di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org
La messa inaugurale dell’Incontro internazionale ‘Osare la pace’ è stata presieduta domenica 26 ottobre 2025 in San Giovanni in Laterano dal cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. La sua omelia ha preso spunto dal Vangelo del giorno, quello della parabola del fariseo e del pubblicano, saliti al tempio per pregare (Lc 18, 9-14)…
Il fariseo, il pubblicano:
Siamo dunque nel tempio, dove due uomini salgono per pregare. Due uomini, due preghiere, due cuori. Uno si presenta con l’orgoglio di chi si ritiene giusto; l’altro con l’umiltà di chi si riconosce peccatore. Il fariseo, pur osservando la Legge, non entra in relazione con Dio. Alza lo sguardo, ma non guarda a Dio: vede solo se stesso. Parla di sé, si confronta con gli altri, giudica. Non è descritto come ipocrita: è sinceramente religioso, e compie persino più di quanto la Legge richieda. Proprio per questo si sente a posto, con la coscienza tranquilla, e si ritiene migliore degli altri. Il pubblicano, invece, si affida. Tiene lo sguardo abbassato, ma è guardato da Dio, a differenza del fariseo. Riconosce il proprio peccato senza giustificarsi, senza difendere la propria condotta. Non minimizza i propri errori, ma si presenta davanti a Dio così com’è, senza maschere. Non cerca scuse, non si paragona, non si assolve da solo. Si limita a dire: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, e così si pone davanti a Dio nella verità. La verità di chi riconosce che solo Dio è giusto, e che nella Sua giustizia accoglie ogni uomo, anche il peccatore. In Dio, misericordia e giustizia sono inseparabili: fare giustizia significa perdonare.
Quanti farisei nel mondo!
L’atteggiamento del fariseo è più diffuso di quanto sembri. È l’atteggiamento di chi confida nella forza, nella superiorità morale, nella presunzione di essere nel giusto. Di chi, di conseguenza, si arroga il diritto di giudicare gli altri e di interpretarli a proprio piacimento: “Ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano” (Lc 18,11). Un atteggiamento che può annidarsi non solo nel cuore delle persone, ma anche in molte istituzioni, noi compresi. Un atteggiamento che, anziché costruire relazioni con Dio e tessere legami giusti con l’uomo, innalza barriere, genera incomprensione, fomenta violenza. Quanta sofferenza si può causare in nome della propria idea di giustizia, imposta e fuori da un contesto di rispetto e di ascolto!
Terra Santa e idea della forza risolutiva:
Penso, in questo momento, alla nostra Terra Santa. Un odio profondo e lacerante ci ha invaso, creando divisioni tra i popoli e all’interno degli stessi popoli. Opinioni legittimamente diverse si trasformano in giudizi taglienti, che feriscono profondamente le relazioni. Come il fariseo, anche oggi molti si ergono a giudici, convinti di essere nel giusto. Ma il Vangelo ci ricorda che non è la forza del nostro giudizio a giustificarci, bensì la verità del nostro cuore davanti a Dio. Domina l’idea che la forza sia condizione necessaria per costruire la pace, che solo con le armi si possa imporre una soluzione giusta ai conflitti, che per fare giustizia sia necessario annientare l’avversario. Eppure, abbiamo visto quali macerie materiali, umane e spirituali tutto questo ha prodotto. Il nostro tempo sembra segnato da conflitti, da ferite aperte, da popoli che si guardano con sospetto o con paura. Ognuno è convinto di essere nel giusto, che ciò che ha fatto e continua a fare sia legittimo, persino necessario. È un circolo vizioso difficile da spezzare. Certo, c’è anche tanto dolore. Una sofferenza autentica, che merita rispetto e ascolto, e che nessuno ha il diritto di minimizzare.
Costruire la pace:
La pace si fonda sulla fede e sulla conversione a Dio. Sullo stare nel modo giusto davanti a Lui, come il pubblicano, non come il fariseo. Quando riconosciamo che senza Dio non possiamo nulla. Se invece costruiamo la convivenza umana solo su modelli esclusivamente umani, sull’idea di potenza e di superiorità, allora costruiamo sulla sabbia. Un edificio che, alla fine, crollerà. Quando l’uomo si fa padrone di se stesso, finisce per rovinarsi. Quando le istituzioni, anziché servire le proprie comunità, si sentono superiori e autosufficienti, generano rovina. La pace non si costruisce con le dichiarazioni, ma con cuori che si lasciano toccare da Dio e dall’altro. (…) La pace non è soltanto una convenzione sociale, un armistizio, una tregua o l’assenza di guerra, frutto di sforzi diplomatici o di equilibri geopolitici, pur necessari. La pace è riconoscere la verità e la dignità di ogni uomo, è saper vedere nell’altro il volto di Dio. Quando il volto dell’altro si dissolve, svanisce anche il volto di Dio, e con esso la possibilità di una pace autentica. Nessuno è un’isola: distruggere il volto dell’altro significa dissolvere anche il proprio.
Parole esigenti e i pubblicani di oggi:
La pace è frutto di giustizia, di verità, di misericordia. È il volto di Dio che si riflette nei nostri volti, quando ci lasciamo riconciliare con Lui e tra di noi. Misericordia, giustizia, verità, pace: parole centrali nella vita del mondo, ma che possono sembrare lontane dall’esperienza concreta di tanti popoli. Parole esigenti, che in Terra Santa – da dove provengo – suscitano talvolta persino fastidio. Perché appaiono come slogan, parole vuote, distanti dalla realtà di chi è schiacciato da conflitti atavici. Eppure, la testimonianza di persone coraggiose – i pubblicani di oggi – anche nel dramma del nostro tempo, ha restituito concretezza e verità a queste parole. È la testimonianza di chi sa battersi il petto (Lc 18,13), riconoscersi bisognoso di misericordia, e perciò capace di offrirla; di chinarsi sulle ferite altrui; di scorgere negli altri il volto di Dio. Giovani che il 7 ottobre hanno perso gran parte della loro famiglia e oggi dedicano il loro tempo ad aiutare altre famiglie devastate da quel giorno. Altri che, sotto le bombe, offrono protezione. Famiglie affamate che condividono il poco che hanno a chi ha perduto proprio tutto. Giovani che rischiano la vita per soccorrere feriti e malati. Madri che si uniscono per prendersi cura dei bambini rimasti soli. Insegnanti senza scuola che non rinunciano a cercare i loro alunni per continuare a istruirli. E tanti altri ancora. Abbiamo bisogno di questi testimoni. (…) Saranno loro a ricostruire nuovi modelli di convivenza dalle macerie di questo tempo.
Nessun commento:
Posta un commento
Invia alla redazione il tuo commento. Lo vaglieremo per la sua pubblicazione. Grazie
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.