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lunedì 26 marzo 2018

Aleppo: un progetto dei Francescani per i bambini rifiutati perchè nati da jihadisti

 Ad Aleppo centinaia di bambini figli dell’Isis sono senza identità, mai iscritti all’anagrafe nè andati a scuola e rifiutati totalmente dalla società, sono i bambini nati nel periodo dell’occupazione jihadista dai matrimoni temporanei o da unioni forzate. 
Aleppo Bambini

ATS pro Terra Sancta
marzo 2018

Avevamo tirato tutti un sospiro di sollievo, ormai un anno e mezzo fa, quando le televisioni di tutto il mondo trasmettevano le immagini degli aleppini festeggiare la libertà raggiunta dopo mesi di scontri nella città martire. Ci eravamo illusi, forse per un attimo, che tutto sarebbe finito presto. Che a una guerra disastrosa durata anni avremmo potuto forse scrivere la parola “fine”. Quello che accadde dopo, purtroppo, è storia.
Nell’ultimo periodo i riflettori sono tornati a puntare Damasco, colpita da una nuova ondata di violenza, ed è opinione più che diffusa che la guerra sarà ancora lunga. Oggi siamo costretti a ricordare il triste anniversario che ci trascina nell’ottavo anno di questo conflitto, iniziato dall’illusione portata delle cosiddette “primavere arabe”, arrivate in Siria nel marzo 2011. Ciò che sembrava un sogno di rivalsa venne trasformato presto in un incubo di jihadismo e fondamentalismo, da cui tutto il Medio Oriente non è ancora riuscito a uscire.
In questi lunghissimi sette anni noi di ATS pro Terra Sancta non siamo rimasti con le mani in mano. Oltre ad aver aperto e reso operativi quattro centri di emergenza in alcune città colpite dalla guerra (Damasco, Aleppo, Knayeh e Latakiah), abbiamo garantito l’assistenza sanitaria e migliaia di famiglie e l’educazione a centinaia di bambini che non potevano più andare a scuola. Siamo intervenuti in ogni situazione che chiedeva il nostro aiuto, spesso grazie alla preziosa collaborazione dei frati che non hanno mai lasciato il Paese.

All’inizio dell’ottavo anno di guerra, vogliamo ripeterlo a voce forte: noi non ci arrendiamo!

Vogliamo andare avanti ad aiutare i siriani e la Siria, dove i cristiani hanno cominciato a chiamarsi proprio con questo nome.  Per questo nelle ultime settimane abbiamo voluto lanciare un nuovo progetto ad Aleppo che si prenderà cura dei bambini orfani, abbandonati dalle proprie famiglie e di tutti coloro che sono nati da donne in seguito a stupri e abusi. È una parte della società che nessuno vuole guardare, un problema che spesso viene nascosto per non creare scandalo. In questi casi infatti, i bambini e le loro madri non ricevono nessun tipo di assistenza dallo Stato (anzi, vengono guardati con ostilità perché considerati figli del peccato e non vengono iscritti all’anagrafe), e in tante occasioni vivono in condizioni terribili.
bambini aleppoSono emarginati da tutti e bisognosi di tutto: di cibo, acqua, ma anche di un recupero psicologico e sociale. Per questo il vicario apostolico di Aleppo mons. George Abou Khazen, fra Firas Lutfi e il Gran Muftì di Aleppo, hanno deciso di dar vita a questa nuova iniziativa che – speriamo – possa tamponare questa grave emergenza sociale. L’obiettivo principale è sostenere i bambini e le loro mamme nella società provvedendo ai loro bisogni più urgenti. Noi di ATS pro Terra Sancta abbiamo scelto di essere al loro fianco per regalare un sorriso a questi bambini. E mentre aspettiamo che le grandi potenze internazionali trovino un accordo che possa portare a una accordo di pace lunga e duratura, noi rinnoviamo in particolare il nostro impegno per i più poveri e indifesi: i bambini della Siria.
Il futuro del Paese è anche nelle loro mani. Sappiamo che i militari possono solo vincere la guerra. Ma costruire la pace è un’altra cosa: implica un lavoro quotidiano e costante, di educazione e formazione delle coscienze. Perché non trionfi la rabbia o il rancore per il male ricevuto, ma la convinzione di poter ricominciare. E la speranza di poter tornare a chiamare la Siria – ancora una volta – una terra di incontro e di pace. Grazie al vostro aiuto, noi continuiamo a lavorare per questo.
Sostieni questo progetto! : 

