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mercoledì 3 aprile 2024

Il Vicario apostolico di Aleppo mons Jallouf: 'Israele ha superato ogni linea rossa nella nostra Siria dimenticata'

Da  AsiaNews 

Attacchi “mortali” che rischiano di far precipitare la situazione in un quadro di bisogni enormi e crescenti, per una realtà dimenticata in cui “le persone sono alla continua ricerca di un pezzo di pane, del carburante, di ogni genere di medicine per risolvere anche il minimo problema”. Ad AsiaNews mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, non nasconde in poche battute la grande preoccupazione legata   all’attacco  dell’esercito israeliano (sebbene non confermato ufficialmente dai vertici Idf) di ieri nella capitale che ha causato almeno 11 vittime. Nel mirino il generale Mohammad Reza Zahedi, comandante delle forze speciali Quds delle Guardie della rivoluzione islamica, responsabile del rifornimento di armi alle milizie Hezbollah in Libano, e il suo vice Mohammad Hadi Hajriahimi. I due alti ufficiali (Zahedi era uno dei fedelissimi della guida suprema Ali Khamenei) sono stati uccisi dai missili israeliani che hanno colpito, una prima assoluta anche nel controverso quadro regionale, la rappresentanza diplomatica iraniana in Siria. 

Damasco e Aleppo nel mirino

Secondo quanto riferito dal ministero siriano della Difesa, i caccia con la stella di David hanno centrato il consolato iraniano, situato nel quartiere occidentale di Mezzeh, dalla direzione delle alture occupate del Golan intorno alle 17 ora locale. Le difese aeree siriane hanno abbattuto alcuni missili, ma altri sono riusciti a superare lo sbarramento di difesa e “hanno distrutto l’intero edificio, uccidendo e ferendo le persone all'interno”. Nei giorni scorsi Israele aveva già colpito in Siria, prendendo di mira il nord come conferma mons. Hanna Jallouf, francescano, dai primi di luglio vicario apostolico di Aleppo. “Anche qui abbiamo contato 35 morti - spiega ad AsiaNews - in un attacco che sembra essere stato coordinato con ribelli e terroristi che controllano Idlib. Per molti aspetti è parsa una operazione congiunta fra Israele e ribelli, perché ai missili israeliani è seguita l’offensiva dei miliziani e questo è un elemento che è fonte di ulteriore preoccupazione”. 

Di certo vi è che i raid degli ultimi giorni hanno riportato i riflettori della comunità internazionale sulla Siria, su un conflitto che si protrae ormai da oltre 13 anni e dai più “dimenticato” come ha sottolineato papa Francesco la domenica di Pasqua. “Davvero, dopo tutti questi anni - riprende mons. Jallouf - il mondo sembra essersi scordato della Siria, ma qui esiste ancora una guerra, e a questa si sommano le devastazioni provocate dal terremoto [del 6 febbraio 2023]. Ringraziamo il pontefice per aver riportato l’attenzione sulla Siria, perché ritornino pace e prosperità”. Il bombardamento di ieri è una delle centinaia di operazioni compiute da Israele in Siria, la maggior parte delle quali mai rivendicate né confermate anche se la matrice appare chiara e lo stesso governo dello Stato ebraico poco ha fatto per nasconderle. “Adesso vi è molta più paura - ammette il vicario di Aleppo - perché è la prima volta che Israele attacca un’ambasciata straniera, territorio per definizione protetto dalle convenzioni internazionali, superando tutte le linee rosse. Il timore è che vada avanti, innescando reazioni e conseguenze ancora più gravi. Nemmeno i terroristi  avevano mai colpito rappresentanze diplomatiche, in quello che sembra essere un diversivo per coprire le atrocità a Gaza. Preghiamo, col papa, perché tacciano le armi e non vi sia una escalation che travolga anche il Libano e, a cascata, sfoci in una guerra regionale e mondiale”. 

Vittime innocenti

Le parole del prelato trovano conferma nelle cronache delle ultime ore provenienti dalla Striscia: all’attacco di ieri a Damasco, infatti, è seguita qualche ora più tardi la notizia dell’uccisione di almeno sette operatori umanitari dell’ong World Central Kitchen fondata dallo chef stellato José Andres che, in risposta, ha deciso di sospendere le attività nella Striscia. Commentando il raid dell’esercito israeliano Idf contro l’ong lo stesso Andres, famoso negli Stati Uniti non solo per la propria attività commerciale ma per le molte iniziative benefiche nel mondo, ha invocato la fine di “queste uccisioni indiscriminate” da parte della stessa Israele che utilizza “il cibo come arma da guerra”. Il team di Wck viaggiava a bordo di due auto blindate con tanto di logo e aveva coordinato i propri spostamenti coi militari israeliani; ciononostante, il convoglio è stato colpito “mentre lasciava il deposito di Deir al-Balah, dove il team aveva scaricato oltre 100 tonnellate di aiuti alimentari” arrivati a Gaza attraverso il corridoio marittimo da Cipro. 

Tornando all’attacco “senza precedenti su un edificio diplomatico” avvenuto ieri a Damasco, i vertici della Repubblica islamica hanno promesso di rispondere con una vendetta “della stessa grandezza e durezza” come ha sottolineato l’ambasciatore Hossein Akbari, rimasto illeso. Il ministero siriano della Difesa ha parlato di “attacchi” sferrati dal “nemico israeliano” provenienti “dal Golan siriano occupato”. Immediato e durissimo il commendo degli Hezbollah libanesi, che parlano di “crimine” che “non passerà senza che il nemico sia punito” nel novero di una “vendetta” a venire.

L’esercito israeliano non ha voluto commentare l’operazione, pur lasciando trapelare grande soddisfazione per il buon esito in un contesto di raid sempre più frequenti in territorio libanese e siriano dall’inizio della guerra a Gaza contro interessi iraniani. Una dura condanna arriva anche dall’Arabia Saudita, che parla di “rifiuto categorico” di attività che “prendono di mira strutture diplomatiche”. Pure gli Stati Uniti si sono smarcati sottolineando di non essere “coinvolti”, nel tentativo di scongiurare ritorsioni contro obiettivi e forze americane nell’area. Del resto in un precedente analogo, l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani in un attacco con droni nel gennaio 2020 a Baghdad, la risposta di Teheran si era condensata in una serie di rappresaglie contro basi Usa in Iraq, senza provocare gravi perdite in termini di vite umane. 

Israele fra escalation e crisi

Quanto avvenuto ieri a Damasco rischia di incendiare ancor più un quadro di guerra e tensione, mentre nella Striscia continua la lunga scia di morte e distruzione che colpisce civili palestinesi e operatori umanitari. Un rischio di escalation dietro il quale vi è la stessa Israele che ha innalzato il livello di scontro sia sul fronte interno che oltre i confini nazionali colpendo basi di Hezbollah sempre più lontane dalla frontiera, nella valle della Beqa’ o in aree del nord. E, al contempo, bombardando i valichi fra Iraq e Siria in cui transitano i carichi di armi che la Repubblica islamica invia agli alleati libanesi. Dai confini nazionali giungono infine segnali preoccupanti a partire dall’approvazione alla Knesset, il Parlamento israeliano, della cosiddetta norma “anti al-Jazeera”. In base alla legge, votata prima della chiusura per ferie della Camera, il premier Benjamin Netanyahu - in ripresa dall’operazione all’ernia e pienamente operativo - avrà il potere di chiudere gli uffici, bloccare il sito web e confiscare le attrezzature dell’emittente.

