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mercoledì 9 ottobre 2013

Hollande al fianco dei cristiani siriani Defunti



La Bussola Quotidiana - 09-10-2013
di Gianandrea Gaiani 

Ci sono notizie che lasciano stupefatti e impongono di chiedersi se stiamo sognando o se ci stanno prendendo per i fondelli. Lunedì il presidente francese, François Hollande, ha «espresso preoccupazione per la sorte dei cristiani d'Oriente, in particolare in Siria, e ha dichiarato la volontà della Francia di stare al loro fianco». È quanto si legge in una nota diffusa dall'Eliseo al termine dell'incontro con il neo presidente della Conferenza episcopale francese, Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia.

Parole che destano sconcerto se si considera il supporto totale e incondizionato che Hollande ha fornito e continua a fornire ai ribelli siriani, per lo più gruppi salafiti, jihadisti, qaedisti ma anche “moderati” (ammesso che si possa essere islamisti e moderati) con qualche piccolo movimento di ispirazione laica ma ininfluente e che in ogni caso non si sono mai distinti nel preoccuparsi per la sorte dei cristiani. C’è da chiedersi se l’inquilino dell’Eliseo abbia avuto un momento di confusione mentale durante l’incontro con l’arcivescovo o se abbia deciso di prendere in giro tutti. Più probabile che le sue affermazioni siano frutto di quell’opportunismo dialettico che da semplice strumento sembra essere diventato l’unico contenuto della politica estera, non solo francese ma di tutta l’Europa.

Come si può essere preoccupati per la sorte dei cristiani d’Oriente ed essere a tempo stesso in prima linea a chiedere un’azione militare internazionale contro il regime di Bashar Assad? Certo il presidente siriano non è un santo ma ha sempre garantito e tutelato la multi confessionalità e i diritti di tutte le comunità etniche e religiose del suo Paese. Non è un caso che i cristiani lo sostengano, consapevoli che ogni alternativa all’attuale regime è uno Stato islamico nel quale non c’è posto non solo per i cristiani ma neppure per gli sciiti o i non-sunniti. Come può Hollande affermare di voler stare al fianco dei cristiani quando la Francia si fa dettare la politica estera da Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti ? Non certo esempi di democrazia o di rispetto dei diritti umani che con qualche decina di miliardi di euro di investimenti a Parigi e dintorni (anche in armi) si sono comprati l’appoggio militare e diplomatico, rilevante soprattutto all’Onu dove Parigi ha il diritto di veto, della Francia.
A dire il vero in questo scivolone vergognoso per la patria di “Liberté, Egalité, Fraternité” il presidente Hollande ha solo la colpa di aver continuato la politica del suo predecessore, quel Nicolas Sarkozy protagonista ed esecutore (per conto delle monarchie petrolifere del Golfo) della farsesca “rivoluzione” libica che ha portato jihadisti, criminali e terroristi a dividersi il Paese dominato da 42 anni dal regime di Muammar Gheddafi, dittatore certo ma che aveva sempre combattuto gli islamisti tutelando nel Paese la libertà di culto.
Come dimenticare poi l’imbarazzo dei servizi segreti francesi, raccontato dal giornale satirico Canard Enchainée, che durante l’intervento militare in Mali cercavano di spiegare a Monsieur le President che i suoi amici dell’emirato del Qatar armavano e finanziavano i qaedisti che avevano occupato il nord del Mali e puntavano a mettere le mani sulle miniere di uranio del Niger gestite dai francesi.
Nella nota dell’Eliseo, al termine dell’incontro tra Hollande e Georges Pontier, si legge che «questo primo incontro è stata l'occasione per uno scambio sui grandi temi della società, i rapporti tra Stato e religioni e la situazione internazionale». Il presidente socialista ha anche sottolineato l'importanza che attribuisce al «dialogo costante tra poteri pubblici e rappresentanti religiosi», ma probabilmente gli è sfuggito il fatto che buona parte dei civili in fuga dalla Siria e in rotta verso l’Europa sono cristiani accomunati ai copti egiziani e ai cristiani d’Iraq da una diaspora determinata, non dalla miseria e non tanto dalla guerra, ma dalle persecuzioni religiose. Una vera e propria pulizia etnica attuata dalle milizie sunnite di cui la Francia è complice consapevole.

L’Onu prevede che l’anno prossimo oltre quattro milioni di persone, tra sfollati e rifugiati, fuggiranno dalla guerra in Siria. circa 2 milioni diverranno profughi mentre 2,25 milioni saranno sfollati all'interno del Paese. Tra questi vi saranno altri cristiani perseguitati nelle zone “liberate” dai ribelli tanto cari a Hollande, fautore dell’iniziativa di armare i ribelli siriani senza armare i terroristi.
Peccato che i reporter dell’agenzia Reuters abbiano mostrato foto e video nei quali i ribelli “moderati” dell’Esercito Siriano Libero (Esl) rivendono per cifre considerevoli (10/15 mila dollari al pezzo) ai terroristi islamici legati ad Al Qaeda di Jabhat Al Nusra missili anticarro, antiaerei e armi di ogni tipo consegnate con il “placet” degli Occidentali, francesi in testa. Un traffico raccontato dal quotidiano libanese Daily Star citando fonti dell’Esl e giordane, certo ben informate considerato che molte armi sono giunte ai ribelli proprio attraverso Amman dove la Cia addestra i combattenti dell’Esl. In altri casi i qaedisti hanno sconfitto in battaglia i “moderati” strappando loro le armi più sofisticate ma in altri ancora intere brigate dell’Esl sono passate con armi e bagagli dalla parte degli islamisti nel neo costituito Esercito di Allah sponsorizzato da Riad.

Come ha ricordato ieri un articolo di Italia Oggi il 19 settembre Hollande aveva annunciato che «è giunto il momento di armare i ribelli in Siria, sarà un processo controllato perché non possiamo accettare che le armi finiscano nelle mani di jihadisti contro i quali combattiamo». Di questo passo, Monsieur le President, l’unico modo che avrà per stare vicino ai cristiani d’Oriente sarà andare al loro funerale.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-hollande-al-fiancodei-cristiani-sirianidefunti-7462.htm#.UlUQ_APMi3U.facebook

A UN ANNO DAL MARTIRIO DI PASCALE

Riproponiamo  la "Lettera Aperta al Presidente della Repubblica Francese e  al suo Ministro degli Affari Esteri" , apparsa su molti giornali francesi un anno fa, scritta dal padre di Pascale Zerez, una ragazza cristiana di 20 anni, sposata da soli 3 mesi e uccisa sul bus che la trasportava da Lattakia ad Aleppo nell' attacco delle bande dell'Armata Siriana Libera. 

ALEPPO,  Domenica 14 ottobre 2012

Lettera aperta al Presidente della Repubblica Francese e al Ministro degli Affari Esteri.

