci appelliamo alla coscienza di tutta l'umanità e ad ogni coscienza vivente che il Creatore ha posto nel cuore dei suoi figli , compresi quelli responsabili del rapimento , per far liberare le nostre suore e i nostri orfani . Facciamo appello alla comunità internazionale e, pur ringraziando tutte le espressioni di solidarietà , diciamo che non abbiamo più bisogno di disapprovazione , condanna o espressioni di preoccupazione per quanto riguarda gli eventi attuali che minano la dignità della persona umana , in quanto questo è radicato nella coscienza di ognuno di noi :  ma abbiamo bisogno oggi   piuttosto di azioni concrete ed effettive e non di parole . Noi  non sollecitiamo i responsabili , sia a livello regionale o internazionale , in modo che innalzino la voce per condannare e disapprovare , ma chiediamo  i loro sforzi , le pressioni e le azioni che portino al rilascio di coloro , le suore , che non hanno avuto altro torto che volersi aggrappare al loro monastero e non volerlo lasciare .

 Ribadiamo di nuovo il nostro invito  per la cessazione della logica della lotta in Siria e sostituirla con la logica del dialogo pacifico e a non tergiversare per ritardare l' avvio del dialogo al solo fine di ottenere bottini sul  terreno,  perché la Siria sanguina e del suo sanguinamento è sanguinante il nostro cuore . Bisogna che il  mondo intero sappia che una goccia del sangue di un innocente versato su questa terra è più sacra e più preziosa di tutti gli slogan del mondo . Che il mondo intero  capisca anche che le campane delle nostre chiese , noi cristiani d'Oriente , che sono state poste sulle nostre chiese e che hanno rintoccato fin dagli albori del tempo , continueranno a suonare e a far sentire al mondo intero la voce il nostro amore e della nostra pace per l'altro , qualunque sia la sua religione . La durezza del tempo presente  non ci strapperà dalla nostra terra , perché essa costituisce il nostro essere , il nostro rifugio e un pezzo del nostro cuore .

 "A causa di queste circostanze , dunque - ha continuato il Patriarca Giovanni - in merito alla detenzione delle nostre sorelle , suore e  orfanelle di Maaloula , dichiariamo con rammarico che abbiamo deciso di sospendere la visita  patriarcale, ufficiale e pastorale , ai nostri figli e alle nostre parrocchie nei paesi arabi del Golfo , che era stato programmato  avesse luogo tra il 6 e il 17 dicembre 2013 , e abbiamo deciso di andare a Damasco per monitorare tutti gli sforzi e i contatti relativi a questo ultimo evento ( rapimento delle nostre sorelle ) .

 Da questo luogo , saluto tutti i fedeli nella regione del Golfo arabo e  tutti e tutte coloro che hanno dato tanto e indefessamente per preparare il programma della visita menzionata, nella speranza che la mia visita presso di loro possa essere realizzata  alla prima occasione al più presto . E a voi , i nostri figli nella regione del Golfo arabo , posso dire che avevo un desiderio ardente di ritrovare domani i vostri visi  buoni e generosi e cari al mio cuore  , ma vi prego di accettare le mie scuse per la sospensione della visita per la quale avevate già preparato tutte le disposizioni per avere successo. Io vi invio in ogni caso la mia benedizione e il mio augurio per una buona salute e successo .

 Possa Dio proteggere la Siria e il Libano e l'Oriente , e la persona umana di questo Oriente .
Molte grazie ai media per aver fatto ascoltare il dolore di Antiochia , ma anche la sua speranza nel mondo . "

     ( traduzione FMG)
Antiochpatriarchate.org


«Stati influenti  non vogliono la pace in Medio Oriente»



Avvenire - 25 novembre 2013
intervista di Salvatore Mazza

«Purtroppo niente e cambiato». I cristiani «continuano a lasciare la loro terra», sotto la pressione della guerra e degli «attacchi non giustificati» rivolti contro di loro. Tutto questo perché «gli Stati influenti non vogliono la pace», mentre «si acuisce il conflitto tra sunniti e sciiti». È un quadro della situazione molto preoccupato quello che il cardinale libanese Bechara Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti, traccia della situazione attuale in Medio Oriente, all’indomani dell’incontro di tutti i Patriarchi orientali col Papa.

