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martedì 3 settembre 2013

E se la verità sulle armi chimiche fosse un'altra?


Siria: i gas (forse) erano proprio dei ribelli

da La Bussola Quotidiana - 3 settembre 2013
di Gianandrea Gaiani

Nonostante in tutto il mondo la crisi siriana sia al centro dell’attenzione pochi media hanno diffuso una notizia che dovrebbe risultare invece di grande interesse soprattutto per dipanare la matassa intorno all’origine e all’impiego del gas nervino che il 21 agosto ha ucciso un numero imprecisato di persone nei sobborghi di Damasco. Con una serie di interviste alcuni ribelli siriani appartenenti a gruppi islamisti attivi nel settore di Ghouta hanno ammesso che sono stati loro i responsabili del massacro di civili che Washington e parte della comunità internazionale vorrebbe attribuire ad Assad.
Le armi chimiche sarebbero state fornite ai miliziani dal loro “sponsor”, l’Arabia Saudita attraverso i servizi d’intelligence guidati dal principe Bandar bin Sultan. La “fuga di gas” sarebbe da attribuire all’inesperienza dei miliziani a maneggiare armi chimiche che in ogni caso è probabile avessero ricevuto per creare un incidente a pochi chilometri dall’hotel che ospitava i tecnici dell’Onu esperti proprio in armi chimiche creando così un casus belli. Il reportage firmato da Dale Gavlak (che collabora da anni con l’agenzia Associated Press con corrispondenze da Amman) e Yahya Ababneh il 29 agosto non è certamente di quelli che passano inosservati.  Stranamente non apparso sul sito dell’AP ma sul giornale on line Mintpressnews. Per quale ragione? Le fonti non erano considerate affidabili o la notizia era “troppo esplosiva” per essere diffusa da una delle principali agenzie di stampa del mondo? Il report sul campo è stato effettuato da Yahya Ababneh che ha parlato con i ribelli e i famigliari delle vittime mentre Dale Gavlak ha raccolto la documentazione e fatto il lavoro di ricerca. Le diverse testimonianze parlano chiaro, i ribelli nascondono in moschee e case private le armi, anche quelle chimiche ma a causa dell’inesperienza avrebbero commesso un errore fatale liberando il sarin. Un errore subito dopo sfruttato a fini propagandistici realizzando i video con i quali viene accusato il regime.

   continua qui la letturahttp://www.lanuovabq.it/it/articoli-siria-i-gas-forse-erano-proprio-dei-ribelli-7201.htm



Siria, ribelli: «Abbiamo fatto esplodere noi per sbaglio le armi chimiche». Il reportage che nessuno cita


http://www.tempi.it/siria-ribelli-armi-chimiche-ghouta-reportage



Testimonianze siriane a Ghuta: sono stati i ribelli, riforniti dall’Arabia Saudita, a usare armi chimiche
Le prove ci sono, ma contro i “ribelli”
di Dale Gavlak, Yahya Ababneh


http://www.mintpressnews.com/witnesses-of-gas-attack-say-saudis-supplied-rebels-with-chemical-weapons/168135/

http://www.ossin.org/crisi-siriana/le-prove-ci-sono-ma-contro-i-ribelli.html


I ribelli siriani ammettono che il Sarin è responsabilità loro, si è trattato di un incidente

Il costo della ricostruzione della Siria: 73 miliardi di dollari

A Damasco tra macerie e paura. "Ma qui dei gas non c'è ombra"

Le testimonianze raccolte dal nostro cronista, unico reporter italiano nell'area del presunto attacco chimico: "Le bombe sono un incubo. Eppure la storia del sarin..."

da Il Giornale - 03/09/2013
di Gian Micalessin
......
Malek, un regista sulla sessantina seduto sul balcone di un appartamento affacciato su piazza Khouri tira le tende, mostra finestre e tapparelle trasformate in colabrodo. «Io nella vita faccio il regista sono abituato a cercar di capire quel che mi succede attorno. Qui ogni notte vedo e sento i bombardamenti dei ribelli. Vedo anche quelli dell'esercito che risponde. Quando il tutto sale d'intensità scappo in cantina per salvare la pelle. Di gas non ne ho mai visto l'ombra. Eppure vivo in prima fila. Se faccio due passi e arrivo a quell'angolo riesco a scorgere le case e le strade di Jobar. Tutta questa faccenda mi sembra perfettamente in linea con la politica di Obama. Lui è un presidente assai bravo a predicare, ma assai poco attento a guardare cosa succeda veramente sulla faccia della terra. Si sforza di credere alla faccenda dei gas perché si sposa bene con la sua strategia. Lui sta dalla parte dei ribelli e li usa per i suoi scopi. Ma mi fa veramente ridere quando minaccia di bombardarci per salvare il popolo siriano. Là davanti a Jobar combattono tunisini, afghani, ceceni, turchi e al qaidisti nemici dell'America. Qui invece vivono solo siriani. Siriani di tutte le fedi e di tutte le etnie come è sempre stato qui in Siria negli ultimi cinquant'anni. Ma per lui il vero popolo siriano è quello venuto dall'estero. Quello che ci spara addosso da Jobar».

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/damasco-macerie-e-paura-qui-dei-gas-non-c-ombra-laltra-verit-947253.html


«Si fermi il rumore delle armi». Appello contro l’intervento militare in Siria : firma anche tu!


Sottoscrivete l’appello di Tempi, Ora pro Siria e Cultura Cattolica contro l’intervento militare in Siria. Il testo con le firme sarà inviato ai parlamentari italiani e al ministro degli Esteri 

sabato 31 agosto 2013

Ci scusino i nostri lettori della raffica di articoli .... MA DAVANTI ALL'ORRORE NON SI PUO' TACERE!

I nostri lettori possono immaginare con quale trepidazione seguiamo le dichiarazioni di queste ore da parte di chi potrà scatenare morte e distruzione ulteriore nella amata terra di Siria.
Ma come vorremmo dar voce a tutte le parole accorate che ci giungono dai nostri amici cristiani siriani , frastornati e increduli, che eppure ci testimoniano una fede incrollabile nella Madonna di Soufanieh di Damasco ( ve ne parleremo presto) e nella Regina della Pace, nella certezza che la Chiesa del mondo intero sta pregando per scongiurare la rovina della Siria, del Medio Oriente e forse anche di più....
( pensate a quanto son gravide di conseguenze queste parole: «La Russia non permetterà che un solo missile o una sola bomba si abbattano sul territorio siriano. La Russia è e resta al fianco dello Stato siriano» Vladimir Vladimirovic Putin ) !


