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domenica 1 marzo 2015

Aleppo senza tregua, ma la vita non si ferma. Parlano il vescovo Abou Khazen e fra Ibrahim


TERRASANTA.NET
25 febbraio 2015

Nonostante l’assedio, i bombardamenti, la mancanza sul mercato di ogni bene di consumo, e il terribile freddo che patisce da mesi, Aleppo desidera vivere con tutte le sue forze. Negli ultimi giorni la morsa intorno alla seconda città della Siria si è stretta in modo drammatico: il 17 febbraio l’esercito regolare del presidente Bashar al Assad, con il sostegno di Hezbollah, ha sferrato la cosiddetta Operazione Ora zero, un attacco a sorpresa contro i ribelli che sono insediati nella regione immediatamente a nord di Aleppo, con l’obiettivo di prendere le vie di comunicazione che collegano la città al nord del Paese e alla Turchia. I ribelli avrebbero rintuzzato l’attacco, rafforzando le proprie posizioni. Oltre 150 soldati governativi sarebbero stati uccisi.


La tregua temporanea, ventilata qualche giorno fa dall’inviato Onu Staffan De Mistura, è quindi saltata: «Al posto della tregua ci sono atroci scontri a fuoco nelle periferie settentrionali ed orientali della città – ci scrive oggi fra Ibrahim Sabbagh, francescano della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Aleppo –, con una pioggia di bombardamenti sulle zone abitate…».

Quello che colpisce, in una situazione di totale incertezza e di catastrofe imminente, è come la comunità cristiana della città stia lottando con tutta sé stessa per la normalità e la vita.
«I giovani rimasti ci sollecitano; fanno volontariato in parrocchia, si sposano; i bambini vengono battezzati, si celebrano feste… - racconta mons. Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo -. Noi vogliamo rimanere membri della Chiesa universale: la vita continua».
«Noi cristiani, siamo una piccola minoranza in Siria, composta da varie Chiese – spiega il presule – ma non siamo mai stati così uniti». I vescovi cattolici si riuniscono ogni sabato, mentre l'ultimo sabato del mese viene organizzato un incontro ecumenico aperto a tutti coloro che lo desiderano. 
Di nuovo il vescovo francescano: «Una delle principali sfide che, a mio parere, devono affrontare i cristiani del Medio Oriente è il superamento delle nostre paure e la riscoperta della fiducia, una fiducia che è stata distrutta da ciò che abbiamo vissuto. È questa mancanza di fiducia che ci impedisce di prevedere il futuro. La nostra sfida è di sentirci dire che la nostra presenza in Medio Oriente è una chiamata, una missione».

I quartieri di Aleppo a maggioranza cristiana oggi accolgono numerosi profughi di confessione musulmana ed è un'esperienza nuova e feconda per mons. Abou Khazen, che dice: «Durante il conflitto, abbiamo sviluppato nuove modalità d’incontro. Non è stato facile ma continuo a ribadire che è molto importante saper accogliere. Non dobbiamo creare alibi per l’esclusione o il settarismo. Dobbiamo nutrirci di tale convivenza e, credetemi, numerosi musulmani sono sorpresi dalla carità dei cristiani soprattutto verso i bambini, le donne, gli anziani...». 
Il vescovo porta come esempio una sala parrocchiale affidata al Waqf (istituzione islamica di beneficenza) e trasformata in casa d'accoglienza per persone anziane, orfani e handicappati o, ancora, il generatore della parrocchia che permette agli studenti di studiare quando in città l’interruzione dell'energia elettrica si prolunga troppo.


 «Ad Aleppo, in questo periodo invernale, il freddo intenso sta drammaticamente condizionando la gente – racconta fra Ibrahim, il parroco –. Di gasolio non ce n’è quasi più e noi, per il servizio alla gente facciamo ricorso alle autorità civili ottenendone delle “gocce” di tanto in tanto; lo stesso vale per il gas. Siccome il 5 gennaio è cominciato in tutta la Siria il periodo degli esami per gli studenti universitari, ho fatto partire un progetto di aiuto per loro e per gli studenti della maturità. Nelle loro case non vi è disponibilità né di elettricità, né di riscaldamento e, visto che anche le biblioteche ospitate nelle diverse chiese di Aleppo sono ormai chiuse per mancanza di gasolio, ho deciso di “nuotare contro corrente” e di aprire una biblioteca ad hoc in parrocchia. Siamo in grado di accogliere fino a 60 studenti nei locali del catechismo. Abbiamo sistemato e arredato all’occorrenza il luogo, riscaldandolo alla bell’e meglio l’ambiente con un minimo consumo di gasolio. I locali restano aperti agli studenti dalle 9 del mattino alle 8 di sera».

L’accoglienza prevede la possibilità di una bevanda calda e anche il pranzo per coloro, e non sono pochi, che non possono permetterselo. «Nel progetto abbiamo coinvolto due giovani sposi e alcune famiglie senza lavoro come responsabili dell’accoglienza. Oggi mi ha raccontato uno di loro che il numero degli studenti registrati, con la richiesta da parte nostra di una somma minima di denaro per l’iscrizione, è arrivato a 80. Sono veramente soddisfatto di questo tipo di servizio concreto che riusciamo ancora ad offrire ai nostri giovani e spero, se la Provvidenza continuerà a manifestarsi e ad assisterci».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=7309&wi_codseq=SI001+&language=it


Carissimi, 
ieri, 26 febbraio 2015, alle ore 17.05 durante la Messa serale, è caduta una bombola di gas vicino alla nostra chiesa di Azizieh. Essa è entrata in un negozio dei più vicini a noi ed è esplosa lasciando due cadaveri e diversi feriti. Al livello della chiesa e dei nostri spazi era solo materiale: alcuni vetri delle finestre alte della chiesa sono spaccati e caduti in mille pezzi sulla gente che pregava, senza nessuna ferita, e così anche per diverse finestre e vetri delle aule degli scout e del catechismo. 
Purtroppo, per la strada, il risultato era la morte di un uomo (Agop) e una giovane (Sima, 20 anni); quell’ultima frequentava la nostra sala di lettura.

Ogni volta che succede qualcosa del genere, la gente cade in disperazione e tutte le ferite si aprono di nuovo. Così, oggi, mentre i funerali sono stati celebrati, un' onda di dubbio, di paura, di spavento, di amarezza e di disperazione, prendono il sopravvento sulla gente che abita ad Aleppo; in modo speciale quella cristiana.
Cominciamo quindi da capo a seminare il terreno devastato, con i semi della fede e della speranza.

fr. Ibrahim Alsabagh



ANGELUS Papa Francesco , 1 marzo 2015

"Chiedo a tutti, secondo le loro possibilità, di adoperarsi per alleviare le sofferenze di quanti sono nella prova, spesso solo a causa della fede che professano."

Cari fratelli e sorelle,
non cessano, purtroppo, di giungere notizie drammatiche dalla Siria e dall’Iraq, relative a violenze, sequestri di persona e soprusi a danno di cristiani e di altri gruppi. Vogliamo assicurare a quanti sono coinvolti in queste situazioni che non li dimentichiamo, ma siamo loro vicini e preghiamo insistentemente perché al più presto si ponga fine all’intollerabile brutalità di cui sono vittime. Insieme ai membri della Curia Romana ho offerto secondo questa intenzione l’ultima Santa Messa degli Esercizi Spirituali, venerdì scorso. 
Nello stesso tempo chiedo a tutti, secondo le loro possibilità, di adoperarsi per alleviare le sofferenze di quanti sono nella prova, spesso solo a causa della fede che professano. Preghiamo per questi fratelli e queste sorelle che soffrono per la fede in Siria e in Iraq…. Preghiamo in silenzio…..

mercoledì 26 novembre 2014

Béchara Boutros Raї: «L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo»

«La guerra mette in fuga i cristiani. L'Occidente smetta di alimentarla»


Terrasanta.net, 24 novembre 2014

di Carlo Giorgi |

«Penso che Papa Francesco a Istanbul farà un appello chiaro per la pace in Medio Oriente. In particolare penso che inviterà la Turchia a collaborare per mettere fine alla guerra in Siria. In questo momento, infatti, la Turchia permette il passaggio a mercenari e fondamentalisti islamici dal suo territorio verso la Siria. Sono quasi due anni che il vescovo  greco ortodosso e quello siro ortodosso di Aleppo sono stati rapiti al confine tra Turchia e Siria … Bisogna invece che la Turchia collabori e inizi a svolgere un altro ruolo».
Il cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei maroniti, guarda con speranza al viaggio che Papa Francesco svolgerà in Turchia dal 28 al 30 novembre. Il patriarca ha inaugurato il 23 novembre la parrocchia di Santa Maria della Sanità di Milano, come luogo di culto per i cattolici maroniti e di rito orientale che vivono nella diocesi ambrosiana. In l’occasione della visita milanese, ha rilasciato questa intervista a Terrasanta.net.

