Traduci

sabato 3 febbraio 2024

Gli USA bombardano la Siria

 

Serie di post di Elijah Magnier 

Gli USA hanno effettuato attacchi aerei su obiettivi iraniani collegati all'IRGC (l'Iran ha negato di avere qualsiasi posizione collegata alle sue forze) nei distretti di Al Bukamal, Deir ez-Zor, confini orientali di Syria e Iraq (suggerendo all'opinione pubblica: 'dopo un tempestivo avviso che ha consentito l'evacuazione della maggior parte delle posizioni'). I bombardieri pesanti B-1B dell'USAF, i caccia F-15E e gli A-10 Warthog hanno utilizzato 125 armi a guida di precisione contro 85 bersagli senza risultati strategici.

L'attacco USA della scorsa notte ha preso di mira la forza di sicurezza ufficiale irachena, Hashd al-Sha'bi, posizionata ad al-Anbar, uccidendo 3 ufficiali e due civili.

I bombardamenti statunitensi non hanno intimidito le forze della Resistenza in Siria, che hanno reagito alla posizione americana nel nord-est del paese con un messaggio provocatorio. Gli alleati di Gaza continuano a fare affari come al solito, sperando che Joe Biden venga ulteriormente trascinato nel pantano del Medio Oriente e mostri come il paese più forte del mondo stia combattendo una guerra impossibile da vincere contro piccoli attori non statali.

Il comportamento bellicoso degli Stati Uniti metterà ulteriormente a repentaglio il dispiegamento americano in Iraq. La Resistenza Irachena ha affermato di aver lanciato droni e attacchi missilistici contro la base USA di Ayn al-Assad. La Resistenza ha bombardato la base di al-Harir USA in Kurdistan , Iraq. La base militare USA di al-Tanf, al confine tra Iraq e Siria, è stata attaccata da droni.

Il governo iracheno condanna gli attacchi aerei statunitensi e li descrive come una “violazione della sovranità”, avvertendo di “conseguenze disastrose”.

L'attacco USA ha ucciso 16 iracheni e 7 siriani con 120 missili lanciati contro 2 paesi sovrani, Iraq e Syria , che gli americani occupano di prepotenza. Nessuna vittima iraniana nei bombardamenti: l'azione sarà lungi dall’impedire alla Resistenza di rispondere agli Stati Uniti, di sostenere Gaza e bombardare Israele.

Iran , Iraq e Russia condannano le violazioni USA contro 2 paesi sovrani e chiedono una riunione d'emergenza delle Nazioni Unite , che gli Stati Uniti invocherebbero ai sensi dell'articolo 51 per "autodifesa". L'Iraq ha confermato che non c'era stato alcun coordinamento preventivo, un passo necessario poiché gli americani sono presenti come ospiti e non come aggressori. Il parlamento iracheno chiede una sessione d'emergenza per adottare misure contro l'aggressione americana sul territorio iracheno, in particolare contro le forze di sicurezza di frontiera incaricate di monitorare e contrastare ISIS le incursioni nel paese.

L'ISIS ha colto l'occasione per attaccare le posizioni di Hasd al-Shabi e altri villaggi di al-Anbar contemporaneamente ai bombardamenti statunitensi.


Dichiarazione del Ministero della Difesa siriano

"Le forze di occupazione statunitensi hanno lanciato questa mattina una palese aggressione aerea su una serie di siti e città nella regione orientale della Siria, vicino al confine siriano-iracheno. Questa aggressione ha provocato il martirio di numerosi civili e militari, nonché il ferimento di altre persone, e hanno causato ingenti danni a proprietà pubbliche e private.

L’area presa di mira dagli attacchi statunitensi nella Siria orientale è la stessa area in cui l’Esercito arabo siriano sta combattendo i resti dell’organizzazione terroristica ISIS. Ciò conferma che gli Stati Uniti e le loro forze militari sono coinvolte e allineate con questa organizzazione, lavorando per rilanciarla come braccio sul campo in Siria e Iraq con tutti i mezzi sporchi.

L’aggressione delle forze di occupazione statunitensi questa mattina non ha altra giustificazione se non il tentativo di indebolire le capacità dell’Esercito arabo siriano e dei suoi alleati nella lotta al terrorismo. Tuttavia, l’Esercito, che è stato in grado di sconfiggere varie organizzazioni terroristiche nel corso degli anni, continuerà a mantenere la sua fermezza e il suo principio di difesa della Siria e del suo popolo, colpendo tutte le organizzazioni, non importa quanto i loro sponsor e sostenitori cerchino di ostacolare questo obiettivo.

L’occupazione delle forze statunitensi in alcune parti del territorio siriano non può continuare, e il Comando Generale dell’Esercito e delle Forze Armate afferma il proprio impegno a continuare la guerra contro il terrorismo fino alla sua completa eliminazione e la propria determinazione a liberare l’intero territorio siriano da ogni terrorismo e occupazione."


