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venerdì 28 agosto 2015

Se non si fermano le guerre non si fermano neppure i rifugiati.

Sono tanti i cristiani siriani che trovano la morte nel Mediterraneo


Aiuto alla Chiesa che Soffre, 28 agosto 2015

«Molti cristiani hanno cercato un futuro migliore in Europa attraversando il Mar Mediterraneo. Alcuni ce l’hanno fatta, altri hanno trovato la morte in mare. Ma la disperazione continua a spingere i nostri fratelli nella fede a far salire i propri figli su quei barconi».

Al telefono da Damasco, Samaan Daoud racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre il dramma dei tanti cristiani di Siria che in oltre quattro anni di crisi sono stati costretti ad abbandonare il proprio paese, soprattutto a causa della loro fede. Secondo quanto riferito ad Aiuto alla Chiesa che Soffre dall’agenzia Habeshia, tra i tanti profughi che approdano sulle coste italiane, i siriani rappresentano il gruppo maggiormente numeroso. E tra loro è alto il numero di cristiani. La stessa agenzia ha rivelato come negli ultimi anni, la percentuale dei cristiani tra i naufraghi che giungono sulle nostre coste sarebbe aumentata di circa il 30%.

 «Almeno tre volte a settimana un pullman parte da Duelha e Tabbale, due dei principali quartieri cristiani di Damasco, con a bordo venti o trenta ragazzi giovanissimi in cerca di un futuro migliore. Un mio amico ha da poco fatto partire suo figlio, di appena 16 anni». Il viaggio costa almeno 2500 dollari. Dalla capitale siriana si arriva a Beirut, da dove i profughi si imbarcano per raggiungere la Turchia e poi l’Europa. «Chi può permettersi di pagare di più, può viaggiare in navi sicure. Gli altri devono rischiare la vita sui gommoni».

In questi anni, molte famiglie siriane hanno trovato la morte in mare. Un cristiano è naufragato appena due settimane fa assieme alla sua famiglia al largo delle coste turche. L’uomo è stato seppellito in Turchia, mentre i corpi della moglie e dei suoi due figli non sono mai stati ritrovati. «Lo conoscevo bene, viveva nel mio quartiere e frequentava la parrocchia delle suore del Buon Pastore non lontano da casa mia». Altre famiglie cristiane provenienti dal Nord della Siria sono morte nel Mediterraneo qualche mese fa.
«Sono tutti volti a noi cari e conosciuti, come un mio amico farmacista che un anno e mezzo fa è stato accoltellato su un barcone e poi gettato in mare».

Nonostante le molte tragedie, la tragica situazione siriana spinge sempre più cristiani a cercare un futuro migliore all’estero. «Un mio amico ha messo in vendita la sua casa per ottenere il denaro necessario a partire. Come lui molti altri che quasi sicuramente non torneranno più in Siria. E questo è il grande pericolo che affrontiamo tutti noi cristiani d’Oriente».



 di Patrizio Ricci

Sono le notizie più diffuse quotidianamente: quelle sui migranti. Come sempre, ci descrivono tutti i particolari. Cosa indossano, in quanti arrivano, le loro condizioni, i salvataggi in mare. Ci tengono aggiornati delle drammatiche morti durante il tragitto. Ci raccontano le sofferenze, gli abusi subiti, le vessazioni e le percosse durante il viaggio… Ci parlano con disprezzo del governo ungherese che innalza muri, ed esaltano il nostro governo che invece – dicono –  è il migliore. Dicono che il trattato di Dublino va corretto e che gli altri paesi se ne lavano le mani.
Il messaggio si sussegue continuamente durante la giornata sui nostri schermi televisivi, viene ripetuto incessantemente. Lo ha detto l’on Boldrini, lo dicono tutti: «La Ue non sia indifferente, salvare vite è la priorità».  Dichiarazione sacrosanta. Ma solo apparentemente. Sì, perchè noi, proprio noi, europei, italiani, siamo causa del problema.  Ed è scomodo dirlo, perciò un’informazione omologata, cassa di risonanza del potere non può farlo.  Cosicchè nei bollettini di morte e nelle discussioni parlare delle cause di questo sconvolgimento non ha diritto di asilo.
Non ci dicono da cosa fuggono.  La ‘svista’ è troppo clamorosa per pensare che sia casuale e non premeditata. La risposta ci coinvolge come responsabilità di quel male. La principale causa dell’esodo in corso è il caos e la miseria che gli USA e l’Europa hanno portato con la guerra in Libia, Siria, Iraq, Yemen, Somalia.
Qualche accenno in verità c’è, ogni tanto, da parte di qualche politico che ammette laconicamente: ‘è stato un errore la guerra di Libia’ e ‘ si deve trovare una soluzione alla crisi siriana’.  Ma è evidente che è ipocrisia allo stato puro, indegna per un paese (che si dice) libero, democratico, civile.
L’Italia sta ancora contribuendo ad alimentare direttamente o indirettamente  quelle guerre con le sanzioni che affamano il popolo siriano cosicchè alle sofferenze subite da ISIS e fratellanza varia , si aggiungono quelle inflitte dall’occidente.
Per l’Italia i terroristi sono ancora  ‘gli unici rappresentanti del popolo siriano’.  La sua posizione è immutata nonostante la realtà sia cambiata velocemente. Ed allora con una mano si salvano i profughi e con l’altra si creano le condizioni degli esodi di massa dei popoli.

Erano “siriani” i migranti morti asfissiati nel camion in Austria


Il problema sono le guerre che assediano l’Europa non i profughi. Se non si fermano le guerre non si fermano neppure i rifugiati. Le migrazioni da fenomeno di natura essenzialmente economica e sociale sono diventate qualche cosa d’altro, il risvolto inevitabile di questioni irrisolte e che si sono aggravate: dalla Siria all’Iraq e alla Libia, dallo Yemen all’Afghanistan, dal fallimento di Stati come la Somalia a dittature africane come quella in Eritrea.....
Alberto Negri, ilsole24ore:    http://www.siriapax.org/?p=20118

giovedì 12 marzo 2015

'Gli Stati Uniti vogliono ridisegnare la carta del Medio oriente, favorendo la nascita di Stati federali fragili, con l'obiettivo di garantire la sicurezza di Israele'

AsiaNews, 12 marzo 2015

Con Riyadh, Ankara e Doha, Washington “resuscita” i Fratelli musulmani contro lo Stato islamico
di Fady Noun

L’ascesa al trono di re Salman in Arabia saudita ha cambiato la politica del regno. Archiviata l’era del potente capo dell’intelligence Bandar ben Sultan, rafforzato l’asse con gli Stati Uniti. Il progetto di ricostituire la Fratellanza come come forza di influenza in tutto il mondo arabo. Gli Usa vogliono annientare lo SI e frammentare il Medio oriente per proteggere Israele. 

 L'avvento alla guida dell'Arabia saudita di re Salman ha causato una vera e propria rivoluzione a Palazzo. Due gli eventi principali, come sottolinea dietro anonimato un ricercatore franco-libanese residente a Parigi: la partenza del 65enne principe Bandar ben Sultan, il potente capo dei servizi di intelligence del regno wahabita e del suo gruppo, che hanno contribuito a plasmare la politica estera e di sicurezza del Paese per decenni; e la decisione di ricongiungersi con la Fratellanza musulmana.
Lo studioso spiega che questa decisione è stata caldeggiata con vigore dalla Casa Bianca. Al tempo stesso, il Dipartimento di Stato americano ha ricevuto di recente la visita di una delegazione di leader dei Fratelli musulmani e ricordato che, per quanto concerne gli Stati Uniti, "la Fratellanza non è né un gruppo terrorista, né seguaci della violenza". Anche lo stesso presidente Barack Obama ha ricevuto non molto tempo fa l'emiro del Qatar, molto vicino ai Fratelli musulmani.
Chiaramente, questo cambiamento di rotta nella diplomazia saudita e statunitense intende prima di tutto coinvolgere i Fratelli musulmani nella lotta contro lo Stato islamico (SI, Daesh in arabo) e al Qaeda in Iraq, in Siria, in Libia, in Tunisia, in Egitto e nello Yemen.
A fronte dei vantaggi per gli Stati Uniti nel caso di una simile svolta, vi sono anche elementi di preoccupazione per gli arabi democratici, primo fra tutti la conseguente destabilizzazione del presidente egiziano Abdel Fattah Sissi, in guerra aperta contro gli "Ikhwan". Washington finirebbe per commettere un errore madornale, come è avvenuto in precedenza in Iraq. Ben sapendo, peraltro, che anche lo stesso presidente al Sissi non è certo esente da colpe.

