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lunedì 2 ottobre 2023

La Siria e l'Impero del Cielo

Il commento di Raimbaud sul significato della recente visita del presidente Assad in Cina: l'ex ambasciatore considera la Cina un avamposto per le forze della resistenza che lottano contro l’egemonismo occidentale. 

Di Michel RaimbaudTraduzione dal francese di Maria Antonietta Carta 

L’accoglienza spettacolare che i leader cinesi, con Xi-Jinping in testa, hanno riservato al presidente Bashar al-Assad, accompagnato dalla moglie e da una delegazione imponente, ha colpito per la fastosità, il calore, il simbolismo e il contenuto vario.

Nell’Impero di Mezzo, dove la Storia non è una parola vana, hanno voluto che non ci fosse alcun dubbio sull’importanza politica, strategica e geopolitica attribuita a un Paese di antica civiltà, e sul suo ruolo cruciale nell’aspro confronto tra il blocco eurasiatico capofila del Sud globale da un lato e il campo USA-NATO che incarna l’Occidente dall’altro. E questo tributo è stato reso a un Capo di Stato che non si è mai arreso nella tormenta.

Gli Occidentali del 'campo del Bene', delle grandi democrazie, etc. avranno bisogno di tempo per riprendersi. Che gli piaccia o no, questo incontro tra Xi, diventato un demone del loro pantheon infernale, e Bashar al-Assad, che da tredici anni è lo zoccolo duro, li ha raggirati.

Le espressioni utilizzate nel comunicato congiunto e nelle dichiarazioni individuali gli hanno tolto la speranza di poter accantonare ex abrupto le relazioni sostanziali tra i due Paesi: ad esempio, l’annuncio dell’istituzione di un “partenariato strategico” tra Cina e Siria (analogo all’accordo firmato con l’Iran), l’insistente richiamo al rispetto della sovranità degli Stati, alla non ingerenza nei loro affari interni e all’osservanza del Diritto internazionale, etc...

Di fronte alla grande instabilità e alle incertezze della situazione mondiale, ‘’la Cina è decisa a continuare la collaborazione con la Siria, a sostenersi a vicenda, a promuovere una cooperazione amichevole e a difendere equità e giustizia a livello internazionale”, ha affermato il Presidente cinese. Dal canto suo, Bashar Al Assad ha ringraziato Xi e il governo cinese per ‘’tutto ciò che avete fatto per stare al fianco del popolo siriano in difficoltà’’, sottolineando l’importanza della visita nel contesto e le circostanze attuali: “perché oggi si costituisce un mondo multipolare che ripristinerà l’equilibrio e la stabilità internazionale”.

Il comunicato congiunto sottolinea che “la parte cinese continuerà a fornire alla Siria tutta l’assistenza possibile e a sostenerne gli sforzi per la ricostruzione e la ripresa”. Esso riafferma il principio della sovranità siriana e sottolinea l’imperativo della ricostruzione, chiedendo la fine delle sanzioni e di tutte le misure coercitive economiche e finanziarie, contrarie al diritto internazionale, illegali e letali; di natura quasi genocidaria. É la conferma che la politica cinese contrasta risolutamente la strategia occidentale ipocrita e mortifera.

Per i seguaci dell'"Ah beh e allora", ricorderemo le relazioni di vecchia data tra Damasco e il Regno di Mezzo. Il 1o agosto del 1956 la Siria, indignata per la trilaterale franco-anglo-israeliana, protestava a modo suo riconoscendo la Repubblica popolare cinese; secondo Paese arabo due mesi dopo l’Egitto di Gamal Abdel Nasser. Alla fine degli anni ’60, la Siria e la Cina avevano già stabilito relazioni militari di alto livello e Pechino forniva armi a Damasco. Nonostante le contingenze della storia mediorientale, della Guerra Fredda e delle controversie sovietico-cinesi, il commercio bilaterale è cresciuto comunque a passi da gigante. Nel 2010, alla vigilia della dannata “primavera araba”, la Cina diventò il più grande fornitore della Siria.

All’attenzione dei poetastri dell’analisi e dei lacchè della propaganda occidentale, si conferma che la Cina ha contribuito a rompere l’isolamento della Siria e ha respinto con fermezza qualsiasi interferenza, opponendosi a tutti i tentativi di “disarmare” lo Stato siriano e di rovesciare il suo governo. 

Un semplice aneddoto testimonia la reattività dell’Impero Celeste di fronte alla questione siriana.

Nella primavera del 2011, un giornalista parigino ben introdotto parlava con un diplomatico cinese di stanza a Parigi dell'intervento della NATO contro la Libia, sulla base dell'uso improprio della risoluzione del Consiglio di sicurezza del 1973, reso possibile dall'assenza di un veto di Mosca e/o di Pechino; stuzzicando il suo interlocutore sulla futura posizione della Cina di fronte al progetto che si andava già delineando come un intervento armato in Siria, si attirò una risposta sferzante: ‘’ Ci prendete per degli idioti? Non ci sarà mai più una risoluzione in stile libico del 1973. Gli faremo mordere la polvere’’.

Qualche tempo dopo, un veto russo-cinese, il primo di una lunga serie, avrebbe bloccato qualsiasi operazione sotto la copertura delle Nazioni Unite.

Ci sono stati davvero molti veti a favore della Siria, mentre in precedenza la Cina aveva sempre usufruito con grande parsimonia di questo diritto che in realtà non ha mai amato: dal suo ingresso nel Consiglio di Sicurezza, deciso dall’Assemblea Generale il 25 ottobre 1971, ci sono tre veti riguardanti casi cinesi (Tai Wan o Hong Kong), contro dodici o tredici voti insieme alla Russia per vietare alle Nazioni Unite un intervento armato contro la Siria. Va rilevata anche una cooperazione umanitaria e una discreta, per non provocare Washington, assistenza militare. I Cinesi si preoccupano, a ragione, per i mercenari Uiguri arruolati nel “movimento di resistenza del Turkestan orientale” (Xin Qiang), guidato dalla Turchia, e calati con le famiglie in Siria, dove sono a margine impiegati per la sostituzione etnica della popolazione locale scacciata, (vedi link https://oraprosiria.blogspot.com/2016/11/jihadisti-cinesi-in-siria.html, n.d.t.) nel nord del Paese controllato dai jihadisti. 

I rapporti di fiducia tra le due capitali e i due presidenti sono saldi. La visita di Bashar al-Assad a Pechino dal 21 al 26 settembre 2023 si svolge in un contesto molto diverso. Vittoriosa militarmente e politicamente, la Siria – il suo intero popolo – sta però soffrendo i tormenti per l’embargo occidentale, con pacchetti di numerose e varie sanzioni da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. È a questa nuova fase di guerra ibrida, insieme all’occupazione e al saccheggio del nord-est del Paese, per non parlare della mobilitazione della Russia in Ucraina, che si deve una situazione di giorno in giorno più drammatica. 

Ma ci sono fattori geopolitici che modificano le linee e cambiano le regole del gioco. L’irruzione in atto della Cina su tutti i fronti diplomatici e conflittuali in Asia occidentale e in Medio Oriente (Afghanistan, Iran/Arabia Saudita, Iraq, Siria, Libano) tende a contrastare il “pivot” di Obama amato dalle élite subordinate dell’Occidente (Il Pivot to Asia era una delle principali iniziative di politica estera dell'amministrazione guidata da Barack Obama, n.d.t.), insieme alla crescente presenza economica in Africa. Pur mostrando chiaramente l’ambizione di ripristinare l’antica Via della Seta con OBOR, il suo “progetto del secolo” che mirava all’espansione verso ovest, la Cina ha accelerato lo spostamento a est verso l’Eurasia del centro di gravità della politica globale. Coloro che pensavano di piegare il Medio Oriente alle loro ambizioni o “domare” la Siria e cancellarla dalla mappa saranno delusi.

La Cina è un avamposto per le forze della resistenza che lottano contro l’egemonismo occidentale. 

Tra Mosca e Pechino, si è sviluppata una stretta collaborazione che apre la strada a una nuova e vigorosa sfida all’ordine mondiale come si è imposto per secoli. La volontà di rifondare è particolarmente evidente lungo l’immensa fascia “verde” il cui epicentro coincide con lo spazio siriano crocevia di civiltà e culla dei tre monoteismi; dove il sentimento del divino risale agli albori dei tempi e si è fuso con la Storia tanto da mescolare intimamente identità e credenze.

Non sorprende, quindi, che questa Siria, dove ininterrottamente regna il senso del sacro, del soprannaturale, abbia trovato il cammino della salvezza dalle parti della Russia eterna e dell’Impero Celeste. 

