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martedì 29 ottobre 2024

Israele colpisce valichi di frontiera fra Libano e Siria

In questi mesi fino a mezzo milione di persone hanno superato il confine dall’apertura del “fronte nord” della guerra. I raid aerei colpiscono anche i civili e bloccano attività e commerci.

 Asianews, 28 ottobre 24

Un flusso consistente siriani di rifugiati in fuga dal Libano verso il Paese di origine, per sfuggire ai raid aerei israeliani contro obiettivi di Hezbollah che finiscono per colpire anche i civili, ha attraversato ieri a piedi un ponte di fortuna nell’area di Qusai, nella provincia di Homs. Una soluzione di ripiego, non senza rischi, che è diventata una scelta obbligata dopo che il valico di frontiera ufficiale fra i due Paesi è stato colpito e messo fuori uso due giorni prima da un attacco dell’aviazione con la stella di David.

Finora risultavano funzionanti solo tre valichi di confine fra i due Paesi, lungo una frontiera di almeno 375 chilometri. A fine settembre, un attacco aereo israeliano ha colpito il valico di frontiera di Matraba, nel nord-est del Libano, costringendolo alla chiusura. Poche settimane più tardi i caccia hanno centrato quello di Masnaa, che è tuttora il principale valico tra i due Paesi, mettendolo fuori servizio. Nei giorni scorsi è stata la volta del valico di Jousieh, in un’escalation che contribuisce ad alimentare l’emergenza umanitaria in una fase di profonda criticità.


L’esercito israeliano ha giustificato le operazioni accusando Hezbollah - nel “fronte nord” della guerra contro il “Partito di Dio” filo-iraniano, che prosegue in parallelo col conflitto contro Hamas a Gaza - di usare i valichi per spostare armi e attrezzature militari dalla Siria al Libano. Tuttavia, organizzazioni umanitarie e funzionari internazionali affermano che la chiusura dei punti di transito ha inasprito una crisi umanitaria già gravissima, bloccando di fatto le vie principali per i rifornimenti e impedendo l’accesso a quanti fuggono per mettersi in salvo. Di questi, una gran parte è rappresentata da esuli siriani scappati un decennio fa dalla propria terra martoriata dalla guerra civile fra esercito governativo del presidente Bahsar al-Assad contro gruppi ribelli e jihadisti, trasformatosi nel tempo in uno scontro regionale per procura.

“La situazione sul terreno è una tragedia” ha dichiarato alle agenzie Ghossoun Mubarak, fuggita con i suoi tre figli dalla città di Baalbek, nel Libano orientale, descrivendo i bombardamenti che l’hanno spinta a lasciare la propria casa. Ieri il quartetto ha attraversato a piedi, e non senza rischi, il ponte di fortuna che - almeno per il momento - rappresenta la sola via di salvezza. 

Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) almeno 430mila persone sono passate dal Libano alla Siria nell’ultimo mese, da quando Israele ha lanciato un bombardamento aereo e un’invasione di terra del Libano. I funzionari del governo di Beirut hanno fornito una stima al rialzo di oltre mezzo milione di persone. Rula Amin, portavoce Unhrc, ha espresso preoccupazione per i danni subiti dai valichi, definendoli “la principale ancora di salvezza per le persone in fuga dal conflitto”.

“Oggi è andata meglio”, ha detto Omar Abu Jabal, 29 anni, che ieri rientrava in Libano attraverso il valico di Jousieh dopo un viaggio di lavoro. “Non ci sono stati problemi lungo il percorso. Ma prima vi erano i bombardamenti, che impedivano alla gente di muoversi”. Nabil Aakoul, direttore dei trasporti della provincia di Homs, ha confermato le voci secondo cui i recenti attacchi hanno distrutto un ponte sul fiume Oronte, interrompendo gli spostamenti tra aree agricole vitali. Aakoul stima che la ricostruzione del ponte costerà circa 2,5 milioni di dollari; a questo bisogna aggiungere il persistente mancato accesso alle aree agricole e l’isolamento di intere comunità che dipendono dal commercio e dagli spostamenti attraverso il fiume. Yahya Abu Youssef, che vive vicino al ponte danneggiato, ha descritto l’attacco israeliano come “disumano”, perché oltre ai danni materiali ha provocato il ferimento di bambini e bestiame nelle vicinanze. “Tutto quello che vi è qui è un ponte che collega villaggi e fattorie” ha detto, sottolineando che gli abitanti dei villaggi ora devono affrontare un viaggio di 10 chilometri in più per raggiungere Homs.

Tiro, una delle città più antiche del mondo e antico faro del commercio e della cultura del Mediterraneo

 Infine, in queste ore l’esercito israeliano ha emesso un avviso di evacuazione urgente per i residenti di vaste aree della città di Tiro, in Libano, in vista di attacchi aerei contro siti di Hezbollah. In una nota rilanciata su X, ex Twitter, il col. Avichay Adraee, portavoce in lingua araba Idf, ha affermato che “l’attività di Hezbollah costringe ad agire nell'area in cui vi trovate”, pubblicando al contempo una mappa delle aree che saranno prese di mira. “Dovete immediatamente allontanarvi dall’area segnata in rosso e dirigervi - conclude - a nord verso il fiume Awali. Chiunque si trovi vicino a personale, strutture e armi di Hezbollah mette in pericolo la propria vita!”.

https://www.asianews.it/notizie-it/Israele-colpisce-valichi-di-frontiera-fra-Libano-e-Siria,-bloccando-vie-di-fuga-dei-rifugiati-61796.html

venerdì 25 ottobre 2024

Giornata Missionaria Mondiale: in Siria, missionarie di speranza all'ombra della guerra

 
Il racconto dalla Siria di suor Marta , superiora di Nostra Signora Fonte della Pace, monastero trappista nel villaggio rurale di Azer

Dal Settimanale della Diocesi di Como

In tutto il Vicino Oriente si sta verificando una accelerazione di eventi dai quali non si può prescindere per raccontare cosa si vive oggi.. Ma non si può neppure dimenticare che quella situazione che viene definita “guerra a bassa intensità” perdura ormai da anni .

Ciò significa che la guerra in Siria non è mai terminata veramente. Le aggressioni, cioè i bombardamenti e gli assassinii, sul suolo siriano e in quello dei paesi vicini (che hanno coinvolto militari ma anche civili), sono continuate regolarmente nonostante apparentemente fossimo in un tempo di pace. Mai, in tutti questi anni, tutte le voci che si sono alzate, a partire dalle Chiese ma non solo, sono riuscite a far togliere il cappio delle sanzioni internazionali. E’ vero, la gente qui ha una capacità di far fronte alle difficoltà della vita incredibile.. Ma questa situazione toglie speranza, mette a dura prova la voglia e la forza di resistere, di immaginare un futuro possibile. Non stupisce che ancora oggi la realtà dei migranti siriani sia così diffusa. E’ un’emorragia forse meno spettacolare, ma continua, ed altrettanto drammatica. Per i giovani – e non solo per loro- è molto difficile scegliere di restare..In occasione del terremoto avvenuto pochi mesi fa, la generosità dell’Italia e di altri paesi è stata davvero commovente: nel giro di pochissimi giorni sono arrivati aiuti importanti per soccorrere i tanti poveri in più che questa catastrofe ha creato. Ma senza il terremoto, ci si sarebbe ricordati della Siria?