Signor Presidente della Repubblica Francese,
Signor Ministro degli Esteri,

Proprio come molti siriani, mi ritrovo padre di una vittima della guerra in atto nel nostro paese. Pascale aveva venti anni quando, il 9 ottobre, il bus pubblico su cui viaggiava è stato oggetto di un attacco in cui è morta, assassinata da una banda armata riconosciuta come parte dell'Esercito Siriano "Libero" a cui Lei dà supporto, incoraggiamento e che Lei alimenta fin dall'inizio del movimento.
Ragioni di Stato forse La spingono a prendere posizione a favore dell'Esercito Siriano "Free" (ASL)  ma non è certo nell’intento di liberare il popolo siriano dalla dittatura. L'attuale regime siriano e il suo apparato politico non è tenero, noi lo sappiamo bene e da molto tempo, ma le "bande" dell’ ASL associano ugualmente la brutalità alla arbitrarietà: il movimento porta con sé i semi di una nuova dittatura che sicuramente ci farà rimpiangere la precedente.
Sotto slogan generosi di libertà, di democrazia e di partecipazione al potere, Lei, con i suoi alleati, ha incoraggiato l'introduzione sul nostro territorio di gruppi estremisti salafiti, e altri elementi del movimento di Al Qaeda che vengono a uccidere e ad essere uccisi qui da noi, distruggendo ciò che possono sulla loro strada; perché dunque averceli inviati? Gli Occidentali non avrebbero avuto il coraggio di affrontarli essi stessi? Se il vostro obiettivo è quello di distruggere la Siria per proteggere Israele, credete veramente che ridurre il popolo siriano alla rovina e alla miseria potrà pacificare e dare sicurezza ad Israele?
I vostri predecessori, tra cui i rivoluzionari del 1789 hanno sempre fornito supporto e protezione per le minoranze cristiane in Siria e in Oriente. Oggi le vostre prese di posizione hanno l'effetto opposto e portano alla loro eliminazione. Credete che sradicare i cristiani porterà la civiltà?
E 'sorprendente come in breve tempo la politica francese sia riuscita a farci dubitare del significato della sua rivoluzione e il suo emblema: "Libertà, Uguaglianza, Fraternità"!
In Siria, la vostra politica nel senso della pratica del potere, ha introdotto l'arbitrarietà; così si può riassumere con un altro slogan: libertà e uguaglianza in Siria, mentre in Qatar oligarchia e privilegi. E circa la fraternità, che regnò da noi in mezzo alla gente, ecco che avete incoraggiato la guerra settaria, ignorando le palesi discriminazioni che vengono praticate in altri paesi arabi, tra cui l'Arabia Saudita.
Ci è stato detto che il cristianesimo non ha più gran credito nel Suo paese, ma al momento non si vede apparire una filosofia  più generosa e più evoluta di quella religione che ha costruito le cattedrali. In pochi mesi, Lei è arrivato con i suoi alleati a trasformare la fratellanza siriana musulmano-cristiana, che dobbiamo a queste due religioni, in una guerra quasi confessionale. E tuttavia, questo accordo religioso è la garanzia di un Islam tollerante che potrebbe diffondersi in tutto il mondo.
In cambio, la guerra che viviamo per volontà dell’ESL e dei suoi alleati sembra trasformare la  convivenza in ostilità, che si diffonderà in tutto il mondo con una maggiore rapidità rispetto al progetto. Può esserne certo: gli sconvolgimenti che ora viviamo noi, li verrete a vivere al più presto pure voi. Che cosa si sente echeggiare per le strade di Aleppo? "Dopo la Siria, l'Europa."
L'Islam moderato è molto fragile perché il Profeta mette in guardia i musulmani contro l'alleanza con i non-musulmani circa l’ opporsi ad altri musulmani. Lasciando proliferare l’Islam fondamentalista voi rendete ancora più fragili i musulmani moderati. Voi giocate anche contro di loro. Il fondamentalismo islamico ha sempre l'ultima parola, perché i moderati sono deboli e paralizzati dai versi del Corano nella lotta contro gli estremisti.
Il proverbio arabo dice: "Chi prepara un pasto velenoso è il primo a morire perché egli deve gustarlo". E il proverbio francese non dice forse "i guadagni illeciti alla fine non pagano mai"? Gli Stati Uniti hanno creato Bin Laden, ed hanno avuto l'11 settembre.
Naturalmente, ci sono molte ragioni che inviterebbero i cristiani siriani a prendere le distanze dal gruppo corrente del regime siriano; però vi posso dire che noi, cristiani siriani, non vediamo motivo di distruggere il nostro paese e uccidere i nostri bambini per passare da una corruzione ad un’ altra che sarebbe semplicemente per servire altrui interessi.
Meglio mantenere la politica che vogliamo, piuttosto che seguirne un’altra di cui non abbiamo il presentimento che sia molto migliore . La vostra politica non è altro che incoraggiare l'installazione di uno Stato confessionale in Siria attraverso l'adozione della legge islamica. Il Presidente Mursi, membro dei Fratelli Musulmani, come quelli che si delineano in Siria, non ha manifestato l'intenzione di imporre la "sharia" anche ai cristiani d'Egitto? Quando l’avremo a casa nostra, grazie a voi, non ci sarà che augurarla pure a voi e alle vostre donne.
Perché questa lettera aperta di un padre colpito in ciò che ha di più caro? E 'per esprimere un cuore ferito dal dolore o perchè questa sofferenza proclami ad alta voce ciò che un cuore tiepido e indifferente non è in grado di suggerire?
Signor Presidente della Repubblica Francese, Signor Ministro degli Affari Esteri, accettate che vi inviti a cambiare la vostra politica per adottarne una più coraggiosa e più virile,
Accettate che il mio invito sia una supplica, ma non rimanete più a lungo implorati. In nome della libertà e di ciò che ne resta, in nome dell'uguaglianza e di quello che se ne è fatto e il nome della fratellanza umana ridotta in briciole, io vi prego, con migliaia di famiglie, di smettere di sostenere e finanziare le bande armate che proclamano che il vostro turno verrà dopo il nostro.
Abbiate pietà delle famiglie ferite e disarmate, delle famiglie in lutto, delle famiglie che non hanno più tetto, di centinaia di migliaia di giovani che non hanno più speranza.
Avete visto come Aleppo, la città millenaria, è diventata una città fantasma? Potreste anche solo immaginare Parigi diventare una città fantasma, dove centinaia di migliaia di famiglie francesi vaghino in cerca di rifugio per evitare spari e i tiri di mortaio dell’ arbitrarietà, del fanatismo e della brutalità?
I vostri alleati sul posto si sono accaniti su Aleppo, con i suoi bazar che hanno alimentato per secoli l'Europa, hanno attaccato perfino le rovine. La Basilica di San Simeone che circonda la famosa colonna del celebre primo Stilita è ormai una rovina di rovine. Decine di Chiese, Moschee, le fabbriche, le scuole, le università sono stati oggetto di loro colpi e che dire dei tesori archeologici che vengono rubati e dispersi per portarci la democrazia!
Vi supplichiamo, Signor Presidente della Repubblica Francese, Signor Ministro degli Affari esteri della Repubblica Francese, cessate il vostro sostegno agli elementi armati che non obbediscono a nessuna legge e tornate a ciò che ha fatto la gloria della Francia.
Vi prego di accettare, Signor Presidente della Repubblica Francese, Signor Ministro degli Affari esteri della Repubblica Francese, l'espressione della mia più alta considerazione.

Claude ZEREZ, padre di Pascale uccisa a Homs all’età di 20 anni il 9 ottobre 2012.

venerdì 27 settembre 2013

Si costituisce il nuovo fronte islamista in Siria: "Ci guida solo la sharia, instauriamo il Califfato"



Siria, ormai è guerra di tutti contro tutti


La Bussola Quotidiana- 27-09-2013
di Gianandrea Gaiani

Mentre al Palazzo di Vetro sembra configurarsi un’intesa tra Washington e Mosca per una risoluzione che imponga a Damasco il disarmo chimico citando solo generiche “conseguenze” nel caso l’impegno venisse disatteso, il conflitto siriano è ormi divenuto ufficialmente uno scontro tra tre diversi protagonisti politici e militari. Dopo mesi di scontri sempre più sanguinosi all’interno della galassia delle bande dei ribelli le milizie islamiste hanno annunciato la costituzione di un organismo congiunto. Di fatto oggi a contendersi il controllo del Paese sono non meno di tre fazioni:

i governativi fedeli a Bashar al Assad  con gli alleati hezbollah libanesi, pasdaran iraniani e miliziani sciiti iracheni

i ribelli laici (pochi) e islamici moderati della Coalizione Nazionale Siriana guidata da esponenti dei Fratelli Musulmani

- il neocostituito network “Islam e Sharia” che raccoglie almeno 13 gruppi armati salafiti e qaedisti.

Di quest’ultimo raggruppamento, dichiaratosi ostile al Cns come al governo di Damasco, fanno parte le milizie militarmente più forti tra le tante presenti sul fronte degli oppositori a Bashar al Assad e quelle che hanno conseguito maggiori successi sul campo di battaglia e che controllano le porzioni più ampie dei territori “liberati”. Superfluo aggiungere che si tratta anche dei gruppi che hanno beneficiato dei miliardi di dollari e migliaia di tonnellate di armi e munizioni forniti da sauditi, qatarini e altri emirati del Golfo.
Al manifesto di Islam e Sharia, reso noto con un video sui siti internet jihadisti e reso noto dalla Bbc, hanno aderito il Fronte al-Nusra dichiaratamente legato ad al-Qaeda, la brigata salafita Ahrar al-Sham e dalla Brigata Tawheed considerata vicina ai Fratelli Musulmani ma poi passata quest’anno su posizioni islamiche più oltranziste.
Tutte milizie distintesi per le violenze sui prigionieri e sui civili sciiti e cristiani.

Raqqa: demolito il crocifisso, viene issato lo stendardo di al -Nousra sul campanile della Chiesa cattolica

Il nuovo organismo considera avversari gli oppositori “moderati” al regime siriano definiti «gruppi che si sono costituiti all'estero senza un ritorno nel Paese che non ci rappresentano». Per questo gli islamisti invitano “tutte le forze militari e civili” a unirsi sotto una «chiara cornice islamica sulla base della sharia, che dovrebbe essere l'unica fonte di diritto» come ben sanno migliaia di cittadini siriani “liberati” costretti a subire la legge coranica. Le forze confluite nel nuovo organismo «ritengono di poter essere rappresentate in modo legittimo solo da coloro che hanno vissuto la stessa esperienza e condiviso lo stesso sacrificio dei loro figli onesti» e «pertanto non riconoscono né la Coalizione nazionale né il governo ad interim degli oppositori nelle zone liberate della Siria».

Evidente quindi che l’obiettivo di Islam e Sharia è scardinare il consenso sorto intorno al CNS riconosciuto da oltre cento Paesi come rappresentante legittimo dell'opposizione siriana indirizzando la rivolta su basi prettamente islamiste che rinuncino a ogni pur vago richiamo alla democrazia per sostenere il Califfato, modello di Stato autoritario basato sulla sharia. A conferma che le armi e il denaro di cui dispongono gli islamisti contribuiscono a fare proselitismo tra i combattenti di altre milizie  ad Islam e Sharia hanno aderito anche alcune brigate dell'Esercito Libero Siriano (Els), la formazione militare composta da disertori dell’esercito di Assad ormai frazionatasi in diverse bande. Alcune laiche, altre islamiche moderate, altre ancora di ispirazione salafita. Al momento non sembra aver aderito al “cartello” lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, braccio operativo di al-Qaeda in Iraq e Siria, forse desideroso di mantenere la propria autonomia da un organismo che pare essersi costituito su “suggerimento” di Riad.

