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sabato 8 settembre 2012

Grande attesa della visita del Papa in Libano. UNA SCHEDA PER COMPRENDERE LA SITUAZIONE DI QUESTO FRAGILE PAESE

di Mario Villani
Il Libano è un Paese letteralmente “schiacciato” tra Siria, Israele e Mar Mediterraneo. Ha una caratteristica che lo rende unico, ma anche particolarmente fragile.

Nei poco più di diecimila chilometri quadrati che compongono il suo territorio convivono in un equilibro, maturato nei secoli eppure ancora non di rado precario, ben diciassette diverse comunità religiose. Musulmani sciiti e sunniti, drusi, cattolici di rito orientale (principalmente maroniti) e latino, cristiani ortodossi di varie liturgie, armeni, ebrei e piccole realtà protestanti. A differenza degli altri paesi arabi i cristiani non sono una piccola minoranza, ma rappresentano circa il 50% della popolazione (e oltre se si considera la diaspora libanese all'estero). Le due città principali sono Beirut, la capitale, e Tripoli del Libano che fu un importante porto nel nord del Paese, ma che oggi vive un periodo di seria decadenza.

Il Libano è stato travagliato dal 1975 al 1990 da una guerra che ha fatto quasi duecentomila morti (su meno di quattro milioni di abitanti), ha messo le comunità religiose l'una contro l'altra, ha diviso i Maroniti in due fronti che hanno finito, nel 1990, addirittura per combattersi tra di loro ed ha provocato una duplice invasione straniera: quella israeliana e quella siriana. Da alcuni anni, e malgrado gravissimi ed irrisolti problemi, il “Paese dei Cedri” ha cercato di ritrovare una sua normalità, sanando le ferite della guerra e ritrovando, dopo il duplice ritiro degli eserciti di Israele e Siria, un certo grado di reale indipendenza. Attualmente nel Paese si fronteggiano due schieramenti politici: l'alleanza definita del “14 marzo” composta dai sunniti di Hariri (un miliardario legato all'Arabia saudita, di cui ha persino la cittadinanza) e dai Cristiani delle Forze Libanesi e di altri piccoli partiti. Contro, ed attualmente al governo, vi è l'alleanza del “23 marzo” composta invece dagli sciiti di Hezbollah, dai Cristiani che fanno capo al Movimento Patriottico Libero del generale Michel Aoun, dagli Armeni e da altre formazioni minori tra le quali il Partito Nazionale Socialista pro-siriano. In mezzo tra i due schieramenti ondeggiano i Drusi di Walid Joumblatt.

Nel nord del Paese la comunità religiosa prevalente è quella sunnita, con una presenza cristiana che si è notevolmente ridotta nel corso della guerra 1975-1990. Solo per fare un esempio, a Tripoli del Libano prima del 1975 le comunità cristiane erano complessivamente circa il 30% della popolazione, mentre oggi non arrivano neppure al 5%. Rimane invece, sempre al nord, una consistente presenza cristiana -quasi integralmente maronita- nella regione dell'Akkar e nelle valli più impervie del Monte Libano.

Tripoli è oggi considerata in assoluto la città più povera del Libano, con percentuali di disoccupati superiori al 50% della forza lavoro e la stragrande maggioranza della popolazione che vive con un reddito di meno di seicento dollari all'anno. Questa drammatica situazione sociale, unitamente alla massiccia presenza sunnita, rendono questa città del nord Libano il terreno ideale per la diffusione di quell'ideologia islamista conosciuta come salafismo (che letteralmente significa i pii antetati) che trova appoggio e comprensione nei regimi della penisola arabica ed in particolare nell'Arabia Saudita wahabita. Ricordiamo che i salafiti sono la componente principale e più sanguinaria del movimento di rivolta in corso in Siria ed è quindi facilmente comprensibile la ragione per cui la tensione nel nord Libano stia rapidamente crescendo.

Le avvisaglie si erano, per la verità, percepite ben prima che si aprisse la crisi siriana.


Nel 2006, infatti, si era costituito a Tripoli un movimento islamista chiamato Fatah Al Islami, composto non solo da Libanesi, ma anche da Ceceni, Algerini, Afgani, Sauditi, Pakistani e Yemeniti. Soldi e armi erano stati forniti dall'Arabia Saudita con il beneplacito degli Stati Uniti e dello stesso capo del Governo libanese, che era allora il libano-saudita Saad Hariri, a cui non spiaceva veder sorgere un contraltare armato al movimento Hezbollah. Alla fine del 2006 i militanti di Fatah Al Islami (circa settecento uomini) assumevano il controllo di un grosso campo profughi palestinese, chiamato Nahr el Bared e situato alla periferia di Tripoli.

