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lunedì 28 settembre 2020

Voci dalla Siria

Aleppo, 21 settembre 2020. (Foto di Pierre le Corf)

di Maria Antonietta Carta

Damasco, 26 settembre 2020. Pierre le Corf, un umanitario francese che da molti anni condivide la vita e i patimenti della popolazione siriana, scrive: ‘’La vita qui si svolge tra guerra e sanzioni economiche, crimine contro l’umanità. Se riuscite a sopportare ciò senza che il vostro cuore tremi, proseguite per la vostra strada; altrimenti, considerate chi paga il prezzo di questa partita mortale su grande scala contro un Paese e la sua gente e tenete il cuore aperto’’.

Latakia, 18 settembre 2020. Rami Makhoul scrive: ‘’Che sapore ha la vita se non resta più spazio per la speranza? Tutto il popolo siriano è sotto la soglia di povertà e la nostra esistenza è diventata un inferno insopportabile? Questo non è veritiero del tutto. Non rispecchia puntualmente la realtà dei fatti.

In Siria oggi, esiste uno strato della popolazione che è riuscita, in breve tempo, a creare enormi ricchezze con la forza, con l'influenza e con il potere del denaro: corrotti, opportunisti, ladri e trafficanti della crisi. Essi sono riusciti a raddoppiare il loro denaro. Il meno che si possa dire è che sono percorsi illegali. Ma la domanda più importante che si pone è: Quale soluzione per affrontare questa condizione anomala e difficile che stiamo vivendo? Emigrare può essere la soluzione?

Un buon numero di Siriani ha bussato alle porte dell'emigrazione. Hanno chiesto asilo ​​in Paesi lontani. Estranei. Alcuni di loro sono riusciti a ottenerlo, ma la stragrande maggioranza non ha acquistato un'identità alternativa a quella originaria.

Sono ancora disponibili opportunità di lavoro all'estero, soprattutto in Libano, Iraq o Paesi del Golfo? Purtroppo, le opportunità sono diventate quasi inesistenti a causa delle battute d'arresto subite dalle economie di questi Paesi come effetto collaterale della pandemia, che ha provocato un crollo clamoroso dei sistemi economici tradizionali.

Ci sono altre soluzioni a cui ricorrere oltre a emigrare e lavorare all'estero? Purtroppo, non ci resta che cercare di rimanere in vita e affrontare le grinfie della fame... oppure rassegnarci e morire sconfitti. La sofferenza è indescrivibile. Enorme quasi per tutti. Molti di noi si rimproverano per non aver ceduto alla scelta di partire nel momento in cui le condizioni per l’emigrazione erano favorevoli, ma nessuno merita di essere biasimato per aver scelto di vivere nel proprio Paese come alternativa naturale all’emigrazione. Il senso di appartenenza alla patria è non soltanto istintivo, ma anche ragionevole per ogni essere umano ovunque si trovi.

Smettete di incolpare voi stessi per avere voluto aggrapparvi alla vostra identità ed essere rimasti fedeli alla memoria e ai vostri cari. E per avere rinunciato all’esodo nonostante l'amplitudine delle sofferenze e le difficoltà immani.

Si sa che niente dura per sempre, che tutto muta e che nella nostra terra natale c’è davvero qualcosa per cui resistere e vivere. Stiamo tutti in attesa della liberazione affinché la nostra esistenza migliori, ma anche per ritrovare il diritto di fare i conti con i corrotti e i negligenti. Insomma, perché la ruota della vita torni a girare normalmente. Questa nostra vita che perde gusto e colore, se non concediamo spazio alla speranza del rinnovamento e del ritorno ai bei vecchi tempi. A come eravamo.’’

Rami, che è stato per molto tempo il dentista della nostra famiglia ed era un ragazzino quando arrivai in Siria nel 1978, alla vigilia del primo embargo contro il Paese, ha vissuto 40 anni di sanzioni. Quasi la sua vita intera. La madre, Nawal, era una donna gentile e sensibile, ma aveva anche una grande forza d’animo. Però nel 2011, quando per le strade di Latakia si cominciarono a udire voci che gridavano: i cristiani a Beirut e gli Alawiti nelle tombe, lei ormai vecchia e fragile si spaventò molto perché è cristiana. Eppure, ha resistito. Madre e figlio hanno resistito con quella tempra morale che ammiro e mi commuove nei Siriani che da quasi dieci anni stanno subendo una persecuzione efferata soltanto perché resistono.

