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mercoledì 20 marzo 2019

Il futuro della Siria senza l'Occidente

Siria: di Nizar Ali Badr
Questo articolo non è scritto da un «diabolico» commentatore russo putiniano o da un «fanatico propagandista» iraniano o da un «fiancheggiatore» degli Hezbollah o da un «acritico» baathista siriano - come magari potrebbe sembrare a un ipotetico lettore abituato ad abbeverarsi alle fonti dell’informazione mainstream che continuano a propinare la lettura degli accadimenti secondo una visione del mondo diremmo… parziale? - No. È di un giornalista e scrittore francese, attento e profondo conoscitore della questione mediorientale nel nostro tempo. 
Perciò, mi è sembrato che meritasse di essere tradotto e proposto alla vostra attenzione e riflessione. Devo dire però che io, a differenza dell’autore dell’articolo, non sono altrettanto ottimista sia sulla ‘’collaborazione’’ delle YPG sia sulle buone intenzioni della Turchia da una parte e sulla volontà di ritirarsi degli USA dall’altra.
 Richard Labévière è giornalista e consulente internazionale oltre che autore di quindici libri, tra cui: Les Dollars de la terreur - Les Etats-Unis et les islamistes (Grasset, 1998), e La Tuerie d'Ehden ou la malédiction des Arabes chrétiens (Fayard, 2009), [sul conflitto inter-cristiano, tra i falangisti alleati con Israele e gli Arabi cristiani che rivendicavano la loro piena appartenenza al mondo arabo. Trent'anni dopo, il generale Aoun e Sleiman Frangieh incarnano il futuro degli Arabi cristiani, e la loro lotta rappresenta una negazione del cosiddetto «Scontro di civiltà» tra l'Occidente e l'Oriente]. 
 Labévière ha appena pubblicato un libro sulla Siria, coautore Talal el Atrache, dal titolo: Quand la Syrie s'éveillera, ed. Perrin: dalla nascita del nazionalismo arabo e dalla creazione di Israele alle conseguenze della caduta di Baghdad nel 2003. Gli autori raccontano anche come l'assassinio del Primo ministro libanese Rafic Hariri abbia favorito un tentativo di rovesciare il governo siriano e di come la «guerra globale al terrorismo» abbia contribuito al caos globale. Essi inoltre sostengono che, nonostante questi anni bui, la Siria «è tornata ad essere innegabilmente il Paese chiave del Medio Oriente».
  Maria Antonietta Carta

IL FUTURO DELLA SIRIA SENZA L'OCCIDENTE

di Richard Labévière 

 Ci sono crisi difficili da comprendere a causa delle loro radici profonde, delle loro ramificazioni complesse, delle evoluzioni imprevedibili e delle analisi spesso deliranti. È così per i il conflitto arabo-israeliano, le guerre balcaniche o i genocidi ruandesi: tutti eventi diventati totemici e oggetto di culti irrazionali. Sotto questa angolazione teologico-politica, la Siria occupa un posto speciale perché al tempo stesso risveglia tre demoni insubordinabili: quello delle scorie coloniali e risentimenti del mandato francese della Società delle Nazioni (SDN); quello dell'antisovietismo durante la Guerra Fredda; e quello del buon Curdo, maronita, Kosovaro, Bosniaco, Cabilo, Tuareg o Papuano…

