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lunedì 30 luglio 2018

Il Patriarcato Latino pubblica una dichiarazione sulla nuova legge di Israele, “Stato-Nazione”

La recente promulgazione della Legge Fondamentale (Basic Law) che dichiara “Israele Stato –Nazione del Popolo Ebraico” è causa di grande preoccupazione. Promulgata in apparenza per motivi politici interni, mentre definisce Israele come lo Stato-nazionale del popolo ebraico, non offre nessuna garanzia costituzionale per i diritti degli autoctoni e delle altre minoranze che vivono nel Paese. I cittadini palestinesi di Israele, che costituiscono il 20% della popolazione, restano totalmente ignorati da questa legge.
È inconcepibile che una Legge costituzionale ignori un intero segmento di popolazione, come se i suoi membri non fossero mai esistiti. Anche nel caso in cui tale legge non abbia effetti concreti, essa manda un segnale inequivocabile ai cittadini Palestinesi di Israele, comunicando loro che in questo Paese non sono a casa loro. La lingua araba è stata degradata da lingua ufficiale a lingua “a statuto speciale”, e ci si è assunti l’impegno di lavorare per lo sviluppo dell’insediamento degli Ebrei sul territorio, senza nessuna menzione allo sviluppo del paese per il resto dei suoi abitanti.
La Basic Law è esclusiva piuttosto che inclusiva, contestata più che consensuale, politicizzata più che fondata sulle norme fondamentali comuni e accettabili per tutte le componenti della popolazione.
Questa legge discriminatoria contravviene esplicitamente alla Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, così come alla Dichiarazione di Indipendenza dello stesso Israele. La prima garantiva l’istituzione di uno Stato Ebraico assicurando pieni diritti civili agli Arabi che abitano in esso, e nella seconda i Fondatori del Paese chiaramente ed inequivocabilmente si preoccupavano di incoraggiare il suo sviluppo per il bene di tutti i suoi abitanti e di assicurare la completa eguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti, indipendentemente dalla religione, dalla etnia o dal sesso di appartenenza.
Infine, questa legge contravviene e contraddice la Legge Fondamentale “Dignità umana e Libertà” promulgata nel 1995 che garantisce il rispetto della dignità di ogni persona. Dove c’è discriminazione, non c’è dignità.
In altre parole, la legge dice che gli Ebrei non hanno gli stessi diritti degli Arabi e rifiuta di riconoscerne l’esistenza.
Non è sufficiente avere e garantire diritti individuali. Ogni Stato con larghe minoranze dovrebbe riconoscere i diritti collettivi di queste minoranze, e garantire la difesa della loro identità collettiva, comprese le tradizioni religiose, etniche e sociali.
I cittadini cristiani di Israele hanno la stessa preoccupazione di ogni altra comunità non-ebraica nei confronti di questa legge. Fanno appello a tutti gli appartenenti allo Stato di Israele che ancora credono nel concetto fondamentale dell’eguaglianza tra i cittadini di una stessa nazione, perché esprimano la loro obiezione a questa legge e ai pericoli derivanti da essa per il futuro di questo Paese.
Patriarcato Latino di Gerusalemme
Dichiarazione in francese e in inglese 

venerdì 27 luglio 2018

Ad Aleppo la ripresa fa anche up-cycling e si chiama Heart made!



Storie siriane 2018 (2)


raccolte da 

Marinella Correggia











L'upcycling o riuso creativo è l’utilizzo di materiali di scarto, destinati a essere gettati, per creare nuovi oggetti dal valore maggiore del materiale originale.
E una specie di upcycling tessile appare fra le storie della ricostruzione in Siria, nello specifico la ricostruzione dell'economia e del tessuto lavorativo e sociale nella città di Aleppo. Malgrado un periodico ritorno alla violenza nei quartieri periferici colpiti da ordigni lanciati da gruppi armati arroccati a ovest della città, ad Aleppo la vita quotidiana (acqua, elettricità, disponibilità di beni essenziali) è migliorata molto dopo anni terribili; ma la situazione economica è difficilissima, con un tasso di disoccupazione molto alto, il costo della vita elevato e i salari molto bassi. La maggioranza delle famiglie ha tuttora bisogno di aiuti materiali, come scrive nella sua Lettera da Aleppo n.33 il dottor Nabil Antaki, volontario dei Maristi blu.

In questa tipica situazione di post-guerra, ecco un progetto dalla bella valenza sociale ed ecologica appunto basato sul riutilizzo tessile.




Leyla Antaki, volontaria dei Maristi blu, spiega il progetto Heart Made ad Aleppo:  «Questo progetto di trasformazione di abiti fuori moda in pezzi unici, ideato insieme ad alcune delle nostre giovani volontarie, ha diversi obiettivi. Il primo è dare lavoro a donne sfollate o comunque in stato di bisogno. Sono dieci le donne che ci lavorano, mettendo in pratica quanto appreso nei corsi di taglio e cucito. Ma l'altro scopo è educativo: recuperare tessuti contro lo spreco. Dunque, ricorriamo a stock di magazzino rimasti invenduti nel tempo e li trasformiamo dando loro una seconda vita. I modelli li prendiamo su internet, adattandoli poi ai gusti locali. E con i ritagli, le maniche, i jeans dei pantaloni facciamo borse grandi e piccole, sacchetti che decoriamo. In sintesi si tratta di evitare le spreco tessile, imparare la perfezione nel lavoro e realizzare cose belle. Le donne cuciono cinque giorni a settimana in un ambiente familiare, negli spazi dei Maristi. Abbiamo preso in affitto un negozietto in città per vendere i nostri articoli affinché il progetto diventi autosufficiente. I nostri prezzi sono molto contenuti.»