Oggi lo facciamo con le parole di Giorgio Bernardelli e di un altro caro amico:

Il grido di dolore dei cristiani in Siria


Chiese di rito latino e ortodosse, personalità cristiane con all'attivo tante prese di posizione contro le derive dell'Islam politico, ma anche figure che non avevano mancato di mettere in risalto le potenzialità delle primavere arabe. Persino monaci e missionari, giunti in Medio Oriente ispirati dal dialogo con i musulmani vissuto fino alla fine dai monaci di Tibhirine, oggi alzano la voce. Questa volta tra i cristiani sono proprio tutti d'accordo: l'intervento internazionale in Siria assolutamente non lo vogliono. E in questi giorni ne stanno denunciando senza peli sulla lingua le ambiguità e i pericoli per l'intera regione.

Certo, che dei leader cristiani non siano entusiasti all'idea di veder piovere missili di per sé non è una gran notizia. Ricordiamo tutti la forza con cui Giovanni Paolo II affermò il suo no alla vigilia del conflitto in Iraq. Ma nelle prese di posizione che si susseguono in questi giorni nelle chiese del Medio Oriente di fronte all'ipotesi dell'intervento internazionale che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno messo sul tavolo contro il regime di Bashar al Assad, stavolta c'è qualcosa di più rispetto all'abituale invito all'esercizio della virtù della prudenza di fronte all'utilizzo di armi che - nonostante tutte le leggende sugli attacchi “limitati e chirurgici” - seminano sempre morte e distruzione.

Questa volta tra i cristiani del Medio Oriente c'è vera e propria indignazione. Il possibile intervento è stato definito “una sciagura” dal patriarca caldeo Raphael I Sako, uno che gli effetti mirabili dell'interventismo americano in Medio Oriente li ha toccati con mano. Da Damasco il patriarca melkita Gregorio III Laham ha posto le domande scomode che nelle cancellerie si evitano con cura: «Quali sono le parti che hanno condotto la Siria a questa linea rossa? Chi ha portato la Siria a questo punto di non ritorno? Chi ha creato questo inferno in cui vive da mesi la popolazione?».

Il siro-cattolico Youssef III Younan ha parlato di «cristiani siriani traditi e venduti dall'Occidente». «Mi dispiace doverlo dire, ma ci sono dei Paesi, soprattutto occidentali, ma anche dell'Oriente, che stanno fomentando tutti questi conflitti», gli ha fatto eco dal Libano il patriarca maronita Bechara Rai. Persino una voce solitamente pacata come quella del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal in questi giorni ha tuonato: «Con quale legittimità osano attaccare un Paese? Chi li ha nominati polizia della democrazia in Medio Oriente?».

Di fronte a questo coro c'è chi sbrigativamente se la cava dicendo che i cristiani del Medio Oriente sono collusi con Assad. Del resto - magari aggiungono pure - non avete visto come anche in Egitto il papa copto è corso a sostenere subito il golpe dei militari? I campioni della laicità a casa propria non sanno vedere la negazione del pluralismo religioso che come una macchia d'olio nell'ultimo decennio si è allargata in tutto l'Oriente. Non hanno visto il dramma dei cristiani dell'Iraq: erano un milione e mezzo nel 2003, prima della guerra; si calcola che in dieci anni l'80% abbia lasciato il Paese. Se ne sono andati perché rapiti, attaccati nelle loro chiese, trucidati. Lo stesso è cominciato a succedere in Siria non appena la rivolta contro Assad è degenerata in guerra civile: erano un milione i cristiani siriani, oggi è difficile dire quanti di loro siano nel milione di profughi scappati in Libano, ma si tratta sicuramente di una percentuale significativa. E poi ci sono le migliaia di sfollati interni che hanno lasciato Homs o Aleppo per via delle violenze delle milizie qaediste.

Tragedia nella tragedia quella degli armeni siriani che stanno vivendo la loro secondo diaspora: sì, perché all'inizio del Novecento Aleppo e Dei el Zor erano state l'approdo della marce forzate per fuggire alla pulizia etnica dei giovani turchi. Qui - appena qualche generazione fa - avevano ricostruito le loro comunità. E adesso se ne devono andare di nuovo di fronte alla persecuzione di chi dichiaratamente vuole dare vita allo “Stato islamico dell'Iraq e del Levante”.

Tutto questo per quanti sostengono il raid semplicemente non esiste. Perché le denunce “interessate” dei cristiani nell'Occidente di oggi sono molto meno virali dei video sull'utilizzo delle armi chimiche. Ed è proprio per questo che le Chiese del Medio Oriente, sentendosi tradite, hanno alzato la voce contro un intervento che guarda solo a un aspetto del dramma della Siria, senza peraltro dare, neanche a quello, risposte vere. Le notizie delle ultime ore ci dicono che anche a Londra e negli Stati Uniti i dubbi sull'azione militare crescono (e guarda caso è proprio la laica Francia di Hollande la più decisa ad andare avanti). Se anche all'ultimo momento dovessero fermarsi, l'indignazione dei cristiani del Medio Oriente sarà comunque bene non dimenticarsela. Anche senza missili, il loro dramma sarebbe tutt'altro che finito.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-grido-di-dolore-dei-cristiani-in-siria-7182.htm


I nostri due incubi: Al Qaida in casa, i missili dal cielo

edicola sacra nelle vie di Bab Tuma


Cari amici italiani,
due giorni fa mentre voi ascoltavate le notizie sugli attacchi con le armi chimiche i ribelli e i combattenti di Al Qaida che si trovano accanto a noi qui alla periferia est di Damasco, nella zona di Jobar (la stessa del presunto attacco con i gas, ndr) ci hanno regalato un ennesimo colpo di mortaio caduto molto vicino alla mia abitazione, nella zona di Bab Tuma.
Succede da mesi e io veramente non riesco (...) più a capire perché tanto accanimento nel colpire un quartiere abitato da civili cristiani. In soli 6 giorni ci sono piovute sulla testa più di 20 bombe di mortaio. Alcune sono esplose tra le case, altre sui tetti delle chiese, una in una scuola femminile diretta dalla chiesa cattolica. Ormai è chiaro, questo quartiere abitato da cristiani è un obbiettivo.
A tutto questo ormai ci stavamo abituando, ma ora a terrorizzarci s'è aggiunta la notizia della questione chimica. La minaccia degli Stati Uniti e dei suoi alleati di Francia ed Inghilterra ci lascia impauriti e sgomenti.
Da giorni vedo una grande paura dipinta nei visi dei miei fratelli cristiani. Chi può scappa in Libano. Chi non può farlo abbandona i piani alti e cerca posto negli scantinati. Da ieri abbiamo incominciato a far provviste di pane, grano, formaggio. Ma far la spesa diventa ogni giorno più difficile. In due giorni il valore del dollaro è passato da 200 a 280 lire.


