Intervista a padre Georges Abou Khazen
di Davide
Malacaria
Ormai il 60%
della popolazione ha abbandonato Aleppo, la città siriana che sta diventando il
simbolo di questa guerra che dura tempo e che molti si ostinano a chiamare
civile, ma che di civile non ha nulla. Simbolo perché la presenza cristiana è
più numerosa che altrove in Siria, anche se ora è ridotta a un piccolo gregge.
E perché ormai da anni resta in un tragico stallo che vede metà città occupata
dai tagliagole anti-Assad che rendono impossibile la vita nei quartieri non
occupati. I cosiddetti ribelli vi imperversano con bombardamenti continui,
giorno e notte, e nei mesi scorsi hanno tagliato per ben due volte le tubature
che rifornivano di acqua l’intera popolazione civile. Il vescovo di Aleppo,
padre Georges Abou Khazen, racconta di quei giorni, quando flussi continui di
gente si affollavano presso le fontane edificate vicino a chiese e moschee per
tentare di limitare i danni di quell’atto terroristico che ha prostrato la
città. Una penuria di acqua che ancora continua, nonostante il ripristino della
rete idrica, aumentando i disagi di una popolazione stremata dai bombardamenti
continui.
È a Roma il
vescovo, come altri nuovi vescovi di fresca nomina riuniti in Vaticano. E lo
incontriamo alla Delegazione di Terra Santa, sua dimora provvisoria prima di
tornare alla sua città che da poco, rivela, sta conoscendo un nuovo orrore: i
cannoni dell’inferno, come gli jihadisti chiamano il loro ultimo ritrovato
balistico. Si tratta di bombole di gas che i cosiddetti ribelli anti-Assad
lanciano a grande distanza e fanno esplodere contro civili inermi, spesso
modificati applicando sulla bomba artigianale pezzi si ferro e altro che,
nell’esplosione, spandono all’intorno schegge, aumentandone la portata letale.
Una sorta di bombe a frammentazione fatte in casa, vietate dalle convenzioni
internazionali. Bombole di gas che probabilmente arrivano in Siria sotto forma
di aiuti umanitari alla popolazione…
Inoltre,
prosegue il presule, i miliziani hanno iniziato a usare i tunnel sotterranei
che partono dalla cittadella, l’antica fortezza di Aleppo, per raggiungere le
varie zone della città: in particolare per piazzare i loro ordigni esplosivi
sotto gli edifici storici; ormai il suk, dichiarato patrimonio dell’umanità
dall’Unesco, è un cumulo di macerie.
A monsignore
chiediamo dell’Isis, che incombe a 20 chilometri da Aleppo. «Ora si parla tanto
di Isis – risponde – e americani e altri vogliono intervenire per fermarlo. Ma
temo che si stia ripetendo un tragico errore: ogni volta che gli americani sono
intervenuti militarmente in una regione hanno solo alimentato il caos e le
divisioni. A proposito di questo Isis c’è poi da ricordare che Hillary Clinton
di recente ha detto che gli Usa si trovano a combattere ciò che hanno creato
loro stessi. Già perché l’Isis fu creato per andare contro Assad… ».
Non che non
serva intervenire, specifica monsignore, ma per fermare questo mostro serve ben
altro che le bombe: «Anzitutto occorre fermare i finanziamenti e il flusso di
armi verso questi miliziani: hanno armi sofisticatissime, chi gliele dà?». Gli
diciamo che sui giornali italiani scrivono che questi armamenti sono stati
saccheggiati dall’Isis all’esercito iracheno. Sorride ironico: vero in parte,
spiega, e in parte no. «Poi bisogna smettere di comprare il petrolio dall’Isis»,
continua. Anche qui accenniamo a quanto riferiscono i giornali, secondo i quali
sarebbe venduto ad Assad e agli iracheni. Sorride di nuovo: «Lo comprano le
grandi compagnie petrolifere, a dieci dollari al barile invece che a cento…»,
afferma con sicurezza, come di cosa che in Siria sanno anche i sassi.
E invece
continuano a rullare i tamburi di guerra. «Un intervento militare – prosegue il
presule – aumenterà la destabilizzazione e renderà ancora più difficile la
convivenza tra islamici e cristiani. E dire che questa è andata avanti per
secoli, nonostante episodi critici. La Siria era esemplare in questo: c’era
convivenza, pluralismo, rispetto. Una caratteristica che ancora dura, anche
sotto le bombe cristiani e musulmani si sostengono a vicenda, si aiutano come
possono. Questo anche perché per secoli il punto di riferimento degli islamici
è stata l’Università di Al Azar, al Cairo, che propugnava un islam moderato.
Oggi si sta diffondendo un islam più intransigente, quello wahabita dell’Arabia
Saudita: i miliziani apportatori di morte e distruzione vengono da queste
scuole, sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria,
quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E
istituiscono i loro tribunali. Sono cose ignote all’islam della regione. E dire
che l’Arabia Saudita sembra sia l’asse portante dell’alleanza che si sta
formando contro l’Isis… ». Chiosa monsignore. Lo incalziamo, spiegando che in
Occidente si pensa che siamo di fronte a una guerra tra islam e cristianesimo.