Negli ultimi giorni le battaglie tra le milizie islamiste e quelle moderate si sono intensificate in tutta la Siria. Il 23 settembre almeno 26 persone sono morte in scontri tra qaedisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante e i ribelli dell'Els nella provincia di Idlib, nel nord della Siria, a pochi chilometro dalla frontiera con la Turchia. Tra i caduti anche Abu Abdullah al-Libi, uno dei più importanti comandanti qaedisti. Ieri invece i miliziani del Partito dell’unione democratica de Kurdistan (Pyd) hanno attaccato i jihadisti ad Atma, sempre sul confine turco. Dal giugno scorso è in corso un’offensiva dei gruppi jihadisti per cercare di togliere agli uomini del Pyd (che accusano Ankara di appoggiare gli islamisti) il controllo di parte delle aree del Nord prevalentemente curde da dove si sono ritirate le forze governative di Damasco.

Per Lakhdar Brahimi, il rappresentante speciale Onu nel Paese mediorientale, il rischio è che in Siria vi sia «una guerra nella guerra e che si arrivi alla conferenza di Ginevra senza una rappresentazione vera dell'opposizione visto che le divisioni sono evidenti anche tra le frange moderate. Nelle prossime ore il leader del Cns, Ahmad Al-Jarba cercherà di ricucire lo strappo tra le diverse fazione ma nel crescente caos che caratterizza il conflitto siriano emerge sempre più chiaramente che l’unica alternativa al regime di Assad è il Califfato islamista.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-siria-ormai-e-guerra-di-tutti-contro-tutti-7375.htm




Cattive notizie dal fronte orientale: con il passaggio di 13 brigate dei cosiddetti ribelli siriani nelle file di Al Qaeda, il network del terrore si allarga e diventa il protagonista unico della campagna militare contro Assad. I cosiddetti ribelli siriani, legati a doppio filo con gli apparati militari occidentali, restano una sparuta minoranza, con ruoli di rappresentanza, da portare ai convegni, e di monitoraggio, da utilizzare cioè come agenzia stampa per “documentare” i crimini del regime di Assad (non quelli di altri, ovvio).
Da tempo sul campo si assiste a una guerra intestina, alquanto sanguinosa, tra le fazioni avverse a Damasco: anche a Goutha, luogo dove è stata perpetrata la strage al centro dell’interesse internazionale, c’erano scontri tra fazioni avverse, cosa che ha aumentato la confusione intorno alla vicenda.
Con questa migrazione di miliziani sotto le proprie bandiere, al Qaeda incassa la più significativa vittoria dall’inizio del conflitto. 

Dal momento che sarà difficile portare al Qaeda al tavolo dei negoziati, la svolta risulta un ennesimo ostacolo sulla via della risoluzione del conflitto. Una pacificazione con la fazione egemonizzata dal cosiddetto libero esercito siriano avrebbe ben poche conseguenze sul campo. Per estinguere l’incendio, quindi, occorrerà altro: anzitutto prosciugare il fiume di denaro che alimenta queste fazioni estreme, che tutti sanno da dove proviene...


http://www.piccolenote.it/13898/si-spacca-la-coalizione-anti-assad-13-brigate-passano-con-al-qaeda

domenica 22 settembre 2013

Siria, due terzi dei ribelli sono integralisti



La Bussola Quotidiana 
di Gianandrea Gaiani17-09-2013

Gli sforzi di Washington di spiegare che il sostegno in denaro e armi fornito ai ribelli siriani “buoni” (moderati) permetterà di sconfiggere il regime di Bashar al Assad e di scalzare i ribelli “cattivi” (qaedisti e salafiti) sono destinati ad infrangersi di fronte a due elementi. 
Il primo è costituito da un dato di fatto: anche ieri lungo il confine tra Siria e Iraq i miliziani jihadisti di Al Qaeda in Iraq e nel Levante hanno ingaggiato battaglia non contro i lealisti, ma contro altri gruppi di insorti che combattono Assad ma non per instaurare il Califfato in Siria. Scontri come questi si moltiplicano ormai da settimane in tutto il Paese e vedono i gruppi qaedisti e salafiti affrontare armi in pugno curdi e miliziani dell’Esercito Siriano Libero o di altri gruppi non islamisti con l’obiettivo di sconfiggerli e assimilarne combattenti e popolazioni nelle aree sotto il loro controllo. Inutile farsi illusioni: in Siria è meglio essere consapevoli che combattere la dittatura di Assad significa portare Al Qaeda, i salafiti e altre sfumature dell’estremismo islamico di matrice saudita al potere sulle sponde del Mediterraneo.

Il secondo elemento, a conferma di questa tragica realtà che dovrebbe scoraggiare quanti romanticamente sognano una Siria democratica e libera sorgere dalle ceneri del regime di Assad, è costituito dal rapporto reso noto ieri dall’istituto IHS Jane’s di Londra . «Le forze di opposizione che combattono contro il regime di Bashar al-Assad in Siria sono composte da circa 100mila uomini che dopo due anni di guerra risultano suddivisi in un migliaio di fazioni e bande», sostiene lo studio precisando che tra i ribelli ci sono 10mila jihadisti, tra cui un certo numero di combattenti stranieri, che fanno capo a gruppi legati ad Al Qaeda. Altri 30/35mila sono islamisti estremisti che, a differenza dei jihadisti, sono focalizzati unicamente sulla guerra in Siria e non sulla lotta internazionale. Infine, circa 30mila combattenti sono “islamici moderati”, in gran parte appartenenti alle milizie dei Fratelli Musulmani. Solo 25 mila miliziani sarebbero quindi animati da ideologia laica o spirito nazionalista, come nel caso dei curdi. Il rapporto fotografa una situazione che demolisce la retorica della lotta per la libertà. Siriani sunniti e una sorta di “legione straniera islamica” combattono il jihad contro il regime laico e chiunque ostacoli l’imposizione della sharia, già legge in molte aree “liberate” dai guerriglieri, e istituire il Califfato.
Ordine FSA 's Consiglio Sharia: tutti gli uomini nati tra 1983-94 saranno costretti a unirsi al Jihad

«Gli insorti – ha commentato al Daily Telegraph Charles Lister, autore dello studio - sono ormai dominati da gruppi islamisti e dall'analisi non esce certo confermata l'idea che l'opposizione sia guidata soprattutto da gruppi laici». Lo studio si basa su stime e colloqui con attivisti e militanti. Il conflitto ha visto emergere centinaia di bande autonome ognuna delle quali opera in piccole sacche di resistenza del paese, normalmente leali a fazioni più grandi. Sommando i combattenti di Al Qaeda con salafiti e fratelli musulmani le milizie di ispirazione islamica rappresentano i tre quarti delle forze dei ribelli e in termini militari anche di più poiché gli aiuti e i fondi provenienti dalle monarchie del Golfo hanno ingigantito le capacità di queste milizie in particolare dei due gruppi legati ad Al Qaeda, Jabhat Al Nusra e lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante che sono diventati dominanti. Secondo Lister «la loro influenza è cresciuta in modo significativo nel corso dell’ultimo anno».



Tra le armi giunte in grandi quantità ai qaedisti pare vi siano anche quelle chimiche. Fonti militari statunitensi avrebbero infatti ammesso in un rapporto segreto che anche i ribelli ne dispongono. Il documento dell’intelligence militare dell’Esercito statunitense rivelerebbe che i terroristi di Al Nusra dispongono di gas Sarin, notizia del resto già fatta trapelare in più occasioni dagli stessi ribelli. Il report realizzato da una branca dell’intelligence dell’US Army (National Ground Intelligence Center) è stato reso noto on line negli Stati Uniti da WND.com con un articolo di Michael Maloof, ex analista politico del segretariato della Difesa statunitense. Il gas dei ribelli non avrebbe la stessa letalità anche in piccolissime dosi di quello militare perché sarebbe stato prodotto in modo “artigianale” in Iraq, presso laboratori clandestini gestiti da Al Qaeda e che impiegano probabilmente tecnici che avevano lavorato al programma di armi chimiche di Saddam Hussein.

Nel maggio scorso i militari turchi avevano confiscato due chili di “Sarin fatto in casa” a miliziani di Al Nusra diretti in Siria che avrebbero usato quest’arma nel marzo scorso ad Aleppo uccidendo una trentina di soldati lealisti. Il fatto è che il gas Sarin “artigianale” è stato utilizzato con ogni probabilità anche il 21 agosto nei sobborghi di Damasco. L’assenza di contrazioni nei cadaveri mostrati dai video diffusi dai ribelli e la presenza di soccorritori privi di protezioni accanto ai corpi induce a ritenere che si trattasse di un gas letale ma solo in grandi quantità e poco persistente rispetto al Sarin “militare”. 
Un ulteriore elemento che dovrebbe imporre una riflessione sulle responsabilità di quell’attacco e in ogni caso, se si impone ad Assad di consegnare le armi chimiche, sarebbe il caso di imporlo anche ai ribelli.


martedì 3 settembre 2013

E se la verità sulle armi chimiche fosse un'altra?