In tutto il nostro quartiere si respirano paura, tristezza e preoccupazione.
Una cupa angoscia s'è insinuata nelle anime di noi cristiani di Damasco. In questa angoscia c'è un'unica domanda: ci sarà un attacco americano su Damasco? E perché l'America vuole colpirci?
Se alla base di tutto c'è la questione delle armi chimiche perché non aspettano i risultati e le prove, non accertano chi l'ha fatto? Fino ad ora non c'è nessuna prova per condannare il governo di Damasco. Qualche tempo fa il giudice svizzero Carla del Ponte, membro di una Commissione Onu ha accusato i ribelli. Medici Senza Frontiere parla di 355 persone morte durante l'attacco in quella zona non lontana dalle nostre case. Noi abbiamo sentito molte testimonianze secondo cui sarebbero stati i «ribelli siriani» ad utilizzare le armi chimiche e non le forze del regime.
Molti dei miei amici cristiani sono convinti che l'America non abbia una sola prova. Molti temono che Obama e l'America vi stiano raccontando una grossa bugia. Siamo convinti che l'attacco non risolverebbe la questione dei siriani, anzi la renderebbe più complessa, perché moltiplicherebbe il numero dei morti innocenti causando maggior povertà e spingendo molti più siriani a cercare la strada della fuga all'estero.


Tutto il mondo ormai pende dalle labbra di Obama. Che democrazia è questa? I siriani ormai possono solo sperare nella sua pietà. Che democrazia è questa? Una persona sola può arrogarsi il diritto di decidere la morte o la salvezza di migliaia di siriani. Che democrazia è questa?
Perché Obama non mostra prima le prove che condannano il regime di Damasco e dimostrano l'uso del gas nervino contro i civili? 


Da qui, dal cuore di Damasco io mi rivolgo a tutti voi italiani e a tutti i vostri politici per chiedervi: «Fermate la guerra».
Noi cristiani d'Oriente, siamo i discepoli di Paolo e Pietro, siamo i figli dei padri della Chiesa, siamo l'essenza della Cristianità. Non abbandonateci, non lasciateci nelle mani dei fanatici di Al Qaida e di chi combatte per reinsediare il Califfato e sogna di arrivare a conquistare Roma.
Cristo ci ha insegnato a non «aver paura» e noi fedeli alle sue parole ci sforziamo di non temere nulla. Ma voi pregate per noi.


Samaan 

(testo raccolto da Gian Micalessin)

http://www.ilgiornale.it/news/interni/i-nostri-due-incubi-qaida-casa-i-missili-cielo-946704.html

sabato 24 agosto 2013

Due appelli a Papa Francesco

  Il patriarca Bechara Raï: guerre in Medio Oriente, i cristiani pagano il prezzo più alto

 "Papa Francesco è il solo uomo a parlare di Pace. Solo la Santa Sede può mettere fine a una tale tragedia"




Radio Vaticana - 23-08-13

La situazione in Medio Oriente sta di giorno in giorno diventando sempre più critica: il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti,  nell'intervista rilasciata a Manuella Affejee  http://media01.radiovaticana.va/audio/ra/00387136.RM

R. –  Vede, tutto quello che succede in Medio Oriente – sia in Egitto, sia in Siria, sia in Iraq – è una guerra che ha due dimensioni. In Iraq e in Siria, la guerra è tra sunniti e sciiti; in Egitto la guerra è tra fondamentalisti, tra cui i Fratelli musulmani, e i moderati. Sono guerre senza fine ma – mi dispiace di doverlo dire – ci sono dei Paesi, soprattutto occidentali, ma anche dell’Oriente, che stanno fomentando tutti questi conflitti. Bisogna trovare una soluzione a tutti questi problemi. Noi cristiani, da 1400 anni stiamo vivendo insieme ai musulmani, e abbiamo veicolato in queste terre valori umani, morali, i valori della multi-confessionalità, della pluralità, della modernità … Grazie alla presenza di noi cristiani, nella nostra vita quotidiana in tutti questi Paesi arabi abbiamo creato una certa moderazione nel mondo musulmano. Oggi assistiamo alla distruzione totale di tutto quello che i cristiani hanno costruito nel corso di 1400 anni. E, al contempo, i cristiani pagano per queste guerre tra sunniti e sciiti e tra moderati e fondamentalisti, per quanto riguarda l’Egitto.

D. – La minoranza cristiana in Egitto sta pagando un prezzo alto nell’attuale situazione …

R. –  Come sempre, quando si verifica il caos o quando c’è una guerra, in generale i musulmani si scatenano contro i cristiani, come se i cristiani fossero sempre il capro espiatorio. Mi dispiace, ma in Egitto sono stati i Fratelli musulmani che hanno attaccato le chiese dei copti e i copti stessi … Purtroppo, questa è la mentalità di certi musulmani: ogni volta che c’è una situazione di caos, si attaccano i cristiani senza nemmeno sapere perché! La stessa cosa è successa anche in Iraq, e sta succedendo in Siria e ora in Egitto. Loro non sanno perché attaccano i cristiani, ma è così. Quello che i cristiani chiedono, nel mondo arabo, è la sicurezza e la stabilità: tutto qui.

D. – I Fratelli musulmani giustificano le loro aggressioni nei riguardi dei cristiani accusandoli di avere sostenuto apertamente il rovesciamento di Morsi …

R. –  In tutto il mondo arabo, i cristiani sono dalla parte delle istituzioni, rispettano il Paese in cui vivono, le autorità e la Costituzione. E’ risaputo che in Egitto i Fratelli musulmani in un anno hanno fatto un passo indietro con l’intenzione di applicare la Sharìa, mentre il popolo egiziano reclamava riforme in campo politico. Tutte le manifestazioni popolari avevano come scopo la richiesta di riforme politiche, il che significava muoversi nella direzione della democrazia. E come al solito l’Occidente – non ho il titolo per fare il nome delle Nazioni specifiche – ha dato il suo contributo sotto forma di miliardi di dollari ai Fratelli musulmani, perché arrivassero al potere. Una volta ottenuto il potere, hanno iniziato ad applicare la Sharìa, la legge islamica, cioè hanno fatto marcia indietro. Certamente, i cristiani sono contrari a questo: i cristiani vogliono un Egitto riformato, democratico, un Egitto che sappia rispettare i diritti umani. Sono sempre leali con lo Stato e le istituzioni …

D. – Quali sono le sue previsioni per il futuro del Medio Oriente?

R. – Secondo la comprensione dei fatti del giorno, che noi viviamo, c’è un determinato progetto di distruzione del mondo arabo per interessi politici ed economici. C’è anche il progetto di acuire quanto più possibile i conflitti inter-confessionali nel mondo musulmano, tra sunniti e sciiti. Quindi, il progetto c’è, ed è un progetto di distruzione del Medio Oriente. Purtroppo, questa politica viene dall’esterno. Io ho scritto già due volte al Santo Padre per spiegargli quello che sta succedendo e gli ho raccontato tutta la verità oggettiva. Purtroppo, lo scopo è la distruzione del mondo arabo, e chi paga sono i cristiani. In Iraq su un milione e mezzo di cristiani ne abbiamo perso un milione, nel silenzio totale della comunità internazionale.