I TRE DEMONI
 Il primo demone resta profondamente radicato nella memoria della nostra diplomazia, che continua a ripete gli stessi errori commessi durante la rivolta del Gebel druso (1). Proclamando in perfetta sintonia con David Cameron e Barack Obama, dall’estate 2011, che «Assad deve lasciare il potere», Nicolas Sarkozy e Alain Juppé prendevano la decisione assolutamente incomprensibile di chiudere l'ambasciata di Francia a Damasco, nel marzo 2012. Figuriamoci se si dovessero chiudere tutte le cancellerie situate in Paesi con cui la Francia avesse delle divergenze! È quando una relazione bilaterale diventa tesa che i diplomatici possono, in linea di principio dare la piena misura della loro competenza; per non parlare dei servizi speciali che sono lì proprio per esplorare le possibilità di dialogo.
 Il secondo demone, ancora più grottesco, risveglia i numerosi cliché polimorfi e permanenti dell’anti-comunismo mondiale nato dopo la rivoluzione sovietica del 1917; e che la caduta del muro di Berlino ha ravvivato attraverso molteplici personaggi sempre pronti a dipingere la Russia come male assoluto, subdolo e vendicativo. In questa prospettiva, Putin può essere solo la reincarnazione di Ivan il Terribile o di Felix Dzerzhinsky, fondatore della Ceka, antesignana del KGB e FSB. Per chiarire trucchi, programmi e dichiarazioni, si dovrebbe leggere o rileggere con grande attenzione l’opera di Guy Mettan (2): Russie – Occident, une guerre de mille ans. In quest’ottica, il capo della diplomazia francese Jean-Yves Le Chouchen non perde mai l'occasione di ricordare che, insieme al terrorismo, la Russia rimane il primo Paese che minaccia la Francia! E quando si ha l'ardire di chiedere più specificamente come e perché, i piccoli marchesi del Quai d'Orsay sollevano lo sguardo verso il cielo, indignati con chi ha osato rivolgergli una domanda del genere.
 Cugino del primo demone coloniale, l'ultimo moltiplica le iniziative per scongiurare la pretesa di poter accedere all'autodeterminazione nazionale e ai suoi principi di indipendenza e sovranità. Fa scontrare i Cabili contro gli Arabi, i maroniti contro i musulmani, i Kosovari e i Bosniaci contro i Serbi, i Tuareg contro i Pirogue e così via. In conformità alla locuzione latina divide et impera, cerca di sfruttare le minoranze etniche e religiose. Proprio come David Ben-Gurion aveva raccomandato di fare contro i Popoli arabi affinché regredissero allo stadio di tribù primitive per il massimo beneficio del giovane Stato di Israele.
 Questa volontà di frammentazione tribale fu persino teorizzata da un funzionario del Ministero degli Affari Esteri israeliano - Oded Yinon - nel febbraio 1982. Secondo il diligente funzionario, l'interesse di Tel Aviv consisterebbe nel promuovere la creazione, all’interno del mondo arabo, di micro-Stati antagonisti troppo deboli e troppo divisi per opporglisi efficacemente: «La disgregazione della Siria e dell'Iraq in regioni individuate in base a criteri etnici o religiosi deve essere, a lungo termine, obiettivo prioritario per Israele. Il primo passo è la distruzione del potere militare di questi Stati (...). Ricco di petrolio e tormentato dalle lotte intestine, l'Iraq è nella linea di fuoco israeliana. La sua dissoluzione sarebbe più importante per noi di quella della Siria, perché è quello che rappresenta, a breve termine, la minaccia più seria per Israele».
 In questa prospettiva, i Curdi sono stati innalzati a eroi nella lotta contro Dae'sh e altre fazioni terroristiche, mentre le spie israeliane armavano e informavano gli stessi gruppi terroristici, evacuando e curando i loro feriti, in particolare sulle alture del Golan e nel nord del Libano!