Michel Raimbaud

arretsurinfo.ch 26 settembre 2023,  Mondialisation.ca, 29 settembre 2023

Le affermazioni e le opinioni qui espresse sono quelle del loro autore e non possono in alcun modo essere attribuite ad OraproSiria

giovedì 7 settembre 2023

Eppure... anche in Siria 'la speranza è possibile, la salvezza è possibile, la vita è possibile'

 


Riprendiamo le parole pronunciate da padre Giuseppe Lepori nella presentazione della Mostra “Ciò che non muore mai. La vita di Takashi e Midori Nagai” Bruchsal, 8 gennaio 2023,

perchè ci sembra leggano la grandezza della testimonianza anche degli amici cristiani in Siria.



Incarnano la profezia di un “segno di contraddizione, che proprio in mezzo a tutti i motivi reali, inconfutabili, di rassegnazione al male, di disperazione, si erge e rende evidente, altrettanto inconfutabilmente, che la speranza è possibile, che la salvezza è possibile, che la vita è possibile, anzi: che ci sono, sono qui, sono già date! Un semplice “Eppure!”che in un istante arresta il declino della disperazione verso la morte. L’impossibile diventa possibile, contro ogni umana evidenza, contro ogni speranza. Quanto abbiamo bisogno nel mondo di oggi, proprio nei tempi che viviamo, di questo segno profetico, di questo“Eppure”!

Quanto abbiamo bisogno allora della profezia dell’ “Eppure!” che rinnova la vita, la gioia di vivere, che riapre davanti a noi il futuro come vita e non come morte! Ecco, le persone come Takashi Nagai e sua moglie incarnano questo “Eppure!” in modo particolarmente significativo, sia per la straordinarietà della loro vita, sia perché hanno espresso questo“Eppure!” in un momento particolarmente privo di speranza per la loro vita, per il loro popolo e l’intera umanità.

Questi testimoni dell’“Eppure!” della speranza sono luci apparentemente isolate, rare, ma che risplendono proprio per questo, e che per questo ci rendono attenti a tante luci che brillano attorno a noi, o in noi stessi, e che noi non vediamo. Soprattutto ci rendono attenti, a come è possibile anche a noi, dentro le nostre situazioni di prova e disperazione, di diventare un “Eppure!” profetico che trasmette a chi ci sta attorno la speranza che rinnova la vita. Questi testimoni attirano la nostra attenzione perché ci accorgiamo che guardare a loro ci aiuta a vivere, ridà senso e speranza alla nostra vita.”

Grazie dunque ai testimoni della pazienza e della speranza contro ogni speranza che qui riportiamo, Padre Hanna e i Salesiani di Aleppo.

Fra Hanna Jallouf: «Sarò vescovo per servire la mia gente nella Siria insanguinata»

Mentre era di passaggio a Roma per varie incombenze legate recente alla nomina a vicario apostolico di Aleppo dei Latini, Terrasanta.net ha intervistato fra Hanna Jallouf, per lunghi anni parroco di Knayeh, nel governatorato di Idlib, in Siria.

Il motto che ha scelto chiarisce subito lo stile che intende adottare nel suo nuovo ministero episcopale: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Vangelo di Luca 22,27). Un passo, quello dell’evangelista Luca scelto da fra Hanna Jallouf, che spiega più di molte parole. Soggiunge il frate siriano: «Nello mio stemma episcopale metterò la croce di Terra Santa e lo stemma francescano, ma anche la carta della Siria indivisa».

La sua nomina a vicario apostolico di Aleppo dei Latini è stata resa nota sabato primo luglio 2023 dalla Santa Sede. Il neo vescovo avrà giurisdizione sui cattolici di rito latino in tutta la Siria. Frate minore della Custodia di Terra Santa, il religioso è stato, fino ad oggi, parroco di Knayeh. La località, insieme ai vicini villaggi di Ghassanieh e Yacubiyeh, si trova nel nord-ovest della Siria, nella valle dell’Oronte. Vale a dire all’interno di quel governatorato di Idlib tuttora controllato da gruppi ribelli di matrice islamista che si oppongono al governo di Damasco e che hanno avuto negli anni appoggi dalla vicina Turchia.

Eccellenza, come ha accolto la nomina da parte di papa Francesco?
Ho avuto da una parte timore e preoccupazione, perché non mi sento degno di questa nomina. Ma poi anche gioia, perché ho capito che questo incarico non è per me, ma per la gente che sono chiamato a servire. Dopo tanti anni, passati tra molte sofferenze, il Signore mi ha dato una croce ancora più grande. Ma si vede che ha visto che ho le spalle grandi… Allora ho detto: sia fatta la tua volontà.

Come è la situazione oggi nella zona delle missioni dell’Oronte?
Lavoro da 22 anni in quella zona, dove ho realizzato molte opere…  Ma la guerra e poi il terremoto hanno distrutto quasi tutto e la gente è fuggita… Si vede che il Signore aveva altri piani. Ma noi francescani siamo rimasti e abbiamo scelto di metterci al servizio dei più poveri, dei disabili, delle vedove. Nei nostri conventi e case abbiamo accolto chi è rimasto senza abitazione a causa della guerra e, più recentemente, del terremoto… Senza distinzione di religione, abbiamo fatto entrare chi ha bussato alla nostra porta.

Quanti cristiani sono rimasti nella valle dell’Oronte?
Prima del 2011 eravamo circa 10 mila in tutta la provincia di Idlib. La maggior parte, però, è fuggita in questi dodici anni di guerra. Siamo rimasti in 600, cristiani di vari riti e confessioni. Tutti fanno riferimento a noi, perché i sacerdoti e i religiosi delle altre Chiese sono fuggiti.

Il governatorato di Idlib è noto per essere l’ultima roccaforte del sedicente Stato islamico in Siria…
Dalla mia zona sono passati tutte le fazioni, dall’Esercito libero siriano a Jabat al Nusra. Poi, negli ultimi anni, nella regione hanno trovato riparo molte formazioni ribelli cacciate da altri territori della Siria. La zona ha sofferto sia per l’occupazione dei guerriglieri, sia per i bombardamenti delle forze alleate di Damasco – specialmente russe – e non è mai tornata completamente sotto il controllo del governo centrale. Abbiamo vissuto momento davvero brutti. Penso all’uccisione di padre François Mourad nel 2013 a Ghassanieh; penso ai rapimenti di cristiani per costringerli ad abiurare la fede. Penso all’assassinio di una nostra maestra cristiana, massacrata e gettata in un fosso. Io stesso ho subito la detenzione nell’ottobre del 2014… Per anni i jihadisti ci hanno permesso di celebrare la liturgia solo al chiuso, e nessun simbolo religioso cristiano era ammesso negli spazi pubblici. In più occasioni le nostre chiese sono state attaccate e devastate… Con l’aiuto di Dio abbiamo resistito e siamo rimasti fedeli…
Oggi la situazione nel governatorato resta complicata, ma il clima è più sereno. Quando si è diffusa la notizia che ero stato nominato vescovo cattolico della Siria, lo 
sheikh e alcuni collaboratori sono venuti a porgermi le loro felicitazioni. 

Tra le emergenze che ogni tanto salgono alle cronache, c’è la situazione delle vedove dei jihadisti e dei tanti orfani…
È vero, è un’emergenza che tocca tutta la Siria. La realtà più nota è quella del campo di detenzione di al-Hol, con oltre 50 mila donne e moltissimi bambini. Ma anche nella mia zona esiste un campo dove vivono una settantina di queste vedove dell’Isis, molte con figli. Alcune sono state sposate per procura e non conoscevano neppure i mariti a cui sono state date in moglie. Ora i mariti sono morti e loro sono totalmente abbandonate, senza nessun sostegno… È una situazione disumana. Per non parlare dei minori, orfani di entrambe i genitori… Ad Aleppo di questa realtà si occupa il progetto Un nome un futuro, nato dalla collaborazione tra il mio predecessore mons. George Abu Khazen e il muftì della città (Mahmoud Akam – ndr), grazie all’impegno dei frati della Custodia di Terra Santa. 

Quanti sono i sacerdoti e le religiose che fanno parte oggi del vicariato di Aleppo?
Il vicariato latino non ha preti diocesani. La sua forza pastorale è formata dai religiosi francescani, presenti ad Aleppo, Lattakia, nell’Oronte e a Damasco. Poi c’è la presenza dei padri cappuccini, dei gesuiti, dei salesiani… Le congregazioni femminili sono almeno una quindicina, impegnate in vari campi… 

L’ordinazione episcopale avverrà ad Aleppo domenica 17 settembre 2023, che è anche festa liturgica delle stimmate di san Francesco d’Assisi…
Ho scelto questa data, per me francescano importantissima, perché la Siria è insanguinata. Le ferite di Francesco sono la partecipazione alle sofferenze di Cristo. La speranza è che queste ferite rimarginino presto e che il Paese possa presto risorgere ad un futuro di pace.

https://www.terrasanta.net/2023/07/fra-hanna-jallouf-saro-vescovo-per-servire-la-mia-gente-nella-siria-insanguinata/

.... questo è il momento!

di Padre Dave, prayersforsyria.com

Da questa distanza è spesso difficile vedere dove lo Spirito di Dio è all'opera in Siria. Il paese sembra barcollare da una crisi all'altra. Dopo una dozzina di anni di guerra, incendi, terremoti e tutte le privazioni causate dalle sanzioni provenienti dagli Stati Uniti, sono tornati gli incendi!  Hanno colpito di nuovo la provincia di Lattakia, una parte così bella della Siria, e la stessa regione che è stata al centro dei terremoti.