Siria: i gas (forse) erano proprio dei ribelli

da La Bussola Quotidiana - 3 settembre 2013
di Gianandrea Gaiani

Nonostante in tutto il mondo la crisi siriana sia al centro dell’attenzione pochi media hanno diffuso una notizia che dovrebbe risultare invece di grande interesse soprattutto per dipanare la matassa intorno all’origine e all’impiego del gas nervino che il 21 agosto ha ucciso un numero imprecisato di persone nei sobborghi di Damasco. Con una serie di interviste alcuni ribelli siriani appartenenti a gruppi islamisti attivi nel settore di Ghouta hanno ammesso che sono stati loro i responsabili del massacro di civili che Washington e parte della comunità internazionale vorrebbe attribuire ad Assad.
Le armi chimiche sarebbero state fornite ai miliziani dal loro “sponsor”, l’Arabia Saudita attraverso i servizi d’intelligence guidati dal principe Bandar bin Sultan. La “fuga di gas” sarebbe da attribuire all’inesperienza dei miliziani a maneggiare armi chimiche che in ogni caso è probabile avessero ricevuto per creare un incidente a pochi chilometri dall’hotel che ospitava i tecnici dell’Onu esperti proprio in armi chimiche creando così un casus belli. Il reportage firmato da Dale Gavlak (che collabora da anni con l’agenzia Associated Press con corrispondenze da Amman) e Yahya Ababneh il 29 agosto non è certamente di quelli che passano inosservati.  Stranamente non apparso sul sito dell’AP ma sul giornale on line Mintpressnews. Per quale ragione? Le fonti non erano considerate affidabili o la notizia era “troppo esplosiva” per essere diffusa da una delle principali agenzie di stampa del mondo? Il report sul campo è stato effettuato da Yahya Ababneh che ha parlato con i ribelli e i famigliari delle vittime mentre Dale Gavlak ha raccolto la documentazione e fatto il lavoro di ricerca. Le diverse testimonianze parlano chiaro, i ribelli nascondono in moschee e case private le armi, anche quelle chimiche ma a causa dell’inesperienza avrebbero commesso un errore fatale liberando il sarin. Un errore subito dopo sfruttato a fini propagandistici realizzando i video con i quali viene accusato il regime.

   continua qui la letturahttp://www.lanuovabq.it/it/articoli-siria-i-gas-forse-erano-proprio-dei-ribelli-7201.htm



Siria, ribelli: «Abbiamo fatto esplodere noi per sbaglio le armi chimiche». Il reportage che nessuno cita


http://www.tempi.it/siria-ribelli-armi-chimiche-ghouta-reportage



Testimonianze siriane a Ghuta: sono stati i ribelli, riforniti dall’Arabia Saudita, a usare armi chimiche
Le prove ci sono, ma contro i “ribelli”
di Dale Gavlak, Yahya Ababneh


http://www.mintpressnews.com/witnesses-of-gas-attack-say-saudis-supplied-rebels-with-chemical-weapons/168135/

http://www.ossin.org/crisi-siriana/le-prove-ci-sono-ma-contro-i-ribelli.html


I ribelli siriani ammettono che il Sarin è responsabilità loro, si è trattato di un incidente

Il costo della ricostruzione della Siria: 73 miliardi di dollari

A Damasco tra macerie e paura. "Ma qui dei gas non c'è ombra"

Le testimonianze raccolte dal nostro cronista, unico reporter italiano nell'area del presunto attacco chimico: "Le bombe sono un incubo. Eppure la storia del sarin..."

da Il Giornale - 03/09/2013
di Gian Micalessin
......
Malek, un regista sulla sessantina seduto sul balcone di un appartamento affacciato su piazza Khouri tira le tende, mostra finestre e tapparelle trasformate in colabrodo. «Io nella vita faccio il regista sono abituato a cercar di capire quel che mi succede attorno. Qui ogni notte vedo e sento i bombardamenti dei ribelli. Vedo anche quelli dell'esercito che risponde. Quando il tutto sale d'intensità scappo in cantina per salvare la pelle. Di gas non ne ho mai visto l'ombra. Eppure vivo in prima fila. Se faccio due passi e arrivo a quell'angolo riesco a scorgere le case e le strade di Jobar. Tutta questa faccenda mi sembra perfettamente in linea con la politica di Obama. Lui è un presidente assai bravo a predicare, ma assai poco attento a guardare cosa succeda veramente sulla faccia della terra. Si sforza di credere alla faccenda dei gas perché si sposa bene con la sua strategia. Lui sta dalla parte dei ribelli e li usa per i suoi scopi. Ma mi fa veramente ridere quando minaccia di bombardarci per salvare il popolo siriano. Là davanti a Jobar combattono tunisini, afghani, ceceni, turchi e al qaidisti nemici dell'America. Qui invece vivono solo siriani. Siriani di tutte le fedi e di tutte le etnie come è sempre stato qui in Siria negli ultimi cinquant'anni. Ma per lui il vero popolo siriano è quello venuto dall'estero. Quello che ci spara addosso da Jobar».

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/damasco-macerie-e-paura-qui-dei-gas-non-c-ombra-laltra-verit-947253.html


«Si fermi il rumore delle armi». Appello contro l’intervento militare in Siria : firma anche tu!


Sottoscrivete l’appello di Tempi, Ora pro Siria e Cultura Cattolica contro l’intervento militare in Siria. Il testo con le firme sarà inviato ai parlamentari italiani e al ministro degli Esteri 

sabato 17 agosto 2013

Siria, la rivolta è nelle mani degli islamisti

e in Iraq  e in Egitto......


da La nuova Bussola Quotidiana , 09-08-2013
di Gianandrea Gaiani


Al di là dei toni propagandistici tre sono gli elementi che emergono dai recenti sviluppi militari del conflitto siriano. Innanzitutto i governativi sono all’offensiva e con successo nei settori di Homs e Aleppo grazie agli aiuti militari russi e ai volontari sciiti giunti da Iran, Libano e Iraq.

Il secondo elemento è rappresentato dal crescente peso delle brigate islamiste, salafiti e membri di al-Qaeda, all’interno della galassia dei rivoltosi. Ormai sono loro a guidare le operazioni più importanti e a scontrarsi sempre più spesso con le milizie laiche o moderate e con i curdi. Come ha riferito il ministro degli Esteri, Emma Bonino, sembra siano stati gli uomini di al-Qaeda in Siria e Iraq a catturare il gesuita Padre Dall'Oglio anche se (come nel caso del reporter Domenico Quirico) non vi sono state rivendicazioni ufficiali. Il sospetto è che la cattura di ostaggi occidentali si riveli funzionale al piano di al-Qaeda di proporre uno scambio con i prigionieri ancora detenuti a Guantanamo e in altre carceri.

Gli unici successi militari registrati dai ribelli siriani sono da attribuirsi alle forze jihadiste. Gli “stranieri” dell'organizzazione Jaish al-Muhajireen wa Ansar (Esercito degli Emigranti e degli Aiutanti), il cui leader è il georgiano Abu Omar al-Aishani, hanno espugnato la base aerea di al-Menagh, vicino ad Aleppo . "Il valore di questa base è altamente simbolico", ha detto Charles Lister, analista del Jane's Terrorism and Insurgency Center, società di consulenza militare britannica. "Si tratta della prima grande conquista da parte dell'opposizione dopo diversi mesi - ha aggiunto - ma dal momento che è sotto il controllo di gruppi jihadisti, dimostra l'importanza del loro ruolo nei combattimenti". Lister ha seguito nell'ultimo anno l'ascesa dell'organizzazione jihadista sul campo di battaglia siriano e ha visionato diversi loro video, tra cui uno in cui cittadini occidentali discutono della loro guerra contro Damasco e chiedono sostegno in lingua inglese, francese, tedesca, spagnola, oltre che araba. Secondo gli analisti britannici, citati anche dal Wall Street Journal, Jaish al-Muhajireen sarebbe "la principale organizzazione di reclutamento di non-siriani nel conflitto siriano" e opera in stretto coordinamento con i militanti di al-Qaeda in Siria, dello Stato Islamico dell'Iraq e al-Sham, alleati a loro volta con il Fronte al-Nusra, riconosciuta come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti.

Il 3 agosto le milizie jihadiste del Fronte al-Nusra, Liwa al-Islam, il Battaglione al-Tawhid, Meghaweer e il Battaglione dei Martiri di Qalamon hanno espugnato un vasto deposito di armi e munizioni nei pressi di Qaldun, villaggio situato una cinquantina di chilometri a nord-est di Damasco, a ridosso della strategica autostrada che la collega ad Aleppo. Non c’è da stupirsi se il numero due della Cia, Michael Morell, in una intervista al Wall Street Journal, ha dichiarato che quello siriano “è probabilmente il problema più impellente nel mondo oggi a causa della dimensione che sta assumendo", sottolineando la presenza di combattenti stranieri fra le fila dell'insurrezione, come nei peggiori momenti della guerra in Iraq. Il rischio è che il conflitto si estenda oltre le sue frontiere o che il regime del presidente Bashar al Assad crolli e che la Siria diventi un nuovo santuario per al Qaeda. Le armi in possesso del governo, comprese le armi chimiche, rischiano di ritrovarsi nelle mani sbagliate, ha avvertito.

Il terzo elemento è rappresentato dalla progressiva islamizzazione dei movimenti ribelli laici o moderati come l’Esercito Siriano Libero, composto da disertori sunniti che hanno abbandonato le forze governative. Un esempio indicativo giunge dalla fatwa emessa dal Consiglio della Magistratura unita, affiliato all’Els: si prevede un anno di carcere per chiunque non osservi il digiuno nelle ore del giorno durante il mese sacro del Ramadan. Provvedimenti forse determinati dall’islamizzazione dei costumi imposta dai finanziatori sauditi e qatarini dei ribelli ma che lascia ben pochi spiragli per sviluppi diversi da quelli ipotizzati da Morell nel caso cadesse il regime di Assad.