Dietro il provvedimento vi sarebbero accuse - respinte dal network - di “minaccia diretta alla sicurezza nazionale” per alcune cronache sul conflitto in corso a Gaza. Per molti, invece, i racconti dei giornalisti del network qatariota sarebbero “fondamentali” per far denunciare le violenze in atto e che colpiscono anche i civili, ultima in ordine di tempo l’operazione “mirata” all’ospedale Shifa che avrebbe causato decine, se non centinaia di vittime. Da registrare anche il mancato voto sul servizio militare per gli studenti ultra-ortodossi, finora esentati per legge. Una sentenza della Corte suprema dei giorni scorsi ha stabilito che possono essere chiamati in servizio con cartoline di reclutamento, aprendo un nuovo fronte che forse più della guerra a Gaza e degli ostaggi nelle mani di Hamas, rischia di far cadere la coalizione di Netanyahu. Difatti gli ultimi numeri parlano di una maggioranza di quattro deputati; contando il voto contrario a una nuova legge pro-esenzione per gli haredim del ministro della Difesa Yoav Gallant, basterebbero tre franchi tiratori per arrivare a nuove elezioni come richiesto da una fetta sempre più consistente della società civile israeliana. 

   Dario Salvi

sabato 30 marzo 2024

Padre Daniel dalla Siria ci augura che la luce pasquale illumini la via della nostra liberazione

 

Cari amici, vi invio dalla Siria la meditazione pasquale con l'augurio di vivere con pienezza la Settimana Santa

Attraverso la Sua incarnazione, il Suo insegnamento, la Sua sofferenza volontaria e cosciente e la morte sulla Croce, Gesù Cristo ha messo a nudo l'orrore insensato e senza speranza di ogni società umana e ha rivelato il piano di Dio per un vero 'nuovo ordine mondiale'. I quattro Vangeli (Matteo, Marco, Luca, Giovanni) hanno presentato questo in un breve e chiaro racconto di Passione (solo 2 capitoli!). Qualsiasi civiltà umana costruita su basi diverse alla fine continuerà a produrre il vecchio modo di vivere fatto di menzogne e inganni, violenza e morte. 

Con questo spirito vogliamo leggere le storie di passione dei Vangeli. Molti continuano a leggere la Parola di Dio dallo spirito dei miti, mentre la verità dei Vangeli smaschera le menzogne dei miti. Non sono solo fonte di verità ma anche di vita spirituale dinamica. Molti santi scelsero una sola frase come leitmotiv. La parola di Gesù sulla croce: “Ho sete” ha dato a Madre Teresa di Calcutta (+ 1997) la forza di vivere miracolosamente per i più poveri, morenti e sofferenti per soddisfare a sua volta la sete d'amore di Gesù. 

Ecco come le storie di passione mettono in luce la nostra stessa società umana. Evidenziamo solo alcuni aspetti. Un ampio commento potrebbe riempire interi volumi. Giuda ha un ruolo nel complotto contro Gesù. Ciò che pesa è che è “uno dei dodici”, della cerchia intima degli amici di Gesù. Prima di ciò, gli evangelisti raccontano come una donna viene ad ungere Gesù con un vaso di alabastro pieno del prezioso olio di nardo. Mostra i paradossi della vita. Giuda, della sua stessa cerchia, vuole tradire Gesù per 30 denari d'argento, il prezzo di uno schiavo. Una strana donna dona improvvisamente a Gesù il nardo più prezioso, del valore di 300 denari! (Un denaro era la paga giornaliera di un lavoratore ben pagato). 

L'atteggiamento di Pietro mostra il paradosso della nostra buona volontà con il nostro comportamento concreto. Nell'Orto degli Ulivi Gesù già gli insegna che la violenza non si controlla con la violenza. Quando Gesù viene arrestato, Pietro prende la spada e taglia l'orecchio destro del servo Malco. Gesù dice: “Rimetti la spada al suo posto; poiché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno” (Matteo 26:52). I paesi che ancora spendono più soldi ed energie in armi per la propria sicurezza si sentiranno giustamente i meno sicuri! Una volta arrestato Gesù, Pietro perde la sua spavalderia. Si scalda accanto al fuoco e diventa tutt'uno con questo gruppo di persone. Nessuno vuole più essere annoverato con l'uomo che è stato appena arrestato. Neppure Pietro. Vuole chiarire con la massima fermezza che sostiene l'opinione pubblica e che è completamente un tutt'uno con questo gruppo. Al canto del gallo, -importante figura biblica! – si lascia toccare. Giuda provò rimorso, si disperò, chiuse il cielo sopra di sé e si impiccò. Pietro si pente sinceramente, il che diventa fonte del suo nuovo atteggiamento nei confronti della vita: “Uscito, cominciò a piangere amaramente” (Matteo 26:75). Dopodiché darà veramente la vita per Gesù. 

Mentre i media occidentali di oggi confondono apertamente assassini e vittime innocenti, non c'è il minimo dubbio sulla colpevolezza e sull'innocenza nelle storie della Passione. I leader religiosi complottano contro Gesù. I cosiddetti capi d'accusa e le accuse contro di Lui davanti ai leader religiosi sono una messinscena e non producono altro che confusione e contraddizione. Giuda testimonia inequivocabilmente davanti ai capi sacerdoti: “Ho commesso un delitto tradendo sangue innocente” (Matteo 27:4) e getta le sue monete nel tempio. Pilato esprime apertamente la sua intuizione: «Non trovo alcuna colpa in quell'uomo» (Lc 23,4). Anche la moglie di Pilato testimonia di aver sentito in sogno che Gesù è un “uomo giusto” e chiede al marito di non lasciarsi coinvolgere da Lui. Uno dei due malfattori crocifissi con Lui dice all'altro, riferendosi a Gesù:“…questo non ha commesso alcun male” (Lc 23,41). E il centurione pagano, responsabile della crocifissione, rende testimonianza di fede ed esclama dopo la morte di Gesù: “Veramente quest'uomo era Figlio di Dio” (Mc 15,39). 

La condanna di Gesù mostra ulteriormente il totale fallimento sia dell'autorità religiosa che di quella civile. I leader religiosi hanno un solo obiettivo: uccidere Gesù. Non c'è alcun interesse in un'indagine seria sulla colpa e sull'innocenza, se Egli sia forse il Messia, se compia le Scritture... Su questo non è possibile una discussione aperta. I membri della Corte Suprema che sono aperti a ciò devono rimanere in silenzio e agire in segreto. Nella violenza tutti diventano uno e così i capi religiosi diventano improvvisamente amici dell'oppressore romano. Dicono addirittura apertamente: “Non abbiamo altro re che l'Imperatore!” (Giovanni 19, 15). Il loro unico scopo è incitare il popolo e pretendere illegalmente la morte di Gesù in croce. Anche il fallimento del potere civile è completo. Pilato dice che Gesù è del tutto innocente, si lava le mani e poi ordina che Gesù venga prima brutalmente flagellato e poi crocifisso! Mi ricorda un po’ quello che abbiamo vissuto qui in Siria con gli attacchi chimici. Sono stati tutti preparati e pianificati dai servizi segreti delle potenze occidentali e portati avanti dai gruppi terroristici da loro sostenuti. I media occidentali hanno incolpato all’unanimità la Siria e i leader mondiali hanno invocato ritorsioni e hanno iniziato a bombardare la Siria con il sostegno dell’opinione pubblica! Ipocrisia allo stato puro che continua ancora oggi. Oppure pensiamo a ciò che sta accadendo a Gaza adesso? I leader mondiali e le organizzazioni di sicurezza internazionali continuano a sostenere l’orrendo genocidio, mentre alcuni aiuti vengono inviati solo per l’apparenza. 