Ricordo amici in Siria che mi raccontavano di come, durante gli incendi dello scorso anno, le famiglie si accalcassero nell'unico veicolo che riuscivano a trovare che avesse carburante e cercassero disperatamente di attaccare un albero di ulivo al veicolo in modo da avere del cibo mentre fuggivano!

I disastri naturali sono stati terribili. I disastri provocati dall'uomo, causati soprattutto dalle sanzioni statunitensi, mi sembrano ancora più terribili. Trovo un po' di conforto nel resoconto che riporto qui di seguito sul buon lavoro svolto dalla  Don Bosco House  di Aleppo, che ricorda ciò che la Chiesa, e le altre organizzazioni religiose internazionali, possono ancora realizzare.

Mentre le sanzioni rendono ancora impossibile per la maggior parte di noi inviare denaro in Siria, la chiesa può ottenere denaro oltre confine per finanziare opere come questa. Se c'è mai stato un momento in cui la comunità cristiana in tutto il mondo si facesse avanti e facesse la differenza per le persone bisognose, questo è il momento!

https://prayersforsyria.com/its-time-for-the-church-to-stand-with-syria/

Subito dopo le devastanti scosse di febbraio, i Salesiani hanno aperto le porte della Casa Don Bosco, e centinaia di persone hanno trovato sicurezza, compagnia e sollievo.  A cinque mesi dal terremoto, padre Alejandro León, superiore dell'Ispettoria salesiana Gesù Adolescente del Medio Oriente, ha riflettuto su ciò che ha vissuto e su ciò di cui il Paese continua ad aver bisogno, oltre ad esprimere la sua gratitudine per tutti coloro che hanno fornito sostegno.

Fr. León ha detto: “Una frase che ho sentito mi ha fatto pensare. Sono entrato in un incontro di formazione con un gruppo di adolescenti di 15-16 anni. Non so quale argomento stessero discutendo, ma una ragazza ha detto: "Qui ci hanno insegnato a vedere il bicchiere mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto, ma il problema è che il nostro bicchiere non è solo vuoto, è davvero rotto".  La frase può sembrare un'esagerazione, o uno sfogo dopo l'esperienza del terremoto. Questo però non lo penso, ma c'è qualcosa in esso che mi fa riflettere ed entrare in empatia con la situazione esistenziale di questi giovani». 

Fr.  León ha notato tutto ciò che questi giovani hanno passato nelle loro giovani vite. “Sono giovani che non ricordano la vita senza guerra. Hanno vissuto per anni senza elettricità, senza acqua, con scarsità di cibo e carburante. Hanno vissuto in una città assediata e hanno temuto attacchi con armi chimiche o missili. Tutti piangono un familiare morto durante la guerra e vivono in una costante depressione economica. Hanno sperimentato epidemie di colera e l'epidemia di COVID-19. E adesso? Un grande terremoto e altri terremoti, almeno quattro, che hanno superato i 6 gradi della scala Richter”. 

Erano le 4:17 del 6 febbraio quando la terra tremò. Subito il cortile di Casa Don Bosco si è riempito di gente in cerca di salvezza. C'era ansia e incertezza. Don Mario Murru, rettore, ha assicurato fin dall'inizio che la casa salesiana sarebbe stata aperta per tutti coloro che ne avessero avuto bisogno.  All'ora di pranzo c'erano già 50 persone in casa e a cena erano 300. Questo numero è cresciuto costantemente nei giorni successivi fino a raggiungere le 500 persone. Il 21 febbraio un altro forte terremoto ha rinnovato la paura e 800 persone hanno trovato rifugio presso la Casa Don Bosco.

I giovani della regione frequentavano da anni i programmi della Don Bosco House. Erano coinvolti in campi giovanili e conoscevano i Salesiani. Attraverso la loro formazione, sono stati leader naturali nell'emergenza, aiutando le loro famiglie e i loro vicini.  Fr. Murru ha detto: “È stato commovente vedere il rispetto che gli adulti hanno mostrato ai giovani. Non perché fossero autorità designate, ma per l'autorità morale acquisita attraverso il loro generoso servizio».

Ha aggiunto: “L'amore ci ha fatto superare barriere che nessuno di noi avrebbe potuto immaginare. Per amore dei figli, per amore dei genitori, per amore degli amici, per amore di Dio. In un momento in cui non c'era motivo di sperare in nulla, hanno trovato persone per cui lottare con speranza e tutti, ricchi e poveri, sono diventati bisognosi e hanno condiviso ciò che avevano». 

Quasi 2,4 milioni di euro sono stati raccolti dai Salesiani di tutto il mondo per i progetti di emergenza post-terremoto. A giugno si sono conclusi gran parte di quei progetti di emergenza per lasciare spazio alla ricostruzione, ai progetti educativi e ai campi estivi per i bambini e i giovani più grandi colpiti dal sisma. 

Reportage di Reliefweb – 30 luglio 2023

giovedì 31 agosto 2023

Siria: un nuovo progetto di spartizione con la creazione di un califfato per un gruppo rinnovato di al-Qaeda



Di Hekmat Aboukhater, Mondialisation.ca, 24 agosto 2023

Traduzione dal francese di Maria Antonietta Carta

  Quale desiderio inappagato, quale sete di vendetta, quale odio, quale ignoranza o quali ricompense possono alimentare gli appelli di individui, fuori pericolo, a massacrare il proprio Paese e a fare campagna per affamare i propri concittadini, al solo scopo di “ cambiare un regime”? È peggio che collaborare con il nemico. È inaudito. Il giovane autore siro-americano, che ha corso l'enorme rischio di infiltrarsi tra loro e smascherarli, racconta come tali nemici interni vengano sfruttati da nemici esterni e i piani diabolici che si stanno preparando per la Siria ormai esangue dopo dodici anni di una guerra atroce senza precedenti nei tempi moderni. Dodici anni di resistenza eroica, coronati da una vittoria militare secondo il parere di amici e nemici, per poi ritrovarsi preda degli stessi predatori. La Siria è in grave pericolo e ha più che mai bisogno del sostegno dei suoi cittadini ovunque si trovino, così come ha bisogno dell’aiuto dei suoi alleati, in particolare Iran e Russia che hanno dichiarato di essere intervenuti in Siria per impedire ai mercenari terroristi strumentalizzati da parte degli Stati Uniti di arrivare a Teheran e Mosca. Certo, questi due potenti alleati devono combattere su altri fronti. Resta il fatto che la domanda che si pongono i Siriani è: cosa è cambiato oggi, quando la Siria ha sofferto tutto e dato tutto per non sottomettersi al nemico comune? (Mouna Alno-Nakhal)

***

Ho partecipato senza invito alla riunione del fronte di pressione che ha posto fine alla Treasury Issues Syria General License 23 in soccorso ai terremotati[1] e che attualmente milita a favore del prolungamento della guerra economica intrapresa da Washington contro questo Paese per altri otto anni. A porte chiuse, l'ex funzionario del Dipartimento di Stato che ha condotto il seminario ha rivelato l'obiettivo finale del gruppo: la spartizione della Siria e la creazione di un califfato de facto per un ramo rinominato di al-Qaeda. Il 30 luglio mi sono registrato con uno pseudonimo per partecipare a un seminario organizzato dal Syrian American Council (SAC), la principale voce della lobby che mira ad affamare e destabilizzare la Siria affinché si sottometta al volere dell'Occidente. Il workshop ha chiesto ai membri del SAC di sostenere il nuovo disegno di legge sul cambio di regime in Siria: Assad Regime Anti-Normalization Act del 2023 (H.R. 3202) [2].

Durante l’incontro ho potuto constatare l’impatto della lobby anti-siriana e comprendere le tattiche ciniche che impiega per condannare il popolo siriano alla povertà e alla fame. Più recentemente, questa lobby è riuscita a porre fine alla Licenza Generale per la Siria, che consentiva l’ingresso di aiuti umanitari dopo il terremoto che l’ha colpita a febbraio. Ci è arrivato grazie a una menzogna che i leader del seminario hanno ripetuto più e più volte: “Le sanzioni colpiscono solo il governo siriano e non il popolo”. In verità, le sanzioni hanno causato un danno incalcolabile al popolo siriano, come ha notato Alena Douhan, relatrice speciale sulle misure coercitive unilaterali presso le Nazioni Unite, in un’intervista a The Grayzone nel 2021. Un civile, con cui la Douhan aveva parlato all’inizio della giornata, ha spiegato che “L’impatto delle sanzioni unilaterali sulla popolazione siriana è più o meno equivalente a quello del conflitto…”. 

