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domenica 1 febbraio 2015

“AIUTATECI A RIMANERE A CASA NOSTRA”

WP: in Siria una guerra con combattenti di 80 nazioni

Testimonianza di Samaan Daoud, cristiano di Damasco:


Il Nuovo Giornale di Piacenza,
23 gennaio 2015

"Immaginate la Chiesa senza le sue radici. Senza San Paolo, che è diventato cristiano sulla via di Damasco. Senza Sant’Ignazio. Senza i Padri del deserto. Senza i monaci della Siria. Fra cinquant’anni potreste fare dei viaggi a Damasco e dire: qui una volta c’era la chiesa di Sant’Anania e una comunità cristiana molto forte. Pensare questo è per noi una grossa angoscia. Allora aiutateci a rimanere a casa nostra.
Non accusateci di essere pro Assad o pro governo. Noi siamo pro Siria. Se Assad se ne va, il vuoto da chi sarà riempito? Dai fondamentalisti. Lo abbiamo già visto in Libia, in Iraq, in Egitto, anche se qui per fortuna si sono svegliati”.

Samaan Daoud, cristiano di rito siro-cattolico, fino al 2011 a Damasco faceva la guida ai pellegrini. Classe 1970, sposato e padre di due figli di 16 e 12 anni, da ragazzo si è messo a studiare l’italiano perché innamorato del nostro Paese. Per due anni ha anche vissuto a Valdocco, paese natale di San Giovanni Bosco. Con lo scoppio della guerra, ha dovuto reinventarsi il lavoro. Rientra in quel 50% di siriani che ancora riesce a portare a casa uno stipendio. La guida adesso la fa ai giornalisti occidentali “che vogliono vedere cosa succede davvero”.
Collabora con i salesiani nella traduzione in arabo dei libri di don Bosco – “ne ho fatti sei, l’ultimo, le «Memorie dell’Oratorio », è in stampa” – e ha aperto a Damasco un ufficio della ong “Avsi”, che porta avanti progetti sanitari ed educativi. Nella serata del 16 gennaio – a poche ore dalla notizia della liberazione delle due cooperanti Greta Ramelli e Vanessa Marzullo e mentre in piazza Cavalli si radunava il corteo contro il terrorismo – è stato ospite a Piacenza di un incontro organizzato dall’Ordine della Santa Croce di Gerusalemme all’oratorio della Santissima Trinità. Un’amicizia nata negli anni dei pellegrinaggi in Siria guidati da mons. Riccardo Alessandrini e mai interrotta ...

Sei moderato se hai un kalashnikov?

— Dopo l’attentato di Parigi milioni di persone sono scese in piazza, in tutta Europa. Perché una mobilitazione simile non si è vista per le vittime del fondamentalismo in Medio Oriente e in Africa? È solo una questione di cattiva informazione?
La nostra sofferenza è cominciata nel 2011 e nessuno ha detto «Io sono i 200mila civili siriani morti» o fatto lo stesso con le 5mila donne siriane vendute al mercato. Già dall’inizio della “primavera araba” tantissimi sono stati ingannati. I capi politici dei Paesi di grande influenza, potendo controllare i media che godono di una certa credibilità, come Cnn, Bbc, Al Jazeera, El Arabia, hanno ingannato i loro e i nostri popoli. Ma le bugie hanno le gambe corte. Dopo un paio d’anni si è cominciato a capire che in Siria o Medio Oriente non è più questione di un uomo cattivo che sta ammazzando tutta la brava gente. Ci sono grossi giocatori, che prima stavano dietro le quinte e che adesso si fanno vedere: America, Russia, Iran, Arabia Saudita, Turchia..
Nel 2013, quando sono venuto in Italia – e ho parlato anche a Piacenza – dicevo: state attenti ai fondamentalisti, perché verranno pure a casa vostra. Il fanatismo non ha confini. Adesso siamo nella stessa barca: il popolo siriano, gli occidentali, i cristiani yazidi in Iraq e quelli in Nigeria.
Chi ci sta attaccando è stesso nemico. E il fanatismo attacca anche i musulmani. 