Auguriamo che il marchio Heart Made ottenga tutto il successo di vendite che merita.

lunedì 23 luglio 2018

I cristiani di Siria e la cecità dell’Occidente


La Siria era e rimane una terra ricca di spiritualità, nonostante il lungo conflitto che continua a tormentarla. Una domanda sorge spontanea: come hanno vissuto la guerra i cristiani di Siria? In questa intervista (seconda puntata del nostro dialogo-approfondimento sul conflitto nel Paese arabo) il reporter di guerra Fulvio Scaglione ci racconta la vita e le sofferenze di una comunità antichissima, che abita quelle terre da due millenni.
Intervista a Fulvio Scaglione di Alessandro Bonetti 

D: In questi anni c’è stata nella guerra siriana anche una forte persecuzione anticristiana. Com’è il rapporto fra cristiani e musulmani che vivono fianco a fianco?
R: Se si guarda al Medio Oriente in generale, la Siria era quasi un’oasi dal punto di vista dei rapporti interreligiosi. C’erano decine di gruppi diversi che comunque convivevano e andavano avanti. Adesso i rapporti fra cristiani e musulmani sono improntati a grande comprensione, tolleranza e stima reciproche. I cristiani hanno sicuramente fatto tanti punti durante questi anni della guerra perché, avendo una maggiore esperienza e capacità nell’intervento umanitario e caritativo, hanno oggettivamente fatto tanto e per tutti: porte aperte, nel senso che anche tanti musulmani hanno goduto dell’accoglienza nei tempi difficili.   Quindi, a livello di gerarchie, c’è sicuramente una grande disponibilità all’intesa, il che non vuol dire che non ci siano poi dei problemi sul terreno. Per fare un esempio, ad Aleppo, ma non solo lì, molti cristiani sono scappati e nei quartieri cristiani sono arrivati a vivere molti musulmani, molti più musulmani di prima. Questo, detto così, non sembra niente. Però in una situazione come quella del Medio Oriente, dove le comunità hanno un fortissimo ruolo, cominciare a incrinarle non è una cosa piacevole; è una cosa che i cristiani non vivono bene e che molti musulmani vivono come una sorta di occupazione, perché nei quartieri cristiani si vive bene, sono di solito quartieri più calmi, più ordinati.    Comunque, certe tensioni sono passate ma non sono dimenticate. È ovvio che, comunque la si giri, anche se quella siriana non è stata una guerra di religione, chi ammazzava tanta gente innocente erano dei musulmani o sedicenti musulmani. Loro, quelli dell’Isis e di altri gruppi jihadisti, si considerano dei buoni musulmani, anzi i migliori musulmani.   Quindi è un’esperienza che ha in ogni caso lasciato un segno. Dovranno essere molto in gamba le rispettive gerarchie, perché questa cosa ha lasciato delle cicatrici profondissime nel Paese in tutti i sensi. Non è così semplice. Anche se, ripeto, c’è un grande sforzo da parte degli esponenti delle chiese cristiane e dell’islam siriano per superare questi traumi.
D: A proposito di gerarchie, proprio gli alti prelati cristiani di Siria in questi anni hanno parlato molto contro il coro mediatico, dicendo cose che spesso a noi, abituati a una certa narrazione del conflitto siriano, sembravano strane. Si sono schierati a volte apertamente a sostegno di Assad…
R: … ma certo, senza se e senza ma. Nessuno di loro ritiene che il sistema siriano sia perfetto o non sia migliorabile, questo assolutamente no. Però Assad è comunque il presidente dei siriani e loro sono siriani. Bisogna poi tenere presenti alcune questioni. Punto primo: lo spirito nazionale siriano. Noi siamo abituati a parlare di sciiti, sunniti, eccetera, ma in Siria c’è un forte spirito nazionale.   Punto secondo: mentre noi ci siamo raccontati un po’ di balle, i siriani hanno visto che sono arrivati a combattere settanta-ottantamila stranieri, tunisini, egiziani, europei, e di altre nazionalità. Per loro è un’invasione, non è una guerra civile. Nel momento in cui arrivano dall’estero settanta-ottantamila mercenari, fanatici e ideologizzati ma mercenari, bombardamenti americani, bombardamenti israeliani, i turchi, loro non la vivono come una guerra civile, loro la vivono come un’aggressione internazionale contro il loro Paese.  In ogni caso quando gli esponenti delle chiese cristiane dicono che, prima della guerra, la Siria rispetto allo standard del Medio Oriente era un’oasi di convivenza religiosa hanno ragione, non mentono, dicono una cosa giusta, sacrosanta. Quindi non c’è da stupirsi.  Poi qui stiamo parlando di fanatismo sterminatore alla Al-Baghdadi, ci siamo solo noi [occidentali n.d.r.] che sono sette anni che andiamo avanti con questa storia della rivolta democratica. La rivolta democratica è durata due settimane. Gli altri sei anni e cinquanta settimane sono stati semplicemente una guerra di terrorismo finanziata dall’esterno contro un Paese che non era in guerra con nessuno. È inutile che ce la raccontiamo. Quindi non c’è assolutamente da stupirsi che i cristiani stiano dalla parte di Assad e del suo governo. È assolutamente normale. Siamo noi che non siamo normali, siamo noi che non abbiamo avuto uno sguardo obiettivo nei confronti di questa crisi. Anzi, abbiamo avuto uno sguardo molto di parte.   Inoltre, non dimentichiamo che molti cristiani siriani hanno preso le armi contro i jihadisti. Ci sono dei posti come Sednaya che hanno una storia significativa. A Sednaya c’è un grande monastero ortodosso: è un villaggio in montagna dove c’è questo centro religioso molto antico e dove la componente cristiana è maggioritaria. Gli abitanti si sono autotassati, hanno comprato le armi, hanno costruito delle difese intorno al loro villaggio e al monastero e quando si sono presentati i miliziani di Al-Nusra gli hanno sparato addosso e hanno avuto anche dei morti.
Su questa questione dei cristiani poi c’è qualche bello spirito anche in ambito cattolico che pontifica a vanvera e dice che i cristiani fanno così perché Assad ha dato loro dei privilegi. Innanzitutto i cristiani non godono di nessun privilegio rispetto alle altre confessioni religiose, men che meno nei confronti dei musulmani. Punto secondo: in Medio Oriente è così. In Medio Oriente la comunità, qualunque sia, sciita, cristiana, ortodossa, cristiana cattolica, non esiste se non ha una proiezione esterna. Deve avere una proiezione nella vita della società, che vuol dire scuole, ospedali, attività. Per avere questo è ovvio che in qualche modo si deve avere un rapporto con il potere politico. Ma questo vale per tutto il Medio Oriente. Forse i cristiani copti in Egitto non hanno un rapporto politico con Al-Sisi? È così dappertutto. Quindi questa obiezione è ridicola. Terza cosa: in un Paese come l’Italia che ha addirittura il Concordato che certifica i rapporti fra Stato e Chiesa, accusare i cristiani del Medio Oriente di avere una relazione politica con chi comanda fa veramente ridere. È normale, è così. Dev’essere così.
D: Quindi in definitiva cos’è che manca nella comprensione da parte di noi occidentali di quello che è successo in Siria in questi sette anni?
R: Manca tutto, è il nostro atteggiamento generale che è patetico. Guarda questa cosa degli attacchi chimici: erano tutti lì con la mano sulla bocca [si riferisce alla campagna sui social in cui alcuni personaggi pubblici si facevano ritrarre con la mano davanti alla bocca per protestare contro un presunto attacco chimico compiuto dal governo siriano, n.d.r.] e adesso il primo rapporto degli ispettori dell’OPAC è negativo. Quindi questi, i vari Saviano e compagnia bella, sapevano già tutto, erano già assolutamente certi dell’attacco mentre gli ispettori, che sono degli specialisti nel campo e hanno ricevuto nel 2013 il premio Nobel per la loro attività contro le armi chimiche, dopo mesi di indagini ancora non hanno trovato nulla? È chiaro: c’è una colossale opera di propaganda.
Inoltre, la nostra civiltà vive costantemente il cosiddetto tradimento dei chierici, cioè gli intellettuali e i giornalisti possono raccontarcela come vogliono ma alla fine dicono tutti quello che il potere vuole che loro dicano. Finisce sempre così. Credono di fare delle grandi battaglie ma alla fine sono manovrati e strumentalizzati. Nel 2011 si arrivava sull’onda delle primavere arabe e allora sembrava che anche in Siria dovesse succedere qualcosa… Certo, c’erano delle ragioni per protestare contro il governo di Assad, c’erano ragioni di insoddisfazione, ma se nessuno avesse messo il becco nella crisi siriana, come sarebbe finita? Sarebbe finita probabilmente come in Egitto e nessuno ha pensato che bisognava fare la guerra per la democrazia in Egitto. Perché in Egitto no e in Siria sì? Perché in Siria c’erano degli altri interessi: infatti abbiamo visto affluire i miliardi dai Paesi del Golfo, decine di migliaia di combattenti chissà come… Qui crediamo ancora che sia stata una cosa spontanea, ci raccontiamo che circolava la voce su Internet e allora settanta-ottantamila persone raccolte in mezzo mondo, ai quali non fregava niente dei palestinesi e di nessuna causa più o meno democratica del Medio Oriente, di colpo volevano portare la libertà in Siria… Come si fa a credere a queste stronzate?   Ma lo si vede in tutto. Si fanno tante storie sulla libertà di stampa in Turchia e si sono santificati quei giornalisti che sono stati messi in galera e poi sono scappati in Germania, ma non si dice mai perché erano finiti in galera. Quei giornalisti turchi non sono finiti in galera per l’astratta libertà di stampa, ma perché hanno rivelato e denunciato che Erdogan forniva le armi all’Isis. Questo però non viene detto mai. Erdogan, finché dava le armi all’Isis, nessuno l’ha criticato. Abbiamo cominciato dopo a scoprire che era antidemocratico… È tutto così.
E noi abbiamo questo mito della democrazia, dietro cui nascondiamo tutte le porcherie che ci piace fare. Ma il Medio Oriente non è nato ieri, il Medio Oriente e il mondo islamico in particolare hanno una storia più che millenaria. Non ci viene il pensiero del perché in tutto questo tempo loro non hanno avuto neanche una filosofia della democrazia o una discussione sulla democrazia? Sporadicamente qui e là personalità ne hanno parlato, ma non c’è un dibattito collettivo su questo tema nella loro storia. Forse perché non gli interessa o forse perché per la loro tradizione, cultura, realtà non è il sistema migliore. Perché l’alternativa è pensare che sono tutti cretini, sono 500 milioni di cretini e hanno bisogno che arriviamo noi e gli diciamo “oh, c’è la democrazia”, “ah, già è vero”. Come si fa a pensare così? Come è possibile? Però gli stupidi vanno appresso a questa cosa. Poi ci sono quelli intelligenti, che non sono in buona fede, che aderiscono a un progetto politico folle, demenziale, che produce solo disastri. Perché in Afghanistan è un disastro, in Iraq è stato un disastro, in Libia è stato un disastro, in Siria è stato un disastro. Questo progetto non produce altro che casini, però qualcuno ci crede. Ma non ci si può credere in buona fede, se ci credi in buona fede sei veramente uno scemo.