Gesù stesso ha subito questo processo mostruoso e le ingiustizie e le violenze più terribili senza parteciparvi in alcun modo. Quando qualcuno ci colpisce, siamo propensi a rispondere il triplo. Ecco perché già l'Antico Testamento imponeva una restrizione: occhio per occhio, dente per dente. Gesù però non partecipa affatto alla ritorsione. Nell'annunciare il suo traditore, parla in termini velati per proteggere Giuda. Contro il diluvio di false accuse davanti ai capi sacerdoti e davanti a Pilato, Egli non fa alcuno sforzo per difendersi. Egli testimonierà apertamente la verità e dirà che Lui è davvero il Re, anche se ciò aumenterà notevolmente la possibilità della sua condanna. Anche nel momento della sua cruenta morte sulla croce, Egli implorerà ancora il perdono: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23:34). 

Le storie della Passione sono uno specchio della nostra società piena di bugie e inganni, violenza e morte. Non riesce a liberarsi da questo. Quando comprendiamo la Parola di Dio sulla sofferenza e sulla morte di Gesù, possiamo provare a percorrere la via della liberazione. Gesù Cristo è la Via, la Verità e la Vita per tutti gli uomini di tutti i tempi.


Notizie dalla nostra comunità

Venerdì sera abbiamo recitato per l'ultima volta in questa Quaresima il grande 'akathistos' (letteralmente: non sederti), che si canta in piedi in onore della Madonna. È anche una commemorazione della liberazione nel 626 di Costantinopoli, che era circondata dai Persiani. Mentre i sacerdoti e il popolo cantavano questo inno per tutta la notte, i persiani abbandonarono l'assedio. 

La quinta domenica ricordava la grande eremita egiziana, Santa Maria l'egizia (V secolo). Celebre prostituta, si pentì nella Chiesa della Resurrezione a Gerusalemme e poi si ritirò nel deserto della Palestina per 45 anni, dove condusse una vita miracolosa di preghiera e penitenza. Questa domenica abbiamo voluto ricordarla come incoraggiamento alla conversione. 

Martedì nel tardo pomeriggio,nella chiesa ortodossa di Qâra del IV secolo, la comunità ortodossa di Deir Atieh ha cantato la Grande Compieta della Quaresima, alla quale hanno partecipato molti cattolici, come noi, di Qara. Non esiste più una comunità ortodossa nella stessa Qara. È sempre un incontro davvero incoraggiante ed ecumenico.

Il 15 marzo 2024, Germania, Francia, Inghilterra e Stati Uniti hanno rilasciato un comunicato stampa dopo la loro guerra di 13 anni contro la Siria. È un capolavoro di ipocrisia e inganno. Hanno lanciato una guerra spietata che ha ucciso mezzo milione di siriani, distrutto un bellissimo paese e sconvolto una società armoniosa (cosa che hanno già fatto in tanti altri paesi, come Iraq, Libia, Afghanistan...).... ( https://libertarianinstitute.org/articles/salafis-throwing-bombs-how-american-and-british-planners-partnered-with-al-qaeda-affiliated-groups-at-the-start-of-the-syrian-civil-war/ ) .... e i possessori di armi si rallegrano perché riescono a convincere l’opinione pubblica che occorre fare più guerra contro la Siria, presumibilmente “per liberare il popolo”! Questa inconcepibile ipocrisia è giustamente denunciata dal rappresentante permanente siriano presso l'ONU a Ginevra, Haydar Ali Ahmad: https://sana.sy/en/?p=327451

P. Daniel, Mar Yakub, Qâra, Siria, 25.3.24



"Era assolutamente necessario che Cristo, passando per la via di questo mondo, spianasse la via a coloro che lo seguono, tanto da attraversare le avversità quanto anche attraverso le prosperità." Guerrico di Igny.

A tutti i nostri lettori porgiamo gli auguri di buona Santa Pasqua nella certezza che, nella perseveranza, il Risorto compirà la Sua promessa.  


Gli amici di Ora pro Siria


sabato 23 marzo 2024

Dalla Terra di Gesù, mentre entriamo nella Settimana Santa

 

di Sami El-Youssef, Patriarcato Latino di Gerusalemme 

La vita deve andare avanti!

Chi avrebbe mai pensato nell’ottobre 2023 che questa brutta guerra sarebbe scoppiata in pieno vigore anche nel marzo 2024? Dopo più di 160 giorni, il livello di distruzione e di perdite umane innocenti è semplicemente sconcertante. A Gaza sono state uccise 31.500 persone, il 70% delle quali erano donne e bambini; 73.500 persone rimangono ferite senza un adeguato supporto medico poiché solo 12 ospedali funzionano ancora solo parzialmente; 70.000 case sono completamente distrutte e 290.000 sono gravemente distrutte, rappresentando il 60% di tutte le unità abitative; 1,7 milioni di persone su 2,3 ​​milioni sono sfollati interni, ovvero il 75% della popolazione, che vive in rifugi di fortuna o per strada con scarsi meccanismi di sostegno; 17.000 bambini sono non accompagnati o separati dalle loro famiglie; e a 625.000 bambini in età scolare viene negata l’istruzione, non solo quest’anno ma molto probabilmente l’anno prossimo, così come la maggior parte delle scuole sono state danneggiate e il resto viene utilizzato come rifugio. L’assistenza umanitaria che arriva è solo una minima parte dei livelli prebellici, causando gravi carenze di cibo, acqua potabile, medicine e carburante, che sembrano essere tutti usati come armi che portano alla fame, alla disidratazione e alla diffusione di malattie! La parte più triste è che il mondo continua a guardare da lontano permettendo che questa sofferenza continui. Se questi fatti non ti fanno piangere, cosa lo farà?

Per quanto riguarda la situazione della piccola comunità cristiana, sono 600 le persone che si sono rifugiate nel complesso della chiesa della Sacra Famiglia e altre 200 presso la chiesa greco-ortodossa. È stata e continua ad essere nostra responsabilità prenderci cura dei loro bisogni dall’inizio della guerra, inclusi cibo, acqua, vestiti, medicinali e oggetti personali al meglio delle nostre capacità, date le scorte limitate a Gaza. La comunità cristiana è stata devastata dalle perdite umane: 30 persone sono già morte (20 a causa delle ostilità belliche e 10 a causa della mancanza di servizi medici adeguati). Questo è il 3% della comunità, il che è devastante per qualsiasi comunità. I danni alle nostre istituzioni a Gaza sono stati ingenti, in particolare alla Scuola Sacra Famiglia di Remal, al Centro Tommaso d'Aquino; e la casa per bambini portatori di handicap delle Figlie della Carità che fa parte del complesso parrocchiale, per non parlare della Rosary Sisters School di Tal alhawa. Il danno ammonta a milioni di dollari e ci vorrà molto tempo per ripararlo. Inoltre, viene riferito che le case di 40 famiglie cristiane sono state distrutte; 48 furono gravemente distrutti; e altri 85 con danni moderati che li rendono inabitabili. Una volta finita la guerra, la maggior parte delle famiglie cristiane non avrà più un posto dove andare e molto probabilmente rimarrà nel complesso della Chiesa per molto tempo!