ULTERIORI INFORMAZIONI QUI: https://www.vietatoparlare.it/gli-usa-bombardano-in-siria-e-in-iraq/

mercoledì 31 gennaio 2024

Gli Stati Uniti non si ritireranno dalla Siria

 Il Ministero della Cultura della Siria chiede di proteggere le antichità di Afrin che le forze turche e le fazioni dell'SNA appoggiate dai turchi stanno assaltando e distruggendo. 

di Emma JamalSyria (North Press)

Il vice segretario di Stato americano ad interim Victoria Nuland ha dichiarato martedì che il suo Paese non intende ritirare le forze militari dalla Siria.

"Gli Stati Uniti non si ritireranno dalla Siria", ha dichiarato Nuland alla CNN Turk. Secondo la funzionaria, la decisione del ritiro non è ancora stata presa.

Il 28 gennaio, la Resistenza islamica in Iraq ha rivendicato la responsabilità dell'attacco a una base statunitense in Giordania, vicino al confine con la Siria, che ha causato l'uccisione di tre soldati americani e il ferimento di altri 34.

Dall'inizio della guerra tra Israele e Hamas, nell'ottobre 2023, le basi statunitensi in Siria e Iraq sono state prese di mira dalle milizie sostenute dall'Iran e quasi tutti gli attacchi sono stati rivendicati dalla Resistenza islamica in Iraq.

giovedì 18 gennaio 2024

La mostra sul Monastero di Azer visitabile a Milano

 
TEMPI, 17 gennaio 2024

L’associazione Charles Péguy porta a Milano la mostra, presentata la scorsa estate al Meeting di Rimini, “Azer. L’impronta di Dio. Un monastero nel cuore della Siria”

La mostra sarà esposta presso la sala espositiva Monastero San Benedetto, in Via Felice Bellotti, 10 , Milano, dal 20 al 28 gennaio 2024, e vuole essere un evento a livello cittadino.

Attraverso video, interviste, testi e foto questa mostra racconta lo stupore per la straordinaria vicenda di alcune suore trappiste del monastero di Azer, in Siria, paese di vicende drammatiche, in una zona abitata da popolazioni islamiche sciite e sunnite con l’eccezione di due piccoli villaggi cristiani: il luogo, quasi al confine Nord del Libano, è anche assai prossimo alle sconvolgenti azioni belliche in Palestina.

Nel marzo 2011 lo scoppio della guerra ha provocato devastazioni enormi, massacri senza fine e l’esodo di milioni di persone; dal marzo 2020 è giunta l’epidemia Covid-19; quindi, nel settembre 2022 un contagio di colera; infine, nel febbraio 2023, il terremoto. 

In questo lungo e drammatico periodo le monache hanno posto un seme di vita nuova, rimanendo con una presenza orante, laboriosa, gratuita: un germe vivente, di pace che Dio ha posto, in un tempo e in un luogo di guerre dilanianti. Un seme, una testimonianza anche per noi: chiamati noi stessi a generare per grazia di Dio cellule di vita nuova, oggi, qui…

L’incontro di presentazione della Mostra sarà: Venerdì 19 gennaio 2024 ore 21.00 - Auditorium CMC Largo Corsia dei Servi, 4 - Milano


QUI il link alla presentazione della Mostra al Meeting di Rimini e al dialogo di alcuni amici con suor Marta: https://oraprosiria.blogspot.com/2023/08/non-dimenticare-la-siria-dal-meeting.html

lunedì 15 gennaio 2024

Card. Pizzaballa: reciprocità e riconciliazione per la Terra Santa

"È nelle scuole e nelle università che si deve cominciare a rieducare la gente alla pace e alla non-violenza, cioè a credere, a conoscersi e a stimarsi, e anzitutto a incontrarsi, cosa che purtroppo non avviene né nelle scuole arabe né in quelle ebraiche, se non in rari casi". Così è intervenuto il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, invitato oggi, 15 gennaio, come ospite d'onore all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università Cattolica, presso il Policlinico Gemelli di Roma. 

Vatican News, 15 gennaio 2024

La Chiesa non perda la sua dimensione profetica

Il cardinale Pizzaballa parla dell'impatto che la sanguinosa guerra in corso sta avendo sulla popolazione. "Come uscire dal fango di questa guerra, da questo orribile pantano in cui più si entra e più pare impossibile uscire?". È la domanda cruciale che si pone e pone ai presenti il porporato, con il tono di grande parresia che contraddistingue sempre il suo parlare. Precisa che “pace” sembra essere oggi una parola "lontana, utopica e vuota di contenuto, se non oggetto di strumentalizzazione senza fine". Così, è necessaria una parola chiara di speranza che si deve attingere dalle Scritture e da una dimensione profetica della Chiesa. "Se la Chiesa perde tale dimensione - rimarca - parla semplicemente di ciò che la gente vuol sentire". Afferma che è questo un rischio ricorrente, soprattutto in Medio Oriente: il rischio di seguire la corrente, anziché orientarla. 