I nemici contro i quali si battono con maggiore accanimento i miliziani qaedisti sembrano però essere donne e croissant. La cosa potrebbe far sorridere ma, come ha riportato il quotidiano Asharq al-Awsat, pubblicato a Londra in lingua araba, una “commissione della sharia” di Aleppo ha emesso una fatwa per vietare il consumo dei croissant definendoli haram, cioè vietati dall’islam, perché il dolce a forma di mezzaluna nacque per celebrare la vittoria delle armate cristiane sui turchi che assediavano Vienna nel 1683. Come è facile intuire i croissant si sono diffusi in Siria con la dominazione coloniale francese ma i censori islamici li hanno messi al bando perché lo considerano un simbolo della vittoria degli infedeli sui musulmani. Sempre ad Aleppo un’altra fatwa vieta alle ”donne musulmane di truccarsi o di indossare abiti aderenti” quali jeans o camicette.
Con simili “liberatori" non c’è da stupirsi che Assad stia vincendo la guerra o, almeno, non la stia ancora perdendo.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-siria-la-rivolta-e-nelle-mani-degli-islamisti-7046.htm


"La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi".

Lo sceicco Abu Mohammed al Julani, il capo del Fronte Al Nusra, affiliato ad Al Qaida, ha affermato  il 22 luglio scorso che i fondamentalisti che si battono contro il presidente Assad "non credono ne' ai partiti politici ne' alle elezioni parlamentari", ma solo a "un sistema di governo islamico".(ANSAmed).



La filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».

L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».


Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.

http://www.piccolenote.it/12941/il-terrore-abita-in-iraq


Egitto, Fratelli musulmani contro tutti



La Bussola Quotidiana 17-08-2013
di Valentina Colombo

Esercito contro Fratelli musulmani. Fratelli musulmani contro  l’esercito, contro i cristiani e contro tutti coloro che non si oppongono al “colpo di Stato terrorista”. Dalia Ziada, responsabile dell’Ibn Khaldun Center” al Cairo denuncia: “I Fratelli musulmani hanno promesso attacchi massicci in tutto l’Egitto dopo la preghiera del venerdì a mezzogiorno. Lo chiamano il venerdì della rabbia! Considerando tutte le chiese e gli edifici governativi cui hanno dato fuoco negli ultimi due giorni, mi domando se qualcosa possa peggiorare ulteriormente! Per favore che Dio salvi l’Egitto dai terroristi!” 
Il giornalista siriano Naman Tarcha lancia un ennesimo grido d’allarme nel tentativo di farci aprire gli occhi: “I Fratelli musulmani sono un partito politico che si nasconde dietro la religione per prendere il potere”. 

    continua la lettura quihttp://www.lanuovabq.it/it/articoli-fratelli-musulmani-contro-tutti-7089.htm
filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».
L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».
Titolo dell’articolo: La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi.

Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.
La filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».
L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».
Titolo dell’articolo: La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi.

Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.
filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».
L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».
Titolo dell’articolo: La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi.

Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.

mercoledì 10 aprile 2013

Al-Qaeda guida i ribelli in Siria

Al-Qaeda rivendica pubblicamente la paternità del movimento di guerriglia siriano più forte e militarmente attivo e mette in imbarazzo tutta la coalizione che combatte il regime di Bashar Assad. Il “segreto di pulcinella” relativo all’identità ideologica tra la rete terroristica islamica e alcuni combattenti salafiti che combattono in Siria è stato svelato dallo stesso leader di al-Qaeda in Mesopotamia, Abu Bakr al-Baghdadi, che ha dichiarato in un comunicato diffuso sul web che il Fronte al-Nusra è la branca siriana di al-Qaeda in Iraq e ha come obbiettivo l’instaurazione di uno Stato islamico in Siria. 


da La Bussola Quotidiana  10-04-2013
di Gianandrea Gaiani 

Al-Baghdadi, secondo il quale i due movimenti sono ormai federati sotto la denominazione di “Stato islamico in Iraq e Sham”, si è detto inoltre disposto ad allearsi ad altri gruppi jihadisti siriani “a condizione che la Siria e i suoi cittadini vengano governati secondo i precetti di Allah”. Fino a oggi il Fronte al-Nusra era ufficialmente solo sospettato di essere legato ad al-Qaeda anche se il movimento si era inizialmente distinto anche per i sanguinosi attentati a Damasco e in altre città siriane identici per modalità a quelli effettuati dai commando qaedisti a Baghdad.
Grazie agli aiuti provenienti in buona parte da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e alla presenza di centinaia di jihadisti stranieri il fronte al-Nusra è divenuta una delle milizie meglio armate e più efficienti. Quando nello scorso dicembre il gruppo è stato inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche dagli Stati Uniti, molti gruppi ribelli (salafiti, Fratelli Musulmani e “laici”) insorsero giudicando la decisione di Washington ingiusta e affrettata. Gli stessi movimenti sono ora in grave imbarazzo dopo le dichiarazioni di al-Baghdadi e cercano di prendere le distanze dal Fronte al-Nusra ammettendo tuttavia che a volte esiste un coordinamento “tattico” sul terreno con i jihadisti imposto dalla situazione sul terreno.

“Al-Nusra esiste, è finanziata e armata e per questo alcune brigate del Libero Esercito Siriano (Les) cooperano in determinate operazioni”, ha spiegato il portavoce del Les, Luai Meqdad che ha ribadito di “non condividere l’ideologia di al-Nusra perché il nostro obiettivo è chiaro, rovesciare il regime per instaurare uno Stato democratico”. Che la coalizione dei ribelli siriani stia diventando sempre più islamista e sempre meno democratica lo dimostrano anche altri elementi che in un’Europa schierata acriticamente al fianco degli insorti passano inspiegabilmente (sarà l’imbarazzo?) quasi sotto silenzio.
Nei giorni scorsi è emerso che l’ala militare del movimento palestinese Hamas, ex alleato di Assad, sta addestrando i ribelli dell’Esercito siriano libero nella parte orientale di Damasco. Lo ha rivelato il quotidiano britannico Times citando fonti diplomatiche occidentali secondo le quali i membri delle Brigate Ezzedine al-Qassam stanno addestrando unità dell’ELS nei quartieri di Yalda, Jaramana e Babbila, controllati dai ribelli. Ciò confermerebbe che Hamas, gruppo radicale che controlla la Striscia di Gaza, ha rotto definitivamente ogni rapporto con il suo ex alleato, dopo essersi posto sotto la protezione del Qatar che sostiene diverse fazioni ribelli siriane e che avrebbe così “comprato” Hamas (fino a ieri filo siriano e filo-iraniano) con 400 milioni di dollari di investimenti promessi a Gaza. Una fonte palestinese in Libano ha detto che centinaia di miliziani di Hamas stanno combattendo insieme all’Esercito siriano libero a Damasco e ad Aleppo. Hamas ha smentito tutto ribadendo la neutralità del gruppo islamista palestinese nel conflitto siriano. La presenza di Hamas al fianco dell’ELS la dice lunga sulla “laicità” di quest’ultimo movimento composto da disertori che per primi presero le armi contro il regime grazie all’appoggio turco.
L’elemento più evidente della deriva islamica assunta dall’insurrezione siriana è rappresentato forse dalla fatwa emessa nei giorni scorsi dall’imam salafita siriano di origine giordana, Yasir al-Ajlawni, secondo la quale è lecito per gli oppositori del regime di Bashar al-Assad stuprare “qualunque donna siriana non sunnita”. Nel suo editto religioso pronunciato in un video pubblicato su YouTube, Ajlawni sostiene che in base ai precetti dell’islam è lecito “catturare e avere rapporti sessuali” in particolare con donne della setta alawita (la stessa di Assad) o cristiane, ma in generale con qualsiasi donna non sunnita. Per dare forza al suo pronunciamento, il religioso definisce le donne che autorizza a stuprare come “melk al-yamin”, espressione con la quale il Corano indica genericamente le schiave di fede non musulmana.

Al-Ajlawni non è il primo a emettere una fatwa che prende di mira le donne siriane. L’anno scorso il predicatore saudita Muhammad al-Arifi aveva invitato i “jihadisti” a “contrarre un matrimonio a tempo” con le prigioniere siriane, “in modo da poter giacere con loro a turno”. Una vera e propria istigazione allo stupro di branco. Non è la prima volta che i "nostri" amici e alleati della Coalizione siriana legittimano stupri, discriminazioni religiose e schiavitù. Nei mesi scorsi l’imam egiziano Ishaq Huwaini invitò a condurre le “prigioniere di guerra” presso un “mercato degli schiavi, dove si vendono le concubine”, definite anche come “ciò che la vostra mano destra possiede”.
Per il religioso (probabilmente un “faro” del pensiero islamico considerato che nessuno sembra averne censurato le dichiarazioni) basta l’atto dell’acquisto perché, per l’uomo, un rapporto sessuale non sia peccato, “anche senza un contratto, un guardiano o qualsiasi altra formalità, come è ampiamente condiviso tra gli ulema”. “In altre parole – ha aggiunto Huwaini, per non lasciare dubbi a quanti in Occidente saranno certo pronti a giustificarne le affermazioni adducendo la “diversità culturale” (che per definizione è sempre una ricchezza) – quando voglio una schiava sessuale, vado al mercato, scelgo quella che mi piace e me la compro”.
Vale la pena sottolineare che al- Ajlawani, al-Arifi e Huwaini non sono mai stati sconfessati né mandati a quel paese dalla Coalizione forse perché ben rappresentano il “nuovo che avanza” in Siria. Che avanza anche e soprattutto con l’aiuto dell’Occidente.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-al-qaeda-guida-i-ribelli-in-siria-6215.htm

mercoledì 6 giugno 2012

“La graduale trasformazione dell'opposizione siriana in un movimento diretto da musulmani estremisti, ispirato, alleato e coordinato con al-Qaeda non serve gli interessi dell'opposizione stessa in quanto la maggioranza dei siriani non si identifica con quei radicali”.