Per quanto riguarda la situazione in Cisgiordania, dall'inizio della guerra, durante le varie incursioni nella maggior parte delle località, sono state uccise 418 persone e ferite 4.665, tra cui 718 bambini. Ci sono stati 624 attacchi violenti da parte dei coloni, insieme ai numerosi posti di blocco dell’esercito che hanno frammentato la Cisgiordania e considerato il viaggio rischioso e lungo poiché le persone rimangono bloccate ai posti di blocco per ore. Ci sono anche 1.620 sfollati dalle loro case a causa delle demolizioni. L’economia sta crollando a causa di tre fattori principali: in primo luogo, il crollo delle attività legate ai viaggi e ai pellegrini che colpiscono principalmente le comunità cristiane di Betlemme e Gerusalemme; in secondo luogo, la revoca della maggior parte dei permessi di lavoro che Israele rilasciava ai palestinesi della Cisgiordania per accedere a posti di lavoro giornalieri in Israele, che potevano riguardare 100.000 capifamiglia. Questi lavoratori vengono attivamente sostituiti da lavoratori provenienti da vari paesi del mondo. In terzo luogo, la sospensione del trasferimento delle entrate fiscali riscosse da Israele all’Autorità Palestinese dall’ottobre 2023, ritenendo l’Autorità Palestinese incapace di pagare gli stipendi a circa 180.000 dipendenti pubblici da allora. Con questo, la disoccupazione è a livelli record senza alcuna prospettiva di sollievo a breve.

Per quanto riguarda Israele, il 7 ottobre, sono state uccise 1.162 persone, tra cui 33 bambini, e ferite 5.400. Dall'inizio della guerra a Gaza sono stati uccisi 247 soldati e 1.476 feriti. Rimangono inoltre a Gaza 134 ostaggi dei circa 240 rapiti il ​​7 ottobre. Inoltre, circa 200.000 sono sfollati dalle loro case, soprattutto dalle aree settentrionali e meridionali, e sono sistemati in alberghi in giro per Israele.

Dall’inizio della guerra, il Patriarcato latino ha subito iniziato a pianificare il proprio intervento sia a Gaza che in Cisgiordania per sostenere quante più persone possibile nel momento di grande bisogno. Per Gaza ciò significa fornire il puro sostegno umanitario di sussistenza agli 800 cristiani delle due chiese e ai nostri vicini musulmani. Ciò continuerà finché continuerà la guerra e anche dopo. Per quanto riguarda la Cisgiordania, durante i mesi di novembre e dicembre, è stato lanciato un massiccio programma per sostenere le famiglie bisognose, in particolare quelle che hanno perso il lavoro a causa della guerra, fornendo buoni alimentari, sostegno all’affitto, bollette, sostegno scolastico e medicinali. Ad oggi sono state supportate quasi 11.000 persone e questi programmi continuano. Inoltre, abbiamo trasformato tutti i nostri progetti in progetti di creazione di posti di lavoro ad alta intensità di manodopera per impiegare coloro che hanno perso il lavoro. I progetti sono stati implementati a Zababdeh, Jenin, Taybeh, Beit Sahour e in molte altre località. Inoltre, a partire da gennaio, la nostra attenzione si è spostata sulla creazione di posti di lavoro ed è stata rilanciata una versione di emergenza del fortunato progetto AFAQ in collaborazione con l’Università di Betlemme per generare opportunità di lavoro a vari livelli, compresi stage e sviluppo di piccole imprese attraverso un programma di piccole sovvenzioni. Centinaia di famiglie saranno assistite fino a giugno attraverso questi vari programmi che consentiranno alle persone di vivere una vita dignitosa.

Pochi giorni fa, la Commissione per la Terra Santa dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro ha concluso la sua visita semestrale primaverile, ed è stata per noi una grande opportunità per mostrare loro cosa stiamo facendo con i generosi fondi ricevuti dall'Ordine. È stata anche un'occasione per avere discussioni strategiche sul futuro, non solo per Gaza, ma per tutti e quattro i paesi della diocesi che non saranno trascurati. Riflettendo sul lavoro in corso, è diventato chiaro che, nonostante l’ampio sostegno umanitario fornito, le scuole continuano a fornire un’istruzione di qualità basata sui valori; e i servizi di pastorale si sono ampliati notevolmente. In particolare, negli ultimi mesi sono stati avviati diversi centri tra cui il Family Center con due sedi, una a Beit Jala e l'altra a Ramallah; il Centro di consulenza inizierà presto ad operare a Betlemme; ad Haifa è stato inaugurato il Centro pastorale che comprende il Centro familiare e la Cappellania giovanile; e infine la richiesta di corsi offerti ai laici attraverso il Centro di Formazione Spirituale con sede presso il Seminario di Beit Jala ha superato ogni nostra aspettativa. In breve, la vita continua e siamo lieti di tutti gli sviluppi positivi nonostante le prospettive relativamente cupe come risultato di questa guerra catastrofica. La Chiesa è sana e viva!

La prossima settimana entreremo nella Settimana Santa della tradizione cattolica, che sarà seguita tra poche settimane dalla fine del mese sacro del Ramadan per i musulmani e poco dopo dalla Pasqua ebraica, per concludersi infine con la Pasqua ortodossa all'inizio di maggio. La nostra speranza è che, mentre tutte le tradizioni di fede che chiamano casa la Terra Santa intensifichino le loro preghiere affinché venga dichiarato un cessate il fuoco che porti alla fine di questa guerra devastante e emerga un percorso chiaro verso una conclusione pacifica di questo conflitto decennale che porti alla pace, giustizia e libertà per i palestinesi e pace e sicurezza per i nostri vicini israeliani. Tutti devono riconoscere che né i palestinesi né gli israeliani (ebrei, musulmani o cristiani) andranno da nessuna parte, e dobbiamo condividere tutti la terra in pace, convivenza, rispetto e dignità per tutti. Nessuna vita umana è più preziosa di un’altra poiché siamo tutti creati uguali a immagine di Dio e meritiamo una vita dignitosa. Buona Pasqua, Ramadan Mubarak; e Pesach Sameach a tutti!

giovedì 21 marzo 2024

Grotte del Qalamoun. La storia di una civiltà raccontata dalle rocce.

 


Agenzia siriana SANA 03/12/2024


Traduzione di Maria Antonietta Carta




Nella regione montuosa del Qalamoun e in particolare nella città di Yabroud, a nord di Damasco, si trovano numerose grotte che conservano testimonianze di diverse epoche e che hanno svolto un ruolo importante nella storia della civiltà siriana. Habitat per gli uomini e rifugio sicuro per gli animali in altri tempi, esse sono oggi siti importanti per il grande valore culturale, ma anche attrazione turistica per il loro fascino.

Il direttore delle Antichità della provincia di Damasco, Jihad Abu Kahla, ha dichiarato al corrispondente dell’Agenzia SANA che le ricerche e gli studi effettuati dagli archeologi dimostrano che le grotte e i rifugi di Yabroud e la grotta di Qarnet Gharra a Saydnaya contenevano tutti i fattori della vita, compresi acqua e cibo.