Tempi lunghi per guarire dalla lacerazione della guerra 

Il Patriarca di Gerusalemme lamenta poi che "i tempi di una guarigione saranno necessariamente lunghi e avranno bisogno di percorsi complessi", esortando a crederci davvero nella pace. "Si dovrà prendere atto - sottolinea - che le parole giustizia, verità, riconciliazione e perdono non potranno essere (come forse è stato fino ad oggi) solo auspici, ma dovranno trovare contesti realmente vissuti, con una interpretazione condivisa, e tornare ad essere espressioni credibili e desiderate, senza le quali sarà difficile pensare ad un futuro diverso". La questione problematica è che "ciascuno vede se stesso come vittima, la sola vittima, di questa guerra atroce. Vuole e chiede empatia per la propria situazione, e spesso percepisce nell’esprimere sentimenti di comprensione verso altri da sé, un tradimento o almeno un mancato ascolto della propria sofferenza. Una situazione in tutti i sensi lacerante". 

Una pace credibile chiede una purificazione della memoria

Pizzaballa ribadisce la responsabilità di ciascuno, in questo contesto di grande disorientamento, nel dare coraggio per costruire prospettive di vita. "Laddove tutto sembra rinchiudersi in odio e dolore, è chiamato ad aprire orizzonti". Essere profeti, in ogni ambito, non vuol dire essere visionari, ma credenti, cioè "avere la fede che si deve fare il possibile per investire nello sviluppo, per sostenere un pensiero positivo e illuminato, per evitare manipolazioni religiose e anzi promuovere un discorso su Dio che apra alla vita e all’incontro". Reciprocità e riconciliazione. Sono queste le direttrici su cui perseverare per la Terra Santa, tenuto conto - dice Pizzaballa - che le ferite non possono essere semplicemente cancellate o ignorate con una pace che sia semplicemente “assenza di guerra”. Con una nota di carattere psicologica, ricorda che le ferite, se non sono curate, assunte, elaborate, condivise, continueranno a produrre dolore anche dopo anni o addirittura secoli, creando vittimismo e di rabbia. 

Un linguaggio privo di umanità ferisce più delle bombe

Si sofferma ampiamente, il cardinale, sulla necessità di un linguaggio che aiuti nella costruzione della pace, ripetendo che non di banale accessorio si tratta. Richiamando ancora la necessità di parresia e chiarezza nel parlare, precisa inoltre che "bisogna, non solo dire quello che si pensa, ma anche pensare a quello che si dice, di avere la coscienza che, soprattutto in queste circostanze così sensibili, le parole hanno un peso determinante". Quanti hanno una responsabilità pubblica hanno il dovere di orientare le loro rispettive comunità con un linguaggio appropriato, che limiti "la deriva di odio e sfiducia che spesso nei media dilagano con facilità", osserva Pizzaballa. Insiste sulla necessità di "preservare il senso di umanità", soprattutto nell'uso dei social. Attribuisce a un linguaggio "violento, aggressivo, carico di odio e di disprezzo, di rifiuto e di esclusione", una forte responsabilità e uno degli strumenti principali di questa e troppe altre guerre. Fa anche esempi: definire l’altro come 'animale', è anch’essa una forma di violenza che apre o forse addirittura può giustificare scelte di violenza in molti altri contesti e forme. "Sono espressioni che forse feriscono più ancora degli eccidi e delle bombe". Facendo riferimento a come si raccontano le due parti nel conflitto israelo-palestinese, il porporato si addentra nella questione relativa a quelle che sono state e continuano ad essere "narrative indipendenti l’una dall’altra, che non si sono mai incontrate realmente. E ora - spiega - questo è diventato esplosivamente evidente in questi ultimi mesi. È necessario quindi il coraggio di un linguaggio non esclusivo", soprattutto nei luoghi di formazione culturale, professionale e spirituale. 

Il conflitto spirituale

Sua Beatitudine approfondisce le modalità attraverso cui guerra in Medio Oriente intacca inevitabilmente la vita spirituale degli abitanti della Terra Santa. E si chiede qual è stato il ruolo delle fedi e delle religioni. Il cardinale Pizzaballa constata che "con poche eccezioni, non si sono sentite in questi mesi da parte della leadership religiosa discorsi, riflessioni, preghiere diverse da qualsiasi altro leader politico o sociale". Condivide l’impressione che ciascuno si esprima esclusivamente all’interno della prospettiva della propria comunità. Ebrei con ebrei, musulmani con musulmani, cristiani con cristiani, e così via. E racconta che "in questi mesi è stato ed è ancora pressoché impossibile, ad esempio avere incontri di carattere interreligioso, almeno a livello pubblico". Lamenta che "rapporti di carattere interreligioso che sembravano consolidati sembrano oggi spazzati via da un pericoloso sentimento si sfiducia. Ciascuno si sente tradito dall’altro, non compreso, non difeso, non sostenuto". Esorta a questo proposito che la fede non può adagiarsi: da un lato deve essere di conforto, dall'altra "elemento di disturbo". 