Ma per alcuni questo non è ancora sufficiente. Tra loro c'era il facilitatore del seminario Wa'el Alzayat, un veterano siro-americano del Dipartimento di Stato che recentemente ha scritto un editoriale in cui esorta a "non revocare le sanzioni alla Siria per aiutare le vittime del terremoto! [3]. Durante il seminario che ha contribuito a organizzare, Alzayat ha chiesto che la Siria sia divisa in una serie di "Stati indipendenti" tra cui un nuovo califfato nella regione di Idlib, guidato da un ramo di al-Qaeda, prima designato come " organizzazione terroristica straniera" da parte del governo americano [4].

La violazione delle sanzioni salva vite siriane

Il 6 febbraio 2023, una nuova coltre di miseria avviluppava la Siria a seguito dei massicci e consecutivi terremoti che l’hanno colpita. Questo disastro naturale si è aggiunto alle calamità provocate dai Paesi occidentali e dagli Stati del Golfo, che hanno alimentato i gruppi armati che l’hanno devastata per più di otto anni. I terremoti hanno causato la morte di oltre 7.000 persone e si stima che circa 9 milioni di Siriani siano stati colpiti da questo disastro. [...] Le poche volte in cui si parlava delle sofferenze dei Siriani, i media mainstream tendevano ad attribuire la colpa della tragedia al presidente Bashar al-Assad, accusandolo di esacerbare la crisi non consentendo piena libertà di movimento da e verso le aree ancora controllate dalle milizie di al-Qaeda. Il 9 febbraio, quando il periodo cruciale di 72 ore oltre il quale le speranze di trovare sopravvissuti sotto le macerie si sono notevolmente ridotte [5], l'OFAC [Office of Foreign Assets Control] del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha rilasciato la licenza LG 23 che autorizza transazioni relative al sostegno alle vittime per 180 giorni; transazioni vietate dai regolamenti sulle sanzioni contro la Siria (SySR). Questa licenza ha portato il sollievo tanto necessario alle organizzazioni umanitarie nel Paese concedendo esenzioni alle istituzioni finanziarie che le sostengono. Come spiega il Carter Center in un "Libro bianco" pubblicato l'11 luglio [6], la LG 23 ha consentito ad attori non americani di effettuare transazioni con i Siriani garantendo alle istituzioni finanziarie che non avrebbero violato la legge statunitense, e ha contribuito a sincronizzare gli sforzi attraverso nuove opportunità di dialogo tra le agenzie umanitarie internazionali. In qualità di direttore di una ONG con sede nel Massachusetts, "Project Onwards" [7], che ha raccolto 30.000 dollari per aiutare le vittime del terremoto del 6 febbraio, sono stato testimone dell'impatto delle sanzioni statunitensi. Durante la raccolta e la distribuzione dei fondi, la nostra ONG ha dovuto affrontare continui ostacoli da parte di istituzioni finanziarie come Venmo, Paypal, Bank of America...; un'esperienza che ho recentemente raccontato in un'intervista a MarketWatch [8]. A 48 ore dal terremoto, Project Onwards fu informata che il suo account era stato congelato a causa di una donazione di 5 dollari che includeva la parola “Siria”. Questi ostacoli sono in gran parte scomparsi dopo l’annuncio dell’LG 23 che per la maggior parte dei Siriani era attesa da tempo ed è stata gradita. Ma questa libertà finanziaria limitata è un anatema per la lobby anti-siriana, che opera come estensione politica dei banditi armati che hanno devastato la Siria, e non si è fermata davanti a nulla nel suo tentativo di affamare la popolazione siriana e costringerla a sottomettersi. Composta da uno strano amalgama di attivisti governativi anti-siriani ed ex dipendenti del governo statunitense, questa lobby è inorridita all’idea che i Siriani possano tornare a una parvenza di normalità sotto il presidente Bashar al-Assad.

La lobby anti-siriana apre la strada alla rottamazione dell’LG 23

L'8 agosto, allo scadere dei 180 giorni, il Dipartimento del Tesoro annunciava che la LG 23 non sarebbe stata rinnovata. L’Unione Europea ha prorogato la propria licenza fino al 24 febbraio 2024. Il Regno Unito ha prorogato la propria fino a nuovo avviso, mentre gli Stati Uniti sono tornati allo status quo imponendo sanzioni draconiane al popolo siriano. Il rifiuto dell’amministrazione Biden di rinnovare l’LG 23 può essere in gran parte attribuito alla politica immutata di Washington nei confronti della Siria. Dopo otto anni di sostegno sul campo ai gruppi jihadisti e settari nella loro sporca guerra contro la Siria, gli Stati Uniti sono passati dall’incitamento al conflitto militare all’incoraggiare lo strangolamento economico, ma l’obiettivo finale non è cambiato, né lo è l’ultimatum alla base della politica statunitense: cacciare Bashar al-Assad, cioè cambiare il regime siriano o vedere la Siria bruciare. Anche se alla fine la decisione è stata presa da Washington, una costellazione di ONG e gruppi no-profit hanno aperto la strada. Si tratta di una rete di alcuni attori settari spinti da rimostranze personali e nascosti dietro dieci organizzazioni nazionali che danno un volto siriano alla guerra economica di Washington contro Damasco. Poche persone rumorose quasi tutte presenti su Twitter/X, mentre i Siriani non possono iscriversi utilizzando il codice Paese: 963+ [9] [10]. Di conseguenza, il sostegno della lobby anti-siriana è amplificato dai portavoce del Dipartimento di Stato, dai neoconservatori e dai falchi belligeranti, mentre i Siriani che subiscono le conseguenze sono messi a tacere dal regime di sanzioni occidentale.

La lobby anti-siriana lotta per impedire gli aiuti

Già il 9 febbraio, mentre gli abitanti di Aleppo erano ancora intrappolati sotto le macerie la lobby anti-siriana aveva dichiarato che qualsiasi forma di riduzione delle sanzioni era una “violazione” di cui il governo siriano avrebbe potuto abusare. E durante i 180 giorni di pausa, la lobby ha martellato l’amministrazione Biden con appelli pubblici,[11] editoriali e pubblicazioni di think tank del Medio Oriente[12] dando a Washington il mandato di cui aveva bisogno per non rinnovare la LG 23. Questa lobby, impiegata da Washington come arma di oppressione, il 25 luglio pubblicava un messaggio in cui chiedeva all’amministrazione Biden di “rifiutare qualsiasi tentativo di estendere la LG 23 alla Siria”, sostenendo che l’esenzione umanitaria “consente rapporti illimitati con il regime di al-Assad” [13]. Poche settimane dopo, vinse la causa. Come altri lobbisti anti-siriani, l'ACS afferma di parlare a nome di tutti i Siriani, ma le reazioni deludenti al flusso di materiale che pubblica sui social media indicano il contrario. Un post su Facebook che celebrava la scomparsa dell'LG 23 e ringraziava gli "instancabili sforzi del team e degli alleati" ha raccolto solo due "Mi piace".

Il Syrian American Council (SAC) onora i guerrafondai e reprime le voci contro la guerra

All’ACS si unisce spesso nei suoi sforzi (di martirizzare il popolo siriano innocente, n.d.t.) il cosiddetto Syrian American Council o SAC, insieme alle dozzine di altre organizzazioni che compongono la lobby anti-siriana a Washington. Negli ultimi dieci anni, la ONG allineata ai neoconservatori, ha spinto per l’intervento militare degli Stati Uniti in Siria. Guidata da Suzanne Meridien, un’ammiratrice dichiarata del defunto senatore dell’Arizona John McCain,[13] il cui fanatico sostegno agli attacchi militari statunitensi in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria l’ha reso uno dei più famigerati falchi belligeranti del ultimi due decenni. [...]

Il nuovo disegno di legge mira a condannare la Siria alla carestia e alla guerra civile. All’inizio di maggio, un altro colpo al futuro dei Siriani è arrivato sotto forma di un nuovo pacchetto di sanzioni. Questo disegno di legge richiede che il governo federale si opponga a qualsiasi forma di normalizzazione con la Siria da parte dei suoi vicini e autorizzi potenzialmente la punizione anche dei presunti alleati degli Stati Uniti come Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Giordania e Arabia, che cercano di ripristinare le relazioni diplomatiche. Inoltre, si chiede di espandere la portata delle sanzioni a tutti i cittadini stranieri che intrattengono rapporti commerciali con il governo siriano e di inserirli in potenziali elenchi di sanzioni. Se approvata dal Congresso, condannerebbe i Siriani a un altro decennio di sanzioni economiche tra le più dure al mondo, estendendo quelle del devastante Caesar Act fino al 2032, e il governo degli Stati Uniti dovrebbe utilizzare “al massimo i suoi poteri" per "scoraggiare le attività di ricostruzione in qualsiasi area sotto il controllo di Bashar al-Assad". In sostanza, l’H.R. 3202 serve a riaffermare il Caesar Act del 2019, divenuto famigerato per il suo ruolo nell’impoverimento della popolazione siriana [15], nella distruzione della lira siriana, nel mantenere il 90% dei Siriani al di sotto della soglia di povertà condannandone milioni all’inedia [16]. Joshua Landis [17] - uno dei pochi esperti indipendenti sulla Siria - spiega nella sua analisi di questo disegno di legge: "Finché l'economia siriana rimarrà in rovina, sempre più rifugiati lasceranno il Paese, aumenterà il commercio di droghe illecite e sempre più Siriani aderiranno a gruppi radicali”. Questo è esattamente ciò che la SAC si proponeva di ottenere attraverso la sua campagna per l’approvazione della H.R. 3202.