Il Gran Muftì al Papa: "Vieni in Siria a portare la pace"

«Vorrei tanto parlare con Papa Francesco perché lui è un uomo del popolo e non un uomo di potere. Vorrei esortarlo a venire qui in Siria. Ed anche in Egitto, Giordania e Palestina. Vorrei chiedergli d'incontrare i mufti musulmani, le autorità cristiane e quelle ebraiche per cercare una soluzione alle guerra che ci divide. Noi musulmani e voi cristiani abbiamo costruito moschee e chiese. Ma ora bisogna uscire da moschee e chiese per ascoltare la voce del popolo. Per questo Papa Francesco potrebbe aiutarci a metter fine alle guerre».



È la massima autorità religiosa del Paese, gli hanno ucciso un figlio. E a Papa Francesco dice: "Facciamo finire le guerre"

Il Giornale, 05/08/2013 
di Gian Micalessin



Il gran Muftì di Siria Ahmad Badreddin Hassoun la guerra la conosce bene. Ha 64 anni, da 13 è il gran Muftì di Siria. Due anni fa - dopo aver dichiarato di appoggiare il regime - ha sopportato l'uccisione del figlio 22enne freddato per vendetta alle porte di Aleppo. Eppure non ha mai esortato all'odio o alla vendetta. «Ho sempre spiegato - racconta in questa intervista a Il Giornale – che se Maometto avesse chiesto di uccidere non sarebbe stato un Profeta del Signore. Sono stato criticato da molti intellettuali musulmani, ma la verità è questa. Il Profeta a chi gli chiedeva di punire con la morte gli assassini ha sempre risposto che sarà Dio a condannarli per le sue colpe. Per questo ho perdonato chi ha ucciso mio figlio. E chiedo a tutti quelli che subiscono la stessa tragedia di fare lo stesso».
Lei però appoggia un governo accusato di massacrare il suo popolo...
«Se la Siria avesse fatto pace con Israele oggi sarebbe considerata il miglior paese del medio Oriente. Ho sempre ripetuto ad America e Israele fate la pace invece di raccontare bugie».
Le accuse arrivano anche dall'Europa..
«Nel 2008 il Parlamento europeo mi invitò a Bruxelles. Quando ho chiesto di mandare una delegazione a vedere quel che succede in Siria mi hanno risposto che verranno solo quando andrà via Assad. Com'è possibile accettare questi diktat da chi sta lontano e rifiuta di vedere la verità? Sono pronto a venire da voi e incontrare tutti i membri dell'opposizione. Il grande crimine dell'Europa è tagliare i canali diplomatici con la Siria, nascondere la vera immagine di questa guerra. L'ambasciatore francese all'inizio del caos cercò di farlo, ma Parigi gli ricordò che era l'ambasciatore di Francia non della Siria».
Perché credervi?
«Avete visto cos'è successo in Iraq? C'era un Saddam Hussein e adesso ne avete trenta. In Tunisia c'era un presidente e ora c'è il caos. In Libia avete fatto fuori Gheddafi e ve ne ritrovate altri cento. L'Egitto è ormai fuori controllo. Volete succeda anche in Siria? Se qui sorge uno stato islamico la guerra arriverà al cuore dell'Europa».
In Medio Oriente si temono nuovi attacchi di Al Qaida. Perché tanto odio per l'Occidente.
«Il problema è l'America. Guardate le manifestazioni a favore dei Fratelli Musulmani e dei militari in Egitto. Il punto comune è l'odio di entrambi per gli Usa. Al Qaida e queste minacce sono figlie degli stessi errori. L'America ha creato i talebani e loro hanno creato Al Qaida».
Tra le grinfie di Al Qaida è finito anche Paolo Dall'Oglio un prete italiano molto conosciuto qui in Siria….
«Mi auguro torni in Italia vivo. Paolo lo conosco bene, si è messo nei guai perché si è spinto in una terra senza legge. Dio insegna ad entrare nelle case dalla porta. Lui ci è entrato da dietro. Quando è arrivato in Siria l'ho accolto come un fratello, non come uno straniero. L'ho difeso dalle accuse della stessa chiesa cattolica siriana. Ma quando l'ho visto camminare con i ribelli ho capito che lui non aveva una vera vocazione di pace. Provo molta più angoscia per la sorte del vescovo siriaco Yohanna Ibrahim e di quello greco ortodosso Boulos Yazij rapiti da Al Qaida ad aprile. Loro cercavano veramente la riconciliazione».
In Siria è scomparso anche il giornalista Domenico Quirico entrato nel paese con i ribelli….
«Queste cose succedono perché i vostri mezzi d'informazione si fanno suggestionare dalla propaganda».
Dall'Europa sono partiti 600 volontari musulmani venuti a combattere contro il regime che lei difende….
«Lo so. E so che tra loro c'era anche un giovane italiano è morto da queste parti. A tutti questi musulmani vorrei dire di non svendere il proprio cervello. La nostra religione insegna la pace, non la guerra. A questi giovani chiedo di studiare bene il Corano e di non credere a chi li esorta a combattere all'estero. Un buon musulmano viaggia per costruire la pace non per combattere».
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Il Gran Muftì è la massima autorità religiosa dei sunniti di Siria. Emette pareri legali ed editti, fatwa ed interpretazioni della legge islamica se richiesto dai privati o dai giudici nell'ambito di un contenzioso. Le opinioni raccolte dal Gran Mufti servono come fonte d'informazione sull'applicazione pratica della legge islamica. Ahmad Badreddin Hassoun ricopre la carica dal luglio 2005. Invitato prima della guerra civile a numerosi incontri interreligiosi ha sempre sostenuto la necessità del dialogo tra le fedi. Ha sempre difeso il regime e sconfessato come musulmani appoggiati e pagati dall'estero i ribelli che combattono contro il governo.

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/gran-muft-papa-vieni-siria-portare-pace-chi-ha-sconfessato-i-941258.html

Gran Muftì di Siria: il Profeta condanna chi uccide. 

Intervista a Ahmad Badreddin Hassoun, esclusiva Rainews24

venerdì 17 maggio 2013

Quella sottile linea rossa


ARMI CHIMICHE IN SIRIA


di Francesco Mario Agnoli
da: Identità Europea

Archiviati la sbornia elettorale, l’elezione/rielezione del presidente della Repubblica e perfino il varo del nuovo governo (anche se quest’ultimo continua a essere soggetto a poco rassicuranti scosse sismiche), è possibile cambiare argomento. Tornare per esempio alla politica estera, a quanto sta avvenendo in Africa e in Medio Oriente, a così breve distanza dalla Sicilia, cioè da casa nostra. Da ultimo (ma già in precedenza non sarebbero mancate le occasioni) mi sollecita a farlo l’articolo “Siria nel caos Obama decida” pubblicato dal Resto del Carlino di domenica 12 maggio.