Il fallimento di una strategia
Ripercorrendo il tempo del regno di re Abdallah, l'esperto franco-libanese ricorda che Bandar ben Sultan per contrastare l'Iran e la Russia ha scelto per diversi anni di sostenere in modo massiccio le organizzazioni wahabite estremiste, in particolare in Iraq e Siria. Fra queste vi sono proprio al Qaeda e, soprattutto, lo Stato islamico con il suo progetto del Califfato.
Lo studioso sottolinea due elementi sorprendenti della strategia perseguita a lungo dall'ex responsabile dei servizi sauditi: la diffidenza - per non dire l'odio aperto contro l'amministrazione democratica americana, e contro gli Stati Uniti in generale. Questo atteggiamento potrebbe risultare sorprendente, sapendo che Bandar ben Sultan - durante il lungo soggiorno come ambasciatore a Washington - aveva stretto forti legami con la classe politica statunitense, oltre che con il gotha dello star system americano. Con una menzione particolare per la famiglia Bush e i magnati dell'industria militare a stelle e strisce.
Forse un giorno torneremo sui motivi profondi, "intimi" dell'anti-americanismo che albergano in Bandar, nella moglie e nella sua cerchia (il clan degli Al-Faisal). Per l'esperto non pare plausibile l'ipotesi che l'uomo e quello che egli rappresentava siano stati colpiti dagli attentati del 2001 negli Stati Uniti o, più di recente, dalle decapitazioni di cittadini americani.

"Rivoluzioni democratiche" 
Un altro elemento attira la nostra attenzione, per quanto concerne la politica seguita da Bandar ben Sultan negli ultimi mesi: egli temeva che il presidente Obama potesse sollevare "rivoluzioni democratiche" guidate dai Fratelli musulmani nella penisola arabica e nel regno stesso... Al punto da correre il rischio di favorire la conquista dello Yemen da parti degli sciiti Houthi pro-Iran, perché ciò avrebbe messo all'angolo i membri di Al-Islâh, la potente branca yemenita dei Fratelli musulmani!
In breve, dal 25 gennaio il nuovo re Salman d'Arabia e il suo clan Soudeyri - che trae le proprie origini dalla sposa prediletta del fondatore della dinastia, Ibn Saud - hanno imposto una svolta netta, in collaborazione con il presidente americano sbarcato a Riyadh per la cerimonia di intronizzazione, accompagnato da dozzine di alti funzionari, funzionari dell'intelligence ed esperti.
La "nuova" strategia congiunta americano-saudita sarebbe quella di ripristinare la Fratellanza musulmana, come forza di influenza in tutto il mondo arabo. Il tutto, potendo contare sul sostegno di due storici protettori della Fratellanza: Qatar e Turchia.

Il breve e il lungo periodo 
Quali sono le ragioni di questa nuova svolta? Nel breve periodo, se possibile, il presidente Obama vuole annientare lo Stato islamico, divenuto il nemico numero uno dell'America. Per questo può già contare sui curdi di Siria e Iraq (che non smette di armare) e sugli sciiti irakeni (sostenuti dall'Iran e da Hezbollah).
In Iraq Obama e i suoi alleati stanno preparando con cura la riconquista di Mosul, la grande metropoli sunnita della piana di Ninive. Una partecipazione dei Fratelli musulmani e delle tribù sunnite irakene in quest'assalto sembra indispensabile.
In Yemen, di fronte agli Houthi sciiti, al Qaeda, asserragliata nel sud e a est, pretende di incarnare essa sola "la resistenza sunnita". Per gli americani, è tempo di resuscitare al-Islâh (i Fratelli musulmani e le tribù) per offrire un'alternativa a quel 55% di sunniti yemeniti.
In Egitto, Obama spera di riconciliare il presidente Sissi e i Fratelli musulmani per fermare l'avanzata dei jihadisti wahabiti, che moltiplicano attacchi e attentati, soprattutto nel Sinai e nelle grandi città.
Anche in Libia un riavvicinamento fra i Fratelli e l'alleanza diretta dal generale Haftar (Cia) potrebbe forse rallentare la crescita di Daesh e di Ansar al Sharia, che minaccia il Sahel e il Magreb.
Ecco dunque che oggi, agli occhi del presidente Obama, solo i Fratelli musulmani - presenti in tutti i Paesi arabi, ben organizzati e presunti "moderati", disposti a collaborare con Washington - sono in grado sul versante sunnita di sfidare lo Stato islamico, in un periodo in cui il mondo arabo, diversi milioni di sunniti, è sensibile ai richiami dai toni radicali del wahabismo.

Nel lungo periodo, gli Stati Uniti vogliono - secondo quanto emerge da numerosi elementi - ridisegnare la carta del Medio oriente, favorendo la nascita di Stati federali fragili (sullo stile della Bosnia), associando fra loro diverse componenti etniche e religiose. Con l'obiettivo di garantire la sicurezza di Israele.
Se si riveleranno alleati "credibili", i Fratelli musulmani saranno chiamati a rappresentare, almeno in parte, la componente araba sunnita nei diversi Paesi coinvolti.
Le tattiche e strategie degli Stati Uniti a cosa conducono? Lo Stato islamico sarà sconfitto? I Fratelli saranno un alleato efficace e accomodante verso l'Occidente? L'attualità non tarderà a fornirci le risposte.

http://www.asianews.it/notizie-it/Con-Riyadh,-Ankara-e-Doha,-Washington-%E2%80%9Cresuscita%E2%80%9D-i-Fratelli-musulmani-contro-lo-Stato-islamico-33699.html

15 mars 2015 : Journée mondiale de prière pour la Syrie

Appel au monde entier : « Assez ! Assez ! Assez de la guerre en Syrie ! »

L’appel du Patriarche Grégoire III :

« Le carême est un chemin de croix, et les pays arabes en sont à leur cinquième année de chemin de croix. La tragédie que nous vivons aujourd’hui est la plus importante depuis la seconde guerre mondiale. Nous sommes désemparés devant la douleur et la souffrance de toutes les communautés chrétiennes et musulmanes de notre peuple. Tout le monde a été touché par la pauvreté, la faim, le froid, le manque de vêtements, les maladies et invalidités
Du plus profond de nos souffrances et de notre douleur en Syrie, nous crions avec notre peuple qui souffre, qui marche sur le chemin sanglant de la Croix, et lançons un appel au monde entier : Assez ! Assez ! Assez de la guerre en Syrie ! 
Nous croyons en la puissance de la prière et nous appelons à une journée de solidarité avec la Syrie, une journée de prière pour l’espérance et la paix en Syrie. »

martedì 24 febbraio 2015

Cristiani assiri attaccati, ostaggi dello Stato Islamico

'Hanno bruciato tutto'