Un seminario su come affamare i civili

All’inizio di luglio, il SAC annunciava che avrebbe aperto le iscrizioni a un seminario progettato per formare attivisti nell’arte di esercitare pressioni sui politici per sabotare l’economia di un altro Paese. Naturalmente, quando alcuni dei più zelanti agenti siriani del cambio di regime mi hanno offerto l’opportunità di vedere con i miei occhi come si possano imporre sanzioni mortali senza un genuino sostegno popolare, ho colto al volo l’occasione. Il facilitatore di questo workshop era Wa’el Alzayat, che aveva prestato servizio con orgoglio e onori sotto gli interventisti liberali come l’attuale direttrice dell’USAID Samantha Power e l’ex ambasciatore americano in Siria Robert Ford. Egli è anche amministratore delegato di "Emgage" [18] un'organizzazione finanziata dalla Open Society Foundation di Georges Soros. [...]. Emgage e Alzayat furono oggetto di un'indagine approfondita da parte di Electronic Intifada [19] che dimostrò i legami di Emgage con organizzazioni filo-israeliane e il suo ruolo nella proiezione del potere americano all'estero, il più delle volte ignorando la causa palestinese[20]. In un articolo del 2017 pubblicato dal Washington Institute for Near East Policy [21], egli sostiene gli attacchi militari statunitensi contro Siria, Iraq e Iran nel tentativo di suscitare nuovamente il panico legato alle armi di distruzione di massa [...]. Durante il seminario, Alzayat chiese ai suoi membri di esercitare pressioni sui funzionari eletti affinché sostenessero la legislazione intesa a contrastare qualsiasi ripresa economica in Siria. Sebbene il disegno di legge H.R.3202 fosse al centro dell’incontro, Alzayat e altri leader della SAC incoraggiarono i partecipanti a familiarizzare con i progetti di legge che prendono di mira direttamente o indirettamente la Siria, la sua economia e la sua popolazione. Il seminario includeva anche le prove di un incontro con membri del Congresso, in cui i membri del SAC avrebbero sollecitato il sostegno alla legislazione anti-siriana. Durante questo stesso seminario, ho anche avuto modo di vedere come funziona la lobby anti-Siria e come essa sfrutti l’ambizione individuale, gli interessi finanziari e l’ignoranza per promuovere sanzioni schiaccianti. In breve, il workshop si è concentrato sulle sei principali “priorità politiche” riguardanti la Siria, con una serie di obiettivi contrastanti che rappresentano la nuova e sempre più creativa spinta di Washington per sottoporre i Siriani a infinite privazioni economiche. 

La città di As-Suwayda, nel sud della Siria, teatro delle recenti manifestazioni,
è una città prevalentemente drusa situata nel sud-ovest della Siria , vicino al confine con la Giordania . 

Le priorità distorte della lobby anti-siriana

La natura neocoloniale delle "priorità politiche" della SAC apparve chiara fin dall'inizio della sessione, quando Alzayat annunciò il primo obiettivo: "ripristinare la leadership americana" nello Stato sovrano della Siria. La dinamica proposta dagli attivisti anti-siriani fu presentata in modo apparentemente pacifico, con il gruppo che esortava i suoi membri a invitare i funzionari eletti a perseguire la “via diplomatica” verso una soluzione politica e a chiedere loro di “lavorare per formalizzare un cessate il fuoco a livello nazionale". Ma questo finto pacifismo sfumò rapidamente nel momento in cui Alzayat inavvertitamente rivelava la vera agenda dei membri del gruppo, secondo cui se avessero potuto fare pressione sui decisori statunitensi per un cessate il fuoco in Siria, si sarebbero avvicinati al loro obiettivo finale di aiutare le regioni nordoccidentali e nordorientali del Paese, che “diventeranno indipendenti”. In pratica, l’organizzazione terroristica che fino al 2016 si era presentava pubblicamente come il ramo siriano di al-Qaeda sarebbe diventetata uno Stato-Nazione e i circa 4 milioni di Siriani che vivono sotto il suo governo sarebbero stati definitivamente soggetti alla barbarie della Sharia interpretata dai salafiti e dai jihadisti 21 anni dopo la famosa dichiarazione del presidente Bush, secondo cui “nessuna nazione può negoziare con i terroristi”. L’influente lobby anti-siriana sembrava aver deciso che non soltanto si può negoziare con i terroristi, ma che dovremmo aiutarli a fondare il proprio califfato.

Nelle condizioni attuali, il cessate il fuoco proposto da Alzayat faciliterebbe l'establishment della politica estera statunitense, perché in effetti il nord-ovest “indipendente” rimarrebbe un focolaio di attività terroristiche e il califfato probabilmente prenderebbe di mira le aree controllate dal governo siriano, almeno all’inizio. Per quanto riguarda il nord-est “indipendente”, vedrebbe la creazione di uno Stato curdo senza sbocco sul mare, raggiungendo un obiettivo strategico simile. Inoltre, l’applicazione del cessate il fuoco richiederebbe l’occupazione indefinita della Siria da parte delle forze militari americane, che potrebbero continuare a giustificare la loro presenza illegale con l’esistenza del centro terroristico nel nord-est del Paese. Dopo aver esposto il suo piano per balcanizzare la Siria, il SAC presentava una diapositiva con il piano per “ripristinare la leadership americana” in Siria. A tal fine la lobby chiedeva la nomina di un “inviato esperto per la Siria” per contribuire a rinvigorire il percorso politico. Durante il seminario, il signor Alzayat incoraggiò i partecipanti a inviare a lui e al suo ufficio presso SAC qualsiasi domanda e dubbio, suggerendo in modo non molto sottile che lui era la persona ideale per questa posizione. Inoltre, il SAC esortò i suoi membri a chiedere ai legislatori un cessate il fuoco in Siria guidato da “Turchia e alleati che la pensano allo stesso modo”. Un’affermazione che trascura la responsabilità della Turchia nel privare la Siria settentrionale di oltre il 50% delle sue riserve idriche[22] e nel convogliarvi enormi quantità di jihadisti e armi negli ultimi dieci anni. In quanto responsabile della “rotta della jihad” [23], il governo turco ha facilitato l’arrivo di centinaia di migliaia di terroristi che dal 2011 cercano di instaurare un brutale califfato islamico nella laica Siria, con più o meno successo. Tuttavia, nonostante gli sforzi dei funzionari del Dipartimento di Stato come Alzayat, è iniziato un riavvicinamento tra il governo siriano e i Paesi coonfinanti, comincia a emergere un consenso regionale contro l’isolamento della Siria e le relazioni interrotte durante la sporca guerra sono stato ripristinate con molti Paesi membri della Lega Araba. Affermando che “i tentativi di normalizzazione regionale con il regime di Assad costituiscono un pericoloso precedente”, Alzayat invita perciò i suoi sostenitori a spingere i politici ad approvare la cosiddetta legge “anti-normalizzazione” con al-Assad” che “consolida la posizione degli Stati Uniti” contro gli sforzi della Siria di ripristinare le relazioni diplomatiche con i suoi vicini.

Priorità politica: indebolire la diplomazia

Insistendo sul fatto che "la Siria non potrà mai trovare la pace o stabilizzarsi con al-Assad al potere", Alzayat esortò i partecipanti a fare pressione sui funzionari eletti per impedire il dialogo internazionale.