La politica estera interessa poco agli italiani, ma appunto per questo offre a un nutrito gruppo di protagonisti della politica e dell’informazione ottimi spunti senza rischio di eccessive contestazioni per esibire, sotto forma di rispettoso rimbrotto/esortazione, da consiglieri del principe, la propria fedeltà a Washington, mostrandosi più americani dello stesso presidente americano.
Tutti questi signori non vedono l’ora che gli States ripetano in Siria quanto accaduto in Iraq e in Libia e si preoccupano perché Obama non ripete più che “Assad se ne deve andare” e addirittura ha “fatto una imbarazzante marcia indietro quando il Pentagono gli ha confermato l’uso delle armi chimiche”. Già la famosa “linea rossa”, superata la quale l’America avrebbe rotto gli indugi e autorizzato l’intervento militare. In effetti a inizio maggio Obama aveva dato l’impressione di stare per premere il bottone, dichiarando che l’impiego di armi chimiche in Siria è ormai un fatto accertato. Aveva sì aggiunto di non avere ancora l’assoluta certezza sugli autori del crimine, ma anche lasciato capire che tutti i sospetti puntano su Assad e l’esercito governativo.
I consiglieri del principe si stavano già fregando le mani quando, il 5 maggio, a rompere le uova nel paniere è intervenuta l’ex-magistrato svizzero Carla Del Ponte, autorevolissima componente della Commissione ONU incaricata di indagare sulla violazione dei diritti umani in Siria. La Del Ponte, celebratissima in Italia e in tutto l’Occidente quando sosteneva l’accusa davanti al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, ha dato ragione ad Obama sull’avvenuto utilizzo di armi chimiche, ma ha aggiunto che le testimonianze attribuivano l’impiego del micidiale gas Sarin non ai governativi, ma ai ribelli. Difficile immaginare qualcosa di peggio di queste dichiarazioni per i sostenitori dell’intervento Usa contro Assad, proprio perché confermano le dichiarazioni del presidente quanto all’avvenuto impiego di armi chimiche, ma “sbagliano” colpevole. Difatti, una volta superata la “linea rossa”, o si mantiene l’impegno e si interviene contro gli autori del crimine o non si potrà farlo contro l’altra parte del conflitto, qualora decidesse di replicare con le stesse armi.
I collaboratori più responsabili e preparati degli States se ne sono immediatamente resi conto e non hanno esitato a smentire non solo la Del Ponte, ma (con qualche cautela) lo stesso Obama a proposito del “fatto accertato”, cioè dell’avvenuto impiego di armi chimiche. Anders Fogh Rasmussen, segretario generale Nato, si è affrettato a dichiarare che “la Nato ha avuto indicazione dell’impiego di armi chimiche in Siria, ma non ha prove consolidate né sulle circostanze né su chi ne abbia fatto effettivo uso”, aggiungendo di ignorare “su quale base Carla Del Ponte abbia fatto le sue dichiarazioni”. A sua volta la Commissione dell’ONU, di cui è componente il magistrato svizzero, ha diffuso una nota per affermare di non avere “prove conclusive in grado di determinare l’uso delle armi chimiche, né dall’una, né dall’altra parte”.

Insomma il “fatto accertato” è soltanto un’ipotesi o al massimo un sospetto.
In Italia gli aspiranti consiglieri del principe possono concedersi qualche parola critica per sollecitare il presidente americano a superare le proprie esitazioni, ma mai si permetterebbero di smentirlo. Per loro resta indiscutibile che le armi chimiche sono state usate e, dal momento che il sospetto del principe è per i cortigiani certezza, che ad impiegarle è stato il tiranno Assad e non le anime belle dei salafiti, degli islamisti e dei mercenari sauditi.



La "partita" delle armi chimiche può spaccare il Medio Oriente          



da Il Sussidiario , venerdì 19 aprile 2013
INT. A  Gian Micalessin 

Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato alla BBC che Israele ha il  diritto di fare quanto è in suo potere per impedire che le armi chimiche siriane  cadano nelle mani sbagliate. Per il premier, se i terroristi dovessero  sequestrare armi anti-aeree e chimiche, diventerebbero l’ago della bilancia del  Medio Oriente. Il Sussidiario.net ha intervistato Gian Micalessin, inviato di  guerra de Il Giornale.

D: Che cosa ne pensa dello scenario delineato dal premier Netanyahu?
R: E’ uno scenario che potrebbe verificarsi. Esistono effettivamente dei depositi  di armi chimiche e si trovano in zone che potrebbero essere raggiunte dai  ribelli. Un intervento israeliano però esaspererebbe la già drammatica  conflittualità in cui vive la Siria, e potrebbe avere un effetto assolutamente  devastante per l’intero Medio Oriente.  Sarebbe più opportuno un intervento  americano o europeo, come è stato delineato più volte in passato, con  l’obiettivo specifico di evitare il diffondersi delle armi chimiche. Resterebbe  comunque una scelta pericolosa e con molte controindicazioni, ma pur sempre meno disastrosa di un blitz israeliano che rischierebbe di minare dalle fondamenta  quel poco che resta della stabilità mediorientale.

D: Quanto sono realmente pericolose le armi chimiche siriane?
R: Le armi chimiche siriane, finché restano nelle mani di Assad che non le ha mai usate né intende usarle, sono relativamente poco pericolose. Diventano  estremamente pericolose se cadono nelle mani di gruppi come Al-Nusra, che formalmente appartengono alla galassia della rivolta jihadista in corso contro  Assad. Queste formazioni agiscono autonomamente e si dichiarano addirittura  schierate su posizioni vicine ad Al Qaeda. Quindi è chiaro che le armi chimiche,  se cadessero in mano loro, potrebbero essere usate non solo per fare cadere  Assad o per combatterlo, ma anche nello scenario globale per mettere a punto  attacchi terroristici contro quello stesso Occidente che ritiene di dover  sostenere la rivolta.

D: Quanto è forte ancora Assad e perché la situazione è così bloccata?
R:  Perché non c’è un Paese contro Bashar Assad, ma una nazione divisa in due. Il 50  per cento della popolazione è composta dalla minoranza cristiana, dagli alawiti,  ma anche da buona parte dei sunniti che continuano a restare con Assad. Molti  generali e ufficiali dello stesso esercito sono sunniti e continuano a sostenere  il regime.

 D: Quanto conta l’influenza delle potenze straniere?
R: Chi lotta contro Assad ha il sostegno di potenze regionali quali Qatar, Arabia  Saudita e Turchia, oltre all’appoggio occidentale. Dall’altra ci sono alleati  come Pechino e Mosca, importanti dal punto vista economico e del rifornimento di  armi, e la compartecipazione all’attività bellica dell’Iran e di Hezbollah, che  ritengono fondamentale per il mantenimento dell’asse sciita la sopravvivenza di  Bashar Assad e dell’attuale regime siriano.