mercoledì 18 luglio 2018

Per un pugno di petrodollari, l'Europa ha venduto la sua anima.


Per conoscere, per riflettere.
Al servizio degli obiettivi della NATO. L’integralismo islamico saudita e le sue collusioni col potere occidentale.” Questo è il tema centrale dell’articolo.
L’autore ripercorre la storia quasi interamente sottaciuta, ignorata o sottovalutata dei legami perversi tra l’Arabia Saudita e l’Europa. Spesso la confusione e il disorientamento regnano sovrani in questa epoca di contrapposizioni alimentate da un’informazione asservita o latitante e di insofferenza verso comunità che percepiamo come ‘’corpo estraneo’’, benché ormai da lungo tempo costituiscano parte integrante della storia e della civiltà del Continente Europeo. I nostri governanti ci raccontano di ‘’lotta senza tregua al terrorismo’’ e si presentano come ‘’paladini della democrazia’’, ma ci coinvolgono in guerre predatorie che contribuiscono a indebolirci economicamente: cessazione di traffici commerciali, sanzioni usate come atti bellici… o all’insorgere di tensioni sociali pericolose per l’inevitabile arrivo 'anomalo' di rifugiati dai Paesi aggrediti e devastati. Questi stessi governanti, che non esito a definire scellerati, ricevono in pompa magna i leaders tirannici di Qatar, Arabia Saudita e compagnia, si fanno corrompere da loro, gli hanno ceduto e continuano a cedere quote di sovranità in svariati campi, anche a scapito della nostra incolumità proprio con l’uso del terrorismo preordinato dagli stessi ‘’amici’’ abietti. E continuano a ingannare, a strumentalizzare e a mettere gli uni contro gli altri tutti i popoli, tutte le etnie, tutte le credenze e opinioni per i loro scopi miserabili.
    Maria Antonietta Carta