La presenza di una parrocchia maronita a Milano, è un arricchimento per i cattolici locali. D’altra parte, l’emigrazione è anche il segno della crisi in cui si trova oggi il Libano …
Il Paese sta attraversando una crisi gravissima. Una volta il Libano era considerato la Svizzera del Medio Oriente. Nel 1975, all’inizio della guerra civile, un dollaro si cambiava con due lire libanesi. Oggi ce ne vogliono 1500 … Dal ’48 abbiamo sulle spalle il peso di mezzo milione di profughi palestinesi; la guerra in Siria ci ha portato un milione e mezzo di siriani; per non parlare delle migliaia di cristiani iracheni … il totale dei profughi oggi equivale alla metà della popolazione libanese. Per fare un esempio: solo il numero degli studenti siriani, 600 mila, supera quello degli studenti libanesi. Dove li mettiamo? Mancano le strutture. Tutto questo si trasforma in un problema sociale, economico, politico e di sicurezza. Secondo le stime dell’Onu, un terzo della popolazione è sotto la soglia della povertà …

Una situazione che incoraggia l’emigrazione.
È così. Io visito abitualmente le diocesi libanesi all’estero. L’anno scorso, ad esempio, mi sono recato in sette Paesi dell’America Latina. Ho trovato così tanti giovani libanesi. Mi chiedevo: ma chi è rimasto in Libano?  Sono tutti qui! … Abbiamo paesi che si stanno svuotando, un flusso migratorio enorme. È tremendo! E non possono tornare perché ormai hanno lì il loro lavoro, i figli. E chi parte vede che i problemi in Medio Oriente non si risolvono. Anche perché nessuno vuole risolvere il primo dei problemi, quello che teologicamente potremmo definire il «peccato originale» della crisi mediorientale.

Cioè?
Mi riferisco al conflitto israelo-palestinese, che è come una grande fornace da cui dilaga il fuoco della guerra. Fino a quando non si vorrà risolvere il problema palestinese, permettendo ad esempio ai profughi di tornare, il Medio Oriente sarà in guerra. Adesso tocca all’Iraq e alla Siria; domani sarà un altro Paese… e poi un quarto Paese… il problema è che ci sono interessi economici superiori: il petrolio, il gas, il commercio delle armi.

Cosa può fare l’Europa per fermare la guerra?
Deve aiutare alla riconciliazione in particolare tra sunniti e sciiti, perché oggi la guerra è soprattutto all’interno del mondo islamico. E poi deve aiutare l’islam - ma anche l’ebraismo – a separare religione e Stato. Finché non ci sarà separazione tra religione e Stato in Medio Oriente, la pace è molto lontana. E poi deve smettere di vendere armi in Medio Oriente e di finanziare i fondamentalisti. Papa Francesco, che parla in modo diretto, ha detto - riferendosi alla della guerra in Siria-: «Basta commercio di armi!»
Noi cristiani del Medio Oriente, in 1400 anni di vita comune con i musulmani, abbiamo trasmesso dei valori, facendo crescere la moderazione. L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo: ma quando il terrorismo si scatena, chi può arrestarlo?

Chi paga le conseguenze di questa situazione?
I cristiani del Medio Oriente. In Iraq abbiamo perso un milione di cristiani, prezzo di una democrazia che non è mai venuta… la loro fuga significa la scomparsa di tutta la cultura cristiana, la storia della salvezza.
Non si possono sacrificare i cristiani del Medio Oriente! Noi vogliamo rimanere nella nostra terra, vogliamo portare i valori cristiani a questo mondo arabo. Adesso più che mai il Medio Oriente ha bisogno dei cristiani, che parlano un altro linguaggio rispetto a quello di oggi. Oggi nei nostri Paesi si parla di guerra, terrorismo, uccidere, distruggere; il nostro linguaggio è Vangelo di Pace, fratellanza, dignità umana, sacralità della vita.
A me pare che l’Europa non abbia coscienza di questo, anzi sembra quasi che si vergogni…

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=7044&wi_codseq= &language=it

 «Il fondamentalismo è foraggiato con armi e i soldi dell'Occidente» 


Vaticaninsider, 22/11/2014

di Andrea Tornielli

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. È triste constatare che il fondamentalismo è foraggiato con le armi e i soldi occidentali, e che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri». Il cardinale Béchara Boutros Raї, Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente dei Maroniti, è a Milano per inaugurare la missione per i fedeli di rito maronita: l'arcivescovo Angelo Scola ha infatti affidato la parrocchia di S. Maria della Sanità per questo scopo. L'intervista con Vatican Insider è l'occasione per un'analisi a tutto campo sulla situazione mediorientale da parte di uno dei più lucidi protagonisti della vita delle Chiese di quella martoriata regione.

L'Isis con il suo auto-proclamato Califfato vuole la guerra di religione: siamo allo scontro finale tra islam e cristianesimo?


«Non bisogna cadere nelle semplificazioni. I fondamentalisti dell'Isis combattono contro tutti quelli che non sono come loro: a Mosul e Ninive hanno perseguitato anche musulmani sunniti e sciiti, e la minoranza degli yazidi. La loro è un'ideologia o chissà che cosa. Sono un movimento ultrafondamentalista, quelli che vengono chiamati "takfiri" cioè quei musulmani che accusano altri musulmani di infedeltà. Ma il Gran mufti libanese mi ha detto: "Non possiamo chiamarli takfiri, perché non hanno fede e combattono tutti!". È vero che anche i cristiani sono stati vittime, ma il numero maggiore di morti è stato tra i musulmani sunniti e sciiti, e tra gli yazidi».

Papa Francesco sta per arrivare in Turchia, molto vicino all'area più calda del conflitto. Che cosa si aspetta dalla visita?

«Spero che sia un'occasione per chiedere alla Turchia di collaborare a mettere fine alla guerra in Siria. Purtroppo i mercenari fondamentalisti di Al Nusra, Al Qaeda e dell'Isis entrano in Siria attraverso il confine turco. Papa Francesco sa parlare con chiarezza e penso che farà un appello per la pace in Medio Oriente».

Come giudica l'atteggiamento dell'Occidente di fronte alla crisi mediorientale?

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. Alla comunità internazionale chiediamo: basta guerra in Siria e in Irak, basta con la tragedia dei palestinesi. Sono convinto che il conflitto israelo-palestinese sia il grande focolaio da risolvere se si vuole la pace nella regione. E la soluzione non può essere che quella dei due Stati: perché non si fa? Senza Stato palestinese la guerra non avrà fine. Poi c'è il conflitto arabo-israeliano, con le zone occupate in Siria e Libano. Finché non si applicano le risoluzioni dell'Onu non ci sarà la pace. Bisogna mettere fine alla guerra in Siria: il Papa ha parlato chiaramente del commercio di armi. L'Europa deve aiutare la riconciliazione, deve favorire la ricomposizione del conflitto tra musulmani sunniti e sciiti, e aiutare l'islam a separare la religione dallo Stato».