D: Lei è stato più volte in Siria. Che cosa ha visto?
R: Quel che balza di più agli occhi quando si viaggia a Homs, Aleppo e altre città siriane è la sostanziale difformità tra i resoconti giornalistici che riceviamo  in Occidente e quel che accade sul terreno. Esiste effettivamente una situazione  di guerra. In particolare Aleppo, almeno nella parte che si affaccia verso la  Turchia, è una città circondata dai ribelli, ma al suo interno esiste una vasta  parte della popolazione che continua a vivere normalmente e a sostenere la  necessità di battersi con Assad.

D: Per quali motivi?
R: Considerano il regime comunque più legittimo di un’opposizione armata,  foraggiata da Stati stranieri, come il Qatar e l’Arabia Saudita. I ribelli sono  inoltre ritenuti pericolosi, incontrollabili, disorganizzati, privi di una guida  politica e soprattutto colpevoli di massacri efferati e di attentati che mettono  a rischio la popolazione civile. Attentati che sono descritti da chi vive a Homs  e Aleppo come terrorismo puro e non come ribellione e lotta contro il tiranno.

(Pietro Vernizzi)
© Riproduzione Riservata. 

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2013/4/19/SIRIA-Micalessin-la-partita-delle-armi-chimiche-puo-spaccare-il-Medio-oriente/384891/

giovedì 11 ottobre 2012

Le due Sirie - da "Terra!" 8 ottobre 2012

Durante la trasmissione "Terra!" di Rete4 del 8 ottobre 2012 è andato in onda un bel servizio di Gian Micalessin, con un reportage interessante e veritiero ricco di interviste anche a religiosi e alle Monache Trappiste italiane di 'Azeir.
Pubblichiamo  il video di una parte del servizio, ed inseriamo alcune immagini e brani delle interviste, tratti dal video.

http://www.youtube.com/watch?v=FVnE9m5-EJ0&feature=youtu.be


Mons. Audo (Presidente Caritas Siria): "Abbiamo l'impressione che l'Europa non prenda in considerazione la presenza dei cristiani. All'Europa interessa l'economia, la sicurezza... Non si può scambiare così la fede, non si può comprare, e lasciare.... Non è una moda, è una questione di vita e di morte per noi".


Padre Ignace Dick: " Non è gente che viene qui per liberarci... I cristiani non sono certo d'accordo con il regime su tutto, ma per il momento questo regime è una diga contro il terrorismo e l'islamismo intransigente.


Voi avete un'idea completamente falsa, falsa, falsa. Tutti i mezzi di informazione raccontano il falso, c'è una grande menzogna alla base di tutto. Il regime non può essere cambiato con la forza; il regime esiste, e per il momento bisogna dialogare con lui. I Paesi occidentali non possono imporci un cambio di regime: non sono affari loro".
 
 Suor Marta: " Sei i ribelli passassero, il nostro villaggio cristiano maronita sparirebbe. Nel giro di mezz'ora direbbero ai cristiani: "O con noi, o ve ne andate".
 Suor Marita: " Dove sono arrivati, i mussalahin non hanno ammmazzzato i cristiani, hanno semplicemente detto: "O state con noi, e allora potete rimanere; o altrimenti ve ne andate".
 "Condividiamo la realtà di questa terra insanguinata, ed è per noi un motivo ancora più grande per pregare".
 "Il fatto che possa diventare pericoloso per la vita non è la cosa più importante. Anche per i nostri fratelli di Tibhirine non era questa la cosa più importante:
la cosa più importante è il dono di sè."




venerdì 21 settembre 2012

«Noi siamo prigionieri della guerra, voi di messaggi distorti e parole false».

Cristiani siriani: «Non lasceremo questo inferno»                             

 di Gian Micalessin
Tempi- 21 settembre 21, 2012

«Siamo figli di san Paolo. Non abbandoneremo la terra che ha bevuto il sangue dei nostri martiri». La fede di padre Hanna Jallouf e dei cristiani dell’Oronte, assediati dall’esercito siriano e usati come scudi umani dai ribelli «integralisti»