https://www.proterrasancta.org/it/in-siria-noi-non-ci-arrendiamo/

martedì 31 ottobre 2017

Oasi di carità a Damasco


il racconto di Andrea Avveduto
ATS pro Terra Sancta

Arriviamo a Damasco dopo il tramonto e lo spettacolo è sorprendente: quello di una città illuminata. Solo sei mesi fa sembrava impossibile, ma da luglio l’elettricità non sembra essere più un grande problema. Mentre ci avviciniamo al convento dei francescani, la cauta impressione avuta all’inizio trova sempre maggiori conferme: la città è tornata finalmente a vivere e le speranze che la guerra finisca in fretta sono palpabili tra le persone che affollano i suq di questa città straordinaria.
Al mercato davanti alla grande moschea si fatica a camminare: i turisti non ci sono, certo, ma i commercianti sono indaffarati ad ascoltare le richieste di chi ha finalmente qualche soldo per comprare una sciarpa, qualche spezia, o solo un pezzo di sapone.

Dopo la liberazione di Aleppo abbiamo cominciato a sperare – ci racconta padre Bahjat, guardiano  del convento francescano di Damasco a Bab Touma – ed è decisamente un’altra vita”. Non è ottimismo ingenuo, e al memoriale di san Paolo (dove secondo la tradizione Saulo di Tarso incontrò Gesù) suor Yola ce lo conferma, mentre ci accompagna a vedere l’asilo che non ha mai smesso di accogliere bambini in questi anni di guerra.
Dentro la scuola materna le sale completamente rinnovate accolgono in tutto 140 bambini, dai 3 ai 5 anni.  Ma solo un anno fa era un edificio fatiscente. “Grazie ai fondi che ci ha inviato l’Associazione pro Terra Sancta abbiamo fatto un lavoro bellissimo. E possiamo accogliere chiunque, anche chi non ha i soldi per pagare la retta già ridotta al minimo”. Questo miracolo della carità è stato reso possibile grazie ai tanti sostenitori che in questi anni non hanno abbandonato il popolo siriano. La riconoscenza di suor Yola e delle maestre è per loro, “per voi che in questi anni non ci avete lasciato soli”, ci dice raggiante.

Nelle classi però si fanno i conti con un’umanità straziata dal dolore. Come Maryam che ha solo cinque anni e ha perso la madre da pochi mesi. È timida, risponde appena. Ci guarda con quei piccoli occhi azzurri ma non si avvicina, anche se suor Yola continua a chiamarla. “Taali, taali!”, che significa “vieni, vieni!”. Niente da fare. Maryam si nasconde tra le sue compagne, un sorriso appena accennato. “Ha perso sua madre il 26 marzo scorso”.
Per lei e sua sorella è stato un colpo terribile. “Da allora parla poco, pochissimo”. Ogni tanto, le sue mani tremano, e il suo sguardo si perde nel vuoto. “Pochi giorni dopo, la domenica di Pasqua, il padre si è suicidato. Prima di ammazzarsi ha chiamato tutti i figli e ha detto a Stefano, il fratello maggiore: “il papà ora starà via per un po’, mi raccomando: abbi cura delle tue sorelle”. Quella fu l’ultima volta che lo videro.
Stefano, quando ha capito che il padre non sarebbe più tornato, per vendicarsi ha smesso di vedere le sorelle. Non voleva obbedire al suo papà, che lo aveva tradito. “Di notte lo sentiamo piangere e urlare”, raccontano gli zii che lo ospitano: “accusa il padre di essere un bugiardo, di averlo deluso. Qualche volta, minaccia anche lui di suicidarsi”. Le cicatrici che la guerra ha lasciato e sta lasciando dureranno ancora chissà quanti anni. “L’unica speranza è che possano sentirsi davvero amati, dopo essere stati abbandonati da tutti”.