L'eco della guerra

Oggi ancora una volta il Vicino Oriente diventa campo di scontro. C’è un senso di grande incertezza e sospensione, in attesa di vedere se davvero si scatenerà un conflitto senza ritorno. E’ di questi giorni l’attacco in Libano alla forza dell’ONU. Con la destabilizzazione del Libano, stiamo già assistendo al rincaro generale dei prezzi , e ad altri esodi, persino dalla terra Santa: ormai Israele –anzi, i Sionisti –sono fuori controllo, dichiarando apertamente di voler allargare il loro territorio fino ad una parte dell’Egitto e fino almeno a Damasco!.

In tutto questo, ciò che noi possiamo fare è continuare la nostra presenza qui, con una coscienza forse più forte oggi della forza della preghiera e dell’importanza di vegliare, come sentinelle, finchè si realizzi il disegno di salvezza che Dio porta a compimento nella storia.

Una presenza missionaria

La nostra vita resta quella di una comunità monastica di regola benedettina. La preghiera, la lectio Divina, la vita comune, il lavoro, l’accoglienza degli ospiti segnano il ritmo delle nostre giornate. Ma evidentemente in questa realtà che ci circonda la caratteristica “missionaria” acquista un peso particolare..

Prima di tutto da un punto di vista concreto. Cerchiamo di essere vicine alla povertà della gente, ai suoi bisogni materiali. Con gli aiuti che ci arrivano, possiamo dare lavoro a diverse persone e così sostenere qualche famiglia. I nostri aiuti non sono “strutturati” come quelli di una organizzazione ecclesiale o umanitaria, non è il nostro compito. Ma naturalmente le persone si rivolgono a noi, e come possiamo cerchiamo di aiutare. Per le necessità mediche, per i costi della scuola, a volte anche solo per poter avere il necessario per mangiare e vestirsi.. Soprattutto, cerchiamo di dare lavoro, che è molto più dignitoso che semplicemente dare denaro. Qualcuno lavora con noi nei campi, altri sono stati coinvolti nella costruzione del monastero. Ad esempio il gruppo di carpentieri, persone tanto brave quanto povere. Al momento di accettare il lavoro, non disponevano del legname necessario. Abbiamo così deciso di comprarlo noi, e lasciare che lo pagassero piano piano. Questo significa per loro poter lavorare, e alla fine disporre di legname proprio, e poter accettare altro lavoro.. E’ una piccola cosa, quello che è possibile per noi. Ma questo ha creato un bellissimo clima sul cantiere, di fiducia e dedizione. Due degli operai sono molto giovani, e studiano per diventare avvocati. Lavorano duramente tutto il giorno, e così si pagano l’università.

Altri, che hanno già esperienza di scalpellini, si dedicano alla pietra: pareti, muri di contenimento, colonne... Un gruppetto di donne del villaggio lavora con noi a piccoli artigianati: braccialetti in macramé, lavori con cartone, colla, segatura, materiali semplici che costino poco e ci permettano di preparare oggetti da rivendere come artigianato. Per la sussistenza della comunità, stiamo cercando di ampliare la nostra esportazione di sapone di Aleppo, solido e liquido, verso la Francia e l’Italia, e di una crema per le mani all’olio di oliva. Siamo ancora all’inizio, ma speriamo che questa attività cresca..

La vita è più forte

Ma la vera missionarietà ci sembra su un altro piano: missione è soprattutto annunciare il Vangelo, la buona Novella che Cristo è veramente risorto. Che la vita è più forte, che la speranza è possibile, è reale, perchè non si basa sulle condizioni esterne della vita, ma sull’incontro con Cristo, l’amicizia con Lui, che dà senso e forma alla nostra esistenza..Vivere la missione oggi è soprattutto vivere la speranza, viverla prima di tutto noi, per poterla condividere. Non ingenuamente- ci troviamo davvero in tempi Apocalittici, cioè di rivelazione della lotta tra il Bene e il Male- ma sapendo che questa battaglia è già vinta. L’accoglienza degli ospiti, che diventa poco a poco sempre più importante nella vita della comunità, insieme alla preghiera è il nostro vero servizio a queste chiese, a questo paese che ormai dopo vent’anni è il nostro. Cerchiamo di offrire uno spazio di preghiera, di silenzio, di pace, dove ognuno possa ritrovare se stesso sotto lo sguardo di Dio.

Intanto la comunità da una parte affronta la sfida della malattia per qualcuna, dall’altra si accresce di nuove presenze : due sorelle sono arrivate dall’Ecuador, un’altra è in arrivo dall’Argentina..

Infine, anche proporre la bellezza ci sembra una missione di pace e speranza: la costruzione del monastero continua, anche se siamo solo al completamento dei cementi armati e a qualche riempimento dei muri.
Da una parte è un po’ una follia, dall’altra è una grande Grazia. Dobbiamo trovare i fondi per continuare, ma già la struttura della chiesa, con i suoi archi che si stagliano nel cielo blu, parla della bellezza di Dio, rende orgogliosi gli operai che l’hanno realizzata, fieri gli abitanti del villaggio, e colma il cuore a noi, che già la sogniamo piena di persone in preghiera, vibrante di silenzio, gioiosa di canti...

    Suor Marta dalla Siria

mercoledì 23 ottobre 2024

Miliziani ucraini in azione con Al Nusra in Siria

alleanza miliziani ucraini e siriani a Idlib

The Cradle, 15 ottobre 2024
di Mohamed Nadre Al Omari

Decenni dopo la fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti continuano a impiegare la guerra per procura come strategia centrale nei loro confronti con i principali rivali globali, in particolare Russia e Cina. Questo approccio consente agli Stati Uniti di estendere la propria influenza e perseguire i propri obiettivi geopolitici senza un impegno militare diretto, affidandosi invece ad attori terzi per fare il grosso del lavoro. 

Ciò si è verificato in varie crisi globali, nonostante il potenziale di contraccolpo e di indebolimento della pace e della sicurezza internazionale. Un esempio recente e sorprendente di questa strategia può essere osservato nel conflitto in corso tra Russia e Ucraina, dove gli Stati Uniti hanno fornito un significativo supporto a quest'ultima nella sua lotta contro Mosca.

L'asse Kiev-Idlib 

Un esempio degno di nota di questa guerra per procura si è verificato a metà settembre, quando le forze ucraine, in coordinamento con gruppi militanti in Siria, tra cui Hay'at Tahrir al-Sham (HTS, precedentemente noto come Fronte Al-Nusra), affiliata ad Al-Qaeda, hanno lanciato una serie di attacchi con droni contro strutture militari russe in Siria. 