La guerra è uno spartiacque nel dialogo interreligioso

Il rapporto tra cristiani, musulmani ed ebrei non potrà essere mai più come è stato finora. Ne è convinto Pizzaballa che osserva come il mondo ebraico non si sia sentito sostenuto da parte dei cristiani e lo ha espresso in maniera chiara. "I cristiani a loro volta, divisi come sempre su tutto, incapaci di una parola comune, si sono distinti se non divisi sul sostegno ad una parte o all’altra, oppure incerti e disorientati. I musulmani si sentono attaccati, e ritenuti conniventi con gli eccidi commessi il 7 ottobre… insomma - conclude - dopo anni di dialogo interreligioso, ci siamo ritrovati a non intenderci l’un l’altro. È per me, personalmente, un grande dolore, ma anche una grande lezione". Da qui il dialogo dovrà ripensarsi, spiega: non più solo tra appartenenti alla cultura occidentale, come è stato fino ad oggi, ma "dovrà tenere in conto le varie sensibilità, i vari approcci culturali non solo europei, ma innanzitutto locali. È molto più difficile, ma da lì si dovrà ripartire. E si dovrà farlo, non per bisogno o necessità, ma per amore".

La Chiesa evidenzi le ingiustizie, senza strumentalizzazioni

La presenza del cardinale Pizzaballa all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università Cattolica serve oggi a ribadire l'urgenza di educare alla speranza e alla pace, proprio perché la scuola e le università hanno un ruolo chiave in questo. "In un ambiente segnato da lacerazioni e contrasti, possiamo diventare, come Chiesa, luogo ed esperienza della pace possibile", afferma infine il porporato. "Se abbiamo poca possibilità di sedere ai tavoli internazionali - sostiene - abbiamo però il dovere di edificare comunità riconciliate e ospitali, aperte e disponibili all’incontro, autentici spazi di fraternità condivisa e di dialogo sincero". Le sue parole richiamano un ecumenismo che non sia "di facciata o di comodo", ma "vissuto, fatto d’incontri, di collaborazione, di reciproco sostegno e di sofferenza condivisa". Su un aspetto non trascurabile si sofferma ancora nel suo intervento: la Chiesa non può ridursi ad “agente politico” o a partito o fazione, non si può esporre insomma a facili strumentalizzazioni. Contestualmente non può tacere, scandisce Pizzaballa, "di fronte alle ingiustizie o rinchiudersi nell’angelismo o nel disimpegno". Il cardinale si congeda esprimendo tutto il disagio vissuto sulle proprie spalle proprio perché 'conteso' da una parte o dall'altra. Raccomanda, allora, che "prendere posizione non può significare diventare parte di uno scontro, ma deve sempre tradursi in parole e azioni a favore di quanti soffrono e non in condanne contro qualcuno".

sabato 13 gennaio 2024

For Aleppo


Questo pezzo è dedicato alla città di Aleppo e al suo passato, presente e futuro.

I musicisti che hanno suonato alla School of Public Policy della Central European University sono stati:
Anastasia Razvalyaeva - arpa, Albert Márkos - violoncello, Tijana Stanković - violino, Zsuzsanna Tóth - flauto, Zoltán Bordás - riq, Adam Hosman - tabla egiziana.

Composto da Gábor Berkó
Prodotto da Adam Hosman




Pierre le Corf  da Aleppo:  "E se alla fine bastasse amare? Bravi e grazie a tutti coloro che ogni giorno regalano un po' di magia e di amore per chi ne è privo, qui e ovunque voi siate.
Da Aleppo, mani e cuori. Al di là della guerra, delle sanzioni ecc.  nel mondo ci sono cose peggiori del "coronavirus"... credo che più persone stiano lentamente morendo ogni giorno per stanchezza mentale, solitudine, mancanza di sostegno, mancanza di speranza... il vuoto si instaura se l'amore e il contatto non persistono... e la morte si nutre del vuoto. 
Con amore, dunque"



mercoledì 3 gennaio 2024

Mons Jacques Mourad: il mondo sta lasciando morire il popolo siriano

 L’arcivescovo di Homs lancia un drammatico appello dopo l’interruzione, a partire dal primo gennaio, del piano di aiuti del Programma alimentare mondiale: "Le famiglie siriane mangiano una volta al giorno, hanno dimenticato cosa sia il riscaldamento, cosa sia l’acqua calda, cosa sia una società. E si vive nell’oscurità, senza luce”

Vatican News , 2 gennaio 2024

Sei mesi fa lo avevano dimezzato, dal primo gennaio è del tutto soppresso. Il piano di aiuti del Programma alimentare mondiale - l’agenzia Onu incaricata dell’assistenza alimentare nel mondo – alla Siria è stato interrotto. Più di cinque milioni di persone dipendevano dalla consegna di alimenti e di generi di prima necessità, in un Paese prossimo al 13.mo anno di guerra (marzo 2024) e ulteriormente fiaccato, nel febbraio 2023, da un drammatico terremoto nelle zone al confine con la Turchia. All’origine della decisione, spiega il Pam, vi sarebbe l’assenza di fondi, messi a rischio dall’epidemia di Covid, dalla guerra in Ucraina e ora anche da quella a Gaza, che avrebbero azzerato il budget a disposizione. E ora la stima di chi versa in gravi condizioni di insicurezza alimentare supera i 12milioni di persone.