Tel Hormuz historic church - AlHassaka

Agenzia Fides 24/2/2015

Alle prime ore di ieri, lunedì 23 febbraio, più di 40 pick-up con a bordo miliziani jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) hanno attaccato diversi villaggi cristiani assiri sul fiume Khabur, nella provincia siriana nordorientale di Jiazira. Decine di cristiani assiri sono stati presi in ostaggio dai jihadisti, mentre le chiese di alcuni villaggi sono state bruciate o danneggiate
 Lo conferma all'Agenzia Fides Jacques Behnan Hindo, Arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi. “I terroristi - riferisce l'Arcivescovo - hanno attaccato per primo il villaggio di Tel Tamar, poi hanno preso Tel Shamiran e tutti gli altri villaggi più piccoli, fino a Tel Hermuz, dove hanno dato fuoco a tutto. Sia a Tel Hormuz che a Tel Shamiran hanno preso decine di ostaggi, con l'intenzione forse di usarli per richiedere riscatti o per uno scambio di prigionieri. Ieri sera, alle 21,30, le milizie curde ci hanno detto di essere riuscite a riprendere Tel Hormuz, con l'ausilio dei battaglioni formati da cristiani siri. Ma non abbiamo ancora conferme di questo fatto”.
Secondo l'Arcivescovo Hindo, l'offensiva dei jihadisti ha messo in luce responsabilità e comportamenti deplorevoli da parte di diversi altri soggetti: “Voglio dire chiaramente - riferisce l'Arcivescovo - che abbiamo la sensazione di essere stati abbandonati nelle mani di quelli del Daesh (acronico arabo con cui si indicano i miliziani dell'Is, ndr). Ieri i bombardieri americani hanno sorvolato più volte l'area, ma non sono intervenuti. Abbiamo cento famiglie assire che hanno trovato rifugio ad Hassakè, ma non hanno ricevuto nessun aiuto dalla Mezzaluna Rossa e dagli organismi governativi siriani di assistenza, forse perchè sono cristiani. Anche l'organismo per i rifugiati dell'Onu è latitante”. 



AED, 24 febbraio 2015


Un centinaio di cristiani assiri del nord-est della Siria sono in questo momento prigionieri dello Stato Islamico che ieri mattina 23 febbraio  ha preso d'assalto numerosi villaggi assiri, provocando l'esodo di centinaia di persone verso Hassakè.

Ieri, 23 febbraio, l'organizzazione SI ha attaccato i villaggi del nord-est della Siria, nella regione di Khabour del governatorato di Hassakè. L'archimandrita Emanuel Youkhana, leader dei cristiani assiri e responsabile del CAPNI (Christian Aid Program Northern Iraq) racconta a AED maggiori dettagli sull'avanzata di Daesh e la situazione dei cristiani sul posto:
« J’ai pu parler par téléphone à l’un des contacts de CAPNI  à  Hasseke qui préfère rester anonyme. Les combats ont commencés lundi très tôt le matin à 4h00 du matin (heure syrienne) quand Daech a ouvert un front de combat de 40km  de Tel Shamiram à Tel Hormizd (voir la carte).  Daech a profité de l’engagement militaire du PYD (Parti démocratique de l’union Kurde) sur d’autre front pour avancer. Particulièrement à la frontière Irako-syrienne. C’est pourquoi il y a eu moins de résistance pour combattre les djihadistes. »


La situazione dei cristiani è estremamente  difficile :
«  Le nombre de ces familles n’est pas définitif mais plus de 600 ont réussi à fuir. La majorité a trouvé refuge à Hasseke où les gens sont hébergés dans l’église. Mgr Mar Aprem Athniel, que j’ai eu au téléphone, témoigne que l’église et la salle communautaire sont remplies de tous ces réfugiés. »
Altri sono a Qamishly.

Purtroppo,  spiega l’archimandrita Youkhana, « plusieurs personnes ne sont pas parvenues à s’enfuir et ont été capturées par Daech, selon notre source : 50 à Tel shamiran, 26 à Tel Gouran, 28 à Tell Jeziea et 14 jeunes (12 garçons et 2 filles) qui défendaient Tel Hormiz. Daech les a rassemblé puis à mis à part les femmes et les enfants. »
L’Archimandrita aggiunge: « Connaissant les habitudes barbares et brutales de Daech avec ses prisonniers, l’avenir de ces personnes est pour nous une grande source de préoccupation
Milad, un jeune homme de 17 ans, a été martyrisé. »

Secondo l’archimandrita Youkhana, le chiese di Tel Hormez e di Tel Shamiran  sono state date alle fiamme, ed altri incendi sono stati segnalati.

Nella regione di Khabour si trovano  35 villaggi assiri.
 Questi villaggi furono creati dagli  Assiri che erano fuggiti dal massacro dell' agosto 1933 in Irak e che si sono istallati in Syria nella speranza di ritornare un giorno nella loro patria dell’Irak. Secondo l’archimandrita, « jusqu’à présent, ils n’utilisent jamais le terme « village » ou « ville » pour leurs colonies dans Khabour. Ils insistent pour dire « camps » pour refléter le fait qu’ils sont installés là temporairement jusqu’à ce qu’ils retournent en Irak ».

Per Marc Fromager, direttore di AED France : « Cela fait 80 ans que ces familles chrétiennes essaient de survivre à des massacres et visiblement, leur chemin de croix n’est pas terminé ! Combien de morts faudra-t-il encore avant que nous ne réagissions ? »

http://www.aed-france.org/actualite/syrie-chretiens-assyriens-aux-prises-de-letat-islamique/

https://aidchurch.wordpress.com/2015/02/24/acn-press-release-syria-extremists-is-seize-christian-towns/




http://www.wca-ngo.org/humanrightsfiles/the-syria-crises/509-new-massive-assault-on-christian-villages-in-syria

sabato 24 gennaio 2015

Attentato a Homs: "i giovani sono stati deliberatamente presi di mira", si affligge padre Hilal

Dopo un sanguinoso attacco terroristico  avvenuto mercoledì 21 gennaio 2015 a Homs, il padre gesuita Ziad Hilal deplora l’assenza di reazione  internazionale e chiama alla preghiera per la Siria.



Dopo il sanguinoso attentato terroristico a Homs del 21 gennaio 2015, il padre gesuita siriano Ziad Hilal si rammarica che le vittime dell'attentato siano stati soprattutto dei giovani.

"La maggior parte delle vittime erano studenti universitari, i giovani che non avevano ancora lasciato Homs.  Che messaggio manda ora questo attentato? Penso che essi siano stati presi di mira in modo deliberato", ha detto questo giovedì 22 gennaio Padre Ziad al ACS. 

Un'autobomba è esplosa mercoledì a mezzogiorno in una strada affollata nel centro della città. Secondo le informazioni a disposizione del Padre Ziad, 15 persone sono state uccise. E più di 50 sono rimaste ferite, alcune gravemente. 
C'erano anche ragazzi cristiani, sia tra i morti che tra i feriti:






Homs: 17 morti e 60 feriti, che l'Occidente non ha nemmeno menzionato, come l'attentato di "ribelli" che il 1 ottobre scorso uccise 48 bambini della scuola elementare

"L'attentato è avvenuto vicino alla nostra chiesa e al nostro centro di assistenza. Non sappiamo chi c'è dietro tutto questo. Ma è una tragedia. Le immagini dell'attacco sono terribili. Visitiamo le famiglie delle vittime e cerchiamo di confortarle. Ma cosa possiamo dire in questa situazione? Tutti noi, noi stessi, siamo profondamente rattristati e preoccupati. »


Padre Ziad ha domandato di pregare per questo paese devastato dalla guerra. "Chiedo a tutti, in particolare ai benefattori di Aiuto alla Chiesa che Soffre di pregare per la Siria, in particolare per le vittime di questo tragico attentato e le loro famiglie."
Padre Ziad si è mostrato ferito dalla mancanza di risposta da parte della comunità internazionale. "Dove è la reazione del mondo? Dopo gli attentati di Parigi, ognuno ha lo sguardo diretto verso la Francia. E qui? Non mi sembra che nessuno si sia espresso. Nessuno si muove. Il silenzio completo. La Siria e la sofferenza quotidiana della sua gente sono dimenticate. »



Homs è la terza più grande città  della Siria. Questa città di importanza strategica è stata contesa per molti anni tra il governo e l'opposizione. Dallo scorso anno, Homs è di nuovo sotto il controllo del governo siriano, ma continua ad essere percossa da attentati. Recentemente, nel mese di ottobre 2014, più di 50 persone sono morte in un doppio attentato con autobombe. A causa dei combattimenti, negli ultimi anni, una gran parte della popolazione della città, tra cui più di 80.000 cristiani sono stati costretti a lasciare le loro case. Si stima che più di 200.000 persone sono state uccise dall'inizio della guerra siriana.