A poco più di un anno dalla visita di Benedetto XVI in Libano, la realtà in tutto il Medio Oriente sembra ancora più difficile. E pochi giorni fa, tra l’altro, la "novità" di un attentato diretto contro l’Iran. Che cosa è cambiato in questi mesi?
La visita di Benedetto XVI ha tracciato un cammino, e ha dato un impulso di fede e di speranza per il nostro popolo, sia in Libano, sia in altri Paesi del Medio Oriente. Tuttavia, se guardiamo agli avvenimenti in Siria, Iraq ed Egitto, come anche al conflitto politico tra sunniti e sciiti in Libano, legato a quello in corso nel Medio Oriente, particolarmente in Iraq e in Siria, purtroppo niente è cambiato.

Come mai?
La causa è che la comunità internazionale, gli Stati influenti, non hanno l’intenzione di stabilire la pace e la giustizia. Noi vediamo che gli interessi politici ed economici stanno acutizzando i conflitti armati, sanguinosi e politici tra i musulmani sunniti e sciiti, come tra moderati e fondamentalisti. Comunque noi confidiamo nella forza della preghiera come la vera arma per stabilire pace, giustizia e concordia tra i popoli e le nazioni.

Papa Francesco ha lanciato un forte appello perché i cristiani non lascino la vostra terra. Il fenomeno sta rallentando o è in crescita? E lo si può arrestare?
Finché persistono la guerra, gli attacchi e le minacce non giustificati contro i cristiani, questi ultimi sono costretti a lasciare i loro Paesi. Noi invece li incoraggiamo a rimanere nelle loro terre con le parole, e le iniziative che offrono loro le possibilità di lavoro e di sostentamento, ricordando loro che noi cristiani siamo cittadini nei nostri Paesi d’Oriente già da 2000 anni e che vi abbiamo seminato i valori del Vangelo e del cristianesimo, contribuendo molto allo sviluppo culturale, economico, sociale, commerciale e politico delle nostre nazioni. Però, bisogna che la comunità internazionale metta più sforzi per far cessare le guerre e dare soluzione politica ai conflitti in corso, a cominciare dal conflitto di base israelo-palestinese, diventato anche israelo-arabo, e arrivare a una intesa tra gli stati Sunniti e gli stati Sciiti. Non è ammissibile che gli interessi economici degli Stati e il commercio delle armi soppiantino i valori della pace e della giustizia tra i popoli e le nazioni, che le nostre Chiese continuano a promuovere.

Il Papa ha ripetuto che "non è possibile rassegnarsi a un Medio Oriente senza cristiani", qual è l’impegno delle vostre comunità?
Noi, tutte le Chiese Orientali, operiamo collettivamente e singolarmente per la pace, per lo sviluppo, per il consolidamento della fede cristiana, per la formazione dei giovani, per la perseveranza e la pazienza dei cristiani e per l’unità della famiglia e la pastorale del matrimonio e della famiglia. Nello stesso tempo, le Chiese d’Oriente operano anche presso i responsabili politici per creare ponti di intesa, di dialogo e di riconciliazione, e sollecitano anche l’intervento del Santo Padre e la mediazione della Santa Sede, tenendoli informati oggettivamente su tutto quello che sta succedendo nella nostra regione.

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/intervista-a-patriarca-libanese.aspx


Radio Vaticana intervista il Patriarca Gregorios 


23 Novembre
Xavier Sartre ha intervistato il Patriarca siriano greco-cattolico di Antiochia, Gregorio III Laham:

R. - Con il Santo Padre abbiamo avuto una conversazione molto semplice, diretta, chiara, aperta, franca. Il Santo Padre ascoltava e ha detto: “non posso immaginare il mondo arabo senza la presenza cristiana”. I cristiani debbono avere un ruolo in questo mondo ed è per questo che noi vogliamo aiutare i cristiani a rimanere, ad essere presenti in Medio Oriente, in Terra Santa, dove l’islam, il cristianesimo e il giudaismo sono a casa e sono nel loro luogo di nascita. I cristiani hanno una presenza e un ruolo. L’altro aspetto affrontato è stato quello dell’apporto degli orientali in Vaticano e come questa attività si possa continuare oggi.