Latakia, 24 settembre 2020.
Taxi in attesa da un benzinaio.
(Foto di اللاذقية الآن)

Latakia, 23 settembre 2020. Lilly Martin Sahiounie, Statunitense sposata con un Siriano, che ha sofferto questi lunghi anni di guerra a Latakia, scrive: ‘’In Siria stiamo vivendo una grave carenza di benzina perché le forze armate statunitensi hanno confiscato tutto il petrolio dei due più grandi pozzi petroliferi. Attendiamo dall’estero l’arrivo di due petroliere, ma c'è la possibilità che siano bloccate prima di giungere in porto. Nel frattempo, anziani e malati che hanno bisogno di un mezzo di trasporto per andare dal medico o per altri motivi urgenti, sono quelli che soffrono maggiormente. Un'altra sanzione degli Stati Uniti che rende la vita in Siria un amaro cammino che a molti sembra senza speranza. La cosa triste è che la Siria è così bella e piena di persone adorabili: cordiali e generose. Perché il governo americano dovrebbe pensare che far soffrire i Siriani sia una buona cosa? Riponiamo la fede in Dio e speriamo in giorni migliori senza truppe americane di occupazione che rubano il petrolio.’’

Latakia, 24 settembre 2020, Code di auto, in attesa di poter raggiungere un distributore, ai lati della lunga via 8 Marzo e che proseguono nelle vie circostanti. (Foto Milagros de la Fuente)


Latakia, 25 settembre 2020. Milagros de la Fuente
, spagnola da oltre quaranta anni in Siria e anche lei vittima di questa guerra maligna. Ieri, mi ha inviato foto e cronaca delle code, lunghe perlomeno cinque chilometri, che da giorni ingorgano le vie della città in attesa di qualche litro di carburante. Il che significa migliaia di tassisti e camionisti fermi, lunghi spostamenti a piedi per recarsi a scuola e al lavoro, vecchi e ammalati che non possono andare dal medico… 

Poi al telefono mi ha detto: "Non puoi immaginare quanto costi un chilogrammo di carne di agnello: venti mila lire‘’ (più di un terzo di uno stipendio medio mensile). E siccome, nonostante una quotidianità a ostacoli per l’endemica mancanza di elettricità, di acqua, gas, 44 gradi all’ombra senza poter usare uno straccio di ventilatore e tante altre difficoltà riesce ancora a conservare la sua bella ironia, ha aggiunto: ‘’ Se non ci uccideranno le bombe moriremo tutti vegetariani! Anzi no, moriremo tutti per digiuno. Ricordi quanto costavano a ottobre prima della guerra i pomodori per la salsa?’’ 20, 30 lire, le ho detto. ‘’ Ecco, oggi costano 600 lire al chilo. Non smetteranno di farci la guerra prima di sterminarci tutti‘’. Ridiamo, come siamo sempre solite fare quando non ci va di farci schiacciare dalla vita, ma la sua voce è stanca e io provo una tristezza infinita.

Latakia, 22 ottobre 2019. Rimasto senza lavoro, per sopravvivere va alla ricerca e vende interruttori e fili elettrici vecchi. Una delle innumerevoli vittime della ‘’guerra umanitaria’’ che commina sanzioni mentre saccheggia le ricchezze della Siria. (Foto, M.A.Carta)

Quaranta anni di sanzioni per assoggettare la Siria

Torno ancora sul tema delle sanzioni, perché mi è impossibile non continuare a denunciare questa subdola arma di distruzione di massa che trova il suo compimento più atroce nelle rinnovate sanzioni europee contro una popolazione ormai allo stremo e sul cinicamente denominato ‘’Caesar Syria Civilian Protection Act’’: un vero e proprio strumento genocidiale che, se non sarà sospeso, sottoporrà al supplizio un intero popolo civile e valoroso.

Durante il mio viaggio a Latakia dell’autunno scorso, ho potuto constatare ancora una volta quanto i Siriani siano provati e straziati da questa persecuzione spietata e senza tregua che dura da oltre quarant’anni. Sì, perché la persecuzione economica contro la Siria non è iniziata con la guerra che attualmente la sta devastando.