Da allora il gruppo ha negato le affermazioni , liquidandole come una "campagna di disinformazione russa volta a giustificare ulteriori azioni militari nelle aree liberate della Siria".  Secondo un rapporto del Kiev Post del 18 settembre,  l'operazione ha coinvolto mercenari privati ​​ucraini chiamati "Khimek", affiliati alla Direzione principale dell'intelligence ucraina , che hanno lavorato insieme a militanti con base a Idlib per colpire un sito di produzione e test di droni nella periferia sud-orientale di Aleppo.

Il giorno seguente, sono stati effettuati altri attacchi con droni su dieci posizioni militari siriane ad Aleppo, nella campagna meridionale di Idlib e nel nord-est di Latakia. All'inizio di ottobre, due importanti siti militari russi, la base di Hmeimim e un deposito di armi vicino alla città costiera di Jableh, sono stati ripetutamente presi di mira. 

Ma queste operazioni non sono state la prima iniziativa supportata da agenti militari e di intelligence ucraini in Siria. Il 26 luglio, in quello che le forze militanti hanno descritto come un attacco "devastante" e "complesso", hanno preso di mira l'aeroporto militare di Kuweires ad est di Aleppo, utilizzato come base aerea dalle truppe russe, un giorno dopo che il presidente russo Vladimir Putin aveva incontrato il suo omologo siriano Bashar al-Assad a Mosca.

L'alleanza tra l'intelligence ucraina e i gruppi militanti siriani, con il supporto della NATO, è uno sviluppo relativamente nuovo ma significativo. È iniziato all'inizio di quest'anno, quando una delegazione ucraina ha visitato Idlib per negoziare con la leadership di HTS il rilascio di diversi militanti ceceni, georgiani e uiguri detenuti nelle prigioni di HTS, stimati tra 750 e 900 prigionieri, per arruolarsi come mercenari per gli ucraini. 

L'accordo concluso prevedeva il rilascio dei militanti detenuti da HTS in cambio di 250 esperti militari ucraini che fornivano addestramento, in particolare nell'uso dei droni. Tra i tirocinanti ci sono salafiti turkmeni incaricati di fabbricare droni e fotografare potenziali obiettivi militari russi e alleati siriani, in particolare le forze speciali della 25a divisione e le Forze di difesa nazionale ad Hama, Aleppo e Latakia. 

Tuttavia, alcuni resoconti indicano che i semi di questo accordo erano stati testati già nell'ottobre 2023, quando agenti dell'intelligence turca trasportarono parti di aeromobili oltre confine all'HTS, per utilizzarle in un enorme attacco all'Accademia militare siriana nella città di Homs.

Cosa c'è dietro questa partnership per procura?

Questa cooperazione solleva importanti questioni sulla natura e l'estensione della relazione tra Kiev e questi gruppi militanti. Questa collaborazione è emersa di recente o ci sono legami storici più profondi? Ancora più cruciale, quali sono gli obiettivi condivisi dagli Stati Uniti, dall'Ucraina e dalle organizzazioni estremiste coinvolte in questa partnership per procura?

Le radici di questa cooperazione tra Kiev e i militanti HTS risalgono all'inizio dell'operazione militare speciale russa nel febbraio 2022. L'8 marzo 2022, l'agenzia di stampa russa Sputnik, citando funzionari della difesa russi, ha riferito che circa 450 militanti di Idlib appartenenti ad Al-Turkistani, Hurras al-Dein e Ansar al-Tawhid sono stati trasportati in Ucraina per combattere le forze russe, cosa che hanno fatto solo tre giorni dopo essere passati attraverso la Turchia, membro della NATO.

Alla fine di ottobre 2022, il leader ceceno del gruppo "Ajnad al Kavkaz" (Anjad del Caucaso) con sede a Idlib, Rustam Azayev, noto anche come Abdul Hakim al-Shishani, è arrivato con un gruppo di militanti in Ucraina . Appare in un video per confermare la sua effettiva presenza su un fronte di battaglia dell'Ucraina orientale come parte del battaglione ceceno "Sheikh Mansour", che stava combattendo i russi insieme alle forze ucraine. Ciò ha coinciso con l'arrivo di un nuovo gruppo di militanti in Ucraina, secondo Al-Monitor con sede negli Stati Uniti , che aveva disertato dal battaglione "Albanian Group", affiliato all'ala estremista di HTS.  Inoltre, il 9 settembre, il quotidiano turco Aydinlik ha confermato che c'erano contatti quotidiani tra il capo dell'intelligence ucraina, Kirill Budanov, e il leader di Hay'at Tahrir al-Sham, Abu Muhammad al-Julani, per completare l'invio di combattenti in Ucraina.

Le forze militari statunitensi che occupano la Siria nord-orientale svolgono un ruolo di collegamento e trasporto in questa configurazione. Sono l'attore principale nella gestione di queste varie zone di conflitto e nel coordinamento delle posizioni e della cooperazione dei loro delegati.   All'inizio di agosto 2024, gli Stati Uniti hanno facilitato l'arrivo di esperti ucraini nelle aree vicine a Jabal al-Zawiya a Idlib e hanno contribuito al trasferimento di parti di aeromobili, in cambio del trasporto di combattenti estremisti, tramite le basi statunitensi in Siria, nelle aree a nord dell'Oblast di Donetsk.   

L'accordo tra le forze ucraine e i gruppi militanti siriani, mediato con il coinvolgimento degli Stati Uniti e della NATO, include diverse componenti critiche.  Il personale militare ucraino è stato incaricato di addestrare i militanti alla guerra con i droni, migliorando le loro capacità di colpire obiettivi russi in Siria. In cambio, questi gruppi di militanti, con l'assistenza delle forze statunitensi che operano nella regione, hanno facilitato il trasferimento di combattenti dalla Siria all'Ucraina per rafforzare le forze ucraine nella loro guerra con la Russia.

Gli obiettivi degli Stati Uniti, dell'Ucraina e dei gruppi estremisti siriani, sebbene apparentemente divergenti in superficie, convergono in modi importanti. Per Washington, l'uso di forze per procura in Siria rientra in una strategia più ampia di indebolimento della Russia attraverso una politica di logoramento, distribuendo le sue risorse militari in più zone di conflitto.   Questa tattica ricorda la strategia della Guerra Fredda, consistente nel prosciugare le risorse degli avversari coinvolgendoli in conflitti costosi e prolungati.

Cosa ci guadagna ciascuna parte?

Per l'Ucraina, l'alleanza con i militanti HTS offre diversi vantaggi strategici. Indebolendo l'influenza russa in Siria, l'Ucraina mira a fare pressione sulla Russia su più fronti, costringendola a distogliere risorse e attenzione dal conflitto in Ucraina.   Inoltre, l'afflusso di combattenti temprati dalla battaglia dalla Siria e da altre regioni fornisce all'Ucraina ulteriore manodopera in un momento in cui le sue forze sono ridotte al minimo e gli Stati Uniti sono preoccupati di supportare Israele in quella che è ormai una guerra regionale. Questa cooperazione serve anche come un modo per l'Ucraina di vendicarsi di Damasco e, per estensione, dell'Iran, per il loro supporto alla Russia nell'attuale conflitto.