L'ALIBI DELLA LOTTA CONTRO IL TERRORE
 Certamente, questi poveri Curdi sono stati, più spesso che no, i cornuti della storia. Alla fine della prima guerra mondiale, inclusa nei vari trattati sulla gestione dello smantellamento dell'Impero ottomano, la promessa di uno Stato curdo indipendente fu sostenuta dalla totalità delle potenze occidentali. Ma la ripartizione - nella regola petrolifera dei nuovi Stati del Medio Oriente – rese la promessa perfettamente impossibile da mantenere, nonostante i Curdi abbiano continuato a rincorrere questa chimera molto utile.
 In effetti, Tel Aviv aveva capito molto rapidamente tutta la convenienza di questa «ingiustizia storica». Indipendentemente dai legami di parentela molto ipotetici tra il Popolo curdo e la «tredicesima tribù» di Israele, i servizi speciali ebraici si insediarono - a partire dagli anni '50 - nel Kurdistan iracheno con un duplice obiettivo: promuovere la frammentazione dell’Iraq in conformità al piano di Oded Yinon e destabilizzare il vicino Iran armando il PEJAK, la milizia kurda del Kurdistan Iraniano, nella regione di confine di Kermanshah.
 Ma il meglio sarebbe arrivato con la proclamazione del Califfato di Dae’sh, il 29 giugno 2014! Mentre favorivano i vari gruppi armati che cercavano di rovesciare il «regime di Bashar al-Assad», come continua a sostenere la stampa occidentale dall'estate del 2011, Tel Aviv, Washington, Londra, Parigi e le monarchie petrolifere del Golfo non cessavano di utilizzare la milizia curda per condurre la guerra contro il terrore! Una gran storia ...
 Durante la sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del settembre 2015, Vladimir Putin propose agli Occidentali di formare un'unica coalizione per combattere il terrorismo, ma essi opposero un rifiuto stizzito. Il motivo è evidente. Dall'agosto 2015, gli Stati Uniti avevano assunto il comando di una coalizione «anti-terroristica», ufficialmente incaricata di combattere Dae'sh. Quando il presidente russo fece il punto, bisognava riconoscere che questa armata aveva fallito completamente, anzi per meglio dire era servita a sostenere e armare le fazioni terroristiche che avrebbe dovuto combattere per indirizzarle contro l’Esercito governativo siriano e le autorità legali del Paese!
 Dall'autunno del 2015, l'esercito russo interviene in Siria su richiesta del governo siriano, mentre i servizi speciali americani, britannici e francesi (fuori da ogni principio di legalità internazionale) vi agivano dall'estate 2011! Molto prima di adornarsi con le penne di pavone della lotta contro il terrorismo, le potenze occidentali avevano già deciso di fare della Siria quello che avevano fatto dell'Iraq e della Libia: uno Stato-Nazione imploso, frammentato se non eliminato completamente dalla mappa e sostituito con un’accozzaglia di comunità, fazioni armate e gruppi mafiosi utili per una rinnovata tribalizzazione estesa all’intera Mezzaluna fertile.
 In questo contesto, - stiamo parlando del fatto che si cerca di distruggere la Siria e impiantare un regime al soldo degli Occidentali, di Israele e dei Paesi del Golfo - i Curdi sono diventati alleati di primo piano, a cui forze speciali americane, britanniche e francesi consegnano armi, sistemi di comunicazione, intelligence e supporto logistico in nome della sacrosanta lotta contro il terrorismo. Ma senza fare i conti con le buffonate di Donald Trump che non vuole vedere il suo Paese giocare ai gendarmi del mondo a fondo perduto. E l'inquilino imprevedibile della Casa Bianca annuncia – lo aveva esplicitamente scritto nel suo programma elettorale - il ritiro delle forze speciali statunitensi dalla Siria (3). Catastrofe per Londra e Parigi che si ritrovano da sole a interferire in Siria contro ogni legge internazionale!
 Con un'ingenuità da non credere, se non con sicura stupidità, Le Figaro del 3 gennaio riprende l'antifona, combinando contemporaneamente Fake News, propaganda e moralismo: «Come mantenere la pressione contro Dae'sh, stanare i jihadisti francesi e minacciare il regime quando lancia attacchi chimici senza il supporto degli Americani?» Sugli «attacchi chimici», consiglio vivamente di leggere e ascoltare le ultime interviste al diplomatico brasiliano José Bustani, che è stato il primo direttore generale dell'OPCW (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche), estromesso nel 2002 da Washington. I «giornalisti» di Le Figaro conoscono almeno il suo nome?
 E il quotidiano di Dassault continua: «Come difendere i valori democratici di fronte all’intensificarsi dell'autoritarismo e alla crescente influenza di potenze considerate destabilizzanti - Iran, Russia, Turchia - che in Medio Oriente si insinuano nel vuoto lasciato dalla partenza americana?» Chi pensa che Iran, Russia e Turchia siano «potenze destabilizzanti» mentre difendono logicamente i loro interessi nella regione? Certo, dalla fine della Guerra Fredda chi potrebbe decidere che i Paesi occidentali sono coinvolti in intrighi, se non in guerre «destabilizzanti?»
 Sotto forma di ode macroniana, la conclusione è ancora più patetica: «Da solo non poteva cambiare il sistema. L'Europa sarà in grado di trovare energia e risorse sufficienti per prendere in mano la sua difesa, trasformarsi in potenza e compensare l'indebolimento del legame transatlantico»? Europa: quante divisioni? Un'altra domanda è necessaria: quando i giornalisti parigini troveranno l'intelligenza e la forza per fare correttamente il loro lavoro?