Che cosa chiedono i cristiani?

«Innanzitutto che cosa non chiedono. Non chiedono alcun protettorato! Non chiediamo di essere protetti dall'Occidente. I fondamentalisti ci accusano di essere discendenti dei crociati, ma noi viviamo lì da secoli prima dell'arrivo dell'islam. I cristiani del Medio Oriente in 1400 di vita comune con i musulmani hanno trasmesso valori e cultura. L'Occidente, inondando di armi e di soldi, distrugge quello che abbiamo creato e di fatto fa aumentare il fondamentalismo. È triste constatare, guardando a ciò che è accaduto negli ultimi decenni, che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri. Ai cristiani non servono appelli perché lascino il Medio Oriente, servono politiche di investimento per lo sviluppo, per poter dare lavoro».

Ci sono voci musulmane che si levano contro l'Isis?

«Molti musulmani sono contro, ma non osano dichiararsi. Ma ci sono anche voci di condanna. Il 2 e il 4 dicembre, ad all'università di Al Azhar al Cairo, si terrà un vertice tra musulmani al quale sono stati invitati anche i cristiani, per denunciare il fondamentalismo del Califfato».

Quali conseguenze hanno questi conflitti nella situazione del suo Paese?

«Un terzo della popolazione libanese secondo l'Onu è sotto la soglia di povertà. In Libano vivono mezzo milione di profughi palestinesi e un milione e mezzo di profughi siriani. Ormai la metà degli abitanti sono profughi. Molti di loro per sopravvivere accettano di essere pagati di meno per lavorare. Un paese di soli 10mila chilometri quadrati ha possibilità limitate. Ma il Libano, nonostante le difficoltà - siamo uno Stato al momento senza presidente, a motivo dei conflitti tra sunniti e sciiti che riflette quanto sta accadendo nella regione - rimane un modello di convivenza per il Medio Oriente ma anche per l'Occidente. Un modello nel quale i musulmani hanno rinunciato alla sovrapposizione tra religione e politica, e i cristiani hanno rinunciato a quella laicità che finisce per mettere Dio e la religione da parte».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/37679/

mercoledì 22 ottobre 2014

Ad Aleppo resiste una fiammella di vita cristiana

VOCI DA UNA CITTÀ ASSEDIATA



S.I.R. , 18 Ottobre 2014

Monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i latini di Aleppo, vive nella città simbolo del conflitto siriano, dove le forze dello Stato islamico (Is) sono ormai alle porte. "Oltre il 60% dei nostri fedeli - precisa - ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana"

“Padre Hanna sta bene ed è deciso a restare al suo posto. Giovedì scorso alcuni leader legati a Jahbat Al-Nusra, gruppo radicalista che lo aveva prelevato nella notte del 5 ottobre nella sua parrocchia di Knayeh, in Siria, sono andati a trovarlo ed hanno parlato con lui. Dal colloquio sembrerebbe che il suo arresto sia stato frutto di un malinteso. Padre Hanna mi ha espresso il suo ottimismo per una chiusura positiva del caso. Tutto dovrebbe finire presto e bene”. Per monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i latini di Aleppo, questa forse è l’unica buona notizia che arriva dalla Siria, paese segnato da tre anni di guerra che ha mietuto centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati. 
Padre Abou Khazen vive ad Aleppo, città simbolo di questo conflitto. Detta anche “la grigia”, considerata “la capitale del Nord”, un tempo centro economico e sociale del Paese, oggi è una città divisa, contesa tra le forze ribelli e quelle leali al Governo del presidente Bashar al Assad.

Situazione critica. “Qui ad Aleppo la situazione è davvero critica. I colpi dei mortai sono continui. Non abbiamo avuto luce per qualche giorno e adesso l’energia elettrica viene erogata solo per due o tre ore quotidianamente”, racconta il vicario, che non nasconde una paura più grande, quella dell’avanzata dello Stato Islamico (Is) ormai alle porte della città. “Speriamo bene - spiega con voce preoccupata - perché l’Is non è molto lontano dal centro della città. La paura cresce ogni giorno di più. La città è divisa, ci sono quartieri controllati dai radicalisti e altri dalle forze armate siriane. Non bastano le tante difficoltà oggettive legate alla mancanza di cibo, gasolio e acqua, ora anche l’Is”. La popolazione è allo stremo e davanti ha un nuovo inverno da affrontare ma come? Padre George non risponde ma il suo pensiero corre a quelli rimasti in città dove sono ormai pochi i cristiani. “Oltre il 60% dei nostri fedeli ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana. Chi può, non solo tra i cristiani, sta cercando di fuggire. Esiste una strada piuttosto lunga, aperta dall’esercito siriano qualche mese fa e ancora sicura, che permette alla popolazione di entrare e uscire da Aleppo, ma consente anche l’ingresso di acqua, cibo e materiali vari necessari alla sopravvivenza. Questa è l’unica via di salvezza per chi vuole andarsene”.

Non bastano le notizie della resistenza curda a Kobane dove l’Is è stato costretto ad indietreggiare a tranquillizzare la popolazione. “Qui sappiamo bene - racconta mons. Abou Khazen - che questi gruppi islamisti ribelli hanno varie denominazioni ma un’unica origine, quella del radicalismo. Sappiamo che non lottano per garantire la libertà e i diritti civili delle persone, anzi il contrario”. Poi l’affondo: “La comunità internazionale deve saper discernere tra chi lotta per garantire libertà e diritti per tutto il popolo e chi no. Purtroppo coloro che combattono all’interno dei gruppi ribelli sono legati al radicalismo islamico. Le forze di opposizione siriane si sono sciolte davanti alla potenza finanziaria e militare dell’Is e di altre fazioni militari ribelli che sono formate per almeno il 70%, se non più, da gente straniera, e non da siriani”. In campo sono rimasti solo i propugnatori di un Islam intransigente, quello wahabita dell’Arabia Saudita. Il vicario a più riprese lo aveva detto in passato: “I miliziani che portano morte e distruzione sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria, quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E istituiscono i loro tribunali”. È paradossale, allora, che l’Arabia Saudita sia uno dei Paesi che ora sostengono la coalizione contro l’Isis.

Per il vicario resta solo una strada che non è quella della guerra e delle armi: “La comunità internazionale deve costringere Governo siriano e fronte degli oppositori a dialogare e deve smetterla di armare i contendenti. Se esiste la volontà politica, un accordo si trova”. Intanto mentre in Siria si continua a morire, nel silenzio dei Grandi della Terra, i piccoli, come gli abitanti di Aleppo, cristiani e musulmani, praticano gesti di pace quotidiani, come sostenere mense allestite nei rispettivi quartieri cristiani e aperte a tutti, portare assistenza ai più bisognosi come anziani, malati e bambini. Una carità contagiosa che aiuta a resistere anche sotto assedio e che perpetua una tradizione di tolleranza e convivenza tutta siriana.

http://www.agensir.it/sir/documenti/2014/10/00297056_ad_aleppo_resiste_una_fiammella_di_vita_c.html


A Knayeh revocate le restrizioni alla libertà di fra Hanna Jallouf


Terrasanta.net  | 21 ottobre 2014
di Carlo Giorgi 

È ora finalmente libero, fra Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh prelevato dal convento di San Giuseppe nella notte tra il 5 e il 6 ottobre e successivamente posto agli arresti domiciliari dalle autorità islamiste della valle dell’Oronte.
Lo ha confermato monsignor Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, che abbiamo raggiunto telefonicamente: «Ho parlato con monsignor Abu Khazen, l’attuale vicario apostolico di Aleppo – racconta monsignor Nazzaro – il quale mi ha confermato che fra Hanna non è più agli arresti nel suo convento; i miliziani che lo avevano arrestato, gli hanno assicurato che ora può decidere liberamente se partire o rimanere nel villaggio e come muoversi».
Secondo la spiegazione fornita dai miliziani a fra Hanna, il suo arresto sarebbe avvenuto di seguito a una denuncia che lo accusava di nascondere delle armi in convento. Per questo, alcuni uomini armati dopo aver perquisito senza risultato il convento, lo avrebbero preso e portato al tribunale islamico del vicino paese di Darkush.