Abu Kahla ha riferito inoltre che in epoca proto bizantina altre grotte divennero luogo di culto e rifugio per i perseguitati seguaci della nuova religione (i cristiani): la grotta di Santa Tecla a Maaloula, le grotte di Saydnaya, Ras al-Maara e le grotte di Darbol e Hina situate ai piedi del monte Hermon.

Mer'i al-Barade'i, ricercatore del patrimonio e degli affari storici e culturali di Yabroud, ha sottolineato che la maggior parte delle grotte naturali di Yabroud, nelle valli di Eskfta, Haraya, Machkouna e Qarina, con ingressi ampi e poco profonde, apparvero dopo il ritiro delle acque da quella regione, che era rimasta sommersa per più di un milione di anni.


Barbarah (1) Una leggenda siriana

Da "Fiabe Siriane" a cura di Maria Antonietta Carta, ed. Mondadori, 1997

La montagna gessosa su cui si aggrappano le case del villaggio di Maaloula (2) è spaccata da uno strettissimo canyon molto suggestivo. Chi lo percorre ha la sensazione che esso stia per richiudersi senza lasciare traccia del sentiero. A questo luogo è legata una leggenda.

Dopo la morte di Cristo, alcuni dei suoi apostoli giunsero ad Antiochia e la nuova fede cominciò a diffondersi in Siria. Intere colonie di monaci anacoreti stabilirono la loro sede nelle grotte che traforano il Qalamoun. In quel tempo, il governatore di Yabrud aveva una figlia che colpita da questa nuova dottrina si convertì e cominciò a propagarla. La famiglia, che adorava le divinità pagane (3), cercò invano di distoglierla da quelle pratiche e non riuscendoci finì per imprigionarla. La fanciulla trascorreva il tempo a pregare nella sua prigione, che aveva riempito di graffiti sacri, e non poteva più parlare con nessuno. C'era, però, un giovane che l'amava. Egli, un giorno, l'aiutò a evadere. Quando il governatore si accorse della fuga della figlia, ordinò all'esercito di inseguirla: «Bruciate la foresta e i campi di grano, se vi è nascosta morirà» disse. Era infatti estate e le alte spighe avevano offerto protezione ai due fuggiaschi. Inseguiti dal fuoco, essi si diressero verso Maaloula. Ma, all'improvviso, furono fermati da un ostacolo insormontabile. La montagna si ergeva, inaccessibile, davanti a loro! Allora, accadde il prodigio: il monte, miracolosamente, si aprì! I due giovani fuggiaschi poterono salvarsi attraverso quel varco che gli abitanti del luogo chiamano "Grano".

Ogni anno, a Maaloula si celebra una festa e per ricordare Barbàrah, la fanciulla cristiana, si cuociono grandi quantità di grano da offrire in suo onore.

Alla venerazione della santa sono legate alcune pratiche profane (tra cui cortei di giovani questuanti che accompagnano uno di loro mascherato, a personificare spesso un leone).

Esse suggeriscono un intento magico-rituale propiziatorio, e fanno pensare a un'origine precristiana del culto a Barbàrah. Tanto più che la vigilia della sua festa portava, fino a qualche decennio fa, uno strano nome: "notte della gatta", (Leila al bisseh in dialetto siriano) e in Siria sono state ritrovate iscrizioni che attestano l'antico culto a Bast, dea-gatta egizia identificata con Astarte, divinità fenicia della fertilità.

NOTE

1. Santa Barbara. 

2. In siriaco significa "ingresso". Era in origine un villaggio rupestre. Sorge nel Qalamun, propaggine orientale dell'Antilibano. Vi si trova una chiesetta del IV secolo, dedicata a San Sergio ex legionario romano martirizzato, dove (prima della devastazione delle orde jihadiste di AlNusra nel 2013) erano custodite preziose icone del XVII-XVIII secolo con figure sacre dai volti arabi. I suoi abitanti parlano ancora oggi la lingua di Cristo, l'aramaico.

3. Un cantico in onore di Barbàrah dice: «Suo padre il pagano che adorava le pietre».

giovedì 14 marzo 2024

Il 15 marzo la Siria entra nel suo 14° anno di guerra: intervista al nunzio Zenari


di Daniele Rocchi- SIR

“Il prossimo 15 marzo la Siria entrerà nel suo 14° anno di guerra. Punto e a capo. Che altro dire: è una guerra interna, non contro altri Stati, ma che deve fare i conti con altri Paesi che vi si sono inseriti. Oggi in territorio siriano si muovono 5 eserciti stranieri, tra i più potenti al mondo, alle volte in collisione tra loro e ciascuno con il proprio interesse da difendere. Che cosa dobbiamo aspettarci, allora? Lo ripeto sempre: bisogna smettere. Tutto il resto, poi, verrà da sé”.

A parlare al Sir è il card. Mario Zenari, dal 2009 nunzio apostolico in Siria, dopo essere stato in Sri Lanka e Costa d’Avorio, Paesi anch’essi segnati da guerre civili. E dipinge un quadro realistico della situazione lo stesso riportato, ad inizio febbraio, da Martin Griffiths, Sottosegretario generale Onu per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti d’emergenza: “La situazione in Siria è peggiorata – afferma il nunzio – 16,7 milioni di persone necessitano ora di assistenza umanitaria. Parliamo di quasi tre quarti della popolazione, il numero più alto di persone bisognose dall’inizio della crisi. Un aumento del 9% rispetto all’anno precedente. La povertà la vediamo e la tocchiamo con mano ogni giorno. La gente fa fatica a mangiare. Non parliamo poi del campo sanitario: la popolazione non ha medicine. Tutto questo spinge la gente ad emigrare. Statistiche delle Nazioni Unite dicono che ogni giorno lasciano la Siria circa 500 persone. Chi emigra non sono gli anziani ma i giovani e le persone più formate come ingegneri e medici per esempio”. Sarà un caso, rivela il cardinale, “ma la lingua più studiata oggi in Siria è il tedesco, specie tra gli studenti di medicina, perché ancora prima della laurea, chi conosce il tedesco ha la possibilità di trovare lavoro in Germania. La fuga dei cervelli è un’altra bomba che sta colpendo la Siria”.

“La coperta si fa ogni giorno più corta. I cinque pani e i due pesci anziché moltiplicarsi diminuiscono anche per i riflessi della guerra a Gaza”.

Quali conseguenze sta avendo in Siria il conflitto di Gaza?
È un incendio divampato alle porte della Siria che provoca raid aerei israeliani. Mai come in questi ultimi tempi abbiamo visto così tanti attacchi aerei, anche in pieno giorno contro obiettivi militari. Neanche durante gli anni di guerra avevamo i mortai che cadevano qui nel centro della Siria. Prima accadeva di notte, ora anche di giorno e vicino alle ambasciate al centro di Damasco. Sul fronte militare la situazione è complicata. Il Governo non vuole scottarsi le dita con questo incendio anche perché non ha la forza di tenere a bada questi 5 eserciti stranieri che operano sul suo territorio.