La scelta non era casuale: i campi palestinesi in Libano godono di uno statuto speciale internazionalmente garantito, in base al quale la Polizia libanese non può accedervi e l'ordine interno deve essere mantenuto dai Palestinesi stessi. Con l'occupazione di Nahr El Bared, gli uomini di Fatah Al Islam si erano garantiti una base sicura da dove espandere su tutto il nord Libano la propria influenza. Dopo una lunga serie di attentati mortali contro  militari libanesi di stanza a Tripoli, le Forze Armate del paese dei cedri decisero però di intervenire -malgrado la riluttanza del capo del Governo Saad Hariri che continuava a considerarsi il protettore di Fatah Al Islam- e posero l'assedio al campo. I miliziani di Fatah Al Islam erano dotati di armi modernissime -pare addirittura dei mini-robot combattenti- e godevano di appoggi tra i sunniti della corrente del Futuro, il partito del capo del Governo- che riuscirono a far giungere rifornimenti nel campo persino dopo l'inizio dell'assedio. Si creò così una situazione paradossale: un gruppo armato combattuto dall'esercito di un Paese e appoggiato, di fatto, da militanti del partito al governo nel Paese stesso! La battaglia durò per tutta l'estate del 2007 e costò la vita ad oltre centocinquanta militari libanesi, duecento miliziani ed un numero imprecisato di civili. Solo ai primi di settembre i miliziani superstiti cercarono di fuggire dal campo, divenuto ormai una trappola mortale. Molti vi riuscirono e si dispersero nei villaggi sunniti del nord Libano, altri vennero catturati dall'esercito (e sono tutt'oggi in carcere in attesa di processo). Il capo riconosciuto di Fatah Al Islam, Sakir Al Absi, venne invece ucciso nel tentativo di fuga, anche se qualcuno dubita che il corpo mostrato all'ospedale di Tripoli fosse veramente il suo. Di Fatah Al Islam si risentirà parlare un anno più tardi, il 27 settembre 2008, in occasione di un sanguinoso attentato compiuto a Damasco e attribuito dalle autorità siriane proprio a militanti del gruppo terrorista. Quell'attentato fu forse il primo atto della tragedia che oggi è in corso in Siria.

Sconfitto Fatah Al Islam dall'esercito libanese sembrò che sul nord Libano potesse tornare una parvenza di tranquillità. Non era così. Finanziata dall'Arabia Saudita e appoggiata dalla Corrente del Futuro (il partito di Saad Hariri) in molte moschee dilagava una violenta propaganda salafita e islamista. Si cominciava allora a parlare di Califfato di Tripoli e si indicavano i nemici di sempre: gli Sciiti, i Cristiani ed i Sunniti che non aderivano alle posizioni estremiste espresse dai Salafiti. Persino alcuni deputati del Partito di Hariri incominciarono a farsi crescere la barba con quella particolare forma che denota la vicinanza ai movimenti salafiti ed a frequentare ambienti e circoli estremisti.

La crisi siriana sta facendo precipitare la situazione anche nel nord Libano, divenuto la retrovia dei combattenti della provincia siriana più insanguinata, quella di Homs. Gli ospedali di Tripoli sono utilizzati dai combattenti che vengono dalla Siria per curare i propri feriti mentre, malgrado gli sforzi dell'esercito libanese, un flusso continuo di armi, denaro, combattenti e droga passa attraverso la frontiera libano-siriana, contribuendo ad alimentare la guerra nel Paese confinante. Diversi quantitativi di armi sono state sequestrate dalle autorità, ivi compreso -nel mese di maggio- il carico di un'intera nave di provenienza libica attraccata a Tripoli. Si tratta però solo di una goccia in quel mare di armi che, provenendo da paesi esteri, si sta rovesciando in Siria. Molte di queste armi rimangono però a Tripoli e nei villaggi sunniti al confine con la Siria, giudicati di importanza vitale per poter garantire la continuità dell'afflusso di rifornimenti ai ribelli siriani. I gruppi salafiti libanesi, quindi, oltre ad essere sempre più numerosi, organizzati e forniti di appoggi interni e internazionali, sono oggi anche pesantemente armati: e, ovviamente, sono incominciati gli incidenti. Già nel mese di febbraio di quest'anno, a più riprese, a Tripoli vi sono stati scontri armati, ma è intorno alla metà di maggio che si è verificata la prima vera battaglia, quando i miliziani provenienti dal  quartiere sunnita di Bab al Tabbaneh hanno tentato di invadere il quartiere di Jabal Mohsen, abitato prevalentemente da alauiti (quindi simpatizzanti per il regime siriano di Bashar Assad, anche lui alauita). Gli scontri, che sono durati tre giorni, addirittura con l'impiego di mortai e lanciarazzi RPG, hanno fatto alcune decine tra morti e feriti e si sono conclusi solo dopo il massiccio dispiegamento nella zona di unità blindate dell'Esercito Libanese.