Gli stessi gruppi militanti traggono vantaggio da questa alleanza in diversi modi chiave. Con la Turchia che si avvicina alla riconciliazione con la Siria e la cooperazione militare russo-iraniana che avanza, questi gruppi sono sempre più vulnerabili. L'allineamento con l'Ucraina e la NATO fornisce loro nuove risorse e supporto, assicurando la loro continua sopravvivenza di fronte alle mutevoli dinamiche regionali.   La cooperazione offre inoltre agli estremisti siriani l'accesso a tecnologie avanzate, in particolare nella guerra con i droni, che è diventata un elemento cruciale nella loro continua lotta contro le forze siriane e russe.

Gli Stati Uniti svolgono un ruolo fondamentale nel facilitare questa cooperazione, non solo fornendo supporto logistico, ma anche fornendo armamenti avanzati e coordinando gli sforzi tra le forze ucraine e i militanti siriani. 

Opportunità in mezzo alla guerra nell'Asia occidentale

Con l'evolversi del conflitto, l'alleanza potrebbe rafforzarsi ulteriormente, con un flusso maggiore di combattenti e risorse tra Siria e Ucraina, soprattutto mentre Hezbollah in Libano, alleato della Siria, è ora impegnato in una battaglia esistenziale con Israele. 

È anche possibile, tuttavia, che questa cooperazione abbia vita breve, a seconda dei cambiamenti nella politica estera degli Stati Uniti o dell'esito dei negoziati tra Russia, Turchia e Siria.

Il continuo ricorso alla guerra per procura da parte degli Stati Uniti, in particolare attraverso l'uso di gruppi militanti e terrorismo transnazionale, avrà probabilmente conseguenze durature e di vasta portata. Nel contesto siriano, l'incapacità o la riluttanza delle grandi potenze a impegnarsi in uno scontro militare diretto ha portato a un conflitto prolungato che non mostra segni di risoluzione. 

Il coinvolgimento delle forze ucraine in Siria, con il pretesto di contrastare l'influenza russa, serve a prolungare questo conflitto e ad approfondire le divisioni. Questa strategia assicura che gli Stati Uniti rimangano un attore chiave nella destabilizzazione di conflitti come quello in Siria.  La cooperazione in evoluzione tra le forze ucraine, i gruppi estremisti in Siria e gli interessi degli Stati Uniti rappresenta una tendenza più ampia nella strategia di guerra per procura di Washington. Uno scenario potenziale è che questa partnership continuerà ad espandersi, con l'intelligence ucraina che promuove legami più profondi con le fazioni estremiste a Idlib che si oppongono a qualsiasi riconciliazione tra Ankara e Damasco. 

Ciò potrebbe estendersi anche alle aree controllate dai curdi nella Siria nord-orientale, creando un vantaggio condiviso per tutte le parti coinvolte. I gruppi militanti potrebbero ricevere armi avanzate, come i droni, senza che Washington sia direttamente implicata, in cambio della fornitura di combattenti aggiuntivi, tra cui elementi dell'ISIS attualmente detenuti nelle prigioni gestite dai curdi , per supportare l'Ucraina contro la Russia.

 

sabato 19 ottobre 2024

Verso il 20 ottobre: la canonizzazione dei Martiri di Damasco (3° parte)

                                           

I TRE FRATELLI  MARONITI  MASSABKI
 

Francesco Massabki

Cristiano maronita, mercante di seta, era ben conosciuto a Damasco e stimato come uomo probo e pio.

Sposato e padre di otto figli, tutti educati secondo i valori cristiani, dava ovunque esempio di grande generosità, soprattutto verso i poveri e i bisognosi.

Era legato ai frati francescani per i quali fungeva da procuratore. Insieme ai fratelli Mooti e Raffaele si trovava presso il convento di San Paolo nell’ora del martirio.


Mooti Massabki

Viveva con la moglie e i suoi cinque figli nella medesima casa del fratello maggiore Francesco.

Frequentava quotidianamente il convento di San Paolo, sia per la preghiera che per svolgere l’attività didattica nella locale scuola dei ragazzi.

Pronto a versare il suo sangue per Cristo, come insegnava nelle lezioni di catechismo, non esitò ad offrire la sua vita in nome della fede.


Raffaele Massabki

Fratello minore di Francesco e di Mooti, celibe, prestava volentieri il suoi aiuto ai frati e ai propri familiari; era molto devoto della Madonna e si soffermava a lungo in preghiera nella chiesa del convento.

Era ancora presente tra le mura conventuali di San Paolo nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1860, quando irruppero i Drusi, dai quali fu ucciso insieme ai suoi due fratelli.





Testimonianza odierna di Fadi Massabki: La santità, vocazione per tutti i cristiani


Fadi Massabki, originario di Damasco, imprenditore nel settore dell’arredamento di lusso, è considerato il discendente più prossimo ai fratelli Massabki. Si tratta dei tre laici maroniti che saranno canonizzati il 20 ottobre a Roma, insieme a otto frati francescani della Custodia di Terra Santa. Il gruppo è meglio noto come Martiri di Damasco”.

Fadi e la sua famiglia parteciperanno alla processione offertoriale, durante la Messa della canonizzazione dei “Martiri di Damasco”, il 20 ottobre a Piazza San Pietro (Roma). “I santi sono un messaggio del Signore, per ricordarci la forza della fede” dice. “La santità è un percorso per ogni cristiano. Soprattutto ai nostri giorni, abbiamo bisogno della fede per combattere il male e le tribolazioni”.


Fadi è discendente di Francesco Massabki, il più anziano dei tre fratelli martiri. Quest’ultimo era mercante di seta e padre di otto figli. Era conosciuto per le sue virtù, e grazie al suo lavoro serio e onesto, riuscì ad acquisire fortuna, rispetto e successo. Di Francesco era nota la generosità verso i poveri e verso la Chiesa, e la profonda fede, che nutriva con la preghiera e i sacramenti. Tra i nipoti di Francesco figura Louis Massabki (1874-1960), nonno di Fadi e iniziatore della “Massabki Furniture”, azienda specializzata nella lavorazione del legno e nell’arredamento di lusso. Oggi, Fadi è tra gli eredi dell’azienda di famiglia oltre che di una storia di santità. 

Quando nel 2012 gli stabilimenti e le proprietà di famiglia sono stati distrutti dalla guerra scoppiata in Siria, Fadi Massabki è emigrato a Odessa (Ucraina) e poi a Erbil (Iraq). “Sono tornato in Siria nel 2019, per ristabilire qui l’azienda di famiglia” dice. Vive tra Aleppo e Damasco, insieme a sua moglie, Vilma, interior designer. Esporta in diversi paesi del Medio Oriente e negli USA. I suoi due figli, Rhea e Jean, studiano entrambi in Francia. “La vita in Siria è accettabile, nonostante le difficoltà. Non posso lasciare la Siria; in questa ‘terra santa’ ci sono le mie radici, l’azienda di famiglia e tanto da costruire”.

