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domenica 6 dicembre 2020

Siria, il decimo Natale senza pace

Nella dimenticata Siria da dieci anni di terrorismo, di guerra e ora di fame a causa delle sanzioni imposte dagli Usa. 

L’articolo si riferisce alla zona dove prima della guerra vivevano 1200 famiglie cristiane, mentre ora ne sono rimaste solo 300: la cancellazione della presenza cristiana in Siria è uno degli obiettivi degli amici degli Usa nel Vicino Oriente. 

Maurizio Blondet , 5 dicembre 2020

Idlib, noi prigionieri nella roccaforte dell’Isis 

Si parla poco oggi della Siria, siamo lontano dai riflettori. Direi che siamo messi ai margini. Per chi come noi vive nella provincia di ldlib, la situazione è ormai la stessa da tempo: tutte le strade sono completamente chiuse, non si passa né verso la parte controllata dalle forze siriane né verso la Turchia. Siamo come naufraghi su un’isola. 
Da una parte è un male, dall’altra è un bene. È un male, perché non abbiamo letteralmente più nulla. La vita è carissima e la gente è alla fame: per vivere una famiglia avrebbe bisogno almeno di 600 dollari al mese, ma un capofamiglia arriva a guadagnarne appena 30. Così è aumentata la criminalità: moltissimi rubano per necessità e per fame. L’unica possibilità di sussistenza è legata al lavoro agricolo, ma le campagne sono insicure perché vengono bombardate o si rischiano incursioni da parte delle milizie islamiche che controllano la regione. Tutto si compra e si vende al mercato nero.
La tregua decisa da turchi e russi lo scorso 5 marzo, per favorire il ritorno degli sfollati, tiene, anche se ogni giorno ci sono violazioni, sia da parte dei combattenti jihadisti che non vogliono la pace e che boicottano la riapertura della vicina autostrada M4, sia da parte delle forze governative e russe.

Oggi nella provincia di Idlib resta a malapena un milione persone, molto meno della metà dei suoi abitanti, perché 2 milioni sono fuggiti in Turchia. Chi è rimasto vive giorno per giorno, senza pensare al futuro, perché il futuro è un’ipotesi.
Resta forte la presenza dei ribelli jihadisti anti-Assad, che, cacciati dalle altre zone del Paese riconquistate dall’esercito regolare, si sono rifugiati qui. Chi di loro lascia il territorio lo fa per andare a combattere da mercenario, ad esempio in Libia o nello Yemen, o per ingrossare le fila dei combattenti islamici nelle regioni russe del Caucaso. Altri ancora entrano in una sorta di milizia che lo Stato islamico sta formando con le risorse fornite da Qatar e Turchia. Il territorio continua a essere pattugliato dai combattenti che arrivano quando meno te lo aspetti. Non hanno basi riconoscibili, per paura di essere bombardati dall’aviazione russa. Hanno scavato rifugi sotterranei o si servono di grotte per celare la loro presenza e i loro arsenali.
Nessuno in realtà sa dove siano! 

L’aspetto sanitario, paradossalmente, è quello meno preoccupante rispetto al resto della Siria. La chiusura totale della provincia di ldlib, il blocco delle strade, ha impedito finora il propagarsi del Covid-19, se non in qualche sporadico caso subito isolato.Non abbiamo smesso di celebrare, le chiese sono aperte… Non abbiamo chiusa neanche una porta.

l cristiani della valle dell’Oronte, nelle nostre residue comunità cristiane, vivono quasi solamente degli aiuti esterni. Cerchiamo di provvedere ai più poveri soprattutto con aiuti alimentari che acquistiamo attraverso le donazioni che arrivano dalla Custodia e dai benefattori. La vera sfida oggi è tenere unite le famiglie, custodire chi è rimasto e garantire la trasmissione della fede in un contesto fortemente islamizzato.

Nei villaggi della valle dell’Oronte sono rimaste circa 300 famiglie cristiane, con una trentina di ragazzi in età scolare. La dimensione della tragedia sta tutta in questi numeri: prima della guerra la comunità cristiana delle nostre tre parrocchie contava oltre 1.200 nuclei familiari.

fra Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa in Siria

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