È appena arrivato a Damasco. Stavolta ce l’ha fatta. Padre Hanna Jallouf ci provava da un mese. Ora asciugato il sudore, ripulita la polvere della sua odissea siriana può indossare i paramenti, alzare il calice, recitare messa nella cappella del Memoriale di san Paolo. Qui iniziò la predicazione cristiana. Qui è tornato oggi il pastore Hanna. È sceso dall’Oronte, il fiume ribelle che dal Libano risale la Siria verso nord disegnando le vallate al confine con la Turchia. Lassù ha lasciato la sua comunità accerchiata, i suoi fedeli prigionieri di guerra e paura. «Sono il parroco superiore di Knaye e di un’altra missione. Lassù nella provincia di Idlib – racconta – siamo quasi 2.000 cristiani divisi fra le comunità francescane della Custodia di Terrasanta e quelle greco ortodosse, armene e protestanti. Siamo i discendenti dei primi cristiani, i figli della predicazione di san Paolo. Siamo i discendenti dei primi convertiti sulla strada per Apame e l’Antiochia. Siamo una presenza millenaria».
Da mesi quella presenza vive prigioniera. Circondata da violenza ed orrore. «È incominciato tutto quando i ribelli scesi dal confine turco hanno massacrato 83 soldati. È stata una strage terribile e io l’ho vista con i miei occhi. Hanno tagliato la testa al comandante e l’hanno issata sulla terra dell’orologio, poi ne hanno tagliate altre cinque e le hanno deposte davanti alla sede del partito. Ho visto cose che non dimenticherò mai, ma ho anche dovuto badare alla mia comunità. Ho incontrato il capo dei ribelli, ho negoziato, l’ho fatto salire in macchina sono andato a cercare assieme a lui i fedeli di cui avevamo perso le tracce».
Da quei giorni però nulla è più lo stesso. L’esercito circonda la zona, chiude in una morsa le comunità cristiane controllate a loro volta dai ribelli. Quest’ultimi sembrano incapaci di governare il territorio, poco interessati a garantire ordine e sicurezza. «Come cristiani cerchiamo di restare neutrali, ma credimi, è difficile avere fiducia. Non sono un esercito di liberazione, sono delle bande che si muovono alla rinfusa. Più parlo con i loro capi più comprendo quanto i loro progetti siano confusi o pericolosi. Molti, moltissimi sono d’ispirazione integralista, almeno il 40 per cento sono dei fanatici mandati avanti e finanziati da paesi stranieri. Arrivano dai posti più caldi del medioriente come lo Yemen, l’Iraq e il Libano. Si danno appuntamento alla frontiera turca e da lì scendono verso i nostri villaggi. Questa è la nostra più grande sventura. In ogni villaggio musulmano c’è qualcuno che dopo il loro arrivo si proclama “emiro” e distribuisce ordini. Chi resta nelle campagne semina la paura. Nei nostri villaggi i rapimenti sono ormai all’ordine del giorno. I figli dei cristiani vengono catturati per strada e le famiglie ricattate. Ogni settimana dobbiamo fare delle collette per riuscire a riaverli. L’assurdo è che non rapiscono solo i cristiani, ma anche i musulmani moderati. La comunità di uno sceicco sunnita non lontana da noi ha versato diecimila dollari per riaverlo indietro vivo».
Il racconto di padre Hanna Jallouf sembra il controcanto di quel che italiani ed europei apprendono da giornali e dalle televisioni. Ma lui non si stupisce. Sorride. «Noi siamo prigionieri della guerra, voi di messaggi distorti e parole false. L’esercito è accusato di mettere a segno dei massacri, ma se succede è perché non riesce a distinguere, perché i ribelli vanno a rifugiarsi nei villaggi e si fanno scudo dei civili. Questa è una guerra e come in tutte le guerre il sangue non scorre da un parte sola».
A Damasco, rischiando la vita Dietro le barriere di questa tragedia i cristiani dell’Oronte attendono impotenti una via d’uscita, un ritorno alla ragione. «Ora le mie prime preoccupazioni – racconta padre Hanna – sono il pane per la mia gente, le medicine per le nostre donne, il latte per i nostri bambini, il lavoro per i loro padri. Per questo ogni tanto rischio il tutto per tutto e vengo a Damasco, tengo i contatti con la Custodia di Terrasanta. Ma questo è solo un modo per sopravvivere. La soluzione vera non passa da me e non è neppure all’orizzonte della politica. Quando parlo con i ribelli o con i capi dell’esercito spesso ascolto parole confuse», ripete rassegnato il pastore dell’Oronte. «Del resto neppure la diplomazia sembra capirci troppo. L’unica soluzione, non solo per noi cristiani, ma per tutta la Siria è il dialogo. La comunità internazionale dimentica che il sangue chiama sangue e l’uso della violenza alimenta l’odio. Pensare che la colpa sia solo da una parte è il peggiore degli errori. Senza misericordia, senza perdono, questa tragedia non finirà mai».
Ora per padre Hanna è tempo d’andare. Ripiegati i paramenti, risale dalla grotta del Memoriale di san Paolo e si prepara a tornare dai cristiani dell’Oronte. All’andata ha superato i posti di blocco dei ribelli, attraversato i villaggi delle milizie alawiste, visto la morte in faccia quando una trappola esplosiva ha dilaniato i soldati fermi lungo un tratturo. Il viaggio del ritorno sarà altrettanto difficile. Ma padre Hanna non si preoccupa. «Era la terza volta che provavo ad arrivare. Le altre due avevo dovuto rinunciare a metà strada. Ma due giorni fa mi è caduta sotto gli occhi una frase del Vangelo. “Io – recita il Signore – apro le vostre vie”. Allora ho deciso di riprovarci. In fondo la nostra vita è bella solo se possiamo realizzare la nostra missione e vivere in mezzo alla nostra gente. Per questo ho fretta di tornare al loro fianco. Siamo i figli di san Paolo, siamo la testimonianza della presenza cristiana. I nostri progenitori sono sono morti in quei villaggi e noi faremo lo stesso. Il cristianesimo non può abbandonare la terra che ha bevuto il sangue dei propri martiri».
http://www.tempi.it/cristiani-siriani-non-lasceremo-questo-inferno

sabato 15 settembre 2012

IL GRIDO DEI CRISTIANI SIRIANI AL PAPA

I Vescovi di Aleppo, costretti a rinunciare all’incontro con il Papa, lanciano un appello a Benedetto XVI per il cessate il fuoco e la riconciliazione
Agenzia Fides 14/9/2012

Aleppo è da più di due mesi al centro degli scontri armati tra i ribelli e l’esercito siriano. Il Consiglio dei sei Vescovi cattolici della seconda metropoli della Siria ha dovuto rinunciare a malincuore a recarsi all’incontro con il Papa in Libano per rimanere al fianco dei propri fedeli. Ma dalla città devastata dal conflitto hanno lanciato un appello a Benedetto XVI, chiedendo al Papa di richiamare la comunità internazionale all’urgenza di trovare una soluzione pacifica e porre fine a un conflitto “che sta distruggendo il Paese e seminando dovunque miseria e desolazione”.
Nel loro appello, inviato all’Agenzia Fides, i Vescovi di Aleppo (greco-cattolico, siro-cattolico, armeno-cattolico, maronita, caldeo e latino) pregano ardentemente Benedetto XVI di sottoporre ai capi delle nazioni e agli organismi internazionali due richieste: “Esigere che cessino definitivamente i combattimenti sul suolo della Siria”, per poi “incoraggiare e appoggiare le parti in conflitto affinché giungano a un dialogo serio e efficace in vista di una riconciliazione nazionale”.
I Vescovi di Aleppo descrivono la condizione vissuta dal popolo siriano in termini angosciati: “Il Paese si distrugge, il numero delle vittime si moltiplica, e quello dei feriti aumenta di giorno in giorno. Molte abitazioni sono distrutte, e i poveri vedono le proprie risorse diminuire progressivamente. Tutto ciò fa precipitare le famiglie in uno stato di disperazione e spinge molte di esse a emigrare”.
L’ appello si conclude con il ringraziamento a Benedetto XVI “per tutte le iniziative che Voi prendete al servizio della pace”, e con l’augurio “che la Vostra voce arrivi alle orecchie dei popoli e raggiunga quelli che hanno il potere di decidere”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39839&lan=ita


“Fedeli, non lasciate la Siria!”: messaggio dei Patriarchi di Damasco, stretti attorno al Papa
(Agenzia Fides 14/9/2012)

“Con tutto il cuore chiediamo ai fedeli cristiani della Siria di non abbandonare il nostro amato paese, nonostante la violenza, le sofferenze, lo sfollamento”: è quanto chiedono i Patriarchi delle Chiese cristiane in Siria, da questa mattina in Libano per “stringersi attorno a Benedetto XVI, pellegrino di pace in Medio Oriente”. In un messaggio reso noto tramite l’Agenzia Fides, i leader cristiani, dando il benvenuto a Benedetto XVI, rimarcano il tema più caro alle Chiese locali: la presenza delle comunità cristiane in Medio Oriente. A condividere il messaggio sono quattro leader con sede a Damasco: il Patriarca greco-cattolico Gregorio III Laham; il Patriarca greco-ortodosso Ignatius IV Hazim; il Patriarca siro-cattolico Ignatius III Younan; il Patriarca siro-ortodosso Zakka I Iwas.
In particolare oggi in Siria c’è il pericolo di un esodo dei fedeli, molti dei quali sono già fortemente colpiti dalla povertà, sono stati costretti a lasciare le loro case per gli scontri armati, e vivono da sfollati interni o nei paesi limitrofi. In queste tragiche ore, i Patriarchi chiedono ai fedeli: “Abbiate pazienza, non fuggite”, invitando a “sopportare il dolore”, per amore di Cristo.
I leader cristiani in Siria deplorano l’atteggiamento di alcune Cancellerie occidentali che, esplicitamente o in modo implicito, stanno offrendo ai fedeli siriani l’opportunità di emigrare, notando che questo “costituisce una tentazione”, ma che non è la soluzione per i cristiani in Siria. Il rischio, notano, è una “libanizzazione del conflitto siriano” (oltre il 50% dei cristiani fuggì dal Libano, al tempo della guerra) o lo scenario iracheno (negli ultimi anni le comunità cristiane locali, sotto la pressione del terrorismo, sono notevolmente diminuite).
I Patriarchi sostengono con forza il recente appello del Santo Padre al dialogo e alla riconciliazione in Siria, definite dal Papa “prioritarie per tutte le parti implicate” e auspicano che il viaggio di Benedetto XVI possa lasciare “una profonda traccia di pace”.
Come riferito a Fides, simbolo potente della solidarietà e dell’amore verso il Papa è, in particolare, la presenza del Patriarca siro-ortodosso Zakka I Iwas che, nonostante la malattia e le cure di dialisi di cui necessita, ha voluto comunque essere presente accanto a Benedetto XVI.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39840&lan=ita