— Sta dicendo che l’Occidente ha spalleggiato i gruppi fondamentalisti e adesso se li trova davanti come nemici? 
La Francia nel 2013 l’ha detto chiaro e tondo: noi appoggiamo i cosiddetti “ribelli moderati”. La domanda che sempre faccio è: se hai un kalashnikov in mano sei moderato? L’Europa finanzia i ribelli, con milioni e milioni di euro, per far cadere il governo di Assad. Ma chi paga le conseguenze? Con le sanzioni contro la Siria, dal 2012, l’Europa è complice dello stato di miseria in cui oggi vive il Paese. Per venire qui ho dovuto attraversare una strada sotto la neve da Damasco a Beirut, in Libano, e da lì ho preso l’aereo per l’Italia. 

Uno Stato distrutto

— Isolamento totale?
Totale. Gli ospedali non riescono a procurarsi certe medicine. Gli apparecchi sanitari danneggiati sono fermi perché non ci sono pezzi di ricambio. Questa situazione alimenta il mercato nero e l’aggressività del fratello che mangia suo fratello. Far impoverire un popolo è la stessa cosa che se ci avessi lanciato delle bombe.

— Come si vive oggi in Siria?
Rispondo con alcuni numeri ufficiali: 3,8 milioni di siriani rifugiati, 7,6 milioni di sfollati, 12,1 di persone in stato di bisogno su una popolazione di circa 21 milioni, 3 milioni di case distrutte, 1200 scuole rovinate, esportazione zero.
È uno tsunami che ha colpito la Siria e purtroppo si tratta di uno tsunami provocato artificialmente. In Siria nelle loro file Isis e il fronte Al-Nusra filiale di Al Qaeda, hanno combattenti di 80 nazionalità. Il vostro Ministro dell’Interno ha detto in Parlamento che ci sono 50 italiani che sono andati a combattere in Siria? Per qualcuno non è un numero alto. Se di questi ne torna anche il 20-30%, basta poco. Quelli dell’attentato di Parigi erano tre.
Notate il loro modo di combattere: corrono con il kalashnikov in mano, sparano e si guardano attorno. È gente che per due anni ha fatto la guerra. L’Europa adesso si trova ad affrontare gente addestrata ad alto livello.

— Si torna a parlare di intervento armato in Siria.
L’America dopo l’11 settembre ha attaccato l’Afghanistan per eliminare Bin Laden. Ma quanti Bin Laden abbiamo adesso? Il terrorismo è come un albero. L’albero per crescere ha bisogno di acqua; il terrorismo per crescere ha bisogno del sangue. Più guerre fai, più ingiustizia c’è, più sangue viene versato, più il terrorismo si rafforza.
Guardiamo cosa sta succedendo: la Nigeria si sta scannando, il Sudan è tagliato in due, in Yemen c’è una guerra interna, in Iraq non esiste più uno Stato. Basta usare la motivazione del terrorismo per attaccare. Non si può portare la democrazia con i carri armati e gli aerei. 

— La strada allora qual è?
Dire ai turchi: chiudete la frontiera, così non aiutate più Isis e Al Nusrah. Ai giordani: basta fare campi di addestramento dalle vostre parti. A Israele: impegnati seriamente a non irrompere in Siria. All’Arabia Saudita: smetti di fornire soldi e armi da Al Nusrah. Al Qatar: basta fornire armi e terreno a Isis. E poi c’è l’Iran che fornisce armi al governo siriano. C’è la Russia. E l’America, la Francia… Quando i leader politici si metteranno attorno a un tavolo con grande buona volontà, si trova la soluzione.
La Siria che ha 21 milioni di abitanti e ha fatto arrivare al potere Assad è capace di far arrivare un altro siriano (e con il tono di voce sottolinea l’aggettivo “siriano”), che crede in uno Stato laico nel quale c’è rispetto per tutte le religioni. Lo ripeto: come cristiani non siamo legati ad Assad, ma siamo legati alla Siria. Se però Assad adesso se ne va, il vuoto chi lo riempie?

 Gemellaggi tra oratori 


— Questo per i politici. Ma noi gente comune, cosa possiamo fare?
Aiutate le ong.  Con “Avsi”, che lavora in modo serio, aiutiamo i siriani poveri, anche in Giordania e in Libano. Abbiamo progetti sanitari, di distribuzione del cibo, per pagare gli affitti. Le idee in testa ci sono; le realizziamo in base ai fondi che abbiamo. Dall’anno scorso con il Coordinamento nazionale per la pace in Siria e il gruppo di italo-siriani lavoriamo per creare un ponte tra i nostri Paesi.