Decisione terribile e ingiusta

“Il popolo siriano è condannato a morire senza poter dire nulla”, è la drammatica constatazione di monsignor Jacques Mourad, da un anno arcivescovo di Homs, terza città, per estensione, della Siria. “E’ una decisione terribile e ingiusta”, continua l’arcivescovo, che si chiede perché mai si sia arrivati a questo. “Per noi è come se il mondo dicesse al popolo siriano ‘sei condannato a morire, senza alzare la voce, senza dire nulla’. E per che cosa? Che colpa ha il popolo siriano?”. 

La Chiesa non può coprire tutti i bisogni

Le sue parole sono accorate, pensando alla sofferenza che in tutti questi anni il popolo ha subito e che ancora subirà, generata da una guerra che non sembra dover finire e che continua a infrangere qualsiasi speranza. “Questa decisione - prosegue il presule - è stata presa per gettare il popolo siriano nella disperazione completa, per spegnere ogni luce che poteva restare accesa grazie alla nostra fede e grazie alla speranza. Ma in questa situazione noi veramente siamo finiti”. Organizzazioni non governative e Chiesa cattolica, in questi anni, hanno davvero operato miracoli in Siria, supportando la popolazione in ogni modo. Oggi, di fronte all’interruzione degli aiuti umanitari, che ormai servivano quasi i 2/3 della popolazione, ci si chiede se ci sia ancora una speranza che possa impedire alle persone di morire di fame. “La Chiesa, così come le organizzazioni non governative, non possono coprire tutto il bisogno del popolo siriano - continua mons. Mourad - la loro capacità di finanziamento è limitata. Inoltre, far arrivare il denaro in Siria è impossibile a causa delle sanzioni imposte da Stati Uniti e Onu, e quindi come facciamo? Come può il popolo siriano vivere? Già tante famiglie siriane mangiano una volta al giorno, solo una volta al giorno. Abbiamo dimenticato che cosa significhi scaldare, perché non possiamo comprare il diesel o la legna, abbiamo dimenticato cosa sia l'acqua calda, abbiamo dimenticato cosa sia una società. E viviamo nell'oscurità totale, le città in Siria sono senza luce, certamente i quartieri ricchi che contano solo il 5% della popolazione non sono rappresentativi della situazione del popolo siriano”. 

I siriani così sono condannati a morte

Per monsignor Mourad l’unica soluzione è rappresentata, oltre che dalla Chiesa cattolica, dall’Unione europea, la sua speranza è che l’Ue prenda una posizione chiara, dettata da “una sensibilità umana e sincera”. L’appello dell’arcivescovo di Homs è straziante. “Perché si vuole far morire questo popolo?” è la domanda atroce che viene posta al mondo: “Non è possibile che tutto il mondo abbandoni il popolo siriano, che cosa abbiamo fatto di male per essere condannati a morire?”.

domenica 31 dicembre 2023

"Il Signore rivolga a te il Suo volto e ti conceda pace"

 

Omelia di don Giacomo Tantardini

"Dalla sua pienezza, dalla pienezza di Dio, in questo bambino, il figlio di Maria, dalla sua pienezza, dalla pienezza della sua carne, attraverso la sua carne noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Grazia su grazia ha ricevuto sua madre, grazia su grazia ha ricevuto Giuseppe sposo di Maria, grazia su grazia hanno ricevuto i pastori.

E oggi la chiesa nelle liturgie di Natale si ferma soprattutto a guardare i pastori, a guardare coloro che all’annuncio dell’angelo sono andati: ”andiamo a vedere, andiamo fino a Betlemme” si dicono “a vedere l’avvenimento che ci è stato annunciato”.
Andarono e videro Maria e Giuseppe e un bambino. Ed erano pieni di stupore, tant’è vero, tant’è vero che tutti erano stupiti delle cose che dicevano i pastori; e solo, solo lo stupore si comunica al cuore come stupore.
Che cosa hanno ricevuto da questo bambino quei pastori, che cosa hanno ricevuto da questo piccolo che, malgrado mentre lo vedevano piangeva come tutti i bambini mentre lo guardavano sua madre Maria lo stava allattando.
Che cosa hanno ricevuto?