L'ACS offre supporto alla Siria da anni, in particolare al lavoro umanitario di Padre Ziad per le persone in difficoltà a Homs e dintorni.
Sotto la supervisione di Padre Ziad diverse strutture  distribuiscono cibo, prodotti per l'igiene e l'abbigliamento a migliaia di persone, indipendentemente dalla loro religione o impegno politico.

Dall'inizio della guerra, nel marzo 2011,  l'ACS ha inviato aiuti per un totale di 4,15 milioni di euro al popolo della Siria e ai rifugiati siriani nei Paesi confinanti.

 (traduzione dal francese di  FMG)
http://www.aed-france.org/actualite/syrie-attentat-a-homs-des-jeunes-ont-ete-deliberement-vises/

martedì 9 dicembre 2014

Vers un nouveau Moyen-Orient. La fin des chrétiens ?

Astérix, l’iPhone et la baleine


Colloque de l’AED
Paris, 5 décembre 2014

Excellences, chers Pères, Mesdames et Messieurs, chers amis,
Nous voici réunis pour réfléchir sur ce qui agite l’actualité depuis quelque temps, et en particulier depuis cet été avec la chute de Mossoul, à savoir le Moyen-Orient. Avec l’émergence de l’Etat islamique et toutes les réactions en chaîne qui en découlent, on ne voyait pas très bien en effet comment faire l’impasse sur cette question qui intéresse bien au-delà de la sphère religieuse. En réalité, tout le monde aujourd’hui se sent plus ou moins concerné par ces événements avec le trouble pressentiment que cette violence pourrait, tôt ou tard, nous rattraper.
Mais avant de penser à notre propre sort, il convient de se pencher sur ce que vivent ces populations emportées comme fétus de paille par la tempête du désert qui semble s’être installée durablement sur le Moyen-Orient depuis l’opération du même nom en 1991.
Bien entendu, nous aurons à coeur de veiller particulièrement au sort de nos frères chrétiens dans cette région, d’autant plus qu’ils paient sans doute un prix proportionnellement bien supérieur aux autres la déliquescence de l’état de droit dans la région. Cela ne nous empêche pas toutefois d’également compatir aux souffrances de l’ensemble de la population car tout le monde y est exposé.
Etre chrétien y est de moins en moins une bonne idée mais mieux vaut ne pas être yézidi non plus, ni chiite dans une région sunnite, ni le contraire, ni même sunnite modéré si vous êtes aux mains de sunnites rigoristes. A ce rythme-là, on se demande bien quel avenir la région pourra avoir et les populations concernées avec.

Pour en revenir aux chrétiens, le simple fait, au niveau du sous-titre, de poser la question de leur fin dans ce nouveau Moyen-Orient est déjà en soi un élément de réponse. Cela signifie que l’éventualité de leur disparition aujourd’hui ne relève plus d’une provocation rhétorique ou d’un scénario exagérément alarmiste mais malheureusement d’une probabilité croissante, reflétée par le titre de la quatrième et dernière partie du colloque, « Entre cercueil et valise ».

Mais avant cela, il nous faudra faire un retour en arrière avec le bilan d’un siècle. Dans sa chute, l’empire ottoman a été aussitôt remplacé par un redécoupage franco-britannique. Arrive-t-on à la fin d’un cycle ? A-t-on réellement digéré ce XXème siècle, que ce soit au Moyen-Orient ou chez nous d’ailleurs ? S’est-on vraiment remis de 1914 et de ce gigantesque suicide continental dont nous célébrons le centenaire ?

Or, pour le Custode de Terre Sainte, le père Pizzabella, cette année 2014 est au Proche-Orient ce que la Première guerre mondiale a été pour l’Europe. « Les anciennes règles n’existent plus » dit-il, « mais nous ignorons encore à quoi ressembleront les nouvelles règles ».
Ce sera la première partie de notre journée. Nous verrons ensuite quel jeu les grandes puissances jouent dans la région (si l’on peut parler de jeu au vu des conséquences dramatiques pour les populations locales). Cette analyse globale entre histoire et géopolitique, économie et diplomatie nous occupera toute la matinée. Dans l’après-midi, c’est plutôt la dimension religieuse qui nous intéressera avec le décryptage de la montée djihadiste dans le monde musulman et son impact sur la présence chrétienne dans cette région du monde.
D’ores et déjà, je tiens à remercier chacun de nos intervenants pour avoir accepté notre invitation et pour nous aider à mieux comprendre le Moyen-Orient dont on a dit qu’il était compliqué. Je remercie tout particulièrement Frédéric Pichon qui nous a aidés à affiner et enrichir le programme de cette journée.
***
En préparant cette introduction, trois mots me sont venus à l’esprit : Astérix, l’iPhone et la baleine. Permettez-moi de développer un peu.

Astérix tout d’abord. Lorsque je réfléchis au Moyen-Orient me revient quasi-systématiquement en mémoire l’Odyssée d’Astérix. Dans cet album, le druide Panoramix n’a plus de potion magique et envoie Astérix, Obélix et Idéfix chercher de l’huile de roche (c’est-à-dire du pétrole, dont nous reparlerons) là où l’or noir se trouve déjà à l’époque, au Moyen-Orient.
Il y a une page où Uderzo, le dessinateur, ne s’est pas foulé : le même dessin revient image après image où l’on voit nos gaulois préférés se prendre un déluge de flèches de la part de Mèdes puis d’un groupe d’Akkadiens puis de Hittites, d’Assyriens et autres Sumériens qui se font la guerre. C’est drôle mais ce que l’on en retire, c’est que la guerre dans la région, c’est une habitude, voire une tradition !
Cela n’enlève rien à l’aspect tragique de l’actualité, d’autant que l’on a certainement gravi des degrés dans la violence mais cela permet de prendre du recul : après tout, les problèmes n’y datent pas d’hier. Rassurez-vous néanmoins, les albums d’Astérix ne sont pas mon unique source de recherches.

Concernant l’iPhone, c’est plus précisément à Siri que je pense. Siri est une application informatique qui comprend les instructions verbales données par les utilisateurs et tente de répondre à leurs requêtes. Qualifiée d' « assistant personnel intelligent », l’application équipe les iPhones depuis trois ans. Si vous dites à votre téléphone « que se passe-t-il au Moyen-Orient ? » par exemple, Siri vous répond en vous proposant une dizaine de tweets qui évoquent le Moyen-Orient dans l’actualité.
Quoiqu’il en soit, la proximité sémantique de Siri avec la Syrie m’autorise de faire un parallèle. Si l'application permet de trouver des explications sur la crise au Moyen-Orient, il va de soi que la Syrie est une des explications de cette crise, et sans doute une des plus importantes.