Fadi ha ereditato da Francesco Massabki e dai suoi avi la passione per il lavoro e una grande fede“La mia fede si basa soprattutto sull’insegnamento di aiutare chi è nel bisogno, e nel credere che Dio è al mio fianco nei momenti di difficoltà. Questo mi dà forza per compiere buone azioni. Se seminiamo amore, raccogliamo benedizioni”. Spesso, Fadi prega davanti alle reliquie dei fratelli Massabki e sosta nella chiesa francescana dove sono stati martirizzati. “Avverto la loro santità e la loro vicinanza. I fratelli Massabki erano commercianti, erano laici che hanno dedicato la loro vita alla Chiesa: sono i miei modelli di riferimento, perché dimostrano che un laico può diventare santo attraverso le sue azioni nella vita di ogni giorno”.

https://custodia.org/it/news/fadi-massabki-la-santita-vocazione-tutti-i-cristiani

QUI I LINK AI DUE PRECEDENTI ARTICOLI CHE ILLUSTRANO LE FIGURE DEI SANTI  MARTIRI DI DAMASCO:

Verso il 20 ottobre: la canonizzazione dei Martiri di Damasco (1° parte) https://oraprosiria.blogspot.com/2024/10/verso-il-20-ottobre-la-canonizzazione.html

Verso il 20 ottobre: la canonizzazione dei Martiri di Damasco (2° parte) https://oraprosiria.blogspot.com/2024/10/verso-il-20-ottobre-la-canonizzazione_01067505228.html

giovedì 17 ottobre 2024

"Israele vuole spargere la paura tra i libanesi per minarne l’unità"

Sono 24 le vittime del raid israeliano del 14 ottobre scorso su una palazzina nel villaggio di Aitou, vicino a Zgharta, nel nord del Libano, un’area a maggioranza cristiana fino all’altro giorno risparmiata dalla furia dei combattimenti tra Israele ed Hezbollah

 SIR 17 ottobre

Le vittime sono salite a 24: l’ultima è una bambina ritrovata dentro un’auto. Era talmente piccola che all’inizio si pensava fosse una bambola e invece, ad una verifica, ci si è accorti che era un’altra vittima innocente”. Padre William Makari aggiorna al Sir il tragico bilancio dei morti del raid israeliano del 14 ottobre scorso su una palazzina nel villaggio di Aitou, vicino a Zgharta, nel nord del Libano, un’area a maggioranza cristiana fino all’altro giorno risparmiata dalla furia dei combattimenti tra Israele ed Hezbollah. 

Il nostro è un villaggio a larga maggioranza cristiana, che è stato tra i primi ad accogliere i rifugiati provenienti da sud, dal confine con Israele, dove si combatte con più violenza – racconta il sacerdote maronita, sposato e con due figli, che fa parte del Vicariato di Ehden-Zgharta .Tutti qui hanno aperto le porte delle proprie abitazioni, hanno dato in affitto le case, sono state messe a disposizione anche le scuole per dare rifugio a quante più persone possibile. La Chiesa locale ha fatto la sua parte mettendo a disposizione locali e ambienti necessari a immagazzinare aiuti e a preparare la consegna”.  

Padre Makari prova a ricostruire l’attacco israeliano del 14 ottobre: “la persona che aveva affittato la palazzina di tre piani, distrutta nel raid, poco prima era stato a visitare i rifugiati alloggiati, in larga parte tutti donne e bambini rimasti poi uccisi dalle bombe. Nei paraggi c’era anche una persona legata ad Hezbollah, non armata, che stava consegnando degli aiuti in denaro alle persone che erano all’interno. Quando questa persona è entrata nel palazzo è avvenuto l’attacco”. Secondo notizie raccolte dall’Agenzia Fides da fonti locali, l’edificio colpito era probabilmente già noto agli israeliani perché era stato affittato fin dal 2006, al tempo della precedente guerra tra Israele ed Hezbollah, alla televisione Al-Manar, legata al movimento sciita filo iraniano. Una conferma in tal senso arriva anche dal sacerdote maronita: “quella del 14 ottobre non è stata la prima volta che Israele attaccava il villaggio di Aitou. Era già accaduto nel 2006 ma quella volta l’obiettivo era una sede di comunicazione dove c’era una radio e altri media e non un palazzo abitato da rifugiati. Oggi bombardano le case e i palazzi”.

Paura per il futuro del Libano. Poi una riflessione che rivela anche una paura per il futuro: “seguendo i notiziari abbiamo modo di ascoltare quanto dicono tanti politici e ministri di Israele e le loro intenzioni di conquistare il territorio libanese per costruire altre colonie. Sentiamo dire che attaccano il Libano per la presenza di attivisti e leader di Hezbollah e che vogliono fare esplodere una guerra civile nel nostro Paese.
Israele crede che il terreno sia già pronto per le divisioni politiche interne al Libano. Il premier israeliano Bibi Netanyahu dice che vuole liberare il popolo libanese dai terroristi. Ma con un atto terroristico non si elimina il terrorismo”. 

La risposta a Israele. “La nostra risposta, come popolo, come Chiesa, a questi tentativi di sovvertire il Libano è la solidarietà e l’unità – ribadisce padre Makari – Le porte delle chiese sono aperte a tutti, non solo ai cristiani. 
Ci sono cristiani anche nel sud del Paese. La nostra è una popolazione abituata a convivere, nel rispetto delle convinzioni politiche e religiose di ciascuno. Siamo tutti libanesi e ci teniamo alla nostra sovranità”. Un modo chiaro per dire che il Libano non può essere solo cristiano o solo musulmano, perché non sarebbe il Libano. 

L’appello e il monito. Da qui l’appello alla comunità internazionale e un monito al mondo della politica libanese: “Chiediamo aiuto per tutto il Libano, e non solo per i cristiani. Siamo critici verso chiunque tenti di insidiare l’unità del Libano per interessi di parte” sottolinea il sacerdote, facendo sue posizioni analoghe espresse più volte in passato dal patriarca maronita, card. Boutros Bechara Rai. Nell’ultima loro assemblea, presieduta dallo stesso patriarca, i vescovi maroniti hanno insistito sull’urgente necessità che il Parlamento libanese “faccia il proprio dovere affinché, dopo una lunga attesa e tanta sofferenza, venga eletto un nuovo Presidente della Repubblica che completi il quadro delle istituzioni costituzionali”. Presidente la cui priorità sarà quella di mantenere unito il popolo libanese. 

https://www.agensir.it/mondo/2024/10/17/libano-testimonianza-dal-villaggio-cristiano-di-aitou-colpito-da-israele-p-makari-maronita-vogliono-far-esplodere-una-nuova-guerra-civile/ 

Le stesse considerazioni sono espresse da Mons. Alwan. Il vicario patriarcale maronita sull’attacco israeliano a un villaggio cristiano del nord libanese: “Un vero e proprio crimine di guerra” 
di Giuseppe Rusconi- Rossoporpora.org

Mons. Alwan, che cosa ha provato quando ha saputo della strage di Aitou?