EDITORIALE ANALISI DIFESA
di Gianandrea Gaiani 


STRAGE DI HOULA: CASUS BELLI PER LA GUERRA ALLA SIRIA?

Tre stragi di civili a Homs, Hama e a Houla dove sono stati massacrate 108 persone, per metà bambini. Una strage subito attribuita dai media internazionali (in testa le immancabili al-Jazira e al-Arabya, organi di propaganda e disinformazione di Qatar e Arabia Saudita) ) e dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu alle forze governative siriane. Tutto è possibile in una guerra civile sempre più cruenta nella quale però le nefandezze abbondano tra i governativi come tra i ribelli. Inutile sottolineare che Bashar Assad dovrebbe essere impazzito per ordinare ai suoi di massacrare centinaia di innocenti a due passi dagli osservatori dell’Onu e sotto i riflettori dei media internazionali. I rapporti degli osservatori col basco blu guidati dal generale norvegese Robert Mood riferirono subito di persone colpite dalle schegge di granata, altre uccise con colpi a bruciapelo o a coltellate. Più tardi però, dopo il montare delle accuse a Damasco, hanno corretto il tiro riferendo di almeno una parte delle vittime colpite dai cannoni dei carri armati governativi. Damasco nega ogni responsabilità per una strage compiuta in una zona abitata da sunniti ma circondata da villaggi alauiti che sostengono il governo. Ce n’è abbastanza per sospettare della strage l’esercito e le milizie filo-Assad ma anche le molte anime della rivolta e i combattenti di al-Qaeda sempre più attivi in Siria provenienti dal vicino Iraq e che hanno già compiuto attentati e massacri. La dinamica della strage di Houla assomiglia infatti alle “spedizioni punitive” compiute dalle milizie di “al-Qaeda in Mesopotamia” contro villaggi sunniti iracheni che sostenevano collaboravano con le truppe statunitensi e con il governo di Baghdad. Quando al-Qaeda effettuò i primi attentati in Siria, contro sedi dei servizi segreti ad Aleppo e Damasco i ribelli ne attribuirono la responsabilità al regime di Assad, versione che ebbe ampia eco sui media (al-Jazira in testa, ancora una volta) finché lo stesso Dipartimento di Stato di Washington ammise che i terroristi di al-Qaeda erano entrati in forze in Siria per combattere il regime divenendo di fatto “alleati” ingombranti e imbarazzanti non solo dei ribelli ma anche dell’Occidente. La strage di Houla rischia di diventare quindi il “casus belli” per l’intervento militare internazionale da tempo chiesto da Turchia, Lega Araba e soprattutto dal Qatar e dai sauditi, sostenuti dagli anglo-americani e dai francesi. Anche se la Nato ha finora negato i preparativi di azioni belliche contro Damasco negli ultimi mesi sono emerse molte indiscrezioni che indicano il contrario incluse voci di pre-allerta di alcuni reparti alleati pronti a venire rischierati in Giordania, Libano o nelle basi britanniche a Cipro. Allo stesso modo negli ambienti diplomatici da tempo si sussurra che il Piano Annan è destinato a non riuscire a risolvere la crisi siriana ma può creare il contesto per un’azione internazionale che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu sembra pronto a varare. Indiscrezioni che trovano conferme anche in quanto rivelato dal Washington Post che ha sentito ribelli siriani e di funzionari statunitensi secondo i quali nelle ultime settimane gli insorti hanno ricevuto molte armi moderne fornite da Qatar e Arabia Saudita nell’ambito di un piano coordinato dagli Stati Uniti. Traffici gestiti da alcune basi alla frontiera con la Turchia (Idlib) e col Libano (Zabadani) senza dimenticare che in Giordania /dove l’Italia sta inviando un ospedale da campo) si è tenuta recentemente l’esercitazione internazionale Eager Lion che ha visto la presenza di 12 mila militari americani e alleati (anche qualche decina di specialisti italiani del 185° reggimento acquisizione obiettivi) che hanno simulato operazioni simili a quelle richieste da un intervento militare in Siria. Anche i Fratelli Musulmani siriani, come ha confermato il membro del comitato esecutivo della Fratellanza Mulham al-Drobi, si riforniscono di armi grazie ai fondi messi a disposizione da ricchi siriani o dai Paesi del Golfo. Sul regime di Assad sembrano sempre meno disposti a investire anche gli “sponsor” russi e cinesi se è vero, come racconta Haaretz che le forniture di armi e munizioni (anche nordcoreane) che arrivano via mare a Tartus e Latakia non godono più dei crediti agevolati di un tempo ma vengono pagate in anticipo da un fondo costituito dai petrodollari di Teheran, ormai l’unico vero alleato di Damasco. Ufficialmente Barack Obama ha chiesto la collaborazione di Mosca per gestire una “soluzione yemenita” con l’esilio di Assad e l’avvio di una transizione politica ma nei fatti Washington sembra puntare più a una “soluzione libica” e la strage di Houla potrebbe creare il contesto mediatico e sociale favorevole ad approvare un intervento bellico internazionale. Il Consiglio nazionale siriano (Cns), organo dei ribelli, chiede armi per difendere la popolazione e iniziative militari potrebbero venire presto varate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il presidente francese Francois Hollande pare deciso a emulare in Siria le gesta di Sarkozy in Libia e dopo aver sentito il premier britannico David Cameron ha dichiarato che “la follia omicida del regime rappresenta una minaccia per la sicurezza dell'area”. Il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi non esclude nessuna opzione contro il regime di Assad e il leader dei liberaldemocratici europei Guy Verhofstadt ha chiesto esplicitamente un intervento militare internazionale. Sono bastati poco più di un centinaio di morti, per metà bambini, per ventilare senza timidezze un intervento finora ufficialmente escluso dall’Alleanza Atlantica.
Eppure le truppe di Assad sono impegnate in veri e propri combattimenti contro ribelli appartenenti a gruppi diversi e spesso rivali ma che possono contare su armi sempre più moderne e che non si tratti di una guerra tra militari e civili indifesi lo si evince anche dal bilancio delle vittime redatto dall’Osservatorio dei diritti umani, emanazione dei rivoltosi, che ammette che su 13 mila morti oltre 3 mila erano militari di Assad e che molti dei più di 9 mila civili uccisi erano ribelli. Del resto non sarebbe la prima volta che eccidi e massacri, veri o “costruiti” ad arte, aprono la strada all’internazionalizzazione di un conflitto interno. Nel 1995 alla strage di Srebrenica seguì l’intervento dell’Alleanza Atlantica in Bosnia, nel 1999 le fosse comuni di Racak diedero il via all’intervento della Nato in Kosovo nonostante un team medico bielorusso avesse accertato che si trattava di cadaveri raccolti da più parti ai quali era stato sparato alla nuca post mortem. L’anno scorso l’intervento alleato in Libia è stato favorito dalle notizie, rivelatesi poi infondate, di fosse comuni, massacri di bambini e stupri di massa compiuti dai soldati di Gheddafi. Il parallelo con la Libia non è azzardato non solo considerando la mole di disinformazione diffusa mediaticamente in questi mesi dai ribelli siriani ma anche analizzando le ultime dichiarazioni politiche nelle quali la nota di linguaggio sembra essere “proteggere i civili”. La stessa motivazione che animò l’intervento della Nato in Libia battezzato Operazione “Unified Protector”. In quel caso vennero protetti a suon di bombe e missili anche i molti civili che sostenevano il regime di Gheddafi e anche in Siria pare che buona parte dei civili stia con Assad o quanto meno non abbia intenzione di lasciare il proprio Paese in mano a milizie armate, bande irregolari e jihadisti.
Difficile dargli torto guardando all’attuale situazione libica e alle leadership occidentali impegnate ai consegnare Damasco agli islamisti.
“Come già in Egitto, in Siria i Fratelli musulmani sono riusciti ad appropriarsi della rivolta, fino a costituirne ora la spina dorsale”: questa la valutazione espressa dall’esperto israeliano, Jacques Neriah, in una analisi pubblicata dal Jerusalem Center for Public Affairs (Jcpa). “Negli ultimi mesi - nota Neriah (in passato consigliere del premier Yitzhak Rabin) - sono scesi in campo i Salafiti e altre piccole organizzazioni islamiche ''in una sollevazione orchestrata ed alimentata da al-Qaeda”. Il principale gruppo di opposizione, guidato dal leader in esilio, Burhan Ghalioun, sembra entrato in “un processo di disintegrazione”. Ghalioun - secondo Neriah - non è riuscito ad imporre la propria autorità sull'Esercito della libera Siria (Fsa). Il carattere radicalmente islamico della insurrezione è nel frattempo divenuto più marcato, grazie anche - secondo Neriah - all'intervento di combattenti islamici accorsi da Afghanistan, Pakistan, Iraq, Libia, Tunisia e anche da Paesi europei.
“La graduale trasformazione dell'opposizione siriana in un movimento diretto da musulmani estremisti, ispirato, alleato e coordinato con al-Qaeda non serve gli interessi dell'opposizione stessa in quanto - secondo Neriah - la maggioranza dei siriani non si identificano con quei radicali”.