LA SVOLTA DI ALEPPO
 In seguito all'appello dei Curdi delle Unità di protezione del popolo (YPG), che chiedevano a Damasco di andare a proteggerli dai Turchi di Manbij, il comando dell'esercito siriano ha annunciato il suo ingresso nella regione. Le forze governative siriane lo scorso venerdì 4 gennaio hanno formalizzato il loro ingresso in questa città cruciale del nord della Siria (con le località curde di Kobane e Hasakeh), finora sotto controllo curdo. La bandiera siriana è stata issata in città e l'esercito ha dichiarato di «garantire la sicurezza dei cittadini siriani e di tutte le altre persone presenti a Manbij».
 All'inizio della giornata, le milizie curde YPG hanno esortato le forze siriane a prendere posizione per evitare un'offensiva da parte dell'esercito turco. La milizia curda, che Ankara considera un movimento terroristico strettamente legato al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), assicura che i suoi membri hanno lasciato la città per combattere Dae'sh nell'est del Paese. Da parte sua, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha descritto l'annuncio dell'ingresso dell'esercito siriano a Manbij come «impatto psicologico». «Per il momento, la situazione non presenta uno sviluppo serio e concreto», ha riportato il quotidiano Hürriyet.
 Quest'ultima riconquista dell'esercito governativo siriano è una buona notizia per diverse ragioni: essendo coperta da Mosca, esclude la possibilità di un intervento turco; completa il ripristino della sovranità siriana su quasi tutto il suo territorio storico; infine, incoraggia i Curdi a riprendere i negoziati con il governo di Damasco, interrotti nel 2013.
 Altri tre avvenimenti importanti rafforzano Damasco: il primo ministro iracheno Adel Abdel Mahdi ha annunciato il 30 dicembre scorso, che alti funzionari della sicurezza a Baghdad avevano incontrato il presidente siriano Bashar al-Assad a Damasco. Il loro incontro ha portato ad un accordo di cooperazione militare nella lotta contro l'organizzazione Stato Islamico / Dae'sh con il ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno deciso di riaprire la loro ambasciata a Damasco, evento foriero di una possibile normalizzazione dei rapporti con gli altri Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, il primo dei quali Arabia Saudita. Infine, colloqui di pace in Siria con i presidenti di Russia, Iran e Turchia sono previsti per l'inizio del 2019. «È il nostro turno di ospitare il summit dei tre Paesi garanti con il presidente turco, quello iraniano e la Siria. Concordando che avrebbe avuto luogo intorno alla prima settimana dell'anno. Ciò dipenderà dall'ordine del giorno dei presidenti», dichiarava il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov citando Interfax. Il vertice fa parte del processo di pace di Astana, che dal gennaio 2017 ha riunito rappresentanti di Damasco e una delegazione dell’opposizione, senza il coinvolgimento di Washington. È guidato da Russia, Iran e Turchia.
 Capitale per il futuro della Siria e del Medio Oriente, il vertice di Mosca si riunirà senza l'Occidente, secondo un formato predisposto durante la battaglia di Aleppo, vale a dire una base tripartita tra Russia, Turchia e Iran, potenze regionali «considerate destabilizzanti» dagli oracoli di Le Figaro. Non sorprende che questa evoluzione sia descritta in modo particolareggiato nel libro magistrale del diplomatico russo Maria Khodynskaya-Golenishcheva (4). Più intelligenti di quelli di tutto il mondo, i giornalisti parigini e i diplomatici francesi hanno davvero bisogno di leggere libri simili?
 Se gli avessero dato uno sguardo, avrebbero potuto anticipare più o meno quello che significa «La svolta di Aleppo» e quali soggetti avrebbero gestito la ricostruzione politica ed economica della Siria. Avrebbero anche capito come e perché la Francia si era estromessa dai giochi in Siria e nell’insieme della Regione, perdendo una dopo l’altra le sue posizioni tradizionali in Medio Oriente. Disastrosa per il nostro Paese, questa prevedibile evoluzione - che prochetmoyen-orient.ch cerca di spiegare da diversi anni – è arrivata persino a preoccupare il quotidiano Le Monde, lo stesso Le Monde che da Marzo 2011 alimenta una campagna anti-siriana assolutamente delirante.