Il y a eu une sorte d’unanimité internationale à détruire la Syrie, sous prétexte que son Président qui, je le rappelle, était tout de même invité au défilé du 14 juillet à Paris il y a encore six ans, n’était pas assez démocratique. Passons sur le fait que s’il fallait faire la guerre à tous les pays du monde qui ne sont pas démocratiques, on n’aurait pas fini de sitôt et que cet argument, hormis en Occident où il est brandi en permanence par la propagande d’Etat, n’est absolument pas pris au sérieux dans le reste du monde, que ce soit au fin fond de la brousse africaine ou dans les rizières asiatiques.
Il va de soi que cette unanimité recouvrait d’autres intérêts. Pour la péninsule arabique, Arabie Saoudite et Qatar, il s’agissait de punir le régime syrien pour s’être opposé à la construction d’un oléoduc traversant la Syrie en vue du marché européen, mais aussi de briser l’arc chiite qui va de l’Iran au Liban et qui passe par l’Irak et la Syrie, les alaouites au pouvoir à Damas étant apparentés au chiisme. Tout cela est bien cohérent.
Pour l’Occident, il s’agissait de faire plaisir à nos amis de la péninsule arabique, ceux que nous venons de nommer, car il nous faut leur vendre des armes et ils détiennent une partie croissante de notre dette, ce qui nous oblige quelque peu…
Or, la perte de contrôle par le régime syrien d’un partie importante du nord-est du pays a permis à la rébellion, lourdement armée et financée, de prospérer. L’Etat islamique, né en Irak pour combattre les américains, y a trouvé refuge, s’y est aguerri, enrichi, renforcé avant de revenir en Irak cet été et de prendre Mossoul, tombée le 10 juin. La question syrienne est donc bien au coeur de ce nouveau Moyen-Orient.

Après Astérix et l’iPhone, troisième mot : la baleine. Il s’agit bien sûr du monstre marin dans lequel séjourna pendant trois jours le prophète Jonas qui cherchait à fuir la mission que Dieu lui avait donnée, à savoir la conversion de Ninive, l’ancienne Mossoul. Rétrospectivement, on peut se demander si sa mission fut réellement une réussite car, comme nous le voyons encore aujourd’hui, cette ville pose problème.
Toujours est-il qu’à l’époque, Jonas finit par arriver à Ninive et dispose de trois jours pour obtenir le repentir de la population dont l’injustice et l’impiété ont précipité le courroux divin. Or, dès le premier jour, tous, à commencer par le roi, se repentent et demandent pardon à Dieu qui retient ainsi le châtiment préparé. Ninive et la baleine, ça va ensemble.
Comment ne pas imaginer les chrétiens du Moyen-Orient comme étant aux prises du monstre marin ? Comme Jonas, ils veulent fuir. Comme Jonas, ils sont ballotés par la tempête. Comme Jonas, ils sont finalement sacrifiés par les autres et jetés par-dessus bord. Que vont-ils devenir ?
Mais Jonas nous apprend aussi que Dieu veille. Après trois jours, qui annoncent les trois jours de l’ensevelissement du Christ, Jonas est libéré. Dieu fait aussi miséricorde puisqu’il suffira d’un jour de repentance pour sauver Ninive. Même s’il semble parfois tarder, car son temps n’est pas le nôtre, on peut imaginer que Dieu ne reste pas indifférent à cette région d’où il a appelé le premier croyant, Abraham, et où il s’est incarné.

Quel est donc son plan pour le Moyen-Orient ? Et comment va-t-il opérer alors que les intérêts et les appétits des différents acteurs locaux et internationaux ne cessent de se contrarier ? Les cartes sont en train d’être redistribuées, la carte du Moyen-Orient remodelée. En route donc pour cette odyssée, à la recherche de clés pour mieux comprendre les enjeux de cette région et imaginer le scénario du futur
.
Bonne journée à tous !
Marc Fromager, directeur de l’AED.

http://www.aed-france.org/actualite/communique-plus-de-400-personnes-autour-de-la-question-du-moyen-orient/

Le sort des chrétiens au Moyen-Orient n'a intéressé personne en Occident, dénonce Marc Fromager

mercoledì 6 agosto 2014

Lo scopo è l'odio, una cosa diabolica da combattere con la preghiera e con tutti gli strumenti politici



PREGHIERA PER LA PACE IN IRAQ
6 AGOSTO 2014

Signore,
la piaga della nostra nazione
è profonda e la sofferenza dei cristiani
è grande e ci spaventa.

Dunque Ti chiediamo Signore
di proteggere le nostre vite, di concederci il coraggio e la pazienza
di continuare a testimoniare i nostri valori cristiani con fiducia e speranza
Signore, la pace è fondamento di ogni vita.

Donaci pace e stabilità
per vivere insieme l’uno con l’altro senza paura, angoscia, ma con dignità
e gioia.
A Te la lode e la gloria per sempre.

† Louis Raphael I Sako
Patriarca di Babilonia dei Caldei



 La paura dei cristiani libanesi di fronte alla minaccia islamista 


Intervista  di Radio Vaticana a Mons. Hobeika, vescovo maronita


Hobeika - Noi cristiani del Libano, ma anche le altre confessioni presenti, sentiamo il pericolo di questo gruppo chiamato "Dash" che diventa fattore di guerra. Si è visto cosa sta accadendo per i cristiani in Medio Oriente. Il Libano rischia lo stesso.

D. – In Iraq, i cristiani sono stati cacciati da Mosul, in Siria tutti combattono contro tutti. C’è paura che questo accada anche in Libano?

Hobeika – Si. Oggi e ieri, ci sono stati conflitti tra l’armata libanese e gli estremisti. Questa realtà potrebbe svilupparsi in altre regioni del Libano, dove ci sono campi di profughi siriani che potrebbero essere armati da Dash, o al-Nusra. Questi estremisti sono “cugini” e dipendono entrambi da Al-Qaeda.

D. - C’è dunque un pericolo concreto di una estensione delle violenze?

Hobeika - Sì, è già cominciata. Adesso, la cosa positiva è che la maggioranza dei musulmani non accetta questo. E' chiaro che gli sciiti non lo accettano, ma neanche i sunniti lo accettano, salvo gli estremisti.

D. - Non lo accettano per paura di una guerra?

Hobeika - Sì, non vogliono distruggere il Libano, ma non è facile mantenere calmi gli estremisti sunniti libanesi.

D. - La politica come sta affrontando questa situazione?

Hobeika - I politici sono d’accordo nel fare tutto il possibile per difendere il Paese. Non sembrano divisi su questo punto.

D. - Come Chiesa cosa state facendo?

Hobeika – Con la nostra comunità e con l’opinione pubblica libanese stiamo facendo un discorso di pacificazione, preghiere, omelie, incontri: tutto quello che possiamo fare adesso.

D. – Oltre nove milioni gli sfollati in Libano per la guerra in Siria, molti continuano ad arrivare in Libano. Qual è la loro condizione?

Hobeika - Sono quasi un milione e 500 mila e la maggior parte di loro vivono nella miseria totale. Gli aiuti ci sono, ma non bastano mai.

D. – Il Libano vede da una parte la guerra in Siria, dall’altra il conflitto tra israeliani e palestinesi…

Hobeika - E’ una cosa diabolica che cerca di aumentare l’odio nel popolo, tra le diverse etnie, tra le diverse religioni e professioni religiose. Intendo dire che se in Iraq, Dash voleva fare un Paese sunnita non era necessario cacciare tutte le altre minoranze dal Paese. Cristiani e non cristiani tutte le minoranze sono cacciate. Lo scopo è l’odio. Se questo stesso odio viene in Libano, in questo piccolo Paese - dove ci sono 16 confessioni - tutti saranno contro tutti. E’ una cosa diabolica che serve solo a distruggere. Abbiamo paura.