D. – Cosa ha caratterizzato questa plenaria?

R. – E’ stata proprio l’apertura totale: si poteva dire tutto, con franchezza, con fratellanza, con amicizia, con affetto. E questo è importante! Possiamo dire che tutti gli aspetti della vita della Chiesa, come l’abbiamo vista proprio in questi giorni, è già impregnata dallo spirito di Papa Francesco. Perciò ringraziamo per questo affetto e per questa cura e attenzione del Santo Padre per la Siria e per la pace in Medio Oriente specialmente. Sentiamo che c’è veramente una reale comprensione delle problematiche vissute in questa regione. Purtroppo alcuni Paesi d’Europa non hanno la nostra visione cristiana e non vogliono ascoltare quello che noi diciamo come cristiani, come capi delle Chiese di Terra Santa, Libano, Siria: non vogliono ascoltarci e vedere come noi capiamo questa crisi e quale possa esserne la soluzione.

D. – Qual è la vostra posizione al riguardo?

R. - Noi siamo per la riconciliazione: siamo una Chiesa che deve avere il ministero della riconciliazione. Questa è la garanzia della nostra presenza attuale e anche per il futuro. Quando finirà la crisi e la guerra saremo presenti perché abbiamo lavorato affinché tutti i siriani e tutti gli altri in Medio Oriente siano più aperti gli uni con gli altri.

D. – Qual è il senso della presenza dei cristiani in Medio Oriente oggi?

R. - La presenza cristiana in Medio Oriente è una presenza che ha un ruolo e una missione: una presenza cristiana senza missione non ha alcun valore; ma, al contrario, una presenza cristiana con una missione e con un ruolo speciale rappresenta il futuro della presenza stessa di questo gregge piccolo che ha una missione grande per essere luce, sale e lievito nella società del mondo arabo, a maggioranza musulmana, in cui noi abbiamo questo ruolo di essere una presenza cristiana con il mondo arabo e per il mondo arabo, affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.


Benedetto XVI: "Prego tutti i giorni per l'Iraq, la Siria e i cristiani d'Oriente"




Lo ha detto lo stesso papa emerito ai capi delle Chiese, che dopo la plenaria della Congregazione per le Chiese orientali sono andati a trovarlo al monastero Mater Ecclesiae. Il patriarca Sako ha invitato in Iraq papa Francesco, che "ha sorriso e ha promesso una visita".

(AsiaNews) - Dopo la plenaria della Congregazione per le Chiese orientali, i Patriarchi presenti a Roma hanno fatto visita al Papa emerito Benedetto XVI  "come dei pellegrini sotto la pioggia". Lo ha raccontato Raphael Louis Sako I, patriarca caldeo e arcivescovo di Baghdad, al sito della sua arcidiocesi: "Abbiamo avuto un incontro amichevole, gli abbiamo chiesto della sua salute e lui ci ha chiesto del Medio Oriente e della situazione dei cristiani orientali".

L'incontro è avvenuto nel pomeriggio del 23 novembre presso il monastero Mater Ecclesiae, in Vaticano, dove il Papa emerito ha scelto di passare il suo periodo di ritiro dal mondo.
Sua Beatitudine Sako ha detto a Benedetto XVI: "Santità, siamo venuti dal nostro hotel sotto la pioggia come pellegrini, e quindi meritiamo una benedizione speciale e una preghiera speciale per l'Iraq". In risposta, il Papa emerito ha detto: "Prego tutti i giorni per l'Iraq, la Siria e per il resto dell'Oriente".
Poi Mar Sako ha chiesto: "Siete in pensione, ma non c'è la possibilità di venire in Iraq?". E Benedetto XVI ha risposto concludendo l'incontro: "Sto invecchiando, e sono un monaco che ha deciso di passare il resto del suo tempo nella preghiera e nel riposo".
Subito dopo la messa solenne del 24 novembre, che ha chiuso l'Anno della Fede, il patriarca caldeo ha proposto anche a papa Francesco di visitare l'Iraq: "Gli ho detto che è arrivato il momento di venire a trovarci. Lui ha sorriso e ha promesso una visita".

http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarchi-orientali-da-Benedetto-XVI:-Prego-tutti-i-giorni-per-l'Iraq,-la-Siria-e-i-cristiani-d'Oriente-29673.html