 Fedele servitore della doxa fabiusiana - «I ragazzi di al-Nusra (al-Qaeda in Siria) fanno un buon lavoro» e «Bashar non ha il diritto di esistere» - Marc Sémo di Le Monde, guarda caso, ha appena scoperto - oh miracolo! - che «nel dossier siriano la Francia è ... isolata». Meglio tardi che mai, anche se almeno da quando gli sviluppi sul terreno contraddicevano appieno le sue analisi ideologiche, Le Monde avrebbe potuto non solo fare il mea culpa, ma provare a ritrovare l’essenza della sua attività, informando i suoi lettori invece di fargli il lavaggio del cervello con frasi moralistiche, ideologiche e false.
 Una cosa è certa: come recentemente hanno confermato diversi leader siriani di altissimo livello, la ricostruzione politica ed economica della Siria si farà senza la Francia. "Prima di vedere una compagnia francese tornare in Siria, le autorità di questo Paese faranno appello a qualsiasi altro partner, anche americano", si lamenta un alto diplomatico francese inviato nella regione, «Il governo di Damasco - in qualunque situazione - farà pagare caramente, molto caramente, al nostro Paese e per molto tempo la sua politica, dal 2011 la più anti-siriana tra i Paesi occidentali». Ancora una volta, il Quai d'Orsay avrà privilegiato non si sa quali interessi, ma non certo quelli della Francia eterna.

 Richard Labévière, 7 gennaio 2019
   Trad. Maria Antonietta Carta
1) La rivolta drusa del 1925-1927, più tardi chiamata Rivoluzione siriana o rivoluzione nazionale, in arabo (الثورة السورية الكبرى, alththawrat alssuriat alkubraa), è stata la più importante rivolta contro il potere francese in Siria. Scoppiò nel Gebel druso per poi propagarsi verso Damasco, il Golan, il Qalamun, Hama e nel Sud-Est del Libano. A capo dell’insurrezione, il capo druso Sultano al-Atrash.
2) Guy Mettan, Russie – Occident, une guerre de mille ans – La russophobie de Charlemagne à la crise ukrainienne. Editions des Syrtes, maggio 2015.
3) Siria: La saggia decisione di Donald Trump, prochetmoyen-orient.ch, 24 dicembre 2018.
4) Maria Khodynskaya-Golenishcheva : Alep, la guerre et la diplomatie. Editions Pierre-Guillaume de Roux, ottobre 2017.

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