 Fra Hanna era stato portato via con venti giovani cristiani della parrocchia, ragazzi e ragazze: il motivo di questo sequestro «di gruppo» appare finalmente chiaro dalla spiegazione di monsignor Nazzaro: «Quando sono arrivati al convento i miliziani, accusando fra Hanna di nascondere delle armi, il parroco ha preteso che la perquisizione avvenisse di fronte a dei testimoni – ha spiegato Nazzaro –. Per questo il parroco ha chiesto ai venti ragazzi di rimanere. Alla fine della perquisizione, quando comunque i miliziani islamici avevano messo a soqquadro la parrocchia, pur non trovando nulla, li hanno arrestati tutti...». Gli ultimi cinque membri del gruppo fermato insieme al frate sono stati rilasciati il 12 ottobre.
L'idea di arrestarli sarebbe stata però non della massima autorità della locale milizia islamica, ma di un luogotenente, successivamente ripreso e allontanato proprio per questo fatto. 
«Una volta libero fra Hanna ha riunito tutti i cristiani per parlare loro - ha continuato mons. Nazzaro -; gli ha detto: potete restare o andare, io rimarrò fino a quando anche uno solo di voi vorrà rimanere. E i cristiani, protestando, gli hanno detto che non nessuno di loro se ne sarebbe andato!»

Sono ancora a Knayeh anche le due suore francescane del Cuore immacolato di Maria che svolgono il loro servizio nella parrocchia, nonostante per loro la possibilità di un rientro in Italia diventi giorno dopo giorno sempre più concreta. Sono infatti entrambe ultraottantenni e nelle ultime settimane, a causa del rapimento di fra Hanna, hanno subito un affaticamento che le ha molto provate.

lunedì 20 ottobre 2014

Concistoro Medio Oriente, compito delle NU e situazione del Libano

Nel Concistoro i membri del Collegio Cardinalizio si confronteranno circa l’attuale situazione dei cristiani in Medio Oriente e l’impegno della Chiesa per la pace in quella regione con la presenza dei Patriarchi mediorientali.


Intervista al cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei maroniti:

Radio Vaticana , 19 Ottobre 2014

 R. – Siamo molto grati al Santo Padre per questa seconda iniziativa, dopo quella dell’incontro con i nunzi, per conoscere la realtà del Medio Oriente e, adesso, per il Concistoro. Vuol dire che il Papa ha una grande preoccupazione, e a giusto titolo, sia per il Medio Oriente come tale, e la pace, sia anche per la presenza cristiana, la quale vive momenti molto cruciali. E poi siamo anche grati che lui abbia invitato i Patriarchi a partecipare. Noi stiamo preparando un foglio, a nome dei Patriarchi, partendo da dove sono arrivati con l’incontro dei nunzi. Quindi faremo la nostra lettura sulle attese della Chiesa e della comunità internazionale. Io penso che rappresenti un grande conforto morale per i cristiani del Medio Oriente, ma anche per il Paese del Medio Oriente, che il Papa abbia questo interesse e questa preoccupazione, perché tutti hanno bisogno di un sostegno morale. E’ un vero sostegno morale, ma è anche un vero sostegno diplomatico, perché la Santa Sede ha anche un suo ruolo, una sua influenza importante a livello internazionale. Noi faremo quindi sentire la nostra voce e poi mostreremo che tutte queste Chiese del Medio Oriente, sia cattoliche sia ortodosse, formano una sola unità, una sola voce. Abbiamo anche sempre dei vertici con i capi musulmani, per parlare tutti insieme la stessa lingua. Questo lo diremo domani.

D. – Preoccupa sempre più l’avanzata del sedicente Stato islamico. Questo sicuramente sarà un tema cui sarà dedicata particolare attenzione...

R. – Quello che noi diciamo, abbiamo detto e diremo ai governi locali e alle comunità internazionali è di fermare l’azione dell’aggressore. Non è possibile che nel XXI secolo si torni alla legge preistorica, dove un’organizzazione arriva, ti sradica dalla tua casa e dalla tua terra, dice “tu sei fuori”, e la comunità internazionale guarda inerte e neutrale. Non è possibile. Noi denunciamo tutto questo e sollecitiamo il contributo, più che il contributo l’azione, della comunità internazionale. Bisogna fermare l’aggressore. Quello che ci duole, che ci dispiace, che notiamo, in questo periodo di guerra in Medio Oriente, è che molti Paesi di Oriente ed Occidente sostengono le organizzazioni fondamentaliste, terroriste per interessi propri - politici, economici - e sostengono queste organizzazioni terroriste con denaro, con armi e politicamente. Questo ci duole veramente molto. E noi lo denunciamo e lo abbiamo denunciato. Chiediamo quindi alla comunità internazionale di assumersi le sue responsabilità. E quando parliamo di comunità internazionale, non intendiamo qualcosa di anonimo, ma le Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza, il Tribunale internazionale penale. Questi devono agire, altrimenti dove andiamo? Le Nazioni Unite perdono la loro ragione di essere. Questa assemblea delle nazioni è stata creata per proteggere la pace nel mondo e la giustizia, no? Adesso, però, diventa uno strumento in mano alle grandi potenze. Non è possibile accettarlo.

D. – In Libano, com’è vissuta l’avanzata dello Stato islamico?

R. – C’è ora una parte, dove si sono infiltrati, nella Beka'a, e quindi l’esercito è in agguato. Ci dispiace, però, di alcune voci a favore. In questo periodo di guerra in Siria, infatti, i confini tra Siria e Libano sono aperti e tutte queste organizzazioni si trovano sui confini. Quindi, né il Libano né la Siria possono proteggersi. Riusciamo comunque ancora a resistere.

© www.radiovaticana.org


IL  PATRIARCA BECHARA RAI SU SINODO, MEDIO ORIENTE E LIBANO  – di GIUSEPPE RUSCONI –
www.rossoporpora.org – 20 ottobre 2014



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   E’ legittimo pensare che gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano commesso ripetuti e gravi errori di strategia sia nei confronti dell’Iraq che della Siria? Se sì, gli Stati Uniti secondo Lei stanno cercando di porre riparo per quanto possibile a tali errori?
Penso di sì. Spero che vogliano rivedere la loro strategia, rendendola una strategia per la pace in tutto il Medio Oriente. Ciò significa tentare di risolvere in primo luogo il conflitto israelo-palestinese, impegnarsi in uno sforzo serio per porre fine alla guerra in Siria e in Iraq e bloccare le aggressioni delle organizzazioni terroristiche. Dovrebbero in ogni caso utilizzare la loro influenza per spingere i Paesi sunniti e sciiti a un dialogo costruttivo, così da eliminare i conflitti nella regione evitando altri disastri umanitari.
  Non sarebbe più efficace se alcuni Stati cessassero di fornire armi e acquistare petrolio dall’ Isis e bloccassero i passaggi degli estremisti islamici attraverso le proprie frontiere ?
 Certo: è questa la richiesta essenziale. Tutto il problema nasce dal fatto  che ci sono Stati d’Oriente e d’Occidente che purtroppo - per interessi politici ed economici propri -sostengono le diverse organizzazioni fondamentaliste. Alcuni con armi e denaro, altri con l’acquisto illegittimo del petrolio, altri ancora offrendo ai terroristi e ai mercenari il libero passaggio delle frontiere. Non solo: c’è anche chi sostiene i terroristi politicamente. Bisogna assolutamente che le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza facciano cessare questo tipo di “delitto”.
  Come definirebbe il conflitto in Siria?
 E' una guerra civile, ma anche una guerra tra Stati sunniti e Stati sciiti per interessi propri. Perciò è ormai una guerra senza senso. Si tratta solo di distruggere di più, di assassinare di più, di accrescere gli odi e l’esodo di popolazioni intere. Dieci milioni di siriani sono ormai rifugiati in altri Paesi e regioni, sradicati dalle loro case distrutte o gravemente danneggiate.
 Emergono in Libano divisioni tra i musulmani nel valutare quanto accade in Siria?
 I musulmani libanesi sono adesso piuttosto divisi: i sunniti sostengono l’opposizione sunnita siriana e gli sciiti sostengono il regime alleato dell’Iran e dell’ Hezbollah libanese. E’ noto però che prima dell’assassinio nel 2005 del primo ministro sunnita Hariri, sunniti e sciiti sostenevano ambedue Assad.
  Secondo Lei, dopo il prolungato attacco islamista di qualche settimana fa ad Arsal (quasi al confine con la Siria) e dopo gli scontri tra islamisti e Hezbollah, è concreto il pericolo che anche il Libano divenga terra di combattimento, con i cristiani a farne le spese maggiori? Peggio ancora: c’è il rischio che il Libano si dissolva?
Il pericolo per il Libano è reale, ma l’esercito libanese è ben preparato. Speriamo di non dover tornare a qualche anno fa, al conflitto interno: nessuna fazione vuole la guerra, pur essendo precaria, critica, la situazione della sicurezza. Tutti i libanesi aspirano e vogliono la stabilità. Il pericolo di dissoluzione è apparente: le buone volontà sono ancora più forti.