http://cca.analisidifesa.it/it/magazine_8034243544/numero129/article_456471347486735456425416671454_7505023515_0.jsp

domenica 11 marzo 2012

L’amministrazione Obama sembra cominciare a valutare il rischio concreto di consegnare la Siria agli islamisti

LA DERIVA ISLAMISTA DELLE PRIMAVERE ARABE

di Gianandrea Gaiani

Gli sviluppi della crisi siriana e la progressiva deriva islamista assunta dalla cosiddetta “primavera araba” mettono in discussione la strategia adottata finora dall’Occidente. Nonostante le rivolte dell’ultimo anno abbiano preso il via grazie a movimenti liberali e libertari il rovesciamento dei vecchi regimi ha visto affermarsi gruppi islamici che solo in parte e solo eufemisticamente possono venire definiti moderati. Un risultato paradossale se si valuta la strategia statunitense sviluppatasi dopo l’11 settembre e se si considera che tutti i regimi (Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia e persino Gheddafi in Libia) erano alleati o comunque legati a Washington e all’Occidente che li hanno sacrificati sull’altare di un cambiamento che pare oggi fuori controllo. La Libia è nel caos tra scontri tribali e penetrazione islamista. Della settantina di milizie che stanno “feudalizzando” un Paese nel quale il Consiglio nazionale di transizione perde costantemente prestigio e influenza, le quattro più forti sono di matrice islamista e stanno inviando combattenti in Siria per il jihad contro il regime di Bashar Assad. In Egitto il Parlamento è in mano a Fratelli Musulmani e salafiti grazie ad elezioni farsa che hanno prodotto 52 milioni di voti contro soli 40 milioni di elettori. Oggi il loro potere si confronta, anche in cerca di compromessi, con quello dei militari che fin dalla caduta della monarchia hanno sempre governato ed espresso il presidente. Anche in Tunisia al successo del partito Ennhada, espressione dei Fratelli Musulmani, si affianca il crescente peso del “Partito della Liberazione”, formazione salafita che spesso conduce azioni violente per colpire persone e locali pubblici che non rispettano i dettami del più stretto islamismo. Azioni che preoccupano i laici, in un Paese tra i più moderni e aperti del mondo arabo, ma anche i servizi di sicurezza occidentali che rilevano in Tunisia la crescente presenza di salafiti già noti in Europa per il sostegno al terrorismo islamico. Come ha ricordato recentemente Massimo Amorosi, analista dell'Osservatorio Geopolitico Mediorientale di Roma, ha creato tensioni in Tunisia la visita del predicatore egiziano Wajdi Ghuneim, che in diversi sermoni ha invocato l'applicazione della Sharia e il ripristino della mutilazione genitale femminile. Il religioso noto per i rapporti con il gruppo palestinese Hamas (altro movimento legato ai Fratelli Musulmani) è un ex militare al quale è precluso il soggiorno in Gran Bretagna per “apologia della violenza terroristica”.
Una strana alleanza
La strategia messa a punto dall’Occidente di fronte alle rivoluzioni (o involuzioni) arabe resta in parte da decifrare. Emerge un asse che unisce statunitensi, franco-britannici e turchi alla Lega Araba e soprattutto ad Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti che insieme alla Giordania hanno svolto un ruolo finanziario e militare nel rovesciare Gheddafi e premono oggi per far cadere Bashar Assad. Così come emerge la crescente influenza turca nell’area compresa tra il Mediterraneo e l’Asia Centrale. Un contesto nel quale spicca ancora una volta l’assenza imbarazzante dell’Unione Europea in una crisi che si sviluppa minacciosamente nel suo giardino di casa. Londra e Parigi, tornate protagoniste sulla scena internazionale, schierano truppe scelte e istruttori militari al fianco degli insorti siriani così come fecero in Libia. Iniziative che rispondono a interessi nazionali non certi comunitari. Pare evidente la volontà di Washington e di Ankara di favorire la nascita di un blocco arabo sunnita che, rovesciando il regime scita siriano, isoli l’Iran e i miliziani libanesi Hezbollah. Non mancano però i dubbi su un’iniziativa che rischia di far cadere la principale area petrolifera del mondo nelle mani di gruppi radicali islamisti, parenti a volte molto stretti delle milizie di al-Qaeda e dei talebani afghani con i quali gli statunitensi stanno trattando, non a caso, in Qatar. Paradossale che le forze speciali britanniche segnalate a Homs al fianco dei ribelli siriani, combattano dalla stessa parte delle milizie irachene di al-Qaeda loro acerrime nemiche in Iraq. La presenza in Siria delle cellule di “al Qaeda in Mesopotamia”, dopo i devastanti attentati di Damasco e Aleppo contro comandi militari e di polizia, è stata ufficializzata da Baghdad e dall’intelligence statunitense. Ammissioni che hanno sgombrato il campo dalla propaganda degli insorti che indicava lo stesso regime di Assad come responsabile delle autobombe. Desta non pochi interrogativi e imbarazzi anche la considerazione che gli stessi Paesi che oggi combattono per impedire ai talebani di riportare la sharia a Kabul siano politicamente e militarmente impegnati a portarla a Tripoli, Damasco e in tutto il Medio Oriente così come è evidente che il sostegno delle monarchie arabe del Golfo alla libertà e alla democrazia venga meno quando a chiederle sono gli abitanti del Bahrein (dove Riad ha inviato truppe a sostegno dell’emiro) o gli stessi cittadini sauditi e del Qatar.
L’impasse siriana
L’amministrazione Obama sembra cominciare a valutare il rischio concreto di consegnare la Siria agli islamisti soprattutto dopo le amare lezioni giunte dalla Libia dove imponenti arsenali di armi moderne sono passati dai depositi dell’esercito di Gheddafi alle mani di insorti e terroristi di al-Qaeda nel Sahel , in Sudan e persino a Gaza e in Libano. Damasco dispone di ampie riserve di armi chimiche disseminate in una cinquantina di depositi che verrebbero tenuti d’occhio dai velivoli teleguidati statunitensi decollati dalla Turchia e forse anche da Israele e dalle basi britanniche a Cipro. Nelle mani di terroristi e jihadisti i gas nervini (Sarin e VX) di Assad diverrebbero armi micidiali se impiegate contro obbiettivi civili in ambienti urbani. Una preoccupazione che sembra smorzare le possibilità di un intervento militare internazionale sulla falsariga di quello attuato in Libia per non creare escalation e caos che faciliterebbero la sottrazione di armi di distruzione di massa ma anche delle sofisticate armi convenzionali di produzione russa in dotazione alle forze di Damasco. Quella siriana è però già a tutti gli effetti una guerra civile dove dei circa 7.500 morti registrati quasi un terzo sono militari e poliziotti governativi. Il conflitto siriano registra inoltre una progressiva internazionalizzazione. Aiuti militari, denaro e istruttori per i campi militari dei ribelli in Turchia giungono da Occidente e Paesi arabi mentre Russia, Cina e Iran appoggiano Damasco. Pasdaran iraniani e consiglieri militari russi affiancano le truppe governative che, nel timore di interventi militari stranieri e per ostacolare i traffici di armi che riforniscono i ribelli, già nel novembre scorso hanno minato i confini con Giordania, Turchia e Libano (le frontiere con Israele sul Golan sono già da tempo minate). Per Mosca non si tratta solo di difendere un alleato storico e un importante cliente ma anche di arginare islamismo e jihadismo che già minacciano la Russia caucasica e le repubbliche centro-asiatiche che in passato furono sovietiche ma prima ancora parte rilevante dell’impero ottomano. Il vertice di Tunisi dei cinquanta Paesi auto definitisi “amici della Siria” ha evidenziato le titubanze di Washington e dell’Occidente che mirano a mettere a punto una risoluzione che chieda la fine delle violenze per consentire a personale delle Nazioni Unite e alle agenzie umanitarie di entrare a Homs, contesa da governativi e ribelli. Difficile valutare se si tratti di un primo passo verso un intervento militare giustificato da “esigenze umanitarie” o di un ripensamento strategico dovuto al rischio di togliere di mezzo Assad per regalare la Siria ai jihadisti.

http://cca.analisidifesa.it/it/magazine_8034243544/numero126/article_335127405250543564512322863788_3717816370_0.jsp

mercoledì 29 febbraio 2012

Da "La Bussola Quotidiana" Siria, il grande gioco

Siria, il "grande gioco"

di Gianandrea Gaiani
08-02-2012


La crisi siriana somiglia sempre di più a quella libica dello scorso anno, con la differenza che il caos che da mesi domina l’ex regno di Muammar Gheddafi non sembra avere insegnato nulla all’Europa, che affronta le crisi del mondo arabo semplicemente sostenendo la strategia di Washington che però ha interessi ben diversi dai nostri, anzi, ora più che mai divergenti.

Il “copione libico” è evidente soprattutto dalle caratteristiche della campagna mediatica che da mesi mira a ingigantire stragi e repressioni attuate dal regime di Bashar Assad, che certo esistono ma non bisogna dimenticare che tra i quasi 6 mila morti registratisi secondo l’Onu dall’inizio della rivolta, circa un terzo sono militari e poliziotti. Questo significa che in Siria si combatte una guerra civile con un esercito degli insorti armato da turchi, sunniti-libanesi e qatarini, in parte gli stessi che appoggiarono la rivolta contro Gheddafi.
Come in occasione della guerra libica riempiamo i giornali occidentali di notizie non verificate rilanciate da social network, sedicenti associazioni per i diritti umani e l’immancabile al-Jazira che fa capo a quell’emirato del Qatar che gioca alla grande potenza in tutti gli scenari medio orientali. Ci abbeveriamo della propaganda degli insorti ripetendo l’errore compiuto in Libia dove enfatizzammo notizie di stupri di massa (con viagra!) compiuti dai mercenari di Gheddafi o di numeri spropositati di vittime che vennero poi smentiti da Human Rights Watch ed altre organizzazioni.