Non è così, ripete: gli jihadisti ammazzano anche gli islamici che non la
pensano come loro, buttano giù le loro moschee. Non è così, ripete.
Gli Stati
Uniti, oltre a programmare l’intervento militare, hanno deciso di armare i
ribelli moderati siriani. Chiediamo a monsignore cosa ne pensa di questa
decisione. «Moderati? E quali sono? Ce lo dicano, noi in Siria non ne vediamo.
Tutto il mondo ora parla dell’Isis, ma tutti i gruppi armati che stanno
insanguinando la Siria fanno barbarie simili a quelle dell’Isis. Un tempo
c’erano anche siriani tra i cosiddetti ribelli, ma oggi l’80% di questi sono
stranieri. Non ci sono moderati in Siria. Tra l’altro lo stesso Obama ha detto
solo un mese fa che parlare di ribelli moderati in Siria è solo “fantasia”… non
ne verrà nulla di buono da questa decisione. Sono armi che vanno in mano a
terroristi, ad Al Qaeda». Tra l’altro racconta dei tanti siriani che sono
fuoriusciti dalle fila dei ribelli per tornare con Damasco. Un fenomeno carsico
che ha interessato centinaia, se non migliaia di persone, del quale l’Occidente
ignora l’esistenza.
Resta che
Assad è dipinto come un tiranno sanguinario da tutti i media nostrani… «Non
sarà la Regina d’Inghilterra, ma ci sono tanti regimi dispotici nel mondo arabo
– risponde monsignore -. Parlano delle violazioni dei diritti dell’uomo da
parte di Assad… guardino l’Arabia Saudita, dove alle donne è proibito
praticamente tutto. Dove a chi non è wahabita è proibito anche pregare in
pubblico… Avevano chiesto che il regime si aprisse: Assad ha aperto al
pluralismo e nelle ultime elezioni c’erano diversi partiti. Nonostante la
guerra sono state abolite le leggi d’emergenza. Ha dato vita a una nuova
Costituzione. Alle elezioni il popolo lo ha votato in massa. Certo, non si
tratta di una democrazia occidentale, ma ci sono regimi molto peggiori in Medio
Oriente…», conclude. E aggiunge che dei cristiani non c’è più traccia nelle
zone cadute in mano ai ribelli: le chiese sono state distrutte e non ci sono
più sacerdoti né suore né fedeli. Una situazione particolarmente dolorosa per
il vescovo.
Già, la
Chiesa, come vive in questa tempesta? Monsignor Abou Khazen non fa discorsi
teorici, parla di cose. E racconta dei 25.000 pasti che i gesuiti preparano
ogni giorno per gli abitanti di Aleppo, cristiani e islamici. Un’opera
sostenuta anche grazie alle donazioni di musulmani in quello che appare un
ecumenismo della carità. Come tanta è la carità dispiegata nei quartieri
cristiani verso i profughi musulmani che vi si affollano. Racconta
dell’ospitalità delle famiglie cristiane, della loro sollecitudine verso questa
gente che ha perso tutto. «Ci sono tanti ragazzi volontari che portano
assistenza a queste persone, sia a livello umanitario, sia a livello
psicologico, con particolare riguardo ai bambini». Ma cose analoghe capitano
anche all’inverso, nei quartieri islamici dove trovano rifugio i cristiani.
Quindi
racconta degli anziani e dei portatori di handicap ospitati in un locale del
Vicariato: «Si trovavano in una struttura islamica che è stata bombardata dai
miliziani, così li abbiamo ospitati noi. All’inizio c’erano anche dei bambini
di un orfanotrofio, ma questi ultimi abbiamo dovuto spostarli in un’altra
struttura, dal momento che era un po’ ingestibile. Questi locali appartenevano
a uno studentato tenuto dalle suore. Pieni di crocifissi e immagini religiose.
Immagini e crocifissi sono ancora tutti lì, insieme ai nostri ospiti che li
hanno rispettati in maniera commovente». Il volto di monsignore si illumina
mentre parla dei suoi “ospiti”, e rallegra il cuore.
Lo
studentato è dedicato a “Gesù operaio”, specifica il presule. Quel titolo umile
sta ancora lì, scolpito sulla pietra all’ingresso di questa struttura che
ospita gli ultimi degli ultimi. Stride questa umiltà con il mostro feroce che
ruggisce d’attorno.. Ma da queste parti è così da duemila anni. Dalla strage
degli innocenti. Quella compiuta da Erode: non un truce islamista, ma uno
scaltro funzionario dell’Impero.
«Mi viene da piangere confrontando quello che Aleppo e la Siria hanno rappresentato per secoli nella cultura, nell’arte e nella religione con lo scempio a cui siamo sottoposti in questi mesi. Ma sono convinto che siamo ancora in tempo per salvare questo tesoro dell’umanità»
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