leggi tutta l'intervista qui:  http://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/428-il-patriarca-bechara-rai-su-sinodo-medio-oriente-e-libano.html



Caritas Libano: L'ondata di profughi mette a dura prova il nostro popolo

di Carlo Giorgi
Terrasanta.net  4 ottobre 2014

«Noi libanesi non siamo un gregge che vaga in una terra di nessuno: siamo i proprietari della nostra terra, siamo arrivati qui prima di tutti gli altri, anche prima dei musulmani…; siamo esseri umani che hanno il diritto di vivere dignitosamente e la comunità internazionale deve assumersi le sue responsabilità nel garantire la nostra dignità. Un fatto è certo: non possiamo essere noi a venire cacciati via e a pagare così il prezzo di altri!». Padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano, tuona durante l’incontro che ha riservato a Terrasanta.net. Le sue parole sono lo specchio dell’esasperazione di tutti i libanesi, costretti a fronteggiare praticamente da soli, una crisi senza precedenti.
A causa della guerra in Siria, infatti, negli ultimi quattro anni la pressione demografica esercitata in Libano dai profughi è cresciuta progressivamente: i profughi siriani registrati dall’Onu in Libano oggi sono un milione e 130 mila (cifra esplosiva se si pensa che è raddoppiata nel giro di un solo anno), riversandosi su uno Stato, il Libano, privo di spazio e risorse. I siriani che oggi affollano l’area metropolitana di Beirut sono oltre 310 mila. Mentre nella regione di confine della Bekaa – dove vivono 750 mila abitanti autoctoni – si sono affollati in campi profughi e rifugi di fortuna altri 420 mila siriani. Per provvedere ad una tale massa sconfinata di persone, secondo le Nazioni Unite sarebbero necessari almeno un miliardo e mezzo di dollari mentre oggi gli organismi internazionali possono contare solo su 600 mila dollari: meno della metà dei fondi necessari.
«Il Libano, che è un piccolo Paese, ha accolto molti più rifugiati di Paesi più grandi, come Giordania e Turchia – spiega padre Karam –. Sistemare queste persone, aiutarle per il cibo e i vestiti è un’impresa al di sopra delle nostre possibilità. Basti pensare al problema delle scuole: ci sono circa 600 mila studenti siriani che dovrebbero iniziare l’anno scolastico. Le nostre scuole non ne possono accogliere più di 350 mila, non c’è posto per tutti… E degli altri che cosa facciamo? Saranno educati ad essere jihadisti ? Moltissimi ragazzi rimangono fuori, ci sarebbe bisogno di insegnanti, educatori…».
Le risorse del Paese non bastano per tutti …E questo provoca tensione sociale; quando, ad esempio, la Caritas aiuta i profughi a livello sanitario, con le medicine e le cure psicologiche; e poi dice al libanese in difficoltà: con te non posso fare la stessa cosa che sto facendo gratuitamente con il siriano… la gente si arrabbia e l’odio cresce. A causa dell’aumento enorme di stranieri sul nostro territorio sono aumentati i furti, le occupazioni di appartamenti… Per non parlare di quello che è successo negli ultimi mesi ad Arsal, nella valle della Bekaa…
Si riferisce agli scontri tra l’esercito libanese e le milizie fondamentaliste?Due soldati dell’esercito libanese, uno sunnita ed uno sciita, sono stati decapitati dalle milizie dello Stato islamico; altri sono stati presi in ostaggio. Mi ha colpito il fatto che i media internazionali abbiano parlato dei tre giornalisti, due americani e uno inglese, che sono stati decapitati… mentre dei due soldati dell’esercito libanese nessuno ne ha parlato. Ho ancora negli occhi l’immagine dei loro corpi decapitati… Questo fatto ha toccato molto la popolazione libanese.
Che appello lancia alla comunità internazionale?
Il nostro popolo è stanco: ci sentiamo come il formaggio dentro un panino, morsicato da una parte e dall’altra. Abbiamo diritto di vivere in pace, vogliamo la pace. Ma che sia una pace con dignità e giustizia. Per questo dalla comunità internazionale attendiamo una pace giusta, non una pace tagliata a pezzi… Oggi siamo minacciati nella libertà e la tentazione, per molte famiglie cristiane, è quella di scappare. Ma d’altra parte, quando uno è minacciato nella sua libertà, soprattutto quella religiosa, che cosa dovrebbe fare?

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6905&wi_codseq= &language=it

giovedì 9 ottobre 2014

Liberato Padre Hanna Jallouf



La Custodia di Terra Santa conferma la notizia giunta pochi minuti fa dalla Siria. Dopo la liberazione di alcune donne che facevano parte del gruppo di parrocchiani di Knayeh (villaggio cristiano nella Valle dell'Oronte) prelevati da miliziani jihadisti vicini al movimento Al Nusra nella notte tra il 5 e 6 ottobre, anche il parroco fra Hanna Jallouf ha potuto tornare a casa. Al telefono il frate minore ha confermato di essere rientrato al convento di San Giuseppe dove è stato posto, per così dire, «agli arresti domiciliari». Il frate può muoversi liberamente nel villaggio, ma non allontanarsi da Knayeh.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6919&wi_codseq=SI001 &language=it

Liberate quattro donne rapite insieme a padre Hanna; nessun messaggio dai rapitori

Agenzia Fides.  9/10/2014

Nella giornata di ieri sono state liberate le 4 donne che facevano parte del gruppo di circa venti ostaggi sequestrati da una banda armata insieme a padre Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh, nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 ottobre (vedi Fides 7/10/2014). Lo riferisce all’Agenzia Fides il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. “Alle donne liberate - spiega il Vescovo Abou Khazen - i rapitori non hanno detto niente. Non sono state nemmeno interrogate”. Fonti locali confermano che i sequestratori erano armati. Finora gli autori del sequestro non hanno fatto pervenire alcun messaggio ai parenti e agli amici dei sequestrati, non si sono qualificati e non hanno fatto rivendicazioni. Ma il numero così cospicuo dei rapiti lascia intuire che non si tratti di banditi comuni. La Custodia Francescana di Terra Santa ha attribuito il sequestro collettivo ad una brigata di Jabhat al-Nusra, la fazione jihadista che controlla l'area. Il luogo di detenzione dei sequestrati dista pochi chilometri dal villaggio di Knayeh.
Il Vescovo Georges Abou Khazen riferisce a Fides le espressioni di affetto che giungono da tutta la Siria alla comunità cattolica di Knayeh, dove opera anche suor Patrizia Guarino, delle Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria. “Suor Patrizia - racconta il Vescovo Abou Khazen - è venerata da tutti. Lei è l'infermiera del villaggio, e tutti la vedono anche come una guida spirituale, che aiuta a guarire non solo le malattie e i dolori del corpo, ma anche le sofferenze dell'anima”.

http://www.fides.org/it/news/56114-ASIA_SIRIA_Liberate_quattro_donne_rapite_insieme_a_padre_Hanna_nessun_messaggio_dai_rapitori#.VDaRymAcT84

martedì 7 ottobre 2014

Rapimento di padre Hanna Jallouf OFM: chiediamo la preghiera di tutti i cristiani!