È vero per Stefano, per Maryam, ma anche per tutti quei piccolini che la mattina entrano, ordinati, in quelle stanze pulite e sistemate, espressione di una bellezza che la guerra non è riuscita a deturpare fino in fondo. È questo il desiderio di Suor Yola per la sua grande famiglia. Dove, tra i volti timidi e spesso sofferenti, si nasconde la Siria di questi anni, fatta di paure e violenza, ma anche di insospettabile letizia e miracolosa speranza.
È questa speranza che vogliamo sostenere, anche – e soprattutto – con il vostro aiuto. Perché, come san Paolo, possano ancora convertirsi tanti cuori nella Siria dilaniata dal conflitto e che oggi – dopo tanto, troppo tempo – sta tornando a vivere.

domenica 4 giugno 2017

Mons. Abou Khazen: "Con la gente che soffre, seminando la speranza"


Papa Francesco alla Veglia di Pentecoste:   

la pace è possibile oggi nel nome di Gesù

Custodia Terrae Sanctae
intervista a Mons. Georges Abou Khazen  
.....
 Lei che vive da anni in Siria, che cosa vorrebbe che si conoscesse della situazione di oggi? Di che cosa non si parla abbastanza? 
 Non si parla abbastanza della verità. Vorremmo che la gente capisse cosa sta succedendo e perché sta succedendo. Il modo con cui la maggior parte dei media ha raccontato tutta la crisi siriana non corrisponde al vero. Per esempio mi riferisco all'intervento straniero in Siria. Perché è avvenuto? Come anche il bombardamento americano. Tutti ne hanno parlato, ma non hanno parlato delle vittime: 400 vittime tra i civili e due villaggi completamente distrutti. Non è un crimine anche bombardare le infrastrutture e i ponti? Di questo nessuno parla. Gli americani hanno reso fuori uso tutto il sistema elettrico, hanno bombardato la diga che adesso rischia un grave danno. E quanti morti ci saranno se dovesse succedere? La povera gente che colpa ne ha... 
  
Cosa significa per lei essere vescovo, pastore, di un popolo che sta soffrendo, come quello siriano? 
Per me è sempre un dolore vedere la gente soffrire, vedere la gente che manca di tutto. Ad Aleppo per esempio è da più di un anno che siamo senza elettricità. Siamo stati anche qualche mese senza acqua. Non si parla del fatto che ci sono le sanzioni, l'embargo contro la Siria, a discapito dei civili. Non possiamo importare medicine, macchinari per gli ospedali, benzina, gasolio. E di questo chi soffre? Certo non i grandi. La popolazione. Ma in questi tempi così difficili ci sentiamo ancora più uniti ai fedeli e la gente vicina a noi. Come un pastore spero che io possa sempre essere vicino al mio gregge. 
  
Davanti alla povertà e al dolore come incoraggiate la gente a credere che Gesù non la abbandona? 
Cerchiamo di insistere sulla speranza come una virtù. Non sempre i cristiani hanno avuto tempi facili. Qui molti sono figli e nipoti di martiri e questo rafforza la fede, l'identità cristiana. A Damasco nel 1880 per esempio sono stati massacrati più di ottomila cristiani. Alcuni hanno ancora la foto del loro nonno o bisnonno attaccata alla porta o alle mura della casa. "È morto per la fede", si dicono e anche loro si attaccano di più a questa fede. 
  
Molti cristiani hanno lasciato la Siria, ma alcuni sono rimasti. Cosa potete fare per loro? 
La metà della popolazione della Siria è profuga. Forse alcuni cristiani torneranno in futuro. Oggi grazie agli aiuti dei nostri benefattori, noi cerchiamo prima di tutto di far sopravvivere la gente che rimane. Stiamo aiutando a riparare alcune case.
 Stiamo pensando anche di aiutare a creare delle piccole imprese, in modo che i siriani possano lavorare per sostenersi. Si può pensare di tornare solo se si hanno casa o lavoro. 
  