Quando vi giunsi per la prima volta nel 1978, in un bel giorno di fine estate, la Siria era un cantiere in piena attività: si costruivano edifici residenziali (in parte destinati a militari reduci della guerra del 1973 o alle famiglie di chi in guerra era morto), scuole anche nei villaggi più sperduti, ospedali e Università. Poi, di repente, nel 1979 arrivò l’embargo, decretato dagli Stati Uniti e messo in pratica da tutti i suoi ‘’alleati’’ per punire la Siria che stava dalla parte dell’Iran, Paese aggredito, nella guerra con l’Iraq, Paese aggressore. Fu così che cominciai a imparare quali terribili conseguenze genera l’impiego delle sanzioni: un ricatto ignobile con gli stessi effetti deleteri dell’assedio medievale. L’embargo significò allora traffici commerciali bloccati anche per le enormi quantità di derrate di ogni genere che attraverso le vie terrestri e marittime giungevano a Latakia o ad Aleppo, destinate non soltanto al mercato locale ma a vari Paesi mediorientali. La prima conseguenza fu l’improvvisa perdita del lavoro per centinaia di migliaia di persone: impiegati, marittimi, portuali, camionisti, commercianti, artigiani, che prima conducevano un’esistenza dignitosa. Quindi fame, mancanza di tutti i prodotti essenziali di importazione dall’aspirina ai farmaci salvavita (non esistevano ancora fabbriche farmaceutiche locali), ai macchinari di ogni genere, al ferro per l’edilizia etc. etc. E ci fu una crescita aberrante della corruzione e del malaffare. Aumentarono povertà e privazioni contemporaneamente alla ricchezza scandalosa di affaristi senza scrupoli, autoctoni e internazionali in perfetta combutta, che si trasformarono purtroppo in imprescindibili procacciatori di tutti i beni indispensabili. Proprio come accade oggi. Perché quando a un intero Paese con scarsa autosufficienza di alcune materie prime e di industrie si impedisce l’attività commerciale lecita esso diventa ostaggio e vittima dell’illegalità.

E' difficile immaginare il numero di mutilati o morti per la mancanza di antibiotici, ma persino di sostitutivi del latte materno o di glucosio! o a causa di tante altre privazioni. Io, che ho vissuto in Siria per oltre trent’anni, so. I miei ricordi, indelebili e tremendi, sugli effetti nefasti delle sanzioni sono così tanti che servirebbero ore e ore per rievocarli tutti. Ho visto troppi sventurati patirne le conseguenze, perciò al solo sentirle menzionare provo sempre un dolore profondo. E rabbia, perché le sanzioni sono uno strumento irragionevole, spregevole, disumano.

Anche quelle dal 2006 fino al 2012 causarono danni molto gravi.  La Siria attraversava una difficile crisi a causa di una lunga siccità e per un conseguente aumento del proletariato urbano. Inoltre, doveva affrontare un aggiuntivo costo economico e sociale dovuto alle centinaia di migliaia di rifugiati iracheni, dopo la seconda guerra del Golfo, e di quelli libanesi in seguito alla seconda guerra israelo-libanese del 2006; perché è da sempre accogliente: con gli Armeni perseguitati dai Turchi, con i Palestinesi, con i vicini Libanesi, persino con gli Italiani durante la Seconda guerra mondiale e con tanti altri.

Il motivo pretestuoso fu: dare una risposta alla "minaccia inusuale e straordinaria del governo siriano agli interessi economici, di sicurezza nazionale e di politica estera degli Stati Uniti’’ (sic!). Sinceramente: vi sembra davvero credibile che un Paese più piccolo dell’Italia e con poco più di venti milioni di abitanti potesse costituire una così terribile minaccia per la prima potenza mondiale? Di certo, posso dire che dopo aver demolito l’Iraq si apprestavano a ripetere gli stessi crimini scellerati. Insomma, sanzioni propedeutiche all’inizio del caos in Siria. Ancora di più, molto di più, sono ferali oggi che questo infelice popolo è stanco, anzi stremato e dilaniato da un conflitto brutale che dura da oltre nove anni. Il costo della vita diventa proibitivo anche per chi prima era benestante, perché l’economia di un intero Paese è condannata. Una condanna iniqua contro vecchi, bambini, malati, mutilati, uomini e donne incolpevoli, con la giustificazione paradossale di ‘’misure umanitarie’’. 

Maria Antonietta Carta

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