A Maria, regina della vittoria di Lepanto, nostra Signora del Rosario , chiediamo la liberazione del Parroco e dei tanti cristiani del villaggio di Knayeh  rapiti dagli islamisti  e la protezione per i frati e delle suore che vivono nelle zone controllate dalle brigate di Al Nusra

Il Vescovo Khazen conferma: rapiti il parroco e una ventina di cristiani del villaggio di Knayeh

Agenzia Fides 7/10/2014

“Purtroppo devo confermare la notizia del rapimento di padre Hanna Jallouf OFM, parroco siriano nel villaggio di Knayeh, che è stato sequestrato insieme a una ventina di cristiani”. Così riferisce all'Agenzia Fides il Vescovo Georges Abou Khazen O.F.M., Vicario Apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. 
“Il sequestro collettivo - aggiunge il Vescovo Khazen - è avvenuto nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 ottobre. Al momento non sappiamo chi li abbia sequestrati, se sono stati gruppi di jihadisti o altri. Non riusciamo a contattare nessuno, e non siamo stati contattati da nessuno. Sappiamo soltanto che anche ieri il convento è stato saccheggiato, e altre persone del villaggio si sono nascoste. Tra i rapiti ci sono giovani, sia ragazzi che ragazze”.
Knayeh è un villaggio cristiano nella valle dell'Oronte, nella Siria settentrionale, vicino al confine con la Turchia. I frati minori della Custodia di Terra Santa sono presenti nella valle dell'Oronte da oltre 125 anni. Prima che iniziasse il conflitto, il convento, il centro giovanile, l'asilo e l'ambulatorio, gestito dalle suore francescane, erano, come lo sono anche oggi, il centro della vita del villaggio. Padre Jallouf animava con entusiasmo le attività parrocchiali, l'oratorio, le iniziative estive, le giornate di ritiro e di spiritualità.




In Siria un frate della Custodia rapito con una ventina di parrocchiani

Terrasanta.net | 7 ottobre 2014

Da Gerusalemme, dove ha sede la curia della Custodia di Terra Santa, giunge la conferma del rapimento in Siria di un frate della comunità: il siriano fra Hanna Jallouf (52 anni). 
Il religioso è parroco del villaggio cristiano di Knayeh, nella vallata del fiume Oronte vicino al confine con la Turchia, ed è stato prelevato nella notte tra il 5 e 6 ottobre con una ventina di altri ostaggi. Gli autori del sequestro sarebbero uomini armati vicini al movimento jihadista Jahbat Al-Nusra. Alcune suore francescane sono riuscite a scampare al sequestro trovando rifugio in alcune case private.

Nel 2008 quando la Siria non era ancora stata stravolta dal conflitto in atto, un servizio al lavoro di fra Hanna era stato pubblicato su Eco di Terra Santa. I frati minori della Custodia – riferivamo - sono presenti nella valle dell’Oronte da oltre 125 anni. Il convento, il centro giovanile, l’asilo e l’ambulatorio di Knayeh, gestito dalle suore francescane, sono anche oggi il centro della vita del villaggio, che conserva con orgoglio una forte identità cristiana e ha fornito alla Chiesa siriana molte vocazioni sacerdotali e religiose, sia maschili sia femminili. 
«Secondo la tradizione – spiegava fra Hanna al nostro direttore Giuseppe Caffulli - san Paolo dopo aver avuto la notizia e la gioia di poter convertire gli elleni al cristianesimo, si recò da Gerusalemme verso Antiochia. Allora c’erano tre strade che collegavano Apamea ad Antiochia. Una era la strada militare verso Aleppo, un’altra passava vicino al corso dell’Oronte, per sei mesi impraticabile a causa delle piene; una terza passava proprio dietro questa collina. Senz’altro san Paolo è passato di qua, evangelizzando queste terre. Insomma, siamo certamente i discendenti dei primi cristiani convertiti dall’apostolo missionario».
Abuna Hanna ad Amman (in Giordania) è stato direttore del prestigioso Collegio di Terra Santa, ma poi è tornato tra le montagne dell’Oronte. «La mia famiglia – spiegava ai lettori di Eco - proviene da queste valli e per me è stato un gradito ritorno a casa. Ma anche una nuova sfida, perché i villaggi dell’Oronte, un tempo il fiore all’occhiello del cattolicesimo di Siria, stanno conoscendo oggi una pesante diaspora… I giovani se ne vanno in cerca di lavoro e di fortuna. E questo indebolisce le comunità cristiane, mette in pericolo l’esistenza stessa delle nostre chiese. Di fronte a questa situazione, serve nuovamente scommettere sul futuro».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6911&wi_codseq= &language=it

Syria: Statement of the Custody: 

http://fr.custodia.org/default.asp?id=1019&id_n=27828



Da due anni lui e i suoi fedeli vivevano sul filo del rasoio. Tollerati e sopportati, ma minacciati e controllati.

Il Giornale Mar, 07/10/2014 
Gian Micalessin

 Ora anche quell'incerto limbo è tramontato. Da domenica notte il padre francescano Hanna Jallouf e venti suoi parrocchiani sono prigionieri, ostaggi dei militanti Al Qaidisti di Al Nusra. E per duemila cristiani, stretti tra la frontiera turca e la turbolenta regione di Idlib roccaforte dei ribelli jihadisti di Al Nusra rischiano di aprirsi le porte dell'inferno.
Loro sono i cristiani di Knayem, Yacoubieh e Jdeideh, tre parrocchie del fiume Oronte dove la cristianità è di casa da duemila anni. Il primo ultimatum era arrivato un anno fa quando i capi jihadisti della zona avevano sancito le condizioni alle quali erano disposti a sopportar ela presenza cristiana sui propri territori. "Tutte le croci debbono sparire. È proibito suonare le campane. Le donne non debbono uscire di casa senza coprirsi la faccia e i capelli. Le statue devono sparire. In caso d'inadempienza, si applicherà la legge islamica". Come dire chi non si adegua o se ne va o verrà fatto fuori. Quell’ultimo terribile “aut aut” riassumeva le condizioni imposte non solo ai Cristiani dell’Oronte, ma a quelli di tutta la Siria. Padre Hanna Jallouf, il parroco di Knaye conosciuto dai fedeli come Abu Hanna, l’aveva capito da tempo. 
..........
continua la lettura qui: http://www.ilgiornale.it/news/mondo/siria-padre-francescano-rapito-dai-jihadisti-nusra-1057812.html

giovedì 10 luglio 2014

Gaza e Siria: le tragedie infinite del Medio Oriente, i martiri e le voci di chi è sul campo



Il Medio Oriente non conosce tregua. Le emergenze umanitarie continuano su più fronti, il numero dei morti e dei feriti cresce ogni giorno di più, e si fa fatica a vedere uno spiraglio oltre la spirale di violenza.