Paolo, quando descrive i peccati degli uomini dopo una lunga serie di tutti i peccati, finisce con queste due frasi che di tutti i peccati sono i più grandi: senza cuore, senza misericordia.
Così questi pastori hanno ricevuto un cuore, il loro cuore ferito, il loro cuore come il cuore di ogni uomo ferito, il loro cuore che a poco a poco diventa di pietra, hanno ricevuto un cuore di carne, guardando questo bambino, questo bambino; il loro cuore è ritornato come il cuore di quando si è bambini, hanno ricevuto un cuore, hanno ricevuto un cuore di carne, hanno ricevuto misericordia.
A chi è senza cuore a chi è senza misericordia lo sguardo di questo bambino, il guardare a questo bambino, questo bambino che piange o sorride o dorme o viene allattato, questo bambino ridona il cuore, questo bambino ridona misericordia.
Il Vangelo non dice, come invece diranno i Magi, non dice che lo hanno adorato, non dice che lo hanno riconosciuto come Dio, dice soltanto che il loro cuore si è stupito, dice soltanto che il loro cuore si è commosso.  
 Ma solo, solo colui che ha creato il cuore può ricreare il cuore in persone ormai, ormai che tanti anni, tanti anni hanno logorato il cuore. Solo colui che è il creatore lo può ricreare, lo può rendere come bambino, anzi più puro, più limpido, più commosso, più stupito del cuore di un bambino. 
 Solo colui che ha creato il cuore può donare la misericordia, può abbracciare il cuore. Solo colui che è dolce quando dona come dice Sant’Agostino “dulcis pater” dolce è il padre quando dona, “dulcis oh pater” ma è più dolce il padre quando ricrea. 
Come abbiamo questa sera ancora una volta detto nella preghiera della messa: colui che mirabilmente ha creato il cuore è più mirabile quando lo fa ritornare bambino in noi, in noi che siamo vecchi, quando lo fa ritornare bambino, quando a chi non ha misericordia e non usa misericordia dona misericordia . 
  Per questo, per questo, per questo stupore, per questo cuore rinnovato e ridato, per questa misericordia che mi abbraccia più dolcemente che non la dolcezza di una mamma che abbraccia il bambino, per questa misericordia hanno riconosciuto che Dio, nessuno lo ha mai visto, ma il figlio unigenito che è Dio e che è nel seno del Padre, Lui facendosi bambino, Lui lo ha fatto vedere."

Nella preghiera per la Pace auguriamo agli amici di Ora pro Siria un Anno di vera Pace

sabato 23 dicembre 2023

“Proprio in un mondo così il Signore stesso è nato per darci speranza”

Custodia Terrae Sanctae

Pubblichiamo di seguito il messaggio di Natale dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese di Gerusalemme.

Poiché un bambino ci è nato, ci è stato dato un figlio; e il governo sarà sulle sue spalle, e il suo nome sarà chiamato “Consigliere meraviglioso, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace”. (Isaia 9:6)

Noi, Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme, trasmettiamo i nostri auguri di Natale ai fedeli di tutto il mondo nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, il Principe della pace, nato qui a Betlemme più di duemila anni fa .

Nell'estendere questi saluti, siamo ben consapevoli che lo facciamo in un periodo di grande calamità nella terra natale di nostro Signore . Negli ultimi due mesi e mezzo, la violenza della guerra ha portato a sofferenze inimmaginabili letteralmente per milioni di persone nella nostra amata Terra Santa. I suoi orrori continui hanno portato miseria e dolore inconsolabile a innumerevoli famiglie in tutta la nostra regione, evocando grida empatiche di angoscia da tutti i angoli della terra . Per coloro che si trovano in circostanze così terribili, la speranza sembra lontana e irraggiungibile.

Eppure è in un mondo simile che nostro Signore stesso è nato per darci speranza. Qui dobbiamo ricordare che durante il primo Natale la situazione non era molto lontana da quella odierna. Così la Beata Vergine Maria e San Giuseppe ebbero difficoltà a trovare un luogo dove far nascere il loro figlio. C'è stata l'uccisione di bambini. C'era un'occupazione militare. E c'era la Sacra Famiglia che veniva sfollata come rifugiata. Esteriormente, non c’era motivo di festeggiare se non la nascita del Signore Gesù .

Tuttavia, in mezzo a tanto peccato e dolore, l’Angelo apparve ai pastori annunciando un messaggio di speranza e di gioia per tutto il mondo: “Non temete, perché ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà tutte le persone. Poiché oggi è nato per voi nella città di Davide un Salvatore, che è Cristo il Signore” (Luca 2:10–11).

Nell'Incarnazione di Cristo, l'Onnipotente è venuto a noi come Emmanuele, “Dio con noi” (Matteo 1:23), per salvarci, redimerci e trasformarci. Questo doveva adempiere le parole del profeta Isaia: “Il Signore mi ha consacrato con l'unzione. per portare la buona notizia agli oppressi, per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà ai catturati e la liberazione ai prigionieri; per proclamare l'anno di grazia dell'Eterno» (Isaia 61:1–2a; Luca 4:18–19).

Questo è il messaggio divino di speranza e di pace che il Natale di Cristo ispira in noi, anche in mezzo alla sofferenza. Perché Cristo stesso è nato e vissuto in mezzo a grandi sofferenze . Egli, infatti, ha sofferto per noi, fino alla morte di croce, affinché la luce della speranza risplendesse nel mondo, vincendo le tenebre (Gv 1,5).