A proposito di sanità, lei ha promosso, sei anni fa, il progetto ‘Ospedali aperti’ per offrire cure a siriani poveri e malati. Il progetto è gestito sul terreno dall’ong italiana Avsi che coordina le cure nell’Ospedale Italiano e in quello Francese a Damasco, e nell’Ospedale St. Louis ad Aleppo. Quali sono i risultati raggiunti fino ad oggi?
Oltre ai tre ospedali cattolici, il progetto si è ampliato con 5 ambulatori dove i malati possono ricevere cure adeguate ad alcune patologie comuni non gravi. Sono dispensari molto utili alla popolazione e prevediamo di aprirne altri. Gli ultimi dati riferiti al febbraio scorso parlano di circa 141mila malati poveri assistiti in questi sei anni. Appartengono tutti a diverse etnie, fedi e denominazioni. Nelle nostre strutture non facciamo nessuna distinzione. Il settore sanitario in Siria è tra i più colpiti, tantissima gente è malata. Abbiamo attivato anche le parrocchie per assistere i malati più anziani. Un fatto comprensibile visto che tanti giovani sono partiti lasciando i loro anziani qui.

 A maggio, a Bruxelles, è prevista l’ottava Conferenza sul futuro della Siria. Cosa ci si può attendere, visto che la comunità internazionale in questi anni non ha fatto molto per sviluppare un serio processo negoziale?

La crisi siriana non si risolve con le elemosine. Occorre la soluzione politica che è stata dimenticata. Quella di Bruxelles è una conferenza di Paesi donatori. Si parla di miliardi, 4, 5, una volta si è arrivati anche a 7. Ringraziamo tutta la comunità internazionale per questo aiuto, e tutti i benefattori che si ricordano della Siria e contribuiscono anche ai progetti delle Chiese. Siamo riconoscenti, ma così non si va da nessuna parte. Ripeto la coperta è sempre più corta: moltiplicare gli aiuti umanitari non basta, serve sbloccare il processo politico in conformità con la Risoluzione Onu 2254 (2015) del Consiglio di Sicurezza che chiede di ‘soddisfare le legittime aspirazioni del popolo siriano, ripristinare la sovranità, l’unità, l’indipendenza e l’integrità territoriale del Paese e creare le condizioni necessarie per il ritorno volontario dei rifugiati in sicurezza e dignità’.

Ha senso parlare di ricostruzione in un quadro come questo che sta descrivendo?

Non sto dipingendo un quadro nero ma realistico, che conta oltre mezzo milione di civili morti, tra questi 29mila sono bambini. Circa la metà della popolazione prebellica rimane sfollata all’interno o all’esterno della Siria. Per la ricostruzione è tutto bloccato. Immagini una macedonia dove dentro ci può stare di tutto, anche frutti ammalorati o avvelenati come la corruzione che imperversa, le sanzioni internazionali, i conflitti sparsi nella regione. Aggiungiamoci anche l’oblio, della Siria non parla più nessuno. Il terremoto del 6 febbraio dell’anno scorso aveva risvegliato un po’ di attenzione ma è stato un fuoco di paglia. Ripeto: non bisogna disperare ma questa è la realtà. 

In questa situazione come vive la comunità cristiana?
Le difficoltà non vengono tanto dai casi di persecuzione in ‘odium fidei’ subite durante l’occupazione dello Stato Islamico quanto dal fatto che in questo tipo di conflitti le minoranze sono l’anello più debole della catena. Basti pensare che i 2/3 dei cristiani sono emigrati. Questo esodo sta arrecando gravi danni alla società siriana che viene così a perdere una tradizione millenaria nel campo delle scuole, della sanità, della formazione. Tuttavia abbiamo ancora tre parrocchie nella Valle dell’Oronte (Governatorato di Idlib) controllata dai ribelli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (ex Al Nusra). Come Nunziatura cerchiamo di dare tutto quello che possiamo e coordinare per spartire al meglio questi 5 pani e due pesci. Come si possono sfamare 17 milioni di persone? L’11 marzo ha preso il via il Ramadan e tutta la gente qui, cristiani e non cristiani da 14 anni vivono una ‘Quaresima’ forzata, a causa della mancanza di cibo, medicine, beni primari. La gente ormai non spera più, non ha fiducia. Quando poi muoiono i bambini muore anche la speranza nel futuro.

Non vede una luce di speranza?
L’anno prossimo, nel 2025, celebreremo il Giubileo, che ha per tema “Pellegrini di speranza”. Voglio sperare che la Chiesa viva in comunione anche con tanta gente che non ha più speranza. Non lasciamo morire la speranza e quando il 15 marzo la Siria entrerà nel suo 14° anno di guerra facciamo che possa vedere una luce alla fine del tunnel. Non dimentichiamo la Siria.

https://www.agensir.it/mondo/2024/03/12/guerra-in-siria-card-zenari-nunzio-la-crisi-siriana-non-si-risolve-con-le-elemosine-serve-soluzione-politica-che-e-stata-dimenticata/

lunedì 11 marzo 2024

Intervista a Jean Francois Thiry ad Aleppo

Associazione Pro Terra Sancta

 “La situazione è difficile. Noi non risolviamo i problemi della Siria, ma stiamo accanto alle persone. E questo è un importante segno di speranza per tutti”. 

Jean Francois Thiry vive ad Aleppo da alcuni mesi per coordinare i progetti di Pro Terra Sancta. In occasione dell’anniversario della guerra che ha devastato la Siria, lo abbiamo intervistato per comprendere la situazione attuale in questa nazione spesso trascurata dai media.

Jean Francois, rispetto alla crisi umanitaria, c’è stata una ripresa nell’arco degli ultimi mesi da quando sei lì, o la situazione è peggiorata?

In questi mesi ho incontrato una sola persona che desidera rimanere qui e contribuire al suo paese. Si tratta di un individuo impegnato nell’ambito educativo che ha deciso di non abbandonare la sua terra. Tutti gli altri parlano solo di fuggire e lamentano il peggioramento delle condizioni economiche. Non credo di poter fornire segnali positivi. È vero che si notano alcune attività commerciali riaperte, ma ciò è dovuto principalmente agli sforzi delle chiese locali che si adoperano per sostenere i cristiani. Tuttavia, la situazione macroeconomica è tragicamente precaria, con l’aumento dei prezzi del gas e la mancanza dei servizi essenziali. Risulta estremamente difficile individuare segni di ripresa.

Qual è l’importanza del lavoro delle chiese se manca la speranza?

Prima di tutto, il ruolo della Chiesa consiste nel rimanere al fianco della popolazione, soprattutto dei cristiani locali, fornendo loro supporto e non abbandonandoli, soprattutto gli anziani che non possono lasciare il Paese. In secondo luogo, il lavoro delle chiese favorisce la coesione tra le varie comunità religiose. Sebbene si parli di un’ottima intesa tra cristiani e musulmani, bisogna comprendere che ci sono ancora profonde divisioni e risentimenti legati alla storia e alla guerra. Perciò, il nostro impegno rappresenta un gesto di carità che spezza il ciclo dell’odio e del male. Lavoriamo con entrambe le comunità, sia cristiane che musulmane, per promuovere l’apertura e la collaborazione reciproca.

Il lavoro di Pro Terra Sancta è un segno di speranza?

I nostri sforzi si concentrano su due fronti: da un lato, sosteniamo la sopravvivenza dei cristiani ad Aleppo, fornendo loro supporto materiale e riparando danni alle abitazioni. Dall’altro, promuoviamo l’interazione e la solidarietà tra le comunità cristiane e musulmane, cercando di superare le barriere culturali e di comprendere reciprocamente le difficoltà che ognuna affronta. È importante mostrare ai cristiani la situazione delle famiglie musulmane, anch’esse gravemente colpite dalla guerra. Questo ci aiuta a consolidare il senso di fratellanza e solidarietà tra le diverse fedi.