Aitou è il mio villaggio natale e si trova in una zona del nord del Libano abitata solo da cristiani maroniti. Il palazzo abbattuto è vicino a casa mia. Quando è giunta la notizia mi sono spaventato, perché non immaginavo chi potesse essere ricercato da Israele in questo piccolo villaggio di montagna. Poi ho saputo che il villaggio ospitava persone musulmane sciite sfollate dal sud del Libano. Ho capito allora che tra loro ci doveva essere qualcuno nel mirino dell’esercito israeliano. L’intero palazzo è crollato sui suoi abitanti: bambini, donne, anziani… 24 i morti, 5 i feriti. Non erano tutti ricercati, solo uno o due di loro: gli altri abitanti sono stati sacrificati. E’ un comportamento ingiusto, illegale, vietato anche in guerra, perché non si può uccidere civili inermi. E’ un vero e proprio crimine di guerra. 

Perché Israele continua a colpire de facto tanti civili per distruggere Hezbollah?

I responsabili militari in Israele avevano dichiarato all’inizio che le loro operazioni militari erano limitate e miravano solo a combattere i miliziani di Hezbollah e a distruggere i loro depositi di armi. Però de facto accade che ogni volta che colpiscono un miliziano uccidono decine e centinaia di civili inermi nello stesso palazzo, spesso tra gli sfollati. Questi attacchi cosiddetti limitati in effetti si sono trasformati in una vera e propria guerra in territorio libanese. 

Come vede il futuro prossimo del Libano? Continuerà ad esistere come Stato indipendente?

Il Libano è una Repubblica indipendente, membro fondatore dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Deve rimanere tale anche se è un piccolo Paese indifeso. Questo deve essere il compito delle grandi potenze e dell’ONU. E’ la nostra speranza e noi lottiamo per concretizzarla. Oggi insistiamo sul cessate il fuoco, sull’elezione di un presidente della Repubblica (NdR: vacante dall’ottobre del 2022) e sull’applicazione della risoluzione n. 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I punti citati sono contenuti nel comunicato ufficiale dell’incontro di oggi, mercoledì 16 ottobre, tra capi religiosi diversi convenuti nel nostro Patriarcato maronita di Bkerké su invito del patriarca cardinale Béchara Boutros Raï.


Appello dei Capi religiosi: Dio doni ai libanesi la speranza di resistere alla catastrofe

FIDES, 16 ottobre 2024

La Patria libanese è ferita, “e la ferita sta infettando ognuno di noi”. Ha iniziato così il suo discorso il Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, aprendo il Summit straordinario di capi religiosi convocato presso la Sede patriarcale di Bkerké per farsi carico insieme della “responsabilità spirituale, morale e nazionale”, davanti al perpetuarsi delle offensive militari messe in atto dalle forze armate israeliane in territorio libanese. 

Davanti al nuovo tempo di tribolazione attraversato dal Paese dei Cedri, le tessere del composito mosaico confessionale libanese hanno messo da parte diffidenze e controversie, ricompattandosi. Al molto partecipato summit di Bkerké (vedi foto) c’erano i rappresentanti di tutte le comunità di credenti presenti in Libano. Tra gli altri, hanno partecipato al Vertice spirituale il Patriarca greco ortodosso di Antiochia Yohanna X Yazigi, lo sheikh druso Akl Sami Abi el-Mona, il Mufti della Repubblica, il sunnita Abdul Latif Daryan, il vicepresidente del Consiglio superiore islamico sciita Ali el-Khatib, il Presidente del Consiglio Islamico Alawita Ali Qaddour, il Presidente del Sinodo Supremo della comunità evangelica in Libano e Siria, Joseph Kassab. L’incontro ha registrato anche la presenza dell’Arcivescovo Paolo Borgia, Nunzio apostolico in Libano.
I partecipanti al summit – riferisce il comunicato finale dell’incontro – hanno discusso a lungo “della barbara e brutale aggressione che Israele ha compiuto e sta compiendo contro il Libano, ignorando i trattati e le leggi internazionali, in particolare la Carta dei Diritti Umani, le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza dell'ONU e le loro risoluzioni, persistendo nell'uso della violenza, della distruzione, dell'uccisione, del genocidio e della demolizione di strutture, istituzioni e case sopra i loro abitanti, tutto questo dopo aver completamente distrutto Gaza, uccidendo bambini, donne e disabili, e distruggendo ospedali, moschee e chiese”. 

Capi e rappresentanti cristiani e musulmani hanno espresso insieme il loro cordoglio per “i martiri della Patria che hanno sacrificato la loro vita in difesa del Libano, e per le vittime innocenti tra i civili, le donne, i bambini, i disabili e gli anziani”, chiedendo “a Dio Onnipotente di guarire i feriti e di concedere loro una rapida guarigione”.
La “barbara aggressione israeliana contro il Libano” sottolinea il comunicato finale del summit “colpisce tutto il Libano e mina la dignità e l'orgoglio di tutti i libanesi, e che i libanesi”, che “grazie alla loro unità” sono in grado di “resistere e respingere il nemico”: le soluzioni per il Libano insistono i capi delle comunità di credenti libanesi “non possono e non devono essere altro che soluzioni nazionali inclusive fondate sull'adesione alla Costituzione libanese, all'Accordo di Taif, all'autorità unica dello Stato libanese, alla sua libera decisione e al suo ruolo responsabile nella protezione del Paese, alla sovranità nazionale”. 

La seconda parte del comunicato raccoglie in 9 punti richieste, esortazioni e auspici condivisi dai Capi religiosi libanesi, che per prima cosa invitano il “Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a riunirsi immediatamente e senza indugio per prendere la decisione di imporre il cessate il fuoco e fermare questo massacro umanitario perpetrato contro il Libano”.
I cittadini libanesi vengono invitati a mettere da parte scontri e controversie, perché questo “non è tempo di sterili discussioni” ma è il momento di accettare sacrifici e unirsi “per salvare il Libano”. Viene rinnovato l’appello a uscire dalla paralisi politico istituzionale favorendo “l'elezione immediata da parte della Camera dei Rappresentanti di un Presidente della Repubblica che goda della fiducia di tutti i libanesi”, nello “spirito del Patto nazionale”. Si richiama l’urgenza di rafforzare le capacità di difesa dell’esercito libanese.

Si rende grazie al popolo per la generosa accoglienza offerta agli sfollati, mentre si ringraziano “i Paesi arabi fratelli e i Paesi amici per le loro gentili iniziative nei confronti del Libano e per il loro sostegno politico e gli aiuti materiali, medici e alimentari”.

Si rende grazie anche ai contingenti militari delle Nazioni Unite (Unifil) che operano nel Libano meridionale “per gli sforzi e i sacrifici che stanno compiendo per salvaguardare i confini meridionali del Libano e la popolazione di quella regione”, apprezzando “il loro impegno a rimanere nelle loro posizioni nonostante le ingiustificate vessazioni e gli avvertimenti israeliani volti a cancellare tutti i testimoni dei brutali massacri che stanno commettendo contro la nostra Patria”. Infine, si ribadisce che “la questione centrale attorno alla quale ruotano la maggior parte delle questioni nella regione araba è la giusta causa palestinese”. 