D. - Quindi, qual è il suo auspicio in questa situazione così difficile?

Hobeika - Vorrei che il Libano rimanesse in pace, nell’accoglienza di tutte le minoranze. Se il Libano non riuscirà a mantenere la pace e i cristiani non ci rimarranno, tutto cambierà! E’ un problema grande che merita che tutte le persone di buona volontà, ma soprattutto la Chiesa universale, se ne preoccupino. Non dobbiamo essere lasciati soli! 

giovedì 27 febbraio 2014

TESTIMONIANZA : "Cristiani e musulmani moderati si sentono devastati. Sono raschiati fino all'osso "

Nella "Notte dei Testimoni" organizzata da AED - Aiuto alla Chiesa che Soffre- dal 24 al 28 marzo '14 si  susseguiranno veglie di preghiere e di testimonianze per i cristiani discriminati e uccisi per la loro fede. Tra i testimoni suor Raghida.




 Suor Raghida Al Khouri, in una intervista con l'AED  risponde dolcemente. Ma anche con un velo di tristezza in gola. Evoca la situazione siriana  con discrezione e la sua famiglia con modestia.




"Si mettono tappi per le orecchie ai bambini"

Intervista di Raphaelle Villemain per AED

Ci può ripercorrere il suo cammino personale?
Sono nata a Damasco, in una famiglia di sette figli, ho ricevuto una educazione umana  e cristiana distinta nella fede cattolica. Ho perso mio padre che  amavo tanto quando avevo 14 anni. Custodisco la sua rettitudine, la giustizia e l’ affetto. Ho studiato scienze dell’educazione  a Beirut. E in parallelo, sono entrata presso le Suore della Carità di Besançon, comunità creata nel 1799 dalla Franche-Comtoise  Giovanna Antida Touret. Ho vissuto la guerra libanese ( quanto siriana), nella preghiera e nella accettazione, come una missione che il Signore mi ha chiesto di assumere. Ho ricoperto diversi incarichi, tra cui quello di  insegnante e preside in Libano. Tra il 2005 e il 2008, sono stata inviata in Siria, dove ho guidato la scuola del Patriarcato greco-cattolico di Damasco, e contemporaneamente ero responsabile della comunità. Nel 2008, fui trasferita a Nizza, dove sono assistente responsabile diocesana della ASP (Cappellania pubblica istruzione) e della  pastorale degli studenti.

Come vive l'attuale distanza dai suoi cari?
Torno al mio paese ogni anno per vedere la mia famiglia che è a Damasco (tranne nel 2011 e il 2012). Con gli eventi in corso in Siria, mi sento abbastanza sola. Ogni giorno li chiamo. Ho bisogno di sapere che sono vivi. Siamo in contatto via skype o telefono. La situazione sta peggiorando di giorno in giorno. Penso, come molti, che la pace sembra pura utopia. Eppure io credo che l'utopia di oggi può diventare la realtà di domani, se ci crediamo veramente a livello nazionale ed internazionale, e se, per costruirla, tutti noi ci investiamo tutto il nostro cuore,  tutta la nostra intelligenza . Nulla è impossibile a chi implora con fervore e chiede sinceramente.

Qual è la loro vita quotidiana?
Tutti gridano: " Da dove ci verrà soccorso? ". La loro vita quotidiana è drammatica. Sono tornata da Damasco il 4 maggio. E' impossibile dormire bene. Si sentono costantemente aerei, colpi di arma da fuoco, blindati. Si mettono tappi per le orecchie ai bambini. Quasi tutte le persone indossano il nero, le famiglie sono in lutto. Paradossalmente, la gente è diventata bulimica. Vivono nello stress, la paura, costantemente all'erta. Hanno paura dei sequestri di persona e della cattura di ostaggi (contro riscatti o esecuzioni). Così rimangono a casa a guardare la TV, mangiano, dormono, sono inattivi, ingrassano. La salute generale si deteriora. Sono tutti sull'orlo della depressione. Alcuni hanno cominciato a bere e fumare. Mi chiedono consiglio. Cosa posso dire? Dire loro di restare o andarsene? Dove? In quale paese? Come? Da clandestini, attraverso un contrabbandiere? Perché l'Europa non rilascia visti, sotto qualsiasi pretesto? E con che mezzi? Far parte degli immigrati, degli  irregolari, respinti alla frontiera?

Come è il morale in generale?
Vivono il momento presente, un minuto dopo l'altro. Appena rimbomba troppo, si domandano come se ne andranno, come prepararsi per la partenza. Ma, dato quello che sentono circa la vita dei migranti e dei rifugiati, si dicono che preferiscono morire nel loro paese. Ciò non impedisce di preparare il loro passaporto e quello dei loro figli. Poiché non ci sono più ambasciate europee a Damasco per ottenere un visto, è obbligatorio  andare in Libano. Lì, l'amministrazione richiede almeno 30.000 € di garanzia per persona per il supporto in caso di malattia, rimpatrio, ecc ... il che fa sì  che la maggior parte delle persone rinunci. Due dei miei fratelli dichiarano chiaramente che non andranno mai via e che, se dovessero morire presto, sarà sul suolo siriano. Gli altri sono in discernimento.


Dilemma  ...
Non c’è più alcun luogo che sia sicuro, neanche nelle campagne. Parte degli aiuti inviati non  arriva  a destinazione.  E’ venduta nel passaggio. La corruzione ha infiammato i prezzi, mentre tutto il sistema sanitario e delle infrastrutture socio-economiche è abbattuto. I farmaci sono stati rubati. Di contro, un certo numero di persone che erano andate a cercare rifugio in Libano o in Giordania è rientrato. Esse preferiscono essere a casa nell’ insicurezza piuttosto che ammassate nei campi, subire l'umiliazione, con la scabbia, i pidocchi, malattie ecc. I nostri fratelli vivono l'Apocalisse! E' sufficiente avere pietà del loro smarrimento? Come aiutarli?  Questa è la domanda che mi pongo ogni momento ...

Lei ha parlato al raduno Diaconia a Lourdes, ma il microfono le è stato ritirato rapidamente. Che cosa è accaduto?
In Francia, c'è una vera incomprensione e disinformazione sulla situazione attuale. Ogni volta che ascolto le informazioni qui, le cose sono unilaterali e mal spiegate. I canali informativi parlano come uno che ripete una recitazione importata, copia e incolla che non ha alcun rapporto con la realtà. Penso che gli organizzatori hanno avuto paura di un conflitto davanti alla  mia esposizione. 
Ci deve essere una parola di verità, una parola di fede. Si deve dire che come i nostri fratelli soffrono. Tutti i nostri fratelli siriani, ma soprattutto i cristiani, si sentono abbandonati. Dobbiamo ricordare che noi pensiamo a loro, li portiamo nelle nostre preghiere. I cristiani sono una piccola minoranza. Si sentono minacciati perché sono contro la violenza, e là, la neutralità non è accettata. Neppure  tra i musulmani. Uno Sheikh è stato assassinato il 21 marzo 2013 a Damasco perché era un uomo di grande integrità, moderato, lontano da ogni estremismo distruttivo, Mohammad Saeed Al Ramadan Bouti.

Lei da che parte sta?
Io sono dalla parte della giustizia e della pace. Un cristiano non può pensare in termini di violenza. Se uno ama il proprio paese, non  può stare dalla parte di coloro che sostengono la violenza. Nell’ opposizione al regime, le cose vengono fatte senza controllo e senza gerarchie . Una parte dell'opposizione è delusa perché è stata recuperata dagli islamisti. Occorre servire la riconciliazione tra le due parti, e ridare dignità ad ogni individuo. Non possiamo continuare a inviare armi e denaro, si deve andare alla democrazia in modo umano , civile e non violento.