Il cielo di Gaza è di nuovo illuminato dalle bombe. Ieri un ordigno è esploso a pochi chilometri dal campo estivo organizzato dalle Suore del Santo Rosario a cui partecipano 157 bambini. P. Mario, del Patriarcato latino di Gerusalemme, racconta: “Eravamo al telefono con le suore di Gaza e abbiamo assistito a un’esplosione in diretta, udendo l’urlo dei bambini che si trovano in parrocchia per il campo estivo”. Secondo il sacerdote gli alunni sono stati subito rimandati a casa dalle proprie famiglie, accompagnati dagli animatori che hanno approfittato di un momento di tregua per uscire dagli edifici della parrocchia e percorrere le strade della città. “I bambini – aggiunge p. Cornioli – sono terrorizzati, così come tutta la popolazione di Gaza”.

Anche nella vicina Siria la situazione continua a essere grave: “La Siria è un paese devastato, non esiste più nulla, la gente è allo stremo delle forze – ci dice fra Simon, responsabile della Regione San Paolo per la Custodia di Terra Santa. Dagli ultimi report del Syrian Network for Human Rights, sono stati documentati un milione e centomila feriti dal marzo 2011, data di inizio del conflitto. Il 45% sono bambini. 120.000 persone sono costrette a vivere con una disabilità permanente e con complicanze dovute all’amputazione di arti. Il numero di morti è salito a 133.586, di cui 15.149 bambini.

Poco tempo fa è caduto un mortaio sulla testa di un bambino di 5 anni, che veniva al nostro catechismo – continua a raccontare p. Simon – “Il piccolo è morto, mentre poco dopo un nostro giovane frate è rimasto vivo per miracolo, quando un altro mortaio gli è caduto a un metro e mezzo di distanza. La gente vive nel terrore, si sente continuamente in pericolo, ogni secondo. Anche io, che mi devo spostare per portare aiuti e visitare i nostri parrocchiani, mi sento continuamente in pericolo. Ma so che non devo perdere la speranza. Noi frati vogliamo restare e continuare ad aiutare chi è rimasto in quella terra martoriata”.

Per quanto possiamo, restiamo vicini alle vittime di questi conflitti.

http://www.proterrasancta.org/2014/07/gaza-e-siria-le-tragedie-infinite-del-medio-oriente-e-le-voci-di-chi-e-sul-campo/



Beati Emanuele Ruiz e compagni Martiri Francescani di Damasco 

† Damasco (Siria), 10 luglio 1860

Si tratta di un gruppo di 11 martiri dei musulmani, uccisi per la fede il 10 luglio 1860; di essi sei erano Padri Francescani Minori, due erano Fratelli professi Francescani e tre erano fratelli di sangue laici maroniti. Sono conosciuti come ‘Beati Martiri di Damasco’ Versarono il loro sangue come tanti altri prima di loro in quelle terre che videro sempre, dal tempo di s. Francesco, lo sforzo missionario dei Francescani nel mondo islamico.

 Essi si trovavano nel loro convento di Damasco in Siria, svolgendo la vita comunitaria, estesa all’apostolato fra la popolazione locale.
Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1860, furono attaccati dai Drusi di Damasco, che in preda al loro fanatismo di insofferenza religiosa, scoppiato negli anni 1845-46 e specialmente nel 1860 contro il cristianesimo, percorsero la città facendo stragi di cristiani.
Gli otto francescani si rifugiarono fra le solide mura del convento, con loro si trovavano tre fratelli cristiani maroniti; purtroppo ci fu un traditore, forse fra gli inservienti locali, che introdusse gli assassini per una piccola porta, cui nessuno aveva pensato, e così furono tutti massacrati, con la ferocia che distingue i fondamentalisti islamici e che in tanti secoli ha fatto migliaia e migliaia di vittime nel mondo cristiano.
Si riportano i loro nomi:
 
Padri francescani:
Emanuele Ruiz, nato a Santander (Spagna) il 5 maggio 1804, 56 anni, superiore della Comunità;
Carmelo Volta, nato nella provincia di Valencia il 29 maggio 1803, 57 anni;
Engelberto Kolland, nato a Salisburgo (Austria) il 21 settembre 1827, 33 anni;
Ascanio Nicanore, nato nella provincia di Madrid nel 1814, 46 anni;
Pietro Soler, nato nella Murcia (Spagna) il 28 aprile 1827, 33 anni;
Nicola Alberga, nato nella provincia di Cordova il 10 settembre 1830, 30 anni;
 
Fratelli professi francescani:
Francesco Pinazo, nato nella provincia di Valencia il 24 agosto 1802, 58 anni;
Giovanni Giacomo Fernandez, nato in Galizia (Spagna) il 29 luglio 1808, 52 anni;
 
E poi i tre fratelli, laici di religione maronita:
Francesco, Abd-el-Mooti e Raffaele Massabki.
 
Furono tutti beatificati da papa Pio XI il 10 ottobre 1926 e la loro festa fissata al 10 luglio.





Un mese fa i capi di Palestina ed Israele hanno pregato uniti a Papa Francesco e al Patriarca Bartolomeo per la pace in Terra Santa . Riprendiamo l'articolo di Terrasanta.net , facendo nostra di nuovo  in queste drammatiche ore la preghiera di Papa Francesco.

Per una pace tra uguali e fratelli, l'invocazione a più voci in Vaticano

di Carlo Giorgi | 9 giugno 2014
«Siamo fratelli, figli di uno stesso Padre: solo se lo riconosciamo potrà arrivare la pace». Il pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa si conclude in Vaticano, domenica 8 giugno, festa di Pentecoste, con queste parole che suonano come un lascito universale per i credenti di tutti i tempi. Solo due settimane prima, il 25 maggio, il Papa aveva invitato «nella sua casa» il presidente palestinese Mahmoud Abbas e quello israeliano Shimon Peres, a pregare insieme per la pace. L’invito era stato accolto da entrambi e il Papa aveva incaricato il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, di curare i dettagli organizzativi dell’incontro di preghiera.
Il clima tra i presenti è incoraggiante: a Santa Marta, la «casa» del Papa, Peres ed Abbas incontrandosi pochi minuti prima, si sono abbracciati di slancio.
«La storia ci insegna che le nostre forze non bastano . Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla. Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli. Abbiamo sentito una chiamata, e dobbiamo rispondere: la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, a spezzarla con una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre». 
Nel suo intervento Francesco insiste sulla fratellanza che unisce i credenti e sull’appartenenza alla comune famiglia umana, fatta di padri e figli: 
«Signori presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli : figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino. Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. È nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano. La loro memoria infonda in noi il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dialogo ad ogni costo, la pazienza di tessere giorno per giorno la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica, per la gloria di Dio e il bene di tutti».
«Per fare la pace ci vuole coraggio , molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo».

Papa Francesco ha poi recitato una preghiera per la pace che riportiamo integralmente:
Signore Dio di pace, ascolta la nostra supplica! Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momenti di ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani. Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “Mai più la guerra!”; “Con la guerra tutto è distrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace. Signore, Dio di Abramo e dei Profeti, Dio Amore che ci hai creati e ci chiami a vivere da fratelli, donaci la forza per essere ogni giorno artigiani della pace; donaci la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino. Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono. Tieni accesa in noi la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione, perché vinca finalmente la pace. E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra! Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre “fratello”, e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam! Amen.
Anche il presidente israeliano, che parla subito dopo il Papa, insiste sull’idea di famiglia comune: «Due popoli - gli israeliani e i palestinesi - desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali (…) Noi tutti siamo uguali davanti al Signore. Siamo tutti parte della famiglia umana. Senza la pace non siamo completi e dobbiamo ancora raggiungere la missione dell’umanità. (…) La pace non arriva facilmente. Dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze per raggiungerla. Per raggiungerla presto. Anche se ciò richiede sacrifici o compromessi».
«O Signore, porta una pace completa e giusta al nostro Paese e alla regione – ha pregato infine il presidente Abbas – così che il nostro popolo e i popoli del Medio Oriente e di tutto il mondo possano godere il frutto della pace, della stabilità e della convivenza. Noi desideriamo la pace per noi e per i nostri vicini. Cerchiamo prosperità e tranquillità per noi come per gli altri. O Signore, rispondi alle nostre preghiere e dà successo alle nostre iniziative perché tu sei il più giusto, il più misericordioso, Signore dei mondi».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6590&wi_codseq=HL007 &language=it

lunedì 12 maggio 2014

«Noi non siamo messaggeri del presidente Bashar al-Assad : parliamo sulla base della nostra esperienza di cittadini siriani»