Cosa spera oggi per la Siria? 
Che cessi la violenza, che cessi questo fiume di sangue, che arrivino la pace e la riconciliazione. 
  
Può raccontarci una storia esemplificativa della vita di questi tempi in Siria? 
Abbiamo avuto una coppia che ha aspettato otto anni prima di avere un figlio. Questo figlio a dodici anni è morto per una scheggia dei bombardamenti sui civili ad Aleppo. Era il loro unico figlio. Nel loro immenso dolore, hanno fatto un grande atto di fede: hanno deciso di continuare a stare ad Aleppo. Hanno pregato dicendo "Che il Signore ci dia la forza di testimoniare la fede. Che nostro figlio sia come un sacrificio accetto a Dio che impedisca la morte di altri bambini suoi coetanei". 

martedì 1 marzo 2016

I frati della Custodia in Siria: noi restiamo!


Terrasanta.net

Il 23 dicembre scorso al convento di San Salvatore a Gerusalemme, sede centrale della Custodia di Terra Santa, giungeva la notizia del probabile rapimento di fra Dhiya Azziz, un frate quarantenne di nazionalità irachena parroco nel villaggio siriano di Yacoubieh (provincia di Idlib, distretto di Jisr al-Chougour). I suoi confratelli avevano perso i contatti con lui la mattina di quello stesso giorno, mentre il religioso stava rientrando in parrocchia dopo essersi recato in Turchia per incontrare i suoi familiari, profughi dall’Iraq. Fra Azziz era già stato vittima di un rapimento nel luglio del 2015, ma in breve era riuscito a sfuggire ai sequestratori. Stavolta è stato trattenuto più a lungo (12 giorni) e la notizia dell’avvenuta liberazione è stata diffusa da Gerusalemme, senza molti dettagli, la mattina del 4 gennaio 2016. Poche settimane più tardi il frate è giunto a Roma per un periodo di riposo lontano dalle tensioni della guerra. La sua vicenda ha riproposto ancora una volta a tutti i suoi confratelli un interrogativo cruciale: è bene ed opportuno restare nelle parrocchie dei villaggi siriani sotto il controllo delle forze islamiste avversarie del governo di Damasco anche se il numero dei cristiani locali continua a scemare perché molti se ne vanno? O è meglio ripiegare in attesa di tempi migliori?

Il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, ha invitato tutti i frati a pregare e riflettere insieme, per aiutare lui e il suo consiglio a decidere se restare a Knayeh, Yacoubieh e Jdeideh, tre paesini della Valle dell’Oronte.
Molti frati hanno risposto al Custode per iscritto o a voce. Fra Pizzaballa ha voluto ringraziarli coralmente a fine gennaio con un messaggio che recita tra l’altro: «Ho letto con attenzione e meditato su tutte le vostre osservazioni, riflessioni e preoccupazioni. Le vostre opinioni sono state di grande aiuto e hanno reso meno faticosa la decisione da prendere. Di nuovo, grazie! Nella quasi totalità avete espresso con chiarezza il parere che sia doveroso restare nei villaggi, senza considerazione per il numero dei parrocchiani (circa 400 complessivamente nei tre villaggi) e nonostante il pericolo».

«La Custodia – soggiunge il padre Custode – non ha mai abbandonato i luoghi e la popolazione che la Chiesa le ha affidato, anche a rischio di pericolo. Non pochi tra i nostri martiri, anche nel periodo recente, sono morti in circostanze non troppo dissimili dalla situazione attuale. Un pastore non abbandona il suo gregge e non si chiede se le sue pecore valgano molto o poco, se siano numerose o giovani. Per un pastore tutte le pecore sono importanti e le ama tutte allo stesso modo».
A prendere il posto di fra Dhiya a Yacoubieh andrà, da Betlemme, un religioso ancora più giovane, fra Louay Bhsarat, che fin dall’inizio della guerra aveva dato la sua disponibilità ai responsabili della Custodia.