Lei sente un vero e proprio degrado nella risoluzione del conflitto?
Non si è imparato niente dalla storia. Guardate l'Iraq. La situazione non è migliorata. Guardate la Libia. La democrazia è arrivata? In Egitto, la situazione è sempre più critica per i moderati. Quando sono tornata in Siria dopo 20 anni di assenza, nel 2005, c’era un grande balzo in avanti, economico, sociale, culturale, educativo. Le persone viaggiavano giorno e notte, in modo sicuro. Le classi medie possedevano un’ auto, le ragazze potevano vestirsi come volevano senza essere molestate. Oggi sono in maniche lunghe e non indossano gioielli. Tutto deve essere ricostruito. 
Nel 21 ° secolo, è impensabile usare la violenza per raggiungere la democrazia. Oggi, io scelgo per una rivoluzione pacifica basata sul dialogo e la negoziazione.

Qual è il ruolo della fede?
Mio fratello, che è un tassista, continua a lavorare per guadagnarsi il pane. Ogni mattina, egli si affida al Signore e si fa il segno della croce quando esce di casa. Quando torna,  rende grazie per essere sano e salvo. Ero a Damasco al momento della Pasqua ortodossa. E' stato triste da piangere. Non c'era gioia sui  volti. Il governo aveva sconsigliato raduni. Di solito le chiese sono piene e si fanno processioni per le strade. Quest'anno, alcune persone si sono fermate timidamente con rami di ulivo. Le persone sono in un dilemma permanente tra andare e stare, tra  fiducia e disperazione. Penso, con tutti coloro che come me credono, che il Signore è con noi. Egli ci farà giustizia. Seguendo il percorso della Croce e la Croce, ci sarà la risurrezione. Prego per tutte le persone, specialmente coloro che hanno il potere e che dirigono il tutto. Che il Signore li  illumini. Siamo sicuri che Egli ci libererà. Ed Egli ci accoglierà  se è l'ora della nostra morte.

giovedì 9 gennaio 2014

Ginevra 2 nelle attese dei Vescovi siriani

Il Patriarca Ignatius Joseph III Younan: L'Occidente deve agire per proteggerci ...

evitare il "politicamente corretto" e valorizzare il contributo del cristianesimo alla libertà.

Damasco,  (Zenit.org



All'inizio di dicembre , i parlamentari britannici hanno parlato appassionatamente della mancanza di preoccupazione esibita dal Foreign Office verso i cristiani perseguitati . Erano , ovviamente , in diritto di esprimere le loro preoccupazioni e sono profondamente grato che lo abbiano fatto . 
Ma i governi occidentali devono andare oltre le parole . Hanno bisogno di agire. Sempre più spesso, varie parti della regione del Medio Oriente stanno diventando "no go zone " per i cristiani . Nonostante il contributo incommensurabile del cristianesimo alla civiltà nella regione negli ultimi due millenni - non ultimo in termini di libertà religiosa - non è esagerato dire che l'estremismo islamico sta facendo del suo meglio per cacciarci fuori . Ma dove è l'indignazione in Occidente - la regione una volta bastione della libertà religiosa grazie alla sua eredità cristiana ? Dove è l'azione politica ? I fondatori delle Nazioni Unite hanno in mente che l'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo sarebbe stata palesemente ignorata da tanti paesi, popoli e comunità in nome della supremazia di una religione ?: " Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione", afferma l'articolo . ". Tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo , e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche , nel culto e nell'osservanza dei riti."
Eppure molti governi occidentali ora non solo non ne tengono conto , ma anche stanno sostenendo attivamente alcuni di coloro per i quali questi principi sono anatema . Come possono le cosiddette 'nazioni amanti della  democrazia' - le nazioni più influenti nella scena internazionale - chiudere gli occhi verso le nazioni che discriminano, contro la libertà religiosa e la libertà di coscienza in nome di un amalgama di religione e stato , come praticato dagli estremisti islamici ? Come possono essere in grado di convincere i loro elettori della loro onestà quando stringono alleanze con i Paesi che ancora vietano ad altre fedi di esistere sul loro territorio ?

È vero, la discriminazione e la persecuzione contro i cristiani da parte delle nazioni a maggioranza musulmana non è nuova . Per quattordici secoli questa ha avuto luogo , portando alla cancellazione quasi totale del Cristianesimo in Nord Africa . Ma questo pericolo di estinzione sta diventando oggi fin troppo evidente in Medio Oriente . Come il mio fratello Patriarca Louis Sako di Baghdad ha detto in una conferenza sul cristianesimo e la libertà , organizzata dal Religious Freedom Project della Georgetown University a Roma, 850.000 cristiani iracheni hanno lasciato il loro paese dal 2003 , portando ad una perdita immensa per coloro che vi dimorano come pure per la cultura e la politica irachena. 
E questo è tanto più tragico perché il cristianesimo ha le sue radici in Medio Oriente e Nord Africa . I Cristiani erano la maggioranza e hanno formato la cultura dominante in Palestina , Siria, Libano , Iraq, Egitto , e gran parte del Nord Africa prima dell'arrivo dell'Islam . Per di più , essi hanno contribuito a promuovere la libertà e lo Stato di diritto . Come la conferenza di Georgetown ha sottolineato , alla fine del secondo e l'inizio del 3 ° secolo , il  padre della chiesa nordafricana Tertulliano divenne il primo pensatore nella storia ad usare la frase " libertà religiosa ". Inoltre, egli fu il primo a sostenere che la libertà religiosa è un diritto umano appartenente a tutte le persone senza distinzione di fede . Nel 4 °secolo , il padre della chiesa orientale  Gregorio di Nissa , con sede in quella che è oggi la Turchia , divenne la prima persona ad essersi mai opposta contro l'istituzione della schiavitù come fondamentalmente ingiusta .

La stessa visione radicale della libertà che ha ispirato Tertulliano e Gregorio conduce i cristiani in Egitto , Iraq e altri paesi del Medio Oriente oggi a lottare per la politica di inclusione e di libertà religiosa per tutte le persone - cristiani, musulmani , ebrei e perfino gli atei . Oggi , molti musulmani non conoscono , o non danno valore, all'importanza del cristianesimo nella promozione del pluralismo politico , la libertà religiosa, e la democrazia . Ma il peggio è che  i governi occidentali si rifiutano di sostenere o riconoscere questi fatti e agire su di essi - un approccio che non solo convalida questa ignoranza, ma dà soccorso agli estremisti islamici che vogliono cacciarci .

Per noi cristiani in Medio Oriente , questo approccio e le politiche dei paesi occidentali in generale appaiono come poco più di un tradimento . Come tante nazioni a maggioranza musulmana , voi sembrate essere tragicamente ignoranti delle vostre ricche radici e del patrimonio 
cristiano . E questo non è semplicemente una benevola ignoranza : ha le sue conseguenze , quelle che noi in Medio Oriente siamo costretti a soffrire .

Faccio appello a tutte le persone di buona volontà in Occidente perchè evitino la "correttezza politica" . Porre fine all' opportunismo economico che ha portato distruzione nei paesi della nostra amata regione . Resistere all'oppressione delle popolazioni che amano la libertà in tutti i luoghi . Agire per sostenere le libertà che voi stessi godete , e che hanno il loro fondamento nella nostra eredità cristiana .
  Siamo grati per la vostra simpatia e la preghiera , ma abbiamo anche bisogno di azione da parte delle nostre sorelle e fratelli in Cristo, occidentali.

(Sua Beatitudine Ignazio Ephrem Joseph III Younan è Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente dei siriani per la Chiesa siro cattolica)



Il Vescovo caldeo di Aleppo: “Al Ginevra 2 si prenda atto che la Siria non è la Libia”



Agenzia Fides 4/1/2014


Aleppo  - “I partecipanti alla Conferenza di Ginevra due dovranno partire rispettando i connotati propri della Nazione siriana”. Così il Vescovo di Aleppo dei Caldei Antoine Audo descrive l'unico approccio che può assicurare risultati concreti alla prossima Conferenza internazionale di Pace sulla Siria in programma a Montreux, in Svizzera, il prossimo 22 gennaio.