Tuttavia, gli esperti nominati dalle Nazioni Unite, da Human Rights Watch e dal Programma alimentare mondiale hanno tutti dichiarato senza ambiguità che le misure restrittive unilaterali del governo americano, qualificate come sanzioni, costituiscono il principale ostacolo alla ricostruzione della Siria, al ripristino della sua stabilità,e la riduzione della povertà e della fame. Pertanto, dato che la H.R. 3202 estenderebbe queste sanzioni per otto anni e minaccerebbe implicitamente i vicini della Siria che desiderano cooperare con Damasco, è sempre più chiaro che la vera minaccia alla stabilità regionale è Siria, ma piuttosto seminari come questo. Una delle richieste chiave di questa priorità politica fu che i membri del SAC chiedessero ai loro funzionari eletti di votare a favore dell’H.R. 4868, noto come “Stop UN Support for Assad Act”. Questo disegno di legge vieta il finanziamento statunitense dei programmi delle Nazioni Unite in Siria a meno che gli amministratori degli aiuti non possano dimostrare al Dipartimento di Stato americano che non stanno “fornendo sostegno materiale diretto al governo siriano”. Questa legge richiederebbe anche la creazione di un “meccanismo di revisione indipendente nel caso in cui un programma di aiuti implichi contratti nel territorio controllato dal governo siriano”. Facendo pressione per porre barriere all’unica organizzazione internazionale che opera contro la carestia [24] in Siria, Alzayat cerca di ridurre i pochi aiuti che la Siria riceve per nutrire la popolazione impoverita dalla guerra. Discutendo di questo particolare argomento, è stato ripetutamente chiesto ai membri del SAC di sottolineare il fatto che 4 milioni di persone vivono nel nord-ovest della Siria, senza mai menzionare il fatto che la maggioranza della popolazione vive in aree controllate dal governo siriano; in particolare, i 12 milioni di persone che risiedono nelle principali città di Aleppo, Damasco, Latakia, Tartous e Homs. Né si menzionano i miliardi di dollari di aiuti esteri versati nell’unico posto al mondo dove governa al-Qaeda [25], alias Hay’at Tahrir al-Sham, alias HTS. La quinta priorità del SAC, che riguarda il Captagon – un farmaco introdotto per la prima volta in Siria dai jihadisti provenienti dalla Turchia – è ora un pilastro centrale della campagna di propaganda della lobby anti-siriana.

Sfruttare la guerra alla droga

Captagon è stata soprannominata la “cocaina dei poveri” e la “pillola della jihad” per il grande uso fattone dai terroristi sostenuti dalla NATO. Negli ultimi mesi, i media occidentali si sono concentrati sulla droga nel tentativo di infangare ancora la reputazione di Damasco, basandosi[26] sulle dichiarazioni di think tank neoconservatori[27], secondo cui il governo siriano sarebbe il principale produttore. Si dice che Captagon sia consumato in tutto il mondo arabo, dalle élite ricche ai lavoratori poveri che fanno affidamento sui suoi effetti stimolanti. Oggi, la diffusione di questa droga alimenta la lobby anti-siriana. Sottolineando l'importanza della questione Captagon, Alzayat esortò i suoi a essere persuasivi con i membri conservatori del Congresso, spiegando che alcuni rappresentanti repubblicani nonostante siano anti-interventisti sostengono la linea dura contro la droga e dunque appoggerebbero l’H.R.4681 o l’“Illicit Captagon Trafficking Suppression Act of 2023” e altri progetti di legge anti-Siria, a condizione che siano presentati come parte di un pacchetto di misure. E infatti i facilitatori del seminario esortarono i membri della SAC a collegare le sanzioni contro la Siria con la possibile minaccia di un flusso di Captagon verso gli Stati Uniti attraverso il confine meridionale con il Messico.

Lavorare con gli Stati Uniti difendendo i Siriani: uno studio contraddittorio

Nel 1949, appena tre anni dopo l'indipendenza e la partenza degli ultimi soldati francesi, la giovane democrazia siriana fu oggetto di un colpo di stato ordito dal nuovo egemone mondiale. A quel tempo, gli interessi degli Stati Uniti sarebbero stati minacciati poiché il primo presidente post-coloniale della Siria, Shukri al-Quouwatli, aveva rifiutato di approvare il passaggio di un oleodotto attraverso la Siria. Al-Quouwatli fu rapidamente estromesso dal potere [28] in quella che è stata descritta come "una delle prime azioni segrete portate avanti dalla CIA". L’ingerenza degli Stati Uniti proseguì fino alla sporca guerra del 2011 e soprattutto dal 2012 al 2016, con al-Qaeda e Daesh scatenati su metà della Siria. Mentre assediavano Aleppo, l’allora consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan inviò un’e-mail di due righe al segretario di Stato Hillary Clinton, in cui affermava quanto segue: “AQ [al-Qaeda] è dalla nostra parte in Siria. Per il resto le cose sono andate come previsto”. Durante la più costosa campagna di azioni segrete della CIA, [29] al-Qaeda, Daesh e altri erano effettivamente dalla loro parte quando gli Stati Uniti inondarono la Siria di armi. A oggi non si sa quanti miliardi di dollari siano stati spesi per armare i cosiddetti “ribelli moderati”|30] e quanti siano arrivati ​​alla destinazione prevista[31]. In seguito all’attacco di Daesh contro un autobus di soldati dell’esercito siriano a Deir Ezzor l’11 agosto [27 soldati morti e diversi feriti], il Ministero degli Affari Esteri siriano accusò ufficialmente l’esercito americano di aver facilitato l’imboscata [32]. Con il moltiplicarsi degli attacchi aerei e terroristici israeliani, le tensioni sono giunte al culmine tra la Siria e i suoi alleati da un lato e le forze di occupazione filoamericane dall’altro. Pertanto, quando si legge la dichiarazione di intenti della SAC, di "rafforzare l'azione della comunità siro-americana in modo che possa organizzare e sostenere una Siria libera, democratica, laica e pluralistica grazie al sostegno americano", vengono in mente tre domande: Può un'organizzazione affermare in modo credibile di parlare a nome dei Siriani quando dipende interamente dal sostegno dei miliardari americani e del governo degli Stati Uniti? Perché sembra così ansiosa di sacrificare vite siriane facendo scoppiare le tensioni latenti all’interno del Paese? Come si possono servire gli interessi degli Stati Uniti incoraggiando i jihadisti mentre si tenta di entrare in conflitto con i potenti alleati della Siria quali Russia e Iran? Avrei voluto porre queste domande direttamente ai lobbisti della SAC, ma per qualche motivo non erano interessati a tale discussione.

Note dell'autore:

[1] ][Treasury Issues Syria General License 23 To Aid In Earthquake Disaster Relief Efforts]

[2][ H.R.3202 – Assad Regime Anti-Normalization Act of 2023]

[3] La revoca delle sanzioni alla Siria non aiuterà le vittime del terremoto]

[4] Organizzazioni terroristiche straniere – Hay’at Tahrir al-Sham -HTS

[5] [72 ore dopo: storia interattiva sulle operazioni di salvataggio in Siria]

[6] [Efficacia delle eccezioni umanitarie alle sanzioni: lezioni dal terremoto in Siria, 11 luglio 2023]

[7] Progetto Onwards

[8] [‘Non trattiamo le crisi umanitarie allo stesso modo’: donare alle vittime del terremoto in Siria è una sfida, nonostante l’allentamento delle sanzioni statunitensi]

[9][Ciao Elon.. per favore sblocca i numeri di telefono siriani necessari per avviare un account Twitter].

[10][A porte chiuse: rivelate le attività di lobbying dell’opposizione siriana al Congresso degli Stati Uniti]

Video: Interventi su questo stesso argomento concordati dall'autore di Syriana Analysis, una catena indipendente di commenti politici diretta da Kevork Almassian.

[11] La Coalizione americana per la Siria chiede all'amministrazione Biden di porre fine alla licenza generale sulla Siria 23]

[12][Assad in Siria sfrutta il terremoto per spingere per la riduzione delle sanzioni]

[13][Dalla Siria con affetto, senatore McCain]

[14] La lobby della guerra in Siria che ha ospitato campagne di sostenitori del genocidio per censurare i libri che ne esponevano le operazioni]

[15][Immiseriti, umiliati, ma resilienti: come i Siriani sopravvivono all’assedio economico americano]

[16] [I briefing sottolineano il peggioramento della situazione della Siria nel Consiglio di sicurezza e necessitano di un piano di risposta umanitaria interamente finanziato e di un'estensione di 12 mesi del meccanismo di aiuto transfrontaliero]

[17][ HR 3202: Analisi degli sforzi legislativi per bloccare l'impegno arabo con la Siria]

[18][ Joe Biden, Emgage e l'imbavagliamento dell'America musulmana]

[19][Vi presentiamo Emgage, i musulmani filo-israeliani che sostengono Joe Biden]

[20][Come il gruppo musulmano Emgage serve l'impero americano]

[21][ Focus su obiettivi chiari per contenere l’Iran in Iraq e Siria]

[22][La Turchia sta prosciugando il nord della Siria]

[23][Il doppio standard ISIS della Turchia]

[24][La fame in Siria raggiunge il livello più alto degli ultimi 12 anni, il capo del WFP chiede un'azione urgente]

[25] [Stati Uniti Assistenza estera per Paese –Siria-]

[26][La guerra al Captagon è fondamentale per il ritorno della Siria nella Lega Araba]

[27] [Rapporto “indipendente” che sostiene che il genocidio degli Uiguri è stato portato a voi da una finta università, e gli ideologi neoconservatori fanno pressioni per “punire” la Cina]

[28 ][Gli Stati Uniti sono intervenuti in Siria nel 1949. Ecco cosa è successo]

[29] Dietro la morte improvvisa di un agente segreto della C.I.A. da 1 miliardo di dollari Guerra in Siria]

[30][Samantha Power: l'addestramento dei ribelli siriani aiuterà anche nella lotta contro Assad]

[31] Le armi statunitensi fornite ai ribelli siriani sono finite nelle mani dello Stato islamico: rapporto}

[32] [Ministero degli Esteri: il crimine di occupazione statunitense prendendo di mira un autobus militare a Deir Ezzor rientra nel quadro della sua escalation contro la sovranità della Siria]

Copyright © Hekmat Aboukhater, The Grey Zone, 21/08/2023

venerdì 25 agosto 2023

Non dimenticare la Siria, dal Meeting l’appello di suor MartaLuisa Fagnani

 Vatican News 23 agosto 2023

Alla manifestazione di Cl a Rimini parla Suor Marta Luisa Fagnani: “La precaria situazione mondiale ha fatto diminuire l’attenzione della comunità internazionale. La Chiesa è presente e da sempre dialoga con i musulmani. Il fondamentalismo è fomentato dall’esterno”.

