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martedì 23 marzo 2021

Il Libano sull'orlo dell'abisso

distribuzione e composizione confessionale della popolazione libanese. 
fonte: https://twitter.com/DelamartinoJ/
status/1373324488117485575

Elijah J. Magnier , corrispondente di guerra ed analista politico specializzato su Medio Oriente, ci dà la sua visione della odierna preoccupante situazione del Paese dei Cedri, dal punto di vista del 'Partito di Dio' 

Tradotto da A.C. 

Non ha particolarmente stupito la notizia che il presidente israeliano Reuven Rivlin e il capo di stato maggiore delle forze armate Aviv Kochavi abbiano bussato alle porte dell’Eliseo (la residenza del presidente francese) per esprimere le loro critiche nei confronti di Hezbollah e ovviamente anche dell’Iran. Indubbiamente Israele non sarà mai in grado di accettare la presenza sui suoi confini di una forza militare molto potente, dotata di centinaia di missili di precisione in grado di coprire tutta la Palestina. Non solo, Hezbollah possiede anche decine di migliaia di missili modificati di precisione sebbene con un raggio più corto. Israele già nel 2006, quando l’organizzazione libanese possedeva molti meno missili e non aveva l’esperienza di oggi, non era riuscito a sconfiggerla. Per cui oggi un eventuale scontro avrebbe un prezzo altissimo e Israele non avrebbe affatto la garanzia di poterne uscire vittorioso. Così in seguito al tentativo fallito di dividere la Siria nel 2011 e l’Iraq nel 2014 e dopo aver cercato di piegare l’Iran attraverso sanzioni sempre più dure che gli Stati Uniti continuano a imporre alla “Repubblica Islamica” fin da quando è nata, le prospettive di debellare Hezbollah si riducono sempre più. 

Gli Stati Uniti e Israele hanno cercato di appoggiare la “rivoluzione libanese“, le ONG presenti nel paese, e hanno investito più di 10 miliardi di dollari per riuscire a paralizzare Hezbollah, senza risultati. Non restano a questo punto che due opzioni: fomentare un conflitto settario oppure ridurre alla fame la popolazione accusando Hezbollah e le sue forze armate e di sicurezza. Riusciranno nell’intento? Come si sta organizzando Hezbollah e che opzioni ha? 

Le recenti guerre in Siria, Iraq e Yemen hanno fornito a Hezbollah, uno dei principali partecipanti, un’esperienza bellica senza precedenti. Ha infatti combattuto insieme ad un esercito classico e a quello di una superpotenza, rispettivamente l’esercito siriano e quello russo. Ha usato carri armati, missili che si è costruito e droni armati e tra le tante operazioni che l’hanno visto protagonista ha condotto anche azioni di sabotaggio dietro le linee nemiche. Subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha definito la Russia un avversario e la Cina un concorrente pericoloso, una presa di posizione che ha avuto come risultato quello di favorire un inedito riavvicinamento tra questi due paesi e i nemici dell’amministrazione americana in Medio Oriente, soprattutto l’Iran e Hezbollah. 

Una delegazione del partito comunista cinese si è recata in Libano e ha incontrato la leadership di Hezbollah a cui ha proposto dei progetti del valore di 12 miliardi di dollari mirati a rimettere in sesto la rete elettrica, le comunicazioni, i trasporti e tutte quelle infrastrutture di cui il paese ha un impellente bisogno. E la Russia da parte sua ha invitato a Mosca una delegazione guidata da Haj  Mohamad Raad che ha incontrato il ministro degli esteri Sergei Lavrov e altre autorità del paese. 