Intendiamoci, il regime di Bashar Assad è tra i più violenti e autoritari del Medio Oriente, ma lo era anche quando, nel febbraio 1982, l’insurrezione dei “Fratelli Musulmani” venne stroncata nel sangue dal padre di Bashar, Hafez Assad, che ad Hama uccise tra i 25 mila e i 50 mila ribelli nella totale indifferenza de mondo. Lo era anche quando, fino al 2010, francesi e italiani gli vendevano elicotteri da combattimento Gazelle e sistemi di puntamento per i carri armati. Lo era anche quando, sempre nel 2010, la Turchia di Receyp Erdogan, che oggi ospita e addestra l’esercito ribelle, aveva firmato un patto di cooperazione militare con Bashar Assad, oggi stracciato con la stessa disinvoltura con la quale l’Italia “congelò” il trattato di amicizia con la Libia di Gheddafi.

Nella gestione delle crisi determinate dalla cosiddetta “primavera araba” gli interessi e l’influenza delle potenze, grandi o regionali, sono ormai ben delineati, fatta esclusione per l’Europa. Russi e cinesi, dopo aver abbandonato la Libia astenendosi sulla Risoluzione 1973 che autorizzò la campagna militare contro Gheddafi, sono decisi a difendere la Siria, come hanno dimostrato alle Nazioni Unite; non tanto per proteggere un Assad ormai senza futuro (anche se è un ottimo cliente militare e tecnologico per Mosca) quanto per gestire una transizione che lasci spazio anche a forze laiche e non solo ai Fratelli Musulmani. Non è un caso che tutte le minoranze siriane inclusi i cristiani sostengono il regime, la cui laicità ha sempre rispettato i culti più diversi.

Mosca, con il supporto discreto ma importante di Israele, vuole evitare che la Siria diventi un “protettorato” turco e intende fermare la deriva islamista che sta emergendo dalla “primavera araba” prima che determini insurrezioni simili nel Caucaso e in altre regioni asiatiche russe ed ex sovietiche, non a caso un tempo sotto il controllo dell’Impero Ottomano. Mosca e Pechino hanno poi tutto l’interesse a ostacolare la politica di Washington, ormai palesemente allineata con le forze del cosiddetto “islam moderato”.

Washington, abbandonata la strategia improntata alla stabilizzazione dell’era Bush, punta decisamente a destabilizzare l’intero mondo arabo cavalcando il crollo di regimi peraltro filo-americani come quello di Ben Alì in Tunisia, di Mubaraq in Egitto e persino di Gheddafi, che negli ultimi anni aveva portato decisamente la Libia nell’orbita occidentale. Il repentino mutamento della politica statunitense ha spaventato soprattutto l’Arabia Saudita, monarchia medioevale che per non rischiare di fare la stessa fine ha puntellato con le sue truppe il regno del Bahrein minacciato da una rivolta sciita e ha contribuito a influenzare l’esito delle elezioni egiziane comprando con una marea di banconote da dieci dollari (una per ogni voto) i vasti consensi riscossi dal partito salafita.

Obama, con i turchi come alleati regionali che rappresentano oggi anche un punto di riferimento ideologico per il Medio Oriente, puntano a creare un blocco sunnita omogeneo guidato dai Fratelli Musulmani e da partiti affini. Un blocco in grado di combattere o isolare l’Iran sciita e i suoi alleati, il regime alauita siriano e gli hezbollah libanesi. Gli statunitensi vogliono restare dietro le quinte, fornendo supporto strategico e logistico ma lasciando agli alleati regionali i compiti di prima linea come è accaduto in Libia e come potrebbe accadere presto in Siria, campo di battaglia sul quale Qatar e Turchia premono per mettere alla prova le loro capacità di leadership militare regionale.
Dopo dieci anni di guerre e con l’attuale crisi finanziaria, gli Stati Uniti possono sperare di mantenere la loro leadership globale nei prossimi decenni solo fomentando instabilità e disordine nel “cortile di casa” dei loro diretti rivali militari, finanziari ed economici: Russia, Europa, Cina, India, Giappone…..

Se guardiamo attraverso questa ottica le recenti iniziative statunitensi si intravvede il disegno globale. Nel Pacifico Washington mobilita gli alleati (e gli ex nemici come il Vietnam) per far fronte all’espansionismo cinese. Vende armi a tutti perché a differenza che in passato non garantisce un ombrello di sicurezza ma esorta a spendere di più per la difesa, meglio se acquistando armi americane. Se Cina, Taiwan, Corea del Sud e Giappone saranno impegnati in una massiccia corsa al riarmo avranno meno risorse da destinare allo sviluppo.

Anche le trattative in atto con i talebani in Qatar (guarda caso, ancora il Qatar) potrebbero indicare il tentativo di mediare un rapido disimpegno dall’Afghanistan magari in cambio della rinuncia al jihadismo contro gli Stati Uniti. Un recente rapporto della Nato ha rivelato che i pakistani tengono sotto stretto controllo i talebani e si apprestano a riprendere Kabul una volta partiti gli occidentali. Il presidente afghano Hamid Karzai ne è consapevole e infatti nell’ottobre scorso ha stretto un accordo strategico con l’India che impegna Nuova Delhi a rimpiazzare se necessario con propri soldati le forze della Nato. Ci sono quindi gli elementi per immaginare tra pochi anni l’Afghanistan come nuovo campo di battaglia nel confronto tra India e Pakistan.
Alla luce di questi rapidi mutamenti l’Europa sembra seguire ciecamente gli Stati Uniti, quasi senza essere consapevole di ciò che fa. In Afghanistan ci ritireremo quando ce lo dirà Obama e sosteniamo la destabilizzazione dei Paesi arabi del Mediterraneo come se avere sharia, fratelli musulmani e salafiti alle porte dell’Europa e dell’Italia possa avere qualcosa a che fare con i nostri interessi. La primavera araba non porterà la democrazia perché l’Islam non è democratico né libertario. In Egitto, dove il confronto tra islamisti e militari potrebbe ora degenerare in guerra civile, i brogli elettorali sono stati enormi. Sono scomparsi o quasi i movimenti laici, liberali e libertari che avevano iniziato la rivolta e, come ha ricordato Daniel Pipes, 40 milioni di elettori hanno messo nelle urne 60 milioni di schede. Il principio “un uomo un voto” nell’Islam si amplia evidentemente a “un uomo, un voto e mezzo”.
In Tunisia le libertà personali vengono minacciate dagli “islamici moderati” che insultano e aggrediscono donne non velate e impediscono a cinema e teatri di mettere in scena spettacoli ritenuti “offensivi” per l’islam. In Libia regna il caos più totale, i partiti islamici sono già una dozzina ma tutte le forze tribali e politiche sono d’accordo che la sharia sarà alla base di leggi e costituzione. Saranno pure “moderati” ma la sharia non ha nulla in comune non solo con la libertà dell’individuo e la democrazia ma neppure con la Carta dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite.

Del resto della “internazionale” dei Fratelli Musulmani fanno parte anche i terroristi di Hamas, che controllano Gaza con l’aiuto del nuovo Egitto, e personaggi come Yusuf al Qaradawi che da al Jazira (ancora il Qatar) esortò nel 2003 tutti i musulmani a uccidere cittadini americani per vendicare l’invasione dell’Iraq e ha definito Hitler una punizione divina per gli ebrei. Di questo passo potremo sdoganare presto anche i “nazisti moderati” ma pochi mesi or sono Qaradawi ha definito con precisione lo sviluppo della primavera araba dichirando che “liberali e i laici hanno avuto la loro occasione di governare, ora tocca agli islamici. Dobbiamo far vedere al mondo com'è una guida religiosa”.

Se l’Egitto esplodesse, se la Libia diventasse un’altra Somalia e se i moderati si mostrassero un po’ meno moderati i problemi sociali, politici, strategici sarebbero tutti dell’Europa e, considerata la totale assenza di solidarietà che domina la Ue, in buona parte dell’Italia. Le prossime ondate di disperati provenienti dalla sponda sud del Mediterraneo non arriveranno sulle coste del North Carolina o della Florida, ma su quelle italiane. Anche per questo i nostri interessi oggi non sono più coincidenti con quelli degli Stati Uniti e del resto Washington non perde occasione per dimostrare il suo disinteresse per il Vecchio Continente e persino per la Nato, che Obama non ha neppure informato di aver anticipato di una anno, al 2013, la fine dell’impegno bellico americano a Kabul.

Ai nostri interessi erano molto più funzionali i regimi laici (anche se corrotti e dittatoriali) di quelli islamici che si stanno configurando e che non danno maggiori garanzie di onestà e trasparenza e ancor meno di stabilità. Oggi dovremmo “difendere” Assad al fianco dei russi invece di aiutare l’asse Usa/turco/islamista a rovesciarlo per imporre la sharia a Damasco e ripristinare l’Impero Ottomano? Sarebbe già qualcosa se i leader europei almeno si ponessero la domanda e trovassero anche risposte adeguate ai nostri interessi.
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