ASCOLTA L'INTERVISTA CON SUOR MARTA:

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/08/23/11/137276130_F137276130.mp3


In margine alla visita alla mostra presentata al Meeting "Azer, l'impronta di Dio - Un monastero nel cuore della Siria" – un piccolo gruppo ha avuto l'opportunità di conversare con Madre Marta e porle domande  sulla storia, le ragioni e il contesto storico in cui si è stabilita lo loro presenza monastica dal 2005 in terra siriana. Qui trascriviamo in forma di appunti le risposte della Madre alle nostre domande.  OraproSiria

Dialogo con Suor Marta - Rimini, 21 agosto 2023

La mostra racconta il senso del nostro essere là. Questo ha a che fare un po’ con storia del Mediterraneo: il Mediterraneo come luogo di incontro delle culture. La vita monastica nasce nel III secolo in Egitto ma anche in Siria, per noi dunque è il ritorno alle origini. Poi in Occidente si sviluppò il ramo benedettino, da san Benedetto ai Cistercensi che sono la riforma del 1090, con un ritorno alla vita più conforme alla regola, più semplice. Fino alle radici più vicine a noi, la nascita delle nostre comunità italiane, Vitorchiano, Valserena, da cui siamo poi nate noi.

Vedrete nella mostra i 4 punti essenziali: Citeaux, Valserena, Tibhirine – i monaci dell’Algeria che per noi sono stati la spinta di tutto questo – e poi la Siria. .  Con la morte dei Fratelli di Tibhirine, oltre alla celebrazione del loro sacrificio, si è scoperta la loro vita, una comunità molto precaria che l’Ordine voleva chiudere perché non avevano possibilità di vocazioni, dovevano sempre chiedere ad altri monasteri. Doveva essere firmato l’ordine di chiusura e il Padre Generale è morto la sera prima. Il Signore certo ci è andato un po’ pesante, ma di fatto loro sono andati avanti. Vivevano un’amicizia grossissima con il mondo che li circondava, il mondo musulmano. Questo nasceva prima di tutto da un’esperienza personale che aveva segnato il priore, padre Christian de Chergè. All’epoca nella quale l’Algeria era un protettorato francese, Christian viveva in Algeria dove suo padre era militare. Una sera camminando con un amico era stato minacciato da alcuni giovani musulmani e il suo amico lo difese. Il giorno dopo questo stesso amico fu trovato assassinato, per aver preso le difese. Questo segnò profondamente Christian : “io devo la vita a un amico, musulmano, che ha dato la vita per me”. La cosa interessante è che lui legge questo fatto nella chiave del Vangelo. Dice: “Per Gesù, non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici. Quindi questo ragazzo ha vissuto il Vangelo a modo suo”. I nostri fratelli non hanno mai vissuto la loro vicinanza con il mondo musulmano come un diminuire la loro esperienza cristiana profonda. Non hanno mai fatto sincretismi. Per loro era la sequela di Cristo, ma proprio questo li rendeva liberi di essere aperti al mondo che avevano accanto, al diverso. Questo è molto importante, perchè si rischia di identificare la solidarietà come un “ci vogliamo bene, ci apriamo a tutti” … Non funziona così. E’ vivendo veramente come cristiani la nostra identità e il nostro rapporto con Cristo, con un Dio che è Dio di comunione, che possiamo veramente essere aperti agli altri. Non è a partire dalle nostre forze, ma vivendo la vita di Cristo in noi. Questa è una delle sfide.

Questo è il percorso che ha spinto la nostra comunità, in un processo lungo, a decidere di raccogliere l’eredità di questi Fratelli e aprire una comunità nel Mediterraneo, fino ad approdare, per via di una serie di segni della Provvidenza, alla Siria. Lì si è aggiunta una nuova realtà, che i nostri Fratelli non avevano in Algeria: la scoperta – perché sapevamo con la testa ma non con l’esperienza – che in Siria ci sono tutte le comunità arabe ma cristiane antichissime. Così, a questo desiderio di vivere radicalmente la nostra vita si è aggiunto il desiderio di sostenere le comunità cristiane presenti.

Siamo là dal 2005. Il nostro percorso è illustrato dalla mostra.

Non va dimenticato poi che a un certo punto la nostra vicenda si è inserita nella vicenda tragica della guerra, dal 2011. Una realtà che c’è stata, durissima, c’è stata e c’è ancora. E la descrizione della Siria oggi, è proprio esemplificata nella mostra da foto che riproducono una casa aggiustata in mezzo alla macerie, un fiore su un balcone, : là dove si può, si vive, pur in mezzo alle macerie passate, presenti e – mi sa – per un po’ anche per il futuro. Non saprei descriverla in altro modo.

La mostra illustra anche la nostra vicenda. Il senso di essere lì, e del perché la pazzia di costruire un monastero dentro questa realtà segnata.

Noi ovviamente cerchiamo anche di aiutare, grazie anche a chi ci sostiene, con interventi sociali. Ma il senso di costruire un monastero è come il balsamo sprecato come quello sui piedi del Signore. C’è una gratuità, anzitutto per Dio. La nostra gente, cristiana e musulmana, in Siria ha ancora questo senso: che per Dio si può fare qualcosa di gratuito, non immediatamente efficace. I nostri operai musulmani sono contenti di costruire la chiesa.

Ma c’è anche altro. I soldi oggi nel mondo ci sono. Nella nostra zona, in tre o quattro anni di guerra pesante, ci passavano sulla testa quindici-venti missili, ognuno dei quali costava migliaia di dollari. Pensiamo alla cifre di una guerra. Quindi non mi si venga a dire che non ci sono nel mondo le risorse. Allora noi come monastero ma non solo, abbiamo un compito: creare una mentalità e far crescere una visione, una coscienza. Così che le persone potranno in futuro influire sull’uso delle risorse. Non è costruire una chiesa che impoverisce i poveri, ma è il non avere una visione che ci permette poi nei nostri ambiti di influire sulle scelte che poi vengono fatte.

Si può fare gratuitamente, per Dio, dunque, come 'il balsamo sprecato'. Il nostro mondo del medioriente concepisce ancora che si può fare qualcosa per Dio che non sia immediatamente 'efficace'. Al tempo stesso però c’è anche una ragionevolezza in questa follia. Costruiamo le persone. Saranno poi le persone che non vivono solo di cose materiali. Certo, devi dargli da mangiare - e il livello di povertà in Siria è incredibile, il 90% delle persone vive sotto la soglia della povertà- ma questo a una persona non basta.

E questo ci supera totalmente. Pensiamo: siamo poche, siamo anziane, si fa una fatica tremenda per imparare l'arabo. Ma questo ci fa pensare che non siamo noi che facciamo. Quel poco che possiamo fare, la gente viene, e lo respira. Il resto lo farà il Signore, ma questo ci motiva. Vengono anche musulmani, perché il posto è bello, chiedendo anche incontri, ma non come dialogo intellettuale, invece si vive insieme.

Poi la mostra documenta l’esperienza dell’amicizia con Banco Building con il dono dei pannelli solari, che ha permesso a noi di sopperire alla mancanza di elettricità, ma anche ci permette di coltivare, e la verdura in più la condividiamo con i nostri operai; e l’acqua potabile con chi non ha il pozzo. Dunque il fatto di poter vivere, dare lavoro e portare avanti delle attività è importante. 

Un video riassume le testimonianze e racconta perché vale la pena costruire un monastero. E’ un messaggio di uno spazio che ci dà forma. Non viviamo solo a livello di cuore e di testa, viviamo in una totalità. L’esperienza di camminare in un monastero, di avere una chiesa, uno spazio nel quale puoi alzare gli occhi dal lavoro e camminare in un chiostro e arrivare alla chiesa. E’ un’esperienza che speriamo di poter offrire anche a delle giovani. E’ un modo di condividere per noi. Come possiamo vivere l’esperienza di un rapporto con Dio, se non lo offriamo? Un monastero lo si fa, ma in realtà è il monastero che ti forma. Da secoli è uno spazio che racconta, fatto di luci, di ombre, di silenzio, di lode insieme. Un’architettura che si costruisce in un ascolto di Dio.