Qual è la percezione della popolazione riguardo a questa guerra interminabile?

Attualmente, molti ritengono che la guerra sia terminata, ma in realtà le sanzioni economiche impediscono la pace effettiva. Inoltre, vi è una diffusa corruzione interna che ostacola la ricostruzione e il progresso del Paese. La Siria è frammentata, con diverse aree sotto il controllo del governo di Assad, dei curdi o dei turchi. Questa situazione contribuisce ad alimentare l’instabilità e l’incertezza.

Cosa ti ha spinto ad andare lì e com’è vivere ad Aleppo?

Nel 2017 ho visitato Damasco e ho incontrato i cristiani siriani, rimanendo colpito dalla loro fede incondizionata. Ho visto persone disposte a sacrificare la propria vita per la loro fede. Da allora, ho nutrito il desiderio di fare qualcosa per sostenere questa comunità. Vivere ad Aleppo è un’esperienza intensa e impegnativa. Mi concentro sull’essere presente e condividere la vita con la popolazione locale. Nonostante le difficoltà, sono stato accolto con affetto e gratitudine, il che mi spinge a continuare il mio lavoro con rinnovato impegno e speranza. Sento una grossa responsabilità anche perché ci sono tante persone che donano per la Siria e vorrei che il loro aiuto arrivi e vada veramente a rispondere ai bisogni che ci sono. Sono veramente molto grato, perché penso che in Europa cominciamo a capire l’importanza che ci sia la comunità cristiana qui, proprio dove san Paolo si è convertito.

Un appello ad aiutare chi piange e chi muore per la follia della guerra

Lettera del Dicastero per le Chiese Orientali ai vescovi di tutto il mondo

L'annuale Colletta per la Terra Santa

Osservatore Romano,  8 marzo 2024

«Grazie a nome di chi piange e di chi muore per la follia della guerra. Grazie soprattutto a nome di chi ha perso i suoi bambini o li vede orribilmente mutilati. Aiutateci ad aiutarli!». Lo scrivono il cardinale Claudio Gugerotti e padre Michel Jalakh — dell’ordine antoniano maronita, proprio oggi nominato arcivescovo —, rispettivamente prefetto e segretario del Dicastero per le Chiese orientali, nella lettera inviata ai vescovi di tutto il mondo in occasione dell’annuale colletta del Venerdì santo per la Terra Santa. Eccone il testo.

«E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme». Come avremmo voluto che le parole del salmo 122 fossero la descrizione di ciò che accade ai nostri giorni! E invece tanti pellegrini restano lontani dalla città dei loro sogni, mentre gli abitanti della Terra Santa continuano a soffrire e a morire. In tutto il mondo risuona il rombo delle armi portatrici di morte. E non si vede tregua, anche se Dio ci ha assicurato che «Ogni calzatura di soldato nella mischia e ogni mantello macchiato di sangue sarà bruciato, sarà esca del fuoco». Questa è la profezia di Isaia (9, 4). Abbiamo visto e vediamo uomini in armi spargere sangue e uccidere la vita stessa. Eppure nel versetto successivo Isaia annunciava che «un bimbo ci è stato donato... il Principe della pace». Per noi Cristiani quel bimbo è Gesù, il Cristo, il Dio fatto uomo, il Dio con noi.

Papa Francesco non ha mai cessato di manifestare la propria vicinanza a tutti coloro che sono stati coinvolti nel conflitto in Terra Santa e di gridare, agli uomini e alle donne di buona volontà, la propria esortazione a operare per la pace e a rispettare la sacralità di ogni persona umana. Anche di recente così si è espresso: «Sono vicino a tutti coloro che soffrono, Palestinesi e Israeliani. Li abbraccio in questo momento buio. E prego tanto per loro. Le armi si fermino, non porteranno mai la pace, e il conflitto non si allarghi! Basta! Basta, fratelli, basta!» (Angelus, 12 novembre 2023).

Il pellegrinaggio a Gerusalemme ha una storia antica quanto il cristianesimo, e non solo per i Cattolici. Questo è reso ancora oggi possibile dall’opera generosa dei Francescani della Custodia di Terra Santa e dalle Chiese Orientali ivi presenti. Essi mantengono e animano i santuari, segni della memoria dei passi e delle azioni di Gesù, testimoni materiali di un Dio che assunse la materia per salvare noi, fango animato dal soffio dello Spirito. Per la loro dedizione in quei luoghi si continua a pregare incessantemente per il mondo intero.

Fin dalle sue origini la Chiesa ha coltivato ininterrottamente e con passione la solidarietà con la Chiesa di Gerusalemme. In epoca tardo-medievale e moderna, più volte i Sommi Pontefici intervennero per promuovere e regolamentare la colletta a favore del Luoghi Santi. L’ultima volta fu riformata dal santo Papa Paolo VI nel 1974 attraverso l'Esortazione Apostolica Nobis in Animo. Anche Papa Francesco ha spesso sottolineato l’importanza di questo gesto ecclesiale.

Cari fratelli e sorelle, non si tratta di una pia tradizione per pochi. Ovunque nella Chiesa Cattolica si fa obbligo ai fedeli di offrire il loro aiuto nella cosiddetta Colletta Pontificia per la Terra Santa che si raccoglie il Venerdì Santo o, per alcune aree, in un altro giorno dell’anno. Lo faremo anche quest’anno, sperando in una vostra particolare generosità.

E sapete perché? Perché, oltre alla custodia dei Luoghi Santi che hanno visto Gesù, ci sono, ancora viventi e operanti pur fra mille tragedie e difficoltà spesso causate dall’egoismo dei grandi della terra, i cristiani della Terra Santa. Molti nella storia sono morti martiri per non veder recise le radici della loro antichissima cristianità. Le loro Chiese sono parte integrante della storia e della cultura d’Oriente.

Ma oggi molti di loro non ce la fanno più e abbandonano i luoghi dove i loro padri e le loro madri hanno pregato e testimoniato il Vangelo. Lasciano tutto e fuggono perché non vedono speranza. E lupi rapaci si dividono le loro spoglie.

I cristiani di Iraq, Siria, Libano e di tante altre terre si rivolgono a noi e ci chiedono: «Aiutateci a diffondere ancora in Oriente il buon profumo di Cristo» (2 Cor 2, 15).

Io mi rivolgo a voi perché il loro grido non resti inascoltato e il Santo Padre possa sostenere le Chiese locali a trovare nuove vie, occasioni di abitazione, di lavoro, di formazione scolastica e professionale, perché rimangano e non si perdano nel mondo sconosciuto di un Occidente, così diverso dal loro sentire e dal loro modo di testimoniare la fede. Se partiranno, se a Gerusalemme e in Palestina lasceranno i loro piccoli commerci destinati ai pellegrini che non vi si recano più, l’Oriente perderà parte della sua anima, forse per sempre.

Fate che sentano il cuore solidale della Chiesa!

Alle Chiese locali, ai Francescani, ai tanti volontari della carità, veri figli della pace, testimoni del Principe della pace, esprimo il grazie di Papa Francesco, come pure a tutti voi, per la vostra preghiera e il vostro contributo per la Terra Santa e per tutti coloro che vi abitano.

Il Signore vi benedica e vi ricompensi. Grazie anche a ciascuno dei Vescovi che terranno a cuore questa santa iniziativa.