Nella conclusione del loro messaggio condiviso, i Capi religiosi libanesi (cristiani, musulmani, drusi) chiedono insieme “a Dio, il Dio della pace, di benedirci con una pace giusta, duratura e globale e di renderci costruttori di pace”. Pregano l’Onnipotente “di proteggere il Libano e i libanesi da ogni male e di concedere al nostro popolo la capacità e la speranza di resistere a questa catastrofe”.

mercoledì 16 ottobre 2024

Verso il 20 ottobre: la canonizzazione dei Martiri di Damasco (2° parte)

Memoria di Sant'Ignazio di Antiochia , patrono della Siria

Il reliquiario dei Martiri di Damasco, un capolavoro di fede e arte



Engelbert Kolland: dal Tirolo alla Terra Santa: la storia di padre Engelbert (“Abuna Malak”)



Michael Kolland nacque a Ramsau il 21 settembre 1827. Narrano le fonti che fu lavorando come boscaiolo, a contatto con la natura, che ebbe l’opportunità crescere umanamente e maturare l’idea di diventare sacerdote. Nell’autunno del 1845 si decise di completare la sua formazione scolastica e riprendere gli studi interrotti,  al termine dei quali chiese e ottenne di essere accolto nel convento dei Frati Minori di Salisburgo per servire il Signore nell’Ordine di San Francesco di Assisi. Con la vestizione religiosa, il 19 agosto 1847, ricevette il nome di “Engelbert” che significa “splendente come un angelo”.

«I testimoni lo descrivono come sano, robusto, il volto ridente, i capelli biondi e gli occhi azzurri – racconta fra Ulise ZarzaVice postulatore e membro, insieme a fra Rodrigo Machado Soares e fra Narciso Klimas, del Comitato di preparazione delle celebrazioni per la canonizzazione dei Martiri  –. In convento si sentiva a casa ed era amato da tutti grazie al suo carattere affabile: ebbe una devozione particolare per la Madre di Dio».

A Bolzano si dedicò allo studio delle lingue straniere, italiano, francese, spagnolo, inglese e soprattutto arabo.  Dopo la professione solenne, il 22 novembre 1850, e l’ordinazione sacerdotale nel 1851, manifestò al Capitolo provinciale la disponibilità per diventare missionario in Terra Santa.

Accolta la sua richiesta, si imbarcò da Trieste alla volta di Giaffa: la traversata durò dal 27 marzo al 13 aprile 1855.

«Si conserva una lettera in cui racconta il suo viaggio  – continua fra Ulise Zarza – segnato da grandi sofferenze, in mare e in terra. La descrizione di quando giunse a Gerusalemme, dopo tante pene, rivela tuttavia la devozione e l’ardore che nutriva per la Terra Santa. Le sue parole sono state: “Scesi da cavallo. Il pensiero che in quella città il Signore, nostro Redentore, avesse versato il suo prezioso sangue anche per la mia salvezza, mi fece piangere ancora più forte. Alle tre del pomeriggio, nella stessa ora in cui morì Gesù Cristo, giravo a piedi per le vie di Gerusalemme. Laddove egli aveva portato la sua pesante croce, volli anch’io camminare a piedi”».

Come ogni missionario in Terra Santa, anche Fra Engelbert prestò servizio per un certo tempo presso il Santo Sepolcro. Nonostante la dura vita nel convento scriveva: “la vicinanza al monte Calvario e agli altri luoghi in cui Nostro Signore ha tanto sofferto rende tutto sopportabile”. Più tardi ricevette l’obbedienza del Custode di Terra Santa di andare a Damasco, nel convento di San Paolo. «Svolse con facilità gli incarichi che gli venivano affidati – sottolinea fra Ulise Zarza –  grazie alla conoscenza dell’arabo, che gli permise rapidamente di conquistare il cuore dei fedeli. Questi lo chiamavano “Padre Angelo” perchè il nome di Engelberto era troppo lungo: e perciò era stato abbreviato in Engel, che divenne poi Angel».

«Sarebbe dovuta essere una collocazione provvisoria – continua fra Ulise Zarza –, fino a quando ci fosse stato a disposizione un confratello spagnolo con una buona conoscenza dell’arabo.  Siccome, però, Fra Carmelo Bolta Bañuls, il parroco di Damasco, era ammalato, il giovane e dinamico Padre Engelbert assunse praticamente tutti gli incarichi pastorali. Fu sua l’iniziativa di costruire un campanile per la chiesa del convento, collocando una campana pesante circa mezzo quintale. Un gesto coraggioso, visto che il convento era situato proprio di fronte a una moschea».

Svolgeva questi incarichi quando subì il martirio.

Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1860, un commando druso di persecutori entrò nel convento.

All’accostarsi del pericolo Fra Engelbert fuggì dal convento e si nascose in una casa vicina con un maronita chiamato Metri, che invece scampò alla carneficina.

«Fu questo maronita che ci racconta gli ultimi istanti della vita di Padre Angelo – spiega fra Ulise Zarza –. Il Padre, dopo essere stato scoperto, cessò da ogni difesa e rimase tranquillo:  esortato a farsi musulmano per avere salva la vita, rispose: «Non posso, perché sono cristiano e ministro di Gesù Cristo». La sua vita si concluse a colpi di ascia, a 33 anni. E sopraggiunse così il martirio “con quella calma e quella santa libertà che il Signore concede ai difensori della sua causa”».

Il  10 ottobre 1926  Fratel Engelbert fu beatificato insieme agli altri dieci martiri del monastero di San Paolo. Il 10 luglio è giorno di commemorazione nell'arcidiocesi di Salisburgo. Nel 1986 fu elevato a secondo  patrono parrocchiale  della sua parrocchia natale Zell am Ziller.

Preghiera al Beato Engelbert Kolland “Abouna Malak” – “Padre Angelo”
Pieno dello spirito di San Francesco,
sei andato in Terra Santa.
Lì hai proclamato la fede e hai versato il tuo sangue per Cristo.
Aiutami ad avere il mio cuore pieno di amore per Cristo
affinché io possa vivere nella potenza della fede
come testimone del Vangelo nella vita di ogni giorno.
Prega il Signore per noi, affinché nella sua chiesa
si risveglino molte vocazioni, al sacerdozio e alla vita religiosa
per l'istituzione di sante famiglie e
nella ricerca dell’amore cristiano nella vita di ogni giorno.
Accendi nei credenti attraverso la tua intercessione
lo spirito missionario che ti ha ispirato,
lo zelo per l'apostolato e la disponibilità generosa
alla devozione amorosa. Amen
Imprimatur dell'Arcivescovo Ordinario di Salisburgo, dall'8 aprile 2011


Nicanor Ascanio Soria: la vocazione al martirio



Tra gli undici martiri di Damasco che saranno canonizzati il prossimo 20 ottobre a Piazza San Pietro, figura fra Nicanor Ascanio Soria: appartenente alla Diocesi di Madrid, spese la maggior parte della sua vita in Spagna. Il Signore lo chiamò al martirio a solo un anno dal suo arrivo in Terra Santa.