Per un pugno di petrodollari, l'Europa ha venduto la sua anima.

di René Naba
(scrittore e giornalista specializzato nel mondo arabo. E' responsabile del coordinamento editoriale del sito Madaniya)
  Nota del redattore www.madaniya.info, 2 febbraio 2018:
..... madaniya.info sottopone all'attenzione dei suoi lettori un’analisi sulla forma più perniciosa di strumentalizzazione dell’Islam al servizio degli obiettivi della NATO, in una strategia a doppio attacco:
Contro l'ateismo dell'Unione Sovietica, al culmine della guerra fredda sovietico-americana (1945-1990), da un lato.
Come freno all'impegno nelle lotte sindacali della popolazione immigrata musulmana dell'Europa occidentale, dall'altro.
Una strumentalizzazione operata con l'effetto corruttore dei petrodollari, tanto disastrosa per il mondo arabo, per il mondo musulmano e per il mondo occidentale quanto per l'Islam stesso.

I – LA COMUNITA ARABO-MUSULMANA D’EUROPA, VENTOTTESIMO STATO DELL'UNIONE EUROPEA.
A - principale gruppo etnico-identitario sedimentato dopo quello centro-europeo e giudeo-cristiano.
Cinque secoli di colonizzazione intensiva in tutto il mondo non hanno ancora normalizzato la presenza di "mori" sul suolo europeo, proprio come tredici secoli di presenza continua, materializzata da cinque ondate di emigrazione, non hanno conferito all'Islam lo status di religione indigena in Europa, dove da mezzo secolo si dibatte sulla compatibilità dell'Islam con la Repubblica, quasi a scongiurare l'inevitabile aggregazione ai popoli europei di questo gruppo etnico-identitario, primo per importanza fuori dalla sfera europea centrista e giudeo-cristiana.
Le domande sono reali e giustificate: problema della compatibilità tra Islam e modernità, compatibilità tra Islam e secolarismo, ma per la loro declinazione ripetitiva variazioni su questo tema rimandano principalmente al vecchio dibattito coloniale sull'assimilazione dei nativi. Come a dimostrare il carattere inassimilabile dell'Islam nell'immaginario europeo per nascondere le antiche fobie scioviniste, nonostante gli accoppiamenti ancillari delle colonie d'oltremare, nonostante le mescolanze in Nord Africa e nel Continente nero, nonostante il missaggio demografico avvenuto, in particolare, nelle ex potenze coloniali (Regno Unito, Francia, Spagna, Portogallo e Paesi Bassi) a causa delle successive ondate di profughi nel XX secolo da Africa, Asia, Indocina, Medio Oriente e da altre parti.
Così come la composizione demografica del continente europeo è interrazziale. Certamente europea, ma anche, in misura minore, arabo-berbero, negro-africano e turco-indo-pakistano.

II - FRANCIA PRIMO PAESE EUROPEO PER L'IMPORTANZA DELLA SUA COMUNITÀ MUSULMANA
Primo Paese europeo per l’entità della sua comunità musulmana, la Francia è anche, proporzionalmente alla superficie e alla popolazione, il più importante centro musulmano del mondo occidentale con circa sette milioni di musulmani, 2,5 milioni di nazionalità francese. Più musulmani di quanti ve ne siano complessivamente in poco meno di otto Paesi membri della Lega araba (Libano, Kuwait, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Palestina, Isole Comore et Djibouti). La Francia potrebbe, a giusto titolo giustificare l’adesione all’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI), il forum politico panislamico che raggruppa cinquantatré Stati di diversi continenti, o almeno disporre di un seggio come osservatore.
In confronto, gli Stati Uniti, in un'area di 9,3 milioni di km2 e con una popolazione di 280 milioni, hanno circa 12 milioni di musulmani.
La comunità arabo-musulmana dell'Europa occidentale costituisce il nucleo principale della popolazione immigrata, nonostante la sua eterogeneità linguistica ed etnica e, con 25 milioni di persone, potrebbe dirsi - battuta che maschera una realtà - il 28 ° Stato dell’Unione Europea. Tanto come il Benelux.
Circa 5 milioni risiedono nei tre Paesi dell'ex blocco comunista (Albania, Bosnia-Erzegovina e Bulgaria) e il resto nei Paesi fondatori dell'Unione Europea (Germania, Benelux, Francia, Italia). A questa cifra, si aggiunge il nuovo flusso migratorio generato dalle guerre di predazione economica del mondo arabo da parte della NATO (Siriani, Libici, Iracheni, Somali, ecc.). Il Regno Unito, che ha una grande comunità indo-pakistana asiatica, non è incluso in questo conteggio a causa del BREXIT.
Secondo Pew Research Center, un istituto indipendente americano specializzato nello studio della demografia religiosa, i musulmani potrebbero rappresentare tra il 7,4% e il 14% della popolazione europea entro il 2050, contro il 4,9% nel 2016. Sempre secondo stime Pew, 53 % è il tasso dei musulmani tra gli immigrati arrivati in Europa tra il 2010 e il 2016 nei 28 Paesi dell'Unione europea (incluso il Regno Unito), Norvegia e Svizzera compresi.
In "Limine Limitis’’ (prima che abbia inizio la lite), usciamo dall’ambiguità: l'Islam non ha conquistato l'Europa, per non parlare della Francia. È l'Europa che ha deciso di conquistare i Paesi arabi e in prevalenza musulmani africani. La Francia: il Maghreb e l'Africa nera, i Paesi Bassi: l'Indonesia, il Regno Unito: l'Impero indiano (India, Pakistan, Bangladesh) e l'Africa orientale.
L'Islam non è quindi un prodotto del territorio francese, come il Cristianesimo, ma la conseguenza residua del riflusso dell'impero. Il prodotto deriva dalla turgescenza coloniale francese e dalla sua escrescenza d’Oltremare.
Senza colonizzazione, niente « burnous à faire suer»: burnous da far sudare, espressione usata in epoca coloniale, quando i coloni facevano faticare duramente, o sudare, i Maghrebini. Né "bougnoule": muso nero, né "there is good banania": lessico razzista nella pubblicità di una bevanda al cioccolato, né "flesh with cannon": carne da cannone. Nessun "bicot": persona mediorientale o nordafricana, o "ratonnade": violenta spedizione punitiva di matrice razzista contro i nordafricani, o "« délits de faciès»: delitti in base all’apparenza fisica o del vestiario: pratiche discriminatorie e razziste, nessun "Codice di Indigenato" o "Codice Nero", non più "Venus callipigia" o "Setif": massacro di, né "Thiaroye": massacro di, né "Sanaga": massacro di, Per non parlare di "territori perduti della Repubblica"! E non l'Islam, almeno in questa densità.
"Il burro e i soldi del burro ed anche il sorriso della lattaia": fa pensare ad una favola morale. O ad una fiaba. Come il "peso dell'uomo e il suo fardello di nascita": Rudyard Kipling descrive con suprema arroganza il compito dei colonizzatori occidentali chiamandolo "il fardello dell'uomo bianco" (sic!). Cioè il peso che grava sulle spalle dell'uomo europeo
Un alibi destinato a mascherare la megalomania predatoria.