Siamo arrivate in Siria diciotto anni fa, nel 2005; per cinque anni siamo state ad Aleppo; intanto abbiamo comprato il terreno quando nel 2008 costava pochissimo, ad Azeir, e abbiamo iniziato la foresteria. Siamo ad Azeir, fra Homs e Tartous, vicino al confine nord del Libano. Una zona agricola, bella, semplice, appartata, ci si va solo perché ci si vuole andare. Zona musulmana, di sunniti e alauiti, e due villaggi cristiani maroniti.

Ci siamo trasferite nel settembre 2010. E nel 2011 è scoppiata la guerra. Poi siamo andate avanti, aggiungendo piccole cose: i trullini fatti di sassi, ad esempio. Durante la guerra, avevamo solo tre cose: i sassi, il cemento e gli operai che avevano bisogno di lavorare. Allora si è fatto: trullini, muretti, stradine. La gente ha cominciato a chiedere ospitalità.

Un anno e mezzo fa abbiamo ripreso l’idea del monastero, iniziando con gli scavi. Ancora una volta, si può dire: ma come? in Siria la gente è morta, tanti scappano, costruire un monastero appare un po’ una follia. Ma abbiamo avuto tanti segni, oltre al discernimento fatto con i nostri superiori, le chiese locali che ci incoraggiano; gli operai musulmani lavorano, i cristiani sentono che rimanere lì è un sostegno alla loro presenza.

DOMANDE:

La speranza continua? Ecco questa è la cosa dura in questo momento. Durante la guerra i siriani sono stati incredibili, hanno passato fasi terribili, ma dicendo: finirà. Adesso da tre-quattro anni il peggio è passato (anche se la guerra c’è ancora) e non si vede niente davanti. Non c’è un miglioramento, non c’è speranza di lavoro, la vita è invivibile. Gli stipendi medi – negli ultimi giorni sono saliti ma sono saliti automaticamente anche i prezzi – anche di un insegnante o un ingegnere statale erano, pochi giorni fa, 100.000 lire siriane: bastano per comprare 4 litri di olio. O dieci pacchi di pane. Nient’altro. Vive chi ha aiuti di organizzazioni o parenti da fuori che mandano 100-150 dollari e allora te la cavi.

Non si vede la speranza. Il terremoto di febbraio è stato rivelatore. Certo, sono morte molte persone (la maggior parte dei morti è stata nella parte turca) e case già bombardate con il terremoto sono crollate. Ma quello che abbiamo sentito è stato lo sgomento. Avevano passato cose terribili, i tagliagole eccetera, ma questo terremoto ha segnato gli animi. A casa nostra è arrivato con una scala del 6,2-6,3, ad Aleppo è stata 8 e più. Ci dicevano: “Finora c’era la guerra, ma almeno sapevi che quando eri in casa, avevi la casa. Adesso non c’è più neanche quella”. Il senso che è caduta ogni sicurezza. La goccia finale.

Non si ha una risposta alla ragione del male. La risposta al male e alla sofferenza ce la diamo lungo tutta la vita piano piano. Non è mai nel momento della sofferenza acuta. C’è un mistero grande nel male e questo ci può aiutare a dire “prepariamoci a vedere”, se lo affrontiamo fin da ora capiamo anche che c’è sempre una possibilità. Ma nel momento della sofferenza è difficile vedere chiaro. Noi lo diciamo: Dio non ci ha mai promesso che non ci sarebbe stato il male, la sofferenza. Gesù non ha mai risolto la malattia, la povertà. Ma Gesù ci dà una strada per capire come passarci dentro verso la vita,come ha fatto Lui. E ognuno deve farlo nella sua vita, e certe volte è meglio tacere: non è possibile dare risposte facili alla gente, bisogna stare accanto e vivere con le persone la sofferenza, perchè possano attingere quella forza della vita che c'è . Il nostro compito e cercare di viverla noi questa speranza. Anche a noi viene lo sgomento, vedendo la gente che se ne va; tutti che dicono “parto, prega per me”; noi sentiamo il dissanguarsi della nostra realtà.

La diocesi maronita di Aleppo viene molto spesso da noi; hanno portato diversi gruppi per fare l’esperienza monastica. Con un gruppo di persone adulte che avevano visto partire diversi loro figli, abbiamo parlato della speranza, e qualcuno diceva: “ma cosa possiamo fare?”. E si capisce perchè un giovane parte, cerchiamo di far sì che non partano ma lo comprendiamo. E allora cosa possiamo fare di fronte alla tristezza? Possiamo pregare, e poi che altro? Noi cerchiamo di dire – e anche a noi stesse : “viviamo NOI una speranza, un incontro con il Cristo che dia un senso al nostro oggi, perché domani, quando i figli partiti si troveranno davanti al senso della vita e si gireranno, se trovano un’esperienza vera, un'esperienza per voi vivente, sapranno dove attingere.” Altrimenti, è inutile che stiamo nella nostalgia di qualcosa che non c’è. Ciò che possiamo fare oggi è vivere noi. E questo un domani servirà, se non ai figli che sono partiti, a quelli che sono rimasti. E’ duro, ma è quello che possiamo fare. Una speranza concreta.

Non avevate paura, visto che vivete vicino ai musulmani? No. In Siria i cristiani sono sempre rispettati e possono costruire chiese. C’è stato, durante la guerra, un periodo nel quale i fondamentalisti stavano prendendo il sopravvento. E noi sapevamo, insieme ai cristiani del villaggio, che da un momento all’altro potevano mandarci via...forse saremmo riusciti a scappare forse no. Certo la paura c’è stata ma l’abbiamo condivisa, la precarietà del futuro, con tutti. Ma normalmente siamo accettate, aiutate, stimate. Il pericolo era l’ISIS, certo la paura c’era. Ma è la stessa precarietà che vivono altrove, pensiamo anche all’Iraq adesso.

Cos’è il politically correct?

Una bella zuppa che non serve a nulla. E’ l’idea che nel vivere con gli altri - visto che siamo tutti figli di un’unica umanità e gente evoluta, matura, non facciamo più le guerre per le cose in cui crediamo - e questo va bene – ci rispettiamo, cercando di togliere tutte le cose sulle quali pensiamo in modo un po’ diverso, e vediamo su cosa possiamo venirci incontro ( la natura, difendiamo la terra, tutti sono liberi di fare quello che vogliono perchè i diritti individuali sono importanti...) cerchiamo le cose che ci mettono tutti insieme. Il problema è che noi che abbiamo la grazia di un’esperienza di fede, abbiamo bisogno di un rapporto con Dio che ci dà un’idea di cosa è essere uomini, ci dà dei valori. L’idea è: io sento che questa cosa è vera, che Dio mi vuole in un certo modo, che mi dà un determinato valore per vivere, che mi disseta. Ma se ne parlo con te che pensi diverso, rompiamo l’amicizia. Allora lasciamo lì questa cosa e andiamo a prendere una pizza, tutti umanamente fratelli... ma in questo modo nell’amicizia con te non metto in gioco la cosa più vera che ho, le cose in cui credo, il mio modo di percepirmi come persona, che comporta anche una fede, una visione delle cose. Io rinuncio a questa parte più vera di me, tu anche e ci accontentiamo di quello che può andare bene a entrambi. Ma questo non è un rapporto vero. E’ meglio avere un confronto, dire ok tu pensi questa cosa, io ne penso un’altra, possiamo credere che ciascuno di noi fa un cammino vero, che ognuno è una persona degna anche se pensiamo in modo diverso? Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi. Poi domani magari cambiamo idea, ma se oggi io credo questo, e lo condivido con te che credi una cosa diversa, ma possiamo camminare insieme, da persone che cercano la verità. Invece, il politically correct è dire: mettiamo da parte la verità perché sennò non andiamo d’accordo, e viviamo un po’ in superficie.

Che attività di aiuto alla popolazione fate? Noi non vogliamo diventare una ONG. Per questo di fronte alle richieste importanti di aiuto rispondo che devo sentire il Vescovo . Ma appena possibile, grazie ai vostri aiuti , cerchiamo di rispondere ai bisogni che ci sottopongono . C'è un mondo intorno a noi che non ha alcun riferimento … E suor Marta ci racconta di una ragazza in condizioni familiare difficilissime che con un piccolo aiuto ha fatto un negozietto.

I braccialetti. Ci sono donne del nostro villaggio con bambini piccoli che hanno bisogno di lavorare. Allora hanno imparato il macramé e lavorando da casa e da noi , con la piccola entrata dei braccialetti, molto più dignitosa del ricevere un’offerta, contribuiscono al salario familiare. Cercano i modelli, si consultano. I braccialetti sono disponibili per l'acquisto in Italia .

Il nostro sapone di Aleppo nasce dalla collaborazione con un amico aleppino – che ha scelto di restare in Siria malgrado tutti partano e ci sostiene molto . Il vero sapone di Aleppo si può produrre solo ad Aleppo: lui ci dà la pasta della materia prima, noi facciamo la seconda parte della lavorazione, stampiamo, inscatoliamo. E lo trovate in vendita in Italia .