Io ho lanciato l’idea del gemellaggio tra parrocchie e scuole. Ho avuto risposta in Italia da una scuola elementare di Lecco, che ha fatto una raccolta per comprare pecore per il villaggio di Malula, che è stato distrutto come reazione all’appello del Papa di pregare per Siria nel settembre 2103 uccidendo tre giovani cristiani che si sono rifiutati di convertirsi all’islam.
Poi un asilo ha preparato dei disegnini da portare ai bimbi di un asilo di Damasco. Mi piacerebbe allacciare dei gemellaggi tra oratori.

Ad Aleppo, la città martire cristiana, frequentano l’oratorio 600 ragazzi. A Damasco dai salesiani ci sono 400 giovani. L’ideale è garantire almeno una volta al mese un contatto via Skype: per dirsi ciao, guardarsi in faccia, vedere che non siamo tanto diversi. Anche questo spezza la solitudine. 

A mio figlio dico: “il nostro esempio è Gesù”


I radicali seminano diffidenza. È come un bicchiere rotto: per rimetterlo insieme ci vuole il balsamo della riconciliazione

“Mio figlio maggiore è nell’età che comincia a farmi domande ‘politiche’, a parlare di giusto e non giusto. Ha visto morire i suoi amici per i colpi di mortaio, ne ha visti altri lasciare la Siria. Di fronte a questi fatti sempre gli dico: il nostro esempio è Gesù Cristo”.
foto Carla Boulos
Si è incrinato qualcosa, nella società siriana che dagli anni Cinquanta ha visto convivere in modo pacifico cristiani e musulmani. “Quando metti a bagno qualcosa, viene a galla lo sporco. Così nelle guerre: cosa emerge? Il male, chi vuol arricchirsi in fretta. Stiamo vedendo questi radicali che indossano l’abito dell’islam e portano certi versetti scritti nell’interpretazione del Corano, ma un’interpretazione che poteva andare mille anni fa. Bisogna che si scriva un’interpretazione del Corano adatta alla mente dell’uomo che vive nel 2015. Non basta dire: questi non rappresentano l’islam. Non basta piangere. C’è un detto siriaco che dice: mio servo aiutati così da poter aiutarti. Se non inizi ad aiutare te stesso, non posso far nulla.

Bisogna che gli intellettuali musulmani si impegnino fortemente a dire: l’islam non è questo, ti faccio vedere il vero insegnamento, bisogna rispettare tutti nella legge sociale, ciascuno nel suo ambito religioso. Io rispetto un musulmano credente che prega e chi prega per il Signore rispetta gli altri perché Dio dice: non uccidete”.
Per Samaan e per il milione di cristiani rimasti in Siria – prima della guerra erano il 10% della popolazione, ora nemmeno il 5% – oltre che con la difficoltà quotidiana dovuta alla miseria e alla mancanza di prospettive, c’è da combattere con il veleno della diffidenza instillato dal fondamentalismo. “Quando rompi un bicchiere – usa questa metafora – puoi provare a metterlo a posto, ma i segni restano. Allora devi rimetterlo a cuocere nel forno e applicare il balsamo per farlo tornare nuovo. Questo balsamo si chiama «riconciliazione ». 
Mio figlio mi ha chiesto: ma è possibile? Cristo sulla croce ha detto: padre perdonali perché non sanno quel che fanno. Gesù pure a noi ha detto: un giorno sarete perseguitati e diranno bene quando vi ammazzano. Questo giorno lo stiamo vedendo. Però o rimani nell’odio che vuol dire nel male – o perdoni”. 

Samaan crede nell’educazione, “a partire dai genitori”. Porta l’esempio di un progetto del governo rivolto a studenti delle Elementari di varie confessioni religiose. “È andato molto bene, alla conclusione del percorso è nata un’amicizia tra un bimbo cristiano e musulmano.
Quel musulmano che non sapeva niente di cristianesimo ha visto al collo dell’amico una catena con la croce e gli chiesto cos’era. Il bimbo cristiano gliel’ha voluta regalare. Tutto contento, torna a casa e la fa vedere alla mamma. Sono bastate due parole per farlo tornare indietro e buttarla in faccia al bimbo cristiano. Per questo dico che bisogna lavorare con gli adulti. Se tu calpesti qualcosa, tuo figlio farà altrettanto”.

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