LA LEGGE DEL 9 DICEMBRE 1905 SULLA SEPARAZIONE TRA STATO E CHIESA.
Affermare che l'Islam non esisteva in Francia al momento dell'adozione della Legge sulla separazione tra Chiesa e Stato, che sanciva la laicità, è una menzogna spudorata. Tranne considerare "subumane" le popolazioni musulmane dell'Africa occidentale (Senegal, Mali, Mauritania, Guinea, Ciad, ecc.) e del Nord Africa (Algeria, Tunisia, Marocco). L'Islam, presente in Francia al tal punto che la patria della laicità intendeva proclamarsi "Califfo d'Occidente" in contrapposizione al califfato dell'Impero ottomano e nominare Hubert Lyautey Maresciallo dell'Islam.

III - EUROPA LUOGO DI PASSAGGIO O DI RADICAMENTO DEI MUSULMANI?
Issam Al Attar contro Saïd Ramadan. La controversia sul tentativo di aggiornamento dell'Islam politico.
La disputa è di vecchia data e, negli anni ’70 del secolo scorso, contrappose due leader dei ‘’Fratelli Musulmani’’: il siriano Issam Al Attar in esilio ad Aachen (Germania) e l'egiziano Said Ramadan a Monaco di Baviera, dove partecipava al programma di sedizione dei contingenti musulmani dell'esercito sovietico, attraverso le radio americane dell'Europa centrale.
Issam Al Attar, fratello di Najah Al Attar, attuale vicepresidente della Repubblica araba siriana [questa posizione così antitetica all’interno di una stessa famiglia ci fa immaginare quanto sia complessa la realtà della società sunnita siriana. N.d.T.], riteneva che l'Europa fosse una destinazione temporanea per l'emigrazione, un luogo di transizione, che fosse importante per i musulmani in Europa rispettare le leggi di ospitalità dei Paesi ospitanti e sfruttare al massimo le esperienze europee nei vari settori dell'attività intellettuale, economica e scientifica per farne beneficiare poi il loro Paese di origine.
Saïd Ramadan, al contrario, riteneva che l'Europa fosse un luogo di ancoraggio stabile della popolazione immigrata musulmana e che il loro ambiente socio-culturale doveva essere modificato di conseguenza, per adattarlo ad una presenza duratura dei lavoratori musulmani immigrati nel territorio dei loro ex colonizzatori.
Agitatore di professione per conto dei suoi sponsor, Said Ramadan trionfò in questa disputa non tanto con la pertinenza delle sue argomentazioni, ma con la forza finanziaria e il sostegno dei servizi segreti occidentali, che lo spinsero alla leadership dell'Islam europeo con il fine di ostacolare l'inserimento degli immigrati musulmani nelle lotte di rivendicazione sociale all'interno di sindacati o di partiti percepiti dagli strateghi atlantisti come "compagni di strada" dell'Unione Sovietica.
La tesi di Saïd Ramadan prevalse non certo perché in linea con gli interessi a lungo termine del mondo arabo, la sua ripresa e la promozione dell'Islam, ma perché rispondeva agli obiettivi strategici della NATO.

IV - EUROPA RETROVIA DEI "COMBATTENTI PER LA LIBERTÀ" NEL PERIODO AFGHANO.
Sotto l'ala protettrice degli Stati Uniti, l'Arabia Saudita schierò la più grande ONG caritatevole del mondo, con il fine di fare proselitismo e conquistare nuove terre di missione negli anni '70 -'80, specialmente in Europa, grazie al boom del petrolio e alla guerra in Afghanistan.
Questo spiegamento tentacolare avvenne attraverso l'uso intensivo della politica del libretto degli assegni. L'Arabia Saudita sviluppò quindi una diplomazia d'influenze basata sulla strumentalizzazione della religione musulmana per fini politici, sulla corruzione di coloro che hanno il potere decisionale a livello mondiale e sull’azzittire le critiche alla dinastia wahhabita per mezzo di un impero mediatico straordinario.
Per un pugno di dollari, l'Europa ha perso la sua anima. Signora di alta moralità, ma di piccole virtù, ha ceduto al sottile fascino dei petrodollari per diventare la piattaforma principale dell’impero mediatico saudita e il rifugio principale dei leaders islamici, additati poi [ipocritamente] alla pubblica riprovazione. I governanti europei riuscirono anche nell'impresa di dar rifugio a più dirigenti islamici di tutti i Paesi arabi congiuntamente.