Grazie a nome di chi piange e di chi muore per la follia della guerra. Grazie soprattutto a nome di chi ha perso i suoi bambini o li vede orribilmente mutilati. Aiutateci ad aiutarli!

Il Signore vi benedica di una larga benedizione e consolazione.



Per mantenere un legame con i cristiani del Medio Oriente 

 Iniziativa voluta dai Pontefici

La “Colletta per la Terra Santa” nasce dalla volontà dei Pontefici di mantenere forte il legame tra tutti i Cristiani del mondo e i Luoghi Santi. È la fonte principale per il sostentamento della vita che si svolge intorno ai Luoghi Santi e lo strumento che la Chiesa si è data per mettersi a fianco delle comunità ecclesiali del Medio Oriente. Nei tempi più recenti, Papa Paolo vi, attraverso l’Esortazione apostolica Nobis in Animo (25 marzo 1974), diede una spinta decisiva in favore della Terra Santa, da Lui visitata nello storico pellegrinaggio del 1964. 

La Custodia Francescana attraverso la Colletta può sostenere e portare avanti l’importante missione a cui è chiamata: custodire i Luoghi Santi, le pietre della memoria, e favorire la presenza cristiana, le pietre vive di Terra Santa, attraverso tante attività di solidarietà, come ad esempio il mantenimento delle strutture pastorali, educative, assistenziali, sanitarie e sociali. 

I territori che beneficiano sotto diverse forme di un sostegno proveniente dalla Colletta sono: Gerusalemme, Palestina, Israele, Giordania, Cipro, Siria, Libano, Egitto, Etiopia, Eritrea, Turchia, Iran e Iraq.

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In Siria la situazione è molto più grave, vista la condizione precaria in cui versava il Paese già prima del terremoto. Il Dicastero, in collaborazione con la nunziatura apostolica in Siria, ha fatto un appello per sostenere la popolazione colpita dal terremoto. Il Comitato di Emergenza della Chiesa in Siria ha preparato un progetto a sostegno delle famiglie in difficoltà per affrontare l’inverno nel miglior modo possibile. Le regioni che ne beneficeranno sono quelle di Aleppo e Lattakia. I beneficiari totali del progetto sono circa 7.000 persone e il budget totale è di un milione di  us$  per una durata di 9-12 mesi. Il Dicastero, su richiesta del rappresentante pontificio in Siria, ha finora trasferito seicentomila us$ a questo scopo.  

Lo scoppio della guerra in Gaza, dopo gli avvenimenti del 7 ottobre scorso, ha paralizzato la Terra Santa. La mancanza di pellegrini e turisti ha messo in difficoltà migliaia di famiglie. Il Dicastero sta seguendo lo sviluppo della situazione, dimostrando la propria vicinanza attraverso la delegazione apostolica a Gerusalemme, il Patriarcato Latino e la Custodia di Terra Santa. Il Santo Padre ha l’intenzione di realizzare un progetto con finalità umanitarie in Gaza o Cisgiordania che possa aiutare la popolazione a riprendere una vita più dignitosa e che possa creare opportunità di lavoro, a guerra finita. Questo progetto potrebbe essere realizzato con le offerte dei fedeli di tutto il mondo che partecipano alla Colletta per la Terra Santa. 

COME DONARE: 

https://www.collettavenerdisanto.it/sostienici/

https://www.proterrasancta.org/it/come-sostenerci/#offline

giovedì 7 marzo 2024

Sulla via della Croce

 

OSSERVATORE ROMANO 

di padre Francesco Patton


La strada che a Gerusalemme sale dal Santuario della Flagellazione fino al Santo Sepolcro è chiamata la Via Dolorosa. È la strada che il Signore Gesù ha percorso dal luogo in cui è stato condannato a morte fino al luogo in cui è stato crocifisso, è morto, fu sepolto ed è risorto. Noi percorriamo questa stessa strada ogni venerdì dell’anno, ma in modo particolarmente solenne nei venerdì di Quaresima. Lo facciamo in mezzo al disinteresse dei passanti e alle grida dei venditori, passando in mezzo alle pattuglie che presidiano le vie della Città Vecchia e sfiorando chi forse nasconde, pronto a colpire, un coltello tra le pieghe della veste; fra lo strepito degli altoparlanti e gli sputi di chi crede di render gloria a Dio disprezzando i suoi simili: proprio come nell’unico Venerdì Santo della storia dell’umanità e di questa città. 

Qualche pio pellegrino si irrita per questo, qualcun altro si lamenta che è impossibile provare devozione. Eppure, questa è la Via Crucis più autentica e realistica che possiamo sperimentare: seguire Gesù Cristo non nel silenzio asettico di una chiesa ma in mezzo al rumore della vita quotidiana, non circondati da gente devota ma da persone che hanno ormai perso per strada la nozione del Dio misericordioso e fedele. Per me non c’è Via Crucis più bella e più autentica di questa, che mi educa a seguire le orme di Cristo nella vita di tutti i giorni, in mezzo alle distrazioni e alla confusione, tra l’indifferenza e il disprezzo, perché così è la vita di ogni cristiano gettato in questo mondo come testimone della luce che brilla nelle tenebre e dell’amore che prevale sul male.

Questa Via Crucis rumorosa e confusionaria è la metafora della vita cristiana e vorrei davvero riuscire in ogni occasione e ogni giorno a portare la mia croce e seguire Gesù Cristo sulla strada che sale fino al Calvario, e discende fino all’abisso della morte, per vedere spalancarsi, ma soltanto alla fine, le porte del Paradiso. 


Negli incontri fatti in questi anni con i giovani cristiani della Terra Santa è quasi sempre emersa una domanda: «Perché, anziché andarcene via, dovremmo rimanere qui in questa terra dove sembra che per noi non ci sia alcun futuro?». Mentre i pellegrini pensano che sia una grazia il poter venire in Terra Santa e il potersi fermare a lungo, magari per tutta la vita, per molti cristiani che ci vivono l’essere nati in Terra Santa sembra quasi una condanna, perché devono spesso sopportare una doppia discriminazione: quella di essere palestinesi e quella di essere cristiani. 

Negli ultimi cinquant’anni le comunità cristiane del Medio Oriente (i cui membri sono i discendenti delle prime comunità cristiane, quelle dalle quali anche noi abbiamo ricevuto il dono del Vangelo) hanno visto ridursi progressivamente il numero dei loro membri a causa di guerre che hanno condannato molti a lasciare il proprio paese per cercare un futuro altrove: è successo in Palestina, poi in Libano, in Iraq, in Siria, in Egitto e ora di nuovo in Israele e in Palestina.

Anche in questo caso, come nell’ora della condanna di Gesù, c’è chi se ne lava le mani. Non il povero Pilato trovatosi un giorno costretto a prendere una decisione e a emettere un giudizio che era al di là delle sue capacità. Oggi Pilato non è un individuo, ma un soggetto collettivo che ha il volto degli organismi internazionali paralizzati nella loro stessa struttura, dei potentati economici anonimi eppure capaci di condannare all’estinzione intere popolazioni in nome del profitto, di un sistema comunicativo che di nuovo si chiede con cinismo «Cos’è la verità?», senza però cercare la risposta a questa domanda decisiva.

Eppure anche oggi trovarsi al posto di Gesù nel subire un’ingiusta condanna non è una fatalità o una maledizione, è la chiamata a seguire le sue orme, a prolungare nella storia la sua testimonianza alla Verità, per la salvezza del mondo.