È in questo spirito natalizio che noi, Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme, denunciamo tutte le azioni violente e chiediamo la loro fine . Allo stesso modo invitiamo le persone di questa terra e di tutto il mondo a cercare le grazie di Dio affinché possiamo imparare a camminare insieme sui sentieri della giustizia, della misericordia e della pace. Infine, invitiamo i fedeli e tutti coloro che sono di buona volontà a lavorare instancabilmente per il sollievo degli afflitti e per una pace giusta e duratura in questa terra che è ugualmente sacra alle tre Fedi monoteiste.

In questo modo, infatti, rinascerà la speranza del Natale, a cominciare da Betlemme e estendendosi da Gerusalemme fino ai confini della terra – realizzando così le consolanti parole di Zaccaria, secondo cui «un'aurora dall'alto sorgerà su di noi per dare luce a coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte, guidando i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,78-79).

— I Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme



For to us a child is born, to us a son is given; and the government will be upon his shoulder, and his name will be called “Wonderful Counselor, Mighty God, Everlasting Father, Prince of Peace.” (Isaiah 9:6)

We, the Patriarchs and Heads of the Churches in Jerusalem, convey our Christmas greetings to the faithful around the world in the name of our Lord Jesus Christ, the Prince of Peace, born here in Bethlehem more than two-thousand years ago.

In extending these greetings, we are well aware that we do so during a time of great calamity in the land of our Lord’s birth. For over the past two-and-a-half months, the violence of warfare has led to unimaginable suffering for literally millions in our beloved Holy Land. Its ongoing horrors have brought misery and inconsolable sorrow to countless families throughout our region, evoking empathetic cries of anguish from all quarters of the earth. For those caught in the midst of such dire circumstances, hope seems distant and beyond reach.

Yet it was into such a world that our Lord himself was born in order to give us hope. Here, we must remember that during the first Christmas, the situation was not far removed from that of today. Thus the Blessed Virgin Mary and St. Joseph had difficulty finding a place for their son’s birth. There was the killing of children. There was military occupation. And there was the Holy Family becoming displaced as refugees. Outwardly, there was no reason for celebration other than the birth of the Lord Jesus.

Nevertheless, in the midst of such sin and sorrow, the Angel appeared to the shepherds announcing a message of hope and joy for all the world: “Fear not: for, behold, I bring you good tidings of great joy, which shall be to all people. For unto you is born this day in the city of David a Savior, who is Christ the Lord” (Luke 2:10–11).

In Christ’s Incarnation, the Almighty came to us as Immanuel, “God with us” (Matthew 1:23), in order to save, redeem, and transform us. This was to fulfill the words of the Prophet Isaiah: “The LORD has anointed me . . . to bring good news to the oppressed, to bind up the brokenhearted, to proclaim liberty to the captives, and release to the prisoners; to proclaim the year of the LORD’s favor” (Isaiah 61:1–2a; Luke 4:18–19).

This is the divine message of hope and peace that Christ’s Nativity inspires within us, even in the midst of suffering. For Christ himself was born and lived amid great suffering. Indeed, he suffered for our sake, even unto death upon a cross, in order that the light of hope would shine into the world, overcoming the darkness (John 1:5).

It is in this spirit of Christmas that We, the Patriarchs and Heads of the Churches in Jerusalem, denounce all violent actions and call for their end. We likewise call upon the people of this land and around the globe to seek the graces of God so that we might learn to walk with each other in the paths of justice, mercy, and peace. Finally, we bid the faithful and all those of goodwill to work tirelessly for the relief of the afflicted and towards a just and lasting peace in this land that is equally sacred to the three Monotheistic Faiths.

In these ways, the hope of Christmas will indeed be born once again, beginning in Bethlehem and extending from Jerusalem to the ends of the earth — thus realizing the comforting words of Zechariah, that “the dawn from on high will break upon us to give light to those who sit in darkness and the shadow of death, guiding our feet into the way of peace” (Luke 1:78–79).

— The Patriarchs and Heads of the Churches in Jerusalem


martedì 19 dicembre 2023

Natale in Siria, dove i Maristi portano la gioia ai bambini che conoscono solo la guerra

 


Vatican News. 19 dicembre 2023

Dal 2011 e dall’inizio della guerra in Siria sono nati più di 6 milioni di bambini, che hanno conosciuto solo violenza e guerra. Ancora oggi, un numero tra i due e i tre milioni di loro non va a scuola. Più di otto milioni di bambini necessitano di assistenza umanitaria. Secondo l’Unicef, i minori in Siria sono tra quelli più vulnerabili al mondo. Alla guerra, che ha ucciso circa 500 mila persone, si è aggiunto il mortale terremoto del 6 febbraio 2023 ad Aleppo. È in questo contesto che le famiglie cristiane siriane, stremate, si preparano a celebrare il Natale. Il 22 dicembre i Fratelli Maristi faranno una distribuzione speciale a 1.100 famiglie: una gallina, un chilo di arance, un chilo di mele e 30 uova. Potrebbe sembrare un dono banale, ma per le famiglie che riceveranno questa offerta è la garanzia di un pasto completo nel periodo natalizio. Ad Aleppo, il fratello marista Georges Sabé festeggerà il 25 dicembre con gli scout e i loro genitori e si impegnerà a portare un po’ di gioia ai bambini, in mezzo alle tante difficoltà della vita quotidiana.