V - EUROPA, RIFUGIO DI AYMAN AL ZAWAHIRI, L’ATTUALE NUMERO UNO DI AL QAIDA.
In Europa occidentale - dove ai jihadisti si conferiva il titolo di "combattenti per la libertà" dall’ingannatore del Panshir Bernard-Henri Lévy, interlocutore virtuale del Leone del Panshir, il Comandante Massoud Shah - dopo la guerra antisovietica dell’Afghanistan, negli anni ’80 del secolo scorso, risiedevano sessanta leaders islamici.
Quindici di loro avevano lo status di "rifugiato politico" nella maggior parte dei Paesi europei: Regno Unito, Germania, Svizzera, Norvegia, Danimarca.
A - Londra, capitale mondiale della protesta contro l'Islam, ma anche piattaforma dello schieramento mediatico internazionale saudita (1), aveva tra i suoi ospiti i principali oppositori islamici:
1. Rachid Ghannouchi (Tunisia-An Nahda).
2. Kamar Eddin Katban (Algeria-Vicepresidente della Commissione FIS algerina: Islamic Salvation Front).
3. Mubarak Fadel Al-Mahdi (Sudan).
4. Attaf Hussein (leader pakistano dell'opposizione: Muhajir Qawmi Movement (MQM).
5. Adel Abdel Majid (Egitto).
6. Ibrahim Mansour (Egitto), vice Leader Supremo dei Fratelli Musulmani.
7. Ali Sadreddin Bayanouni (Siria), controllore generale dei Fratelli Musulmani della Siria.
8. Azzam A Tamimi (Palestina), membro del comando ombra di Hamas, il ramo palestinese della fratellanza.
9. Abu Moussa'b As Soury (Siria), alias Moustapha Abdel Kader Sitt Mariam), teorico dei "lupi solitari".
10. Abu Hamza Al Masri (Moustapha Kamal Moustapha).
11. Qtada Abu Al Falastini (Omar Mohamad Osman).
12. Abu Farès, nome di guerra dell’algerino Farouk Danish.
13. E, per un breve periodo, il più illustre di loro, Osama Bin Laden, fondatore di Al Qaida.
Londra ospitava anche la redazione del periodico jihadista "Al Ansar", pubblicato nella capitale britannica, ma con residenza in Svezia presso Abdel Karim Danish, che godeva dello status di rifugiato politico. La capitale britannica sarebbe stata meno permissiva nei loro riguardi dopo l'attacco del 7 luglio 2005, avvenuto durante lo svolgimento del Vertice del G8 , nel giorno successivo alla decisione del Comitato olimpico internazionale di assegnarle l’organizzazione dei Giochi Olimpici del 2012. In questo attacco furono uccise 50 persone.
Londra era anche la piattaforma strategica per il dispiegamento dei media internazionali del Regno Wahhabita, che aveva conservato quasi integra la sua forza d'attacco: una catena transfrontaliera MBC (Middle East Broadcasting Center), due radio a diffusione transcontinentale MBC FM e la radio communitaria inglese SPECTRUM, nonché cinque giornali, tra cui due ammiraglie della stampa trans-araba "Al Hayat" e "Al Charq Al Awsat".
B - La ripartizione di altri famosi rifugiati politici (2)
La Germania era al secondo posto, con due esiliati: Issam Al Attar, leader dei Fratelli Musulmani in Siria e Saïd Ramadan (Egitto), genero di Hassan Al Banna, il fondatore della Fratellanza.
Esiliato ad Aquisgrana, Issam Al Attar esercitava il suo magistero europeo dalla "Casa dell'Islam" a Francoforte, in collaborazione con il Centro Islamico di Ginevra. Come affronto per l'Occidente e per la Fratellanza Musulmana, il presidente siriano Bashar al-Assad ha nominato la sorella di Issam Al Attar, Najah Al Attar, che fu ministro della cultura per 32 anni, Vice Presidente della Repubblica nelle ultime elezioni presidenziali del giugno 2014. Una donna sunnita garante del potere baathista.
Invece Said Ramadan, da precursore, aveva fondato nel 1961, con il sostegno del futuro re Faisal d'Arabia, il "Centro islamico di Ginevra " e guidato un'organizzazione islamica a Monaco: il "Gemeinschaft in Islmische Deutchland", incaricato di riqualificare i disertori musulmani dell'Armata Rossa.
Nel 1962, sotto la sua presidenza, i sostenitori ebbero un ruolo importante nella fondazione della "World Islamic League’’, la struttura parallela a base religiosa creata dall'Arabia Saudita per contrastare l'influenza della diplomazia di Nasser e dell'Università Al Azhar, che è la più prestigiosa università religiosa del mondo musulmano.
La spinta politica e finanziaria dei Sauditi e degli Statunitensi fornì all'organizzazione i mezzi per creare una struttura islamica giusto in tempo per accogliere l'ondata migratoria musulmana verso l'Europa negli anni '70, sulla scia del boom petrolifero.
Una nota confidenziale del servizio segreto svizzero, datata 17 agosto 1966, riferisce sulla "simpatia" del BUPO, polizia federale per la protezione dello Stato, nei confronti di Said Ramadan specificando: "È certamente in ottimi rapporti con Inglesi e Americani". Un altro documento, datato 5 luglio 1967, è ancora più preciso. Saïd Ramadan è presentato come un "agente segreto degli Inglesi e degli Americani. Inoltre, credo che abbia reso servizi - sul piano informativo - a BUPO. "
Fatto sta che, in una riunione presieduta dal capo della Procura federale, il 3 luglio 1967, si decise di concedere un permesso di soggiorno a Said Ramadan, mentre egli avrebbe dovuto essere espulso il 31 gennaio 1967.
Le ragioni di questa tolleranza? La possibilità "che gli amici di Saïd Ramadan prendessero il potere nei mesi successivi in uno o nell'altro Stato qualificato di progressista o di socialista". Fantasia tenace tra gli Occidentali, fino alla loro frustrazione collettiva della "primavera araba".
A leggere la lista di illustri ospiti dell'Europa, la "guerra al terrorismo" sembra ridicola. Indice della duplicità della diplomazia occidentale, sia nei confronti dell'opinione pubblica occidentale sia nei confronti del mondo arabo.
C - Tra i famosi rifugiati politici c'erano:
Ayman Al-Zawahiri , successore di Osama Bin Laden alla testa di Al Qaeda. Nel periodo in cui ricopriva il ruolo di "Comandante dei gruppi islamici in Europa", egli risiedeva in Svizzera. Coinvolto in attività sovversive del gruppo islamico "Al-Awdah" (Il ritorno), non fu oggetto di alcuna condanna. Negli anni '80 aderì alla formazione "Al-Jihad"e fu condannato a 3 anni di prigione per l’assalto alla tribuna presidenziale, che condusse all’assassinio del presidente egiziano Anwar Al-Sadat, ottobre 1981. Uscito dal carcere, trascorse del tempo in Afghanistan prima di tornare in Europa.
Talaat Fouad Kassem, portavoce dei movimenti islamici in Europa, beneficiario di asilo politico in Danimarca. Condannato a 7 anni di carcere al momento dell'assassinio di Sadat, fu il primo a unirsi ai ranghi dei combattenti islamici afghani, distinguendosi negli squadroni della morte durante le operazioni di guerriglia antisovietica. Prima del soggiorno danese, diresse i raggruppamenti islamici a Peshawar, in Pakistan: punto di transito per i Mujahidin in Afghanistan. Incaricato di coordinare le attività dei vari funzionari e di trasmettere consegne, istruzioni e sussidi tra l'Europa e gli attivisti di base in Egitto, dovette sospendere le sue attività nel giugno del 1995, dopo il 20 ° tentativo di assassinio del presidente Hosni Mubarak.
Mohamad Chawki Al-Islambouli, fratello dell'assassino di Anwar Sadat, Khaled Al-Islambouli. Prosciolto al processo dell'assassinio dell'ex Capo di Stato egiziano, si unì ai ranghi dei combattenti anti-israeliani nel sud del Libano prima di recarsi nel Peshawar. Residente a Kabul, Chawkat Al-Islambouli è stato condannato in contumacia nel processo "Egitto-Afghanistan".
Infine, Hani Al-Sibai (Egitto) beneficiò dell'asilo politico norvegese.