Le notizie degli scontri a Tripoli hanno provocato disordini in tutto il resto del Libano. I più gravi a Beirut, dove miliziani del partito di Hariri hanno attaccato la sede del Partito del Movimento Arabo, considerato filo-siriano. Anche in questo caso solo l'intervento dell'esercito regolare ha posto fine agli scontri e salvato i militanti del Partito del Movimento Arabo (pochi e praticamente disarmati) da un probabile massacro.

Sempre alla fine del mese di maggio un altro grave episodio ha fatto ulteriormente crescere la tensione. Ad un posto di blocco dell'esercito nella regione settentrionale dell'Akkar è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco lo Sheikh Ahmad Abdul Waled, noto per le sue posizioni estremiste e filo-salafite. Secondo le fonti ufficiali non si sarebbe fermato all'alt dei militari ed anzi le sue guardie del corpo avrebbero aperto per prime il fuoco sui soldati. Opposta la versione dei salafiti, che hanno accusato l'esercito di assassinio a sangue freddo. Immediatamente è partita una campagna mediatica per chiedere il ritiro dell'esercito libanese dalle regioni del nord Libano e l'affidamento del controllo del territorio alle sole Forze di Sicurezza Interna, costituite sotto il Governo Hariri e notoriamente considerate filo-corrente del Futuro. Sarebbe il modo per lasciare campo libero ai salafiti e trasformare le regioni del Libano settentrionale in un sicuro retrovia delle operazioni in Siria. L'esercito non è stato ritirato, anche per la decisa presa di posizione contraria assunta da Hezbollah, ma ha assunto un profilo molto più basso, cercando in ogni modo possibile di evitare incidenti con membri della comunità sunnita. Questo però ha sicuramente facilitato le attività di chi utilizza le frontiere libanesi come transito di rifornimenti di uomini e armi per i ribelli siriani.

Oltre a creare preoccupanti problemi di ordine pubblico, questa situazione mette molti esponenti della comunità politica libanese in grave imbarazzo.
In primo luogo Saad Hariri, che peraltro vive da oltre un anno e mezzo a Parigi, il quale non sembra più in grado di controllare le frange armate del suo partito che quindi finiscono sempre più per appiattirsi su posizioni filo-salafite, rischiando di porre così le premesse per un futuro scontro con il potente e ben organizzato Hezbollah. Ancora più in difficoltà appare il leader delle Forze Libanesi Samir Geagea, che da sempre (e sempre meno credibilmente) si propone come campione della Cristianità libanese. Stretto alleato di Hariri e della Corrente del Futuro fatica sempre di più a tranquillizzare l'opinione pubblica cristiana, letteralmente terrorizzata dalla crescita del movimento salafita e dallo slittamento verso posizioni sempre più integraliste del partito di Hariri. Una nemesi storica, proprio Geagea che aveva accusato di tradimento il generale Aoun per la sua alleanza con Hezbollah, ora si trova a dover giustificare la sua alleanza con un partito che ha, nei confronti dei Cristiani, un atteggiamento sicuramente molto più ostile del potente movimento sciita.

Come potrà essere il futuro del Libano?
Il piccolo Paese mediterraneo è – come disse Papa Giovanni Paolo II°- una “laboratorio di coesistenza” tra diverse confessioni religiose. Vive però su equilibri fragili, che per poter reggersi e consolidarsi hanno bisogno di una ambiente regionale relativamente stabile e pacifico. Esattamente il contrario di quello che sta diventando il Medio Oriente. La guerra in Siria, le tensioni con l'Iran, la diffusa (e ben alimentata) ostilità tra Sciiti e Sunniti, la crescita di movimenti estremisti di matrice salafita stanno creando un vortice spaventoso. Sarà ben difficile impedire che anche il Pese dei cedri non vi venga risucchiato.


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