 “Noi riteniamo che si deve rispettare il Paese con i suoi problemi, sostenerlo nel suo cammino progressivo verso la giustizia e la libertà” aggiunge il Vescovo caldeo “piuttosto che approfittare delle sue debolezze per tentare di annientarlo. Come uomini di Chiesa, è questa la prospettiva con cui guardiamo al presente e al futuro della Siria. E ci chiediamo a cosa e a chi serve il tentativo di distruggere un Paese che era stabile e custodiva anche tesori di civiltà. Forse qualcuno pensava che la Siria fosse come la Libia, che fosse facile cambiare il regime dall'esterno, magari per interessi economici. Come si è visto, si trattava di congetture fallaci”.
Il Vescovo Audo esprime riconoscenza “per quello che sta facendo Papa Francesco in favore della pace. Ho saputo che nei prossimi giorni ci sarà in Vaticano una giornata di studio sulla tragedia del popolo siriano. Anche da lì verranno elementi di riflessione che potranno essere utili alla Conferenza di Ginevra 2”. 



Ginevra II deve porre fine alla fornitura di armi e al finanziamento delle parti in lotta

«L’opinione pubblica occidentale è ostaggio dei mezzi di comunicazione, ma i media non comprendono quanto accade realmente in Siria e Medio Oriente. Non vi è alcuna primavera araba e quella che s’intende istaurare è una teocrazia».

Parole dure rilasciate ad Aiuto alla Chiesa che Soffre da monsignor Issam John Darwish, arcivescovo melchita di Furzol, Zahle e Bekaa in Libano.

Il presule siriano ritiene il mondo arabo non ancora maturo per una forma di governo che implichi la separazione tra religione e stato. «Si tratta di una scissione ancora impensabile per molti musulmani. L’Occidente non può dunque esportare nella regione il proprio concetto di democrazia, ma deve lasciare che il Medio Oriente trovi il proprio». Per il momento le rivolte del mondo arabo hanno mostrato tutti i loro limiti, come accaduto in Egitto con il governo dei fratelli musulmani. «Jihadisti da tutto il mondo – ha aggiunto – si stanno riversando in Medioriente. È sufficiente pensare alle tante fazioni radicali che operano in Siria e che hanno soppiantato l’opposizione moderata».

Mentre si avvicina la data fissata per Ginevra II, monsignor Darwish si augura che la conferenza internazionale di pace sancisca la fine della fornitura di armi e del finanziamento alle parti in lotta. «Innanzitutto governo e opposizione devono essere indotti a riconciliarsi e ad accordarsi sulle riforme condivise da tutti i siriani. Ad esempio: garantire ai cristiani convertiti la libertà di registrarsi come tali».
 L’arcivescovo non immagina quale potrà essere il futuro di Assad, né chi potrebbe sostituirlo alla guida del paese. «La nostra unica grande paura è che i fondamentalisti possano conquistare il potere e imporre la propria ideologia. Uno scenario temuto da tutti i siriani».

Intanto i cristiani continuano ad abbandonare la Siria. Oltre 2mila famiglie hanno trovato rifugio in Libano e la città di Zahle – che con i suoi 200mila fedeli è il maggior centro cristiano del paese – ne ha accolte più 800. È difficile stimare il numero esatto di rifugiati cristiani poiché molti di loro non vivono nei campi profughi, ma sono ospiti di parenti o amici. «Ciò non significa che stiano bene – spiega il presule – La quasi totalità non ha di che vivere ed è emotivamente distrutta». Molti di loro provengono dalla città di Homs ed alcuni raccontano d’essere stati svegliati dai jihadisti nel cuore della notte e d’essere stati obbligati a lasciare la propria casa, senza poter portare nulla con sé.

Per paura di ritorsioni, spesso i cristiani evitano di registrarsi come rifugiati presso le Nazioni Unite. L’iscrizione al registro dell’Unhcr comporta infatti la redazione di una scheda comprensiva di foto ed impronte digitali, e in molti temono che i dati personali possano finire in mani sbagliate. La mancata registrazione li priva di molti benefici, tra cui l’assistenza medica.
«Non credo che debbano preoccuparsi e noi cerchiamo in tutti i modi di convincerli. Ma i nostri fedeli si fidano esclusivamente della Chiesa».

Nel 2013 Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto i progetti in favore degli sfollati interni e dei rifugiati siriani in Giordania, Libano e Turchia per un totale di 2milioni e 200mila euro. Tutti gli aiuti sono stati distribuiti attraverso la Caritas e la Chiesa locale.

Roma, 3 gennaio 2014

http://acs-italia.org/notizie-dal-mondo/ginevra-ii-deve-porre-fine-alla-fornitura-di-armi-e-al-finanziamento-delle-parti-in-lotta/#.UsgKgkaA05t



L'Arcivescovo Hindo: Ginevra 2 non trasformi la Siria in uno Stato islamista


Agenzia Fides 8/1/2014


Hassakè  – I cristiani di Siria “sperano che la Conferenza di Ginevra 2 apra per la Siria prospettive di democrazia, libertà e uguaglianza. Ma proprio per questo sono contrari a ogni deriva islamista che pretenda di imporre anche in Siria la Sharia come sorgente della giurisdizione corrente, riducendo la comunità cristiana al rango di “minoranza protetta”. 

Lo spiega a chiare lettere all'Agenzia Fides l'Arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo, titolare della eparchia di Hassakè-Nisibi. “I cristiani” spiega l'Arcivescovo “saranno contenti se la cosidetta rivoluzione aprirà il cammino alla democrazia e alla libertà. Ma adesso anche i gruppi d'opposizione legati al Free Syrian Army – che pure vengono presentati come moderati rispetto alle formazioni jihadiste – si sono riuniti sotto la bandiera islamista, e dicono che nella nuova Siria dovrà essere applicata la Sharia, perchè così vuole la maggioranza. Questa è una prospettiva che i cristiani non possono accettare”.

A giudizio di monsignor Hindo, “Gli Usa, l'Arabia saudita, la Turchia favoriscono o accettano che si ripeta in Siria quello che è successo in Egitto, e abbiamo visto come è andata a finire”. Anche molti islamisti siriani sono legati alle posizioni dei Fratelli Musulmani. 
Ma i cristiani secondo l'Arcivescovo siro cattolico non possono accettare questa involuzione, che li ridurrebbe nel ghetto delle minoranze tollerate e rappresenterebbe anche uno stravolgimento del percorso storico della nazione. “In Siria” insiste mons. Hindo “i cristiani sono sempre stati parte integrante della Patria comune, cittadini a pieno titolo, e non 'minoranza'. Dopo il protettorato francese, i siriani avevano scelto un sistema laico e democratico, prima che iniziasse il regime imposto dal partito Baath”.
A chi si ostina a dire che i cristiani sono schierati con il regime di Assad, l'Arcivescovo Hindo risponde con determinazione: “All'inizio le manifestazioni contro il governo chiedevano libertà, democrazia, fine della corruzione. Poi sono venuti da fuori a rubarci la rivoluzione. Il popolo siriano non vuole la barbarie e la tirannia travestite con parole religiose. E tra due mali, è umano scegliere sempre il minore”. 


LA PRIMAVERA ARABA CHE NON C'E' MAI STATA


Lo sguardo di un  Vescovo del Libano sulla conferenza di pace siriana:  "Non c'è spinta per la democrazia : è una spinta per la teocrazia" ... 

New York, (Zenit.org)