VI - UN IMPERO PER ‘’STERILIZZARE’’ LO SPAZIO HERZIANO (3)
In un decennio, l'Arabia Saudita, autoproclamandosi leader del mondo islamico, si affermava come holding multimediale. Un gigante dei mass media - alla pari dei conglomerati occidentali - per una strategia offensiva con l'intento non confessato di ‘’sterilizzare’’ le telecomunicazioni da qualsiasi inquinamento anti-saudita, di "predicare la buona parola" e di annientare la contaminazione rivoluzionaria, pregiudizievole per la sua leadership, nella sfera musulmana.
Esercitando un monopolio di fatto sia nella zona euro-mediterranea sia all'interno del mondo anglosassone, il dispositivo multimediale saudita comprendeva due gruppi multimediali con la loro schiera di canali televisivi transfrontalieri: dieci canali tematici, stazioni radio transcontinentali, un'agenzia di stampa internazionale (United Press International) e cinque riviste pan-arabe. Non sorprende che una simile quantità di strumenti appartenesse alla famiglia reale saudita, tanto da giustificare questa battuta: "la dinastia wahabita è l'unica azienda di famiglia nel mondo che siede alle Nazioni Unite."
Un doppio imperativo guidava i leaders sauditi nella loro avventura mediatica: la necessaria neutralizzazione del successo della rivoluzione iraniana presso l’opinione pubblica musulmana e la necessità altrettanto urgente di giustificare, durante la prima Guerra del Golfo (1990-1991), la presenza di quasi 500.000 soldati occidentali sul suolo saudita, vicino ai Luoghi Santi dell'Islam.  
Circostanza senza precedenti: una massiccia presenza di non-musulmani - tra cui 60.000 soldati americani di religione ebraica – percepita come profanazione del santuario per il quale la dinastia wahhabita avrebbe, in linea di principio, il dovere di tutela e protezione.
Considerato come segnale della collusione dei "Guardiani dei Luoghi Santi" con gli oppressori dei musulmani, servì per giustificare la rottura di molte formazioni islamiche con il regno saudita loro finanziatore. In particolare il leader di Al Qaida, Osama Bin Laden, e la FIS algerina.
L'apparato multimediale saudita fu esteso al territorio nazionale con due strumenti atti a guidare proselitismo religioso e jihadismo asiatico: L’operazione ‘’Holy Qoran (Santo Corano)" e "La Voce dell'Islam": ONG di predicazione e imprecazione le cui metastasi jihadiste si sarebbero trasformate in proto-stati con stigmatizzazione e decapitazione come marchi di fabbrica.  
Il programma “Holy Qoran’’.
Lanciata nel 1972, un anno prima della guerra dell' ottobre 1973, durante la quale il Regno saudita utilizzò l'arma del petrolio per piazzarsi come il nuovo leader del mondo musulmano, ‘’Holy Qoran’’ era una trasmissione in arabo emessa da Riyadh per 18 ore quotidiane verso il mondo arabo e l'Asia meridionale e destinata ai grandi Paesi musulmani (Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Malesia, Indonesia e India). Ad essa si aggiungeva “Voice of Islam’’, trasmessa dalla Mecca. Il tutto sotto la protezione degli American AWACS, i famosi radar aerei che solcavano il cielo saudita per scongiurare qualsiasi aggressione contro la dinastia wahabita.