Fratello Georges, ci avviciniamo al Natale e in questa occasione abbiamo voluto puntare i nostri riflettori sulla Siria e più in particolare sui bambini. Dopo dodici anni di conflitto sono almeno 6 milioni i bambini, secondo l’Unicef, nati dopo il 2011 e che hanno conosciuto solo la guerra...

Purtroppo i bambini di cui parliamo oggi sono tutti figli della guerra. Sia che abbiano vissuto la guerra direttamente, sia che ne abbiano vissuto le conseguenze attraverso la violenza, le paure, tutto ciò che riguarda la vita quotidiana, l’insegnamento, l’essere costretti a spostarsi e tutto ciò che riguarda la visione del futuro. Se parlo di bambini, devo parlare di bambini che, oltre alla guerra, soffrono ancora le conseguenze delle sanzioni economiche e che, quasi un anno fa, hanno subito anche il terremoto. C’è una paura radicata nel cuore dei nostri figli, rinnovata dal sisma e che ha suscitato una sensazione di instabilità, come se già i diversi spostamenti non bastassero. Il terremoto ha detto concretamente a ogni bambino che è ancora minacciato. C’è la minaccia della guerra, ma c’è anche la minaccia dei rischi naturali.

Che trauma lascia tutto questo ai bambini?

Devo prima parlare della violenza. Purtroppo serve un’educazione molto forte con cui far capire ai bambini due cose importanti: il rispetto per l’altro, per chi è diverso da me e portare loro un segno di speranza. Quando parlo di rispetto, intendo che dobbiamo insegnare ai nostri figli a risolvere i conflitti in modo non violento. È molto facile per loro avere in mano giocattoli che sembrano armi. Pensano di risolvere un conflitto con un altro bambino picchiandolo, anche usando questo giocattolo e fingendo di ucciderlo. Giocano a combattere e a morire. Questa è la guerra... È un trauma che risiede nel profondo di ogni bambino. L’altro tema importante è la questione della stabilità e dello sradicamento. I nostri figli sono stati spesso sfollati. Molti di loro sanno anche che il loro futuro potrebbe non essere in Siria, che i loro fratelli, i membri di altre famiglie o compagni, hanno lasciato il Paese e sono andati altrove. C’è questa sensazione di un orizzonte chiuso, dove non esiste la speranza, un orizzonte in cui il bambino non sa cosa diventerà. Questo è molto grave e destabilizzante per lo sviluppo della personalità del bambino. E ha un impatto anche sui suoi studi e sulla sua visione del futuro.

Quali strutture sono ancora in piedi, dopo la guerra, dopo il terremoto, in grado oggi di insegnare tutti questi valori? Ne ha citati alcuni ma ci sono anche i valori della pace e della riconciliazione. Dove si può insegnare questo oggi in Siria?

È una situazione terribile perché molte scuole sono state distrutte durante la guerra e poi a causa del terremoto, che ha rappresentato un'altra minaccia per questi bambini. Al di là della struttura in pietra, è necessario creare spazi sicuri per i bambini, spazi che diano loro un po' di gioia, uno spazio dove possano giocare, stare comodi e sicuri. Questo è l’obiettivo che le diverse congregazioni religiose cercano di offrire ai bambini cristiani e ai bambini musulmani. Dobbiamo lavorare sull'educazione, sull'educazione alla pace, per evitare che in futuro si arrivi nuovamente a una guerra che distrugge l'uomo come distrugge la pietra.

Ci avviciniamo alla Natività. Ha parlato di spazi da creare o di spazi dove i bambini possano sentirsi protetti e al sicuro. Come pensa di festeggiare il Natale con i bambini ad Aleppo?

Vi faccio un esempio molto concreto: con i nostri piccoli scout celebreremo la notte e la vigilia di Natale con genitori e figli in un momento di gioia, di festa, di famiglia. Pregheremo insieme, saremo in comunione insieme e, d'altra parte, celebreremo con gioia. Conto sulla preghiera che ci aiuta e ci dà la forza in questo tempo di Avvento e di Natale per mantenere questa speranza nonostante tutto e per portare un po' di gioia nella vita di ogni bambino.

Ci avete descritto una situazione che resta estremamente delicata, complicata, difficile. Come trova, in questo contesto, le parole giuste per portare un po' di gioia ai bambini? Cosa dice loro?

Devo ammettere che a volte non ho le parole... Ma devo anche riconoscere che a volte, dalla mia preghiera, posso dire una parola di speranza ascoltandoli, invitandoli ad uscire incontro all'altro, per capire che ci sono altre miserie, terribili e molto più dure ad esempio per gli anziani, ma anche per le famiglie e per gli altri bambini. Li invito ad andare incontro ai più poveri, a coloro che hanno fame, a coloro che sono soli. Dico anche loro di smetterla di lamentarsi sempre di essere figlio della guerra e di suggerire loro di essere un bambino che incontra i più abbandonati, i più dimenticati, e di vivere un momento di festa.