 Lettera inviata da fr. Samhar, frate della Custodia di Terra Santa che vive ad Aleppo in Siria, in cui chiede preghiere:

Ciao fra Matteo,  
Stiamo qui proprio male, ogni giorno cadono su di noi una pioggia di bombe da parte degli gruppi armati, ci sono stati diversi morti e purtroppo sono giovani di età 13_ 19_ 21_ 40_ 60 oltre ai feriti che stanno malissimo, e le case distrutte... la gente qui in questi giorni sono di più disperati... 
Vi chiedo di pregare di più per loro, noi, e tutta la Siria. 
Fr. Samhar 

Come vedete cari amici, la città di Aleppo in questi giorni è oggetto di forti scontri tra i gruppi armati dei ribelli e l'esercito siriano che sta cercando di liberarla con l'aiuto dei bombardieri russi. 
Vi chiediamo di pregare e di far pregare la gente per la pace in Siria e perché il Signore dia forza ai nostri frati di custodire con coraggio il gregge loro affidato. Anche in queste ore drammatiche. 
Si possono organizzare momenti di adorazione, preghiera o semplicemente legare questa intenzione a ciò che già fate. Rimaniamo in comunione con loro, non lasciamoli soli.Pace e bene. 
Fr. Matteo Brena Commissario di terra Santa per la Toscana

Ad Aleppo succede qualcosa di terribile, ma si ignora o non si vuole vedere

(ANS – Aleppo) – La situazione ad Aleppo?   “Qui tutto è confusione, la morte è ovunque, nessuno riesce a capire cosa sta succedendo e non si sa di chi fidarsi. Stavamo preparando con i giovani un’opera di teatro per festeggiare Don Bosco e ci siamo dovuti fermare perché diversi di loro sono morti durante i bombardamenti” , racconta con la voce spezzata don Luciano Buratti, uno dei tre salesiani che abita nella casa salesiana di Aleppo, in Siria.
Da tre anni si combatte costantemente nella città.  “Ogni notte cadono le bombe in tutto il vicinato e ogni giorno veniamo a conoscenza di qualcuno che ha perso un familiare o una persona cara” continua don Buratti, mentre sullo sfondo si sente il brusio dei ragazzi che giocano nel cortile dell’oratorio.
Quando gli si chiede riguardo la situazione concreta della casa salesiana, dice: 
“la nostra comunità ha scelto di continuare le sue attività come se nulla fosse; cerchiamo di offrire alle famiglie un luogo dove si respirino anche nel bel mezzo del caos la stabilità e l’armonia, di conseguenza, le attività della parrocchia e l’oratorio seguono il loro corso normale, come facevamo prima dei combattimenti; questa è una delle poche strutture che operano ancora con una certa normalità”.
La condizione dei cristiani è particolarmente difficile, si cerca di fuggire e chi ha soldi e può lasciare la Siria lo ha già fatto; gli altri cercano rifugio nelle città più sicure, ma molte persone, che non hanno possibilità, rimangono ad Aleppo.
Abbiamo un sacco di lavoro; è aumentato il flusso di persone che arrivano alla nostra parrocchia chiedendo servizi religiosi, cercano Dio e un po’ di conforto – prosegue il salesiano –. 
Grazie a Dio, noi Salesiani stiamo ben e riceviamo qualche aiuto da distribuire tra circa 200 famiglie della nostra parrocchia che hanno perso tutto”.
Attualmente si stima che rimangono circa due milioni di abitanti in questa città, antico simbolo della convivenza pacifica tra Cristiani e Musulmani; adesso si spera solo di sopravvivere.
I Salesiani di Aleppo animano due opere: quella di Aleppo, dedicata a san Giorgio, e quella di Kafroun, dedicata a Don Bosco, con i loro rispettivi oratori, una casa di accoglienza e una parrocchia; tutto funziona regolarmente, al servizio della gente.