VI - DISTRIBUZIONE A TELA DI RAGNO.
Il proselitismo in loco era coadiuvato a livello internazionale da una struttura discreta ma efficace: la ‘’World Islamic League’’, strumento preminente nel controllo delle comunità musulmane della diaspora. Fondata nel 1962 a La Mecca, la ‘’World Islamic League’’ esercitava l’autorità nella formazione di imam e predicatori, nella gestione delle borse di studio e nello sviluppo di strumenti di comunicazione didattica (diffusione del Corano, documenti audiovisivi, cassette, film).
Così, durante gli anni '80, al culmine della guerra in Afghanistan, il regno saudita pubblicò 53 milioni di copie del Corano, donandone 36 milioni ai fedeli di 78 Paesi in occasione del Ramadan, come indicano i dati forniti alla stampa dell'epoca da Mohamad Ben Abdel Rahman Ben Salamah, vice ministro saudita dei Beni religiosi (waqf ) ai tempi della prima guerra del Golfo (1990-1991).
Ventisei milioni ne furono offerti ai fedeli dell'Asia, cinque milioni per l'Africa, un milione per l'Europa e quattro milioni per l'America Latina. Nel frattempo, le due principali Università islamiche del Regno ammaestravano 39.000 predicatori di 47 nazionalità - la ‘’Mohammed bin Saud University’’ (Riyadh) contava 23.000 studenti di 40 nazionalità e la ‘’Umm al Core University ‘’ (Mecca) ne aveva 16.000 di 47 nazionalità - che dovevano diventare propagandisti zelanti della concezione ultra rigorista dell’Islam saudita presso le comunità dei Paesi musulmani.
Il "Consiglio superiore delle moschee", il cui compito esclusivo consiste nella promozione dei luoghi di culto in tutto il mondo, è affiliato al “World Islamic League ‘’.
All'epoca, re Salman, che è protetto dal Presidente degli Stati Uniti, lo xenofobo e populista Donald Trump, era il governatore di Riyadh, e, paradossalmente, il più grande moltiplicatore di fondi per la jihad afgana attraverso il suo giornale "Al Sharq Al Awsat".
In Europa, la ‘’World Islamic League’’ ha collocato suoi rappresentanti nella maggior parte delle città: Londra, Bruxelles, Roma, Ginevra, Copenaghen, Lisbona e Madrid. L’infiltrazione nelle popolazioni musulmane è avvenuta e avviene in maniera trasversale, con la proliferazione di centri culturali e religiosi e di istituzioni specializzate.
L'Arabia Saudita ha suddiviso le principali istituzioni tra le grandi capitali europee, per coinvolgere il maggior numero di Paesi dell'Unione Europea nella sua politica di proselitismo islamico-wahhabita e per prevenire qualsiasi vuoto istituzionale e ideologico che andrebbe a vantaggio dei rivali.
- Il Consiglio continentale delle moschee d'Europa ha sede a Bruxelles.
La Grande Moschea di Bruxelles è anche sede del Centro islamico e culturale del Belgio. Nel padiglione orientale della sede dell'Esposizione nazionale di Bruxelles del 1880 c’era un affresco monumentale, Veduta del Cairo di Emile Wauters, che aveva un grande successo. Nel 1967, re Baldovino donò l'edificio al re Faisal Ben Abdelaziz Al Saoud dell'Arabia Saudita, in visita ufficiale in Belgio.
- La ‘’European Academy of Islamic Jurisprudence’’ ha sede a Londra.
- La ‘’Word Assembly of Muslim Youth’’, istituzione transnazionale, serviva da contrappunto alla corrispondente organizzazione dei Fratelli Musulmani ‘’The International Islamic Federation of Students Organization’’, in quanto la Fratellanza, a lungo in grembo ai Sauditi, rivaleggiava con loro nel teatro europeo dopo il massiccio afflusso di lavoratori immigrati dal Maghreb, dall'Africa nera, dalla Turchia (Germania) e dal Pakistan (Regno Unito).
Sotto l’autorità saudita, i Fratelli Musulmani ebbero un ruolo importante nella creazione di strutture panislamiche:
- La ‘’World Islamic League’’ (1962), struttura religiosa parallela creata dall'Arabia Saudita per contrastare l'influenza della diplomazia di Nasser e il prestigio dell'Università Al Azhar che è una delle principali fonti di giurisprudenza islamica.
- Il ‘’Consiglio Islamico Europeo’’, creato dieci anni dopo, nel 1973, anno del primo shock petrolifero e dello spostamento del centro di gravità del mondo arabo dalla zona popolosa e ribelle del Mediterraneo alla zona di abbondanza abulica del Golfo, doveva essere lo sponsor spirituale dell' ‘’Unione delle Organizzazioni islamiche in Europa’’ (UOIE) e dell' ‘’Unione delle Organizzazioni islamiche in Francia’’ nel 1983, nel bel mezzo dell'ascesa della terza generazione di immigrazione musulmana araba.
Parigi, dal canto suo, ha creato uno spazio di prestigio per lo spiegamento mediatico saudita, concedendo il benestare, in tutta l’accezione del termine, a Radio Orient e dotandola di un potere smisurato: si tratta dell’unica radio al mondo appartenente al capo di un governo straniero o in altre parole di un capo dell’opposizione di un Paese amico della Francia.
Noto per la permeabilità saudita, Radio Orient, in onda ogni venerdì, diffonde i sermoni del predicatore della Mecca, megafono dell’integralismo wahabita verso una popolazione arabo-musulmana bersaglio del fondamentalismo islamico. Come è avvenuto durante il decennio nero in Algeria (1990-2000) o nella guerra di Siria (2011- ancora in corso), in cui la Francia, patria dei diritti umani, si è schierata con i jihadisti takfiri, pagando il prezzo in termini di ricaduta terroristica, dalle uccisioni di Mohamad Merah a Tolosa, a Montauban (2012), a Mehdi Nemmoush, carceriere di quattro giornalisti francesi tenuti in ostaggio da Jabhat Al Nusra, alla carneficina di Charlie Hebdo ( gennaio 2015) alla decapitazione di Isère (luglio 2015), alla strage di Parigi-Bataclan (13 novembre 2015).

RIFERIMENTI
1 - Sull'Europa "Base operativa dei leader islamici nell'era afghana"
2 - Arabia Saudita: "L'unica azienda di famiglia al mondo a sedere alle Nazioni Unite. Vedere il Capitolo V di " La guerra delle onde, la guerra delle religioni, la battaglia senza fili nel cielo dell’area mediterranea ". René Naba - Harmattan 1998.
3 - La Fratellanza Musulmana, una traccia della Guerra Fredda.
Qatar-Arabia Saudita
http://www.madaniya.info/2017/06/08/arabie-saoudite-qatar-guerre-freres-ennemis-wahhabisme-guerre-de-defausse/

Copyright © René Naba , madaniya.info , 2018
Traduzione dal francese di Maria Antonietta Carta