Cristiani di Siria, un appello unitario da Ginevra per rilanciare la pacificazione

Aleppo: da 8 giorni alQaeda ha tagliato l'acqua canalizzata, già un centinaio i casi di malori per acqua putrida



TERRASANTA.NET , 9 maggio 2014
di Manuela Borraccino

(Ginevra) - Uniti per chiedere alla comunità internazionale di aiutare a riavviare la ricostruzione. Uniti per ribadire che «non ci sono cristiani e musulmani, non ci sono pro o anti-regime, ma solo siriani». Parte da Ginevra la campagna Cristiani di Siria: la sfida di parlare a una sola voce, come recita il titolo della conferenza con sette personalità cristiane di rango che si è svolta ieri sera a Ginevra, nell’affollato ex tempio protestante dell’Espace de Fusterie, in pieno centro.


All'inizio del quarto anno di guerra e con oltre 150 mila morti e milioni di sfollati interni o profughi, quattro presuli e tre laici a capo delle organizzazioni umanitarie cristiane impegnati sul terreno hanno rivolto un appello nella città simbolo della diplomazia internazionale per «preservare il mosaico siriano» formato da sunniti, alawiti, drusi e ben undici confessioni cristiane (secondo un censimento del 2011 in Siria vivevano 500 mila greco-ortodossi, 200 mila greco cattolici (o melchiti), 100 mila armeno-ortodossi, 90 mila siro-ortodossi o giacobiti, 40 mila siro-cattolici, 35 mila armeno-cattolici, 30 mila maroniti, 30 mila caldei, 30 mila assiri o nestoriani, 10 mila latini e 10 altrettanti protestanti).
Un mosaico, ha ricordato l’arcivescovo siriaco-ortodosso di Damasco mons. Dionysius Jean Kawak, da tre anni è minacciato dall’Islam radicale rappresentato da Al Qaeda o dal fronte Al Nusra, che come si è visto di recente negli orrori e crocifissioni perpetrate a Raqqa «si rivolge contro gli stessi musulmani moderati, prima ancora di perseguitare i cristiani».
Il pensiero è corso al martirio del gesuita padre Frans van der Lugt, ucciso un mese fa a Homs, e ai due vescovi rapiti nell’aprile 2013: «Il rapimento del metropolita siriaco ortodosso di Aleppo mons. Gregorius Hanna Ibrahim e dell’arcivescovo greco ortodosso di Aleppo mons. Boulos al-Yazigi non può essere considerato alla stregua di un sequestro come tutti gli altri – ha ribadito – e nonostante tutti gli sforzi e i tentativi di avere notizie in questi tredici mesi, nulla si sa sulla loro sorte», come su quella dei sacerdoti Paolo dall’Oglio, Michel Kayyal, Ishac Mahfouz.

Nella difficoltà di «avere un quadro chiaro della situazione sul campo e di quale evoluzione possa avere», l’arcivescovo melchita di Bosra e Hauran mons. Nicolas Antiba ha però affermato con forza che «non ci sarà pace per la Siria finché le potenze che si definiscono democratiche non costringeranno quei regimi che stanno distruggendo la Siria a smettere di sostenere con le armi, il denaro e l’ingresso di miliziani le bande armate che stanno terrorizzando la popolazione».
«Questa è sempre di più una guerra per procura», gli ha fatto eco mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo dei Latini e già Custode di Terra santa. Il presule ha rivolto un appello ai media internazionali a verificare la veridicità dei resoconti su quanto sta avvenendo in Siria, ad esempio dopo il massacro avvenuto nel villaggio di Gisser Es Schoughour il 2 giugno 2012, dove 125 poliziotti sono stati decapitati dai terroristi islamici e non, come erroneamente riportato, dall’esercito governativo. O sulla tratta di bambine vendute per porre rimedio alla fame, altra arma di guerra in Siria.

«Noi non siamo messaggeri del presidente Bashar al-Assad – ha ribadito Samir Laham, direttore delle relazioni ecumeniche e per lo sviluppo del patriarcato greco-ortodosso d’Antiochia e di tutto l’Oriente (Damasco) –; non siamo protetti da Assad e neppure sotto qualche sua minaccia: parliamo sulla base della nostra esperienza di cittadini siriani». 
A capo di una delle più attive organizzazioni umanitarie in Siria, Laham ha ricordato «il tremendo impatto che la guerra ha avuto sul tessuto sociale»: tensioni senza precedenti fra le comunità, emigrazione di un’intera classe di imprenditori e di giovani laureati, chiusura di scuole e università, una perdita di capitale umano inestimabile. In questo drammatico scenario le diverse Chiese siriane «hanno offerto tutto il loro sostegno a chiunque, musulmani e cristiani indipendentemente dalla fede di appartenenza».

 «Nessuno può trovare una soluzione politica al posto dei siriani – ha ribadito - ma questo richiede coraggio, fede, sacrificio. Ogni giorno usciamo di casa senza sapere se la sera torneremo. È urgente e necessario lavorare insieme per la ricostruzione della Siria e contro la presenza dell’islamismo fondamentalista che ha completamente alterato il panorama in Siria».

L’incontro si è chiuso con un appello al pubblico ginevrino e ai rappresentanti delle istituzioni cristiane presenti per fare il possibile per alleviare la morsa sulla popolazione con gli aiuti umanitari, ma soprattutto per fare pressioni sui rispettivi governi così che si possa riavviare il dialogo politico fra il regime e le opposizioni e costringere le monarchie della Penisola arabica a smettere di finanziarie i jihadisti stranieri presenti in Siria.
«I cristiani siriani – hanno ribadito insieme agli altri il vescovo greco ortodosso Nicola Baalbaki, il manager Ghassan Chahine, rappresentante della Chiesa greco-melchita presso il ministero degli Affari sociali siriano e Johny Messo, a capo del Consiglio mondiale degli aramaici – vogliono come ogni altro cittadino siriano a continuare ad essere parte integrante della società siriana, estirpare la corruzione ed insieme ai loro concittadini musulmani costruire uno Stato laico, dove tutti i partiti politici possano essere rappresentati indipendentemente dalla fede di appartenenza sulla base di una Costituzione accettata da tutti».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6416&wi_codseq=SI001 &language=it

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SOS Siria 


Un ponte per far conoscere Organizzazioni Associazioni Enti e Parrocchie che aiutano direttamente i siriani dentro il paese. Vi aiuteremo a conoscerli e a mettervi in contatto con loro.





Msr Nicolas Antiba

Genève: Les responsables chrétiens syriens parlent d’une seule voix: Ils demandent davantage d’objectivité aux médias occidentaux   



Jacques Berset, agence Apic

Genève, 11 mai 2014 (Apic) Parlant d’une seule voix, une délégation de responsables des Eglises syriaque orthodoxe, grecque orthodoxe, grecque melkite catholique et catholique romaine de Syrie ont demandé la solidarité des chrétiens d’Occident avec tout le peuple syrien. Chrétiens et musulmans confondus souffrent atrocement de cette guerre «fortement alimentée, de l’étranger, en armes et en hommes». Les responsables ecclésiaux ont également déploré le fait que l’information des médias occidentaux est trop souvent unilatérale.

Genève Mgr Giuseppe Nazzaro, ancien vicaire apostolique à Alep (Photo: Jacques Berset)
Genève Mgr Giuseppe Nazzaro, ancien vicaire apostolique à Alep (Photo: Jacques Berset)

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