Nunzio a Damasco: Benedetto XVI un faro per tutto il Medio Oriente
Damasco (AsiaNews) - "Il viaggio del Papa in Libano sarà un faro per tutto il Medio oriente, soprattutto per i cristiani della Siria. Mi auguro che la presenza del Pontefice incoraggi la comunità internazionale ad aiutare le parti in conflitto ad abbandonare le armi e sedersi sul tavolo dei negoziati per porre fine a questa carneficina". È la speranza di mons. Mario Zenari, Nunzio apostolico a Damasco, a poche ore dalla visita di Benedetto XVI che nel Libano, che inizia oggi e termina il 16 settembre.

"Il Papa - sottolinea Zenari - segue da mesi la situazione siriana e non ha mai smesso di far sentire la sua voce negli incontri pubblici. Egli conosce quali sono i desideri dei cristiani siriani e dei loro vescovi, che da oltre un anno tentano di testimoniare la pace nel Paese piegato dagli odi confessionali ed etnici".

Il Nunzio spiega che per le condizioni critiche vissute dal Paese la visita non ha avuto molta risonanza fra la popolazione, che in molte zone non ha accesso a giornali e televisioni. Tuttavia, parrocchie e diocesi stanno facendo di tutto per richiamare i fedeli a questo importante appuntamento. "La situazione ad Aleppo e in alcune zone di Damasco è drammatica - afferma il prelato - combattimenti fra ribelli ed esercito avvengono in ogni angolo del Paese". L'insicurezza delle strade e degli aeroporti civili, utilizzati da Assad come piste per i suoi aerei da guerra e tenuti sotto tiro dall'artiglieria del Free Syrian Army, non permetterà ai vescovi siriani di salutare di persona il pontefice. "I vescovi di Aleppo - racconta Zenari - hanno inviato una lettera di benvenuto, dove spiegano la loro situazione. Ma saranno presenti con la preghiera".
http://www.asianews.it/notizie-it/Nunzio-a-Damasco:-Benedetto-XVI-un-faro-per-tutto-il-Medio-Oriente-25812.html



 da TV7 del 14/09/12
Reportage di Gian Micalessin dalla Siria

"Voi occidentali vi siete dimenticati di noi, cristiani d'Oriente"
dal minuto 00.21.03 al minuto 00.27
http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html#ch=1&day=2012-09-14&v=146500&vd=2012-09-14&vc=1
 

sabato 3 marzo 2012

Il male minore

 Ecco perché i cristiani avranno comunque la peggio

da "Il Sussidiario"
sabato 3 marzo 2012
 

L’esercito del presidente siriano Bashar Assad ha riconquistato Baba Amr, il quartiere della città di Homs che era stato liberato dai ribelli. Nel frattempo si intensificano le violazioni dei diritti umani da parte del regime. Secondo quanto riferisce il Media Center of Syrian Revolution, una fonte di informazioni vicina ai ribelli, solo a febbraio nel quartiere di Baba Amr sarebbero morte 420 persone, inclusi 19 bambini, 22 donne e 13 ragazzi deceduti in carcere durante le torture. Le forze di Assad avrebbero aperto due dighe sul fiume Assi, minacciando di allagare l’area archeologica di Darkoush. Elementi fedeli al regime avrebbero inoltre sequestrato e distrutto le medicine dalle farmacie per impedire ai cittadini rimasti feriti di ricevere medicazioni. Ilsussidiario.net ha intervistato Gian Micalessin, inviato de Il Giornale, sulla posta in gioco dell’attuale fase del conflitto siriano.
Micalessin, quali sono i principali rischi di quanto sta avvenendo in Siria?
Innanzitutto, nella componente dei rivoltosi siriani c’è un’altissima percentuale di Fratelli musulmani. Non a caso se guardiamo i messaggi che corrono sul web, scopriamo che una componente dei Fratelli musulmani libici in questi giorni ha raggiunto la Siria per combattere. Lo scenario che si ripete è sempre lo stesso: il Qatar utilizza i Fratelli musulmani, sostenendoli e finanziandoli, per portare al successo le rivolte nei vari Paesi arabi e quindi controllarli. E’ quanto è avvenuto in Tunisia, dove le elezioni sono state vinte dagli islamisti del partito di Ennahda. La stessa dinamica si è vista in Egitto, dove i Fratelli musulmani hanno conquistato il 47% dei seggi. Durante la rivoluzione libica, il Qatar ha inviato direttamente i suoi militari e dopo la caduta di Gheddafi ha favorito le fazioni islamiste. In Siria stiamo assistendo allo stesso scenario, con un elemento in più: l’influenza della Turchia, grande potenza musulmana che si affaccia sul Medio Oriente e appoggia vari gruppi e componenti. Tra i rischi della Siria ci sono anche quelli di un’opposizione divisa e incapace di contrapporsi al regime.
Come valuta la situazione dei cristiani, che rischiano di trovarsi tra due fuochi?
I cristiani siriani hanno purtroppo di fronte l’esempio non felice dell’Iraq, dove una volta caduto il regime di Saddam si sono trovati alla mercé dei fondamentalisti. I cristiani in Iraq sono stati sterminati e le loro chiese sono state attaccate. Per salvarsi, i cristiani irakeni sono fuggiti proprio in Siria. I cristiani siriani, che hanno ascoltato i loro racconti, oggi si chiedono se accadrà loro la stessa cosa. Per questo per il momento preferiscono appoggiare il regime piuttosto che stare con i rivoltosi. E’ una scelta determinata da condizioni oggettive. Spostandoci in Egitto, i copti del resto non hanno certo tratto vantaggio dalla rivoluzione, che ha fatto sì che le chiese fossero attaccate e i cristiani fossero discriminati.

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