La desamortización

Nicanor nacque nel 1814 in un villaggio vicino Madrid, a Villarejo de Salvanés. Educato in un ambiente di fede molto conservatore, a 16 anni vestì l’abito francescano nel convento di Santa Maria de La Salceda, in Alcarria, nella Provincia religiosa dei Frati Minori Osservanti di Castiglia.

"Il suo percorso di vita conventuale fu interrotto dalla esclaustrazione imposta dalle leggi di 'desamortización' di Mendizábal nel 1835 – racconta fra Ulise Zarza, vice postulatore e membro del Comitato di preparazione delle celebrazioni per la canonizzazione dei Martiri  –, ovvero il complesso fenomeno di azioni legali contro la Chiesa, con conseguenze disastrose per gli ordini religiosi, molti dei quali vennero soppressi.  Ecco perché fra Nicanor fu ordinato sacerdote nel clero diocesano".

La vocazione al martirio

La disponibilità al martirio fu una nota costante della sua spiritualità.

Durante la sua lunga attività di parroco, fu nominato cappellano del monastero delle Monache concezioniste di Aranjuez. Qui Nicanor ebbe l’opportunità di incontrare nel 1858 la Serva di Dio Suor Maria de los Dolores y Patrocinio, favorita da doni mistici e nota per aver realizzato la fondazione di vari monasteri con un certo spirito di riforma.

Raccontano le fonti – spiega fra Ulise – che mentre un giorno celebrava la messa all'altare della Beata Vergine d'Olvido, della cui Sacra Immagine Miracolosa era devotissimo, sentì improvvisamente vivo l’impulso ad andare in Terra Santa per dare lì la sua vita. Per sapere se quella era davvero una vocazione autentica, andò a visitare la venerata madre Patrocinio: la risposta fu che 'la sua ispirazione veniva dal Cielo'".

La "conducta de los mártires"

Quando migliorarono le condizioni politiche del paese, fra Nicanor chiese al Commissario della Obra Pía di Madrid di potersi incorporare al Collegio di Priego - dove venivano accolte le vocazioni missionarie per la Terra Santa. Il 25 gennaio 1859 salpò da Valencia con il vapore Barcino, con 14 religiosi tra cui i tre confratelli Nicolás Maria Alberca, Pedro Soler e Juan Jacob Fernández, anch’essi tra i martiri di Damasco. L'imbarcazione, che fu definita “conducta de los mártires”, ovvero “condotta dei martiri”, raggiunse Giaffa il 19 febbraio.

«Pronto a tutto, anche a morire»

In Terra Santa, Fra Nicanor venne destinato al convento di Damasco per studiare l’arabo.

Pochi giorni prima di sacrificare la propria vita il Custode di Terra Santa gli notificava una nuova obbedienza: lasciare Damasco per servire con la sua opera nella parrocchia di San Salvatore a Gerusalemme. Stava per assumere il suo incarico quando in Siria cominciarono i moti contro i cristiani e scoppiò la persecuzione a Damasco.

"La sua 'disponibilità' al martirio ‒ continua fra Ulise ‒ è nota anche da una lettera indirizzata al Custode di Terra Santa, perché decidesse egli stesso per lui. La sua disposizione d’animo era infatti quella di obbedire prontamente al superiore maggiore, essendo pronto a tutto, anche a morire. La risposta del Padre Custode lo invitava ad attenersi a quanto stabilito dal suo superiore diretto, ma a tenersi pronto a partire da Damasco una volta che le condizioni lo avrebbero permesso".

Fra Nicanor si trattenne dunque a Damasco, dove trovò compimento il suo desiderio di martirio, all’età di 46 anni.  "Le fonti e i testimoni raccontano che la notte del 9 luglio 1860 ‒ racconta fra Ulise ‒  quando i persecutori entrarono nel convento gli chiesero di abbracciare la religione musulmana, e lui rispose con fermezza: 'No! Sono cristiano! Se volete potete uccidermi'. Un aguzzino gli conficcò un pugnale al collo e così diede testimonianza della sua fede cristiana".

Ciò avvenne nel corridoio superiore meridionale del convento, dove Dio gli donò la corona del martirio, insieme al suo superiore e ad altri sei religiosi francescani.


Nicolás María Alberca Torres

Sacerdote del Collegio Missionario di Priego (Cuenca), dei Minori Osservanti (1830-1860)

Nato nel 1830 ad Aguilar de la Frontera, Córdoba (Spagna).

Già religioso tra i Fratelli dell’ospedale Jesús Nazareno di Cordoba, fu accolto tra i Frati Minori nel 1856 e ordinato sacerdote nel 1858.

Chiamato alla vita missionaria, giunse in Terra Santa nel 1859 e fu destinato al convento di Damasco per l’apprendimento della lingua araba.


Pedro Nolasco Soler Méndez

Sacerdote del Collegio Missionario di Priego (Cuenca), dei Minori Osservanti (1827-1860)


Nato nel 1827 a Lorca, Murcia (Spagna).

Dopo alcune esperienze lavorative, nel 1856, a 29 anni, fu accolto tra i Frati Minori e fu ordinato sacerdote nel 1857.

L’anno successivo inoltrò richiesta per la missione della Custodia di Terra Santa, dove giunse il 20 febbraio 1859. Destinato al convento di San Paolo a Damasco, vi trascorse poco più di un anno prima di subire il martirio.



Francisco Pinazo Peñalver

Religioso professo della Provincia di San Francesco di Valencia, dei Minori Osservanti (1802-1860)

Nato nel 1802 nel villaggio di El Chopo di Alpuente, Valencia (Spagna).

Fu ammesso al noviziato dei Frati Minori nel 1831. Come fratello laico svolse l’ufficio di sagrestano fino al 1835, anno della soppressione degli ordini religiosi in Spagna. Per poter riabbracciare la vita comunitaria optò per la Custodia di Terra Santa, dove giunse nell’ottobre 1843.

Per circa 17 anni esercitò le mansioni di cuoco e di sarto in vari conventi. Nel convento di Damasco, al momento del martirio fungeva da sacrestano.



Juan Jacob Fernández

Religioso professo della Provincia di San Giacomo di Compostella, dei Minori Osservanti (1808-1860)

Nato nel 1808 nella località di Moire, Ourense (Spagna).

Nel 1831 entrò come fratello laico tra i Frati Minori.

La soppressione degli ordini religiosi, nel 1835, interruppe per alcuni anni la sua esperienza di vita conventuale. Nel 1858 chiese di essere associato alla Custodia Terra Santa. Nel 1859 prese stanza nel convento di Damasco in qualità di cuoco.


https://www.custodia.org/it/verso-il-20-ottobre-la-canonizzazione-dei-martiri-di-damasco


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