E’ importante sottolineare che Hezbollah in Siria è schierato in 131 punti strategici, l’Iran in 115 e la Russia in 95 escludendo l’aeroporto militare di Hmaymeem e la base navale di Tartus (sotto il controllo russo). In conseguenza è d’obbligo un coordinamento strategico tra Hezbollah e la Russia soprattutto dopo che i servizi di intelligence americani riconoscono e prendono atto che Hezbollah è una potenza regionale senza contare che la accusano anche di essere in grado di interferire nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Ma la catastrofica situazione economica del Libano ha colpito duramente la maggior parte dei libanesi, Hezbollah incluso. E le sanzioni imposte dagli Stati Uniti all’Iran (a partire dal 1979) che hanno raggiunto il livello più alto nel 2020 e che Biden non ha revocato, hanno impedito a Teheran di essere generosa con i suoi alleati anche se non ha mai smesso di finanziarli regolarmente. L’Iran considera i suoi alleati una componente  essenziale della sua sicurezza nazionale. Sebbene il loro benessere sia fondamentale, tutti gli extra sono stati tagliati e i finanziamenti ridotti al minimo necessario. I salari di Hezbollah restano gli stessi e vengono regolarmente pagati. Ma solo un 20, 25% riceve lo stipendio in dollari americani e mentre prima a un dollaro corrispondevano 1.500 lire libanesi oggi il cambio è salito a 13.000. Una gran parte dei membri di Hezbollah non riceve alcun salario oppure viene pagata in moneta locale. La leadership dell’organizzazione ha creato un ente di beneficienza interno chiamato “Muwasat” (fondo di consolazione). I membri di Hezbollah pagati in dollari potranno sostenere economicamente i membri non pagati e le famiglie in stato di bisogno. 

Il deterioramento della situazione economica in Libano è dovuto a una serie di motivi. Lunghi decenni segnati dalla corruzione a partire dagli anni 90 hanno portato alla “dollarizzazione” delle importazioni libanesi e inferto un duro colpo alla produzione locale. Negli anni passati la guerra fatta dagli Stati Uniti al governo di Damasco e le sanzioni americane e europee alla vicina Siria (Caesar Act) hanno giocato decisamente a sfavore dell’economia libanese. A livello interno il prosciugarsi dei dollari nel   mercato libanese avvenuto in seguito alla cattiva gestione, voluta, del Governatore della Banca Centrale, personaggio controllato dagli Stati Uniti, e l’influenza esercitata dagli Stati Uniti sui paesi ricchi del Golfo che li ha indotti a non sostenere finanziariamente il Libano, sono stati l’ennesimo colpo letale inferto all’economia libanese.Tutte queste cose messe insieme hanno iniziato a ridurre la popolazione alla fame, le medicine sono praticamente introvabili, mancano i generi alimentari, il crollo della moneta locale ha creato un’inflazione galoppante e così per una grossa fetta di popolazione sopravvivere sta diventando un’impresa quasi impossibile. 

La mancanza di cibo e medicine non necessariamente costituisce un motivo per scatenare un conflitto a livello militare. L’Iran potrebbe rifornire il Libano di medicine necessarie, di cibo (lo sta già facendo) e l’Iraq si è impegnato a consegnare al Libano il carburante necessario a far funzionare la rete elettrica e i trasporti. Ma il problema della sicurezza è quello più critico dato che molti gruppi schierati con gli Stati Uniti stanno chiudendo le strade più importanti in varie città, impedendo in questo modo le comunicazioni tra gli sciiti nella capitale e nelle periferie, nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Il blocco delle strade viene chiamato disturbo della “via dei rifornimenti” della resistenza, un’azione imperdonabile e pericolosissima che Hezbollah potrebbe considerare come una dichiarazione di guerra. 

E’ ancora vivo nel paese il ricordo del 7 maggio 2008 (il giorno in cui Hezbollah prese il controllo di un’area di Beirut in mano al governo filo-americano). Il governo filo-statunitense aveva deciso di chiudere la rete di telecomunicazioni di Hezbollah, un’azione che l’organizzazione interpretò come una dichiarazione di guerra. Lo scopo era quello di bloccare il circuito di Hezbollah e il suo sistema di comunicazione (fibra ottica) essenziale per permettere al comando dell’organizzazione di dirigere le  battaglie se ci fosse stato un conflitto. Durante la guerra del 2006 gli ordini di attacco erano coordinati e non furono mai interrotti anche quando Israele cercò di distruggere la rete senza riuscirci. La decisione era stata presa dal governo dell’ex primo ministro Fouad Siniora un politico nemico di Hezbollah e amico degli Stati Uniti e dei sauditi, accusato di corruzione ma salvato dall’intervento dell’ex primo ministro Rafic Hariri che lo nominò ministro delle finanze per proteggerlo da un procedimento legale ( succede solo in Libano). 

Secondo fonti libanesi ben informate, nelle manifestazioni delle ultime settimane i sostenitori del primo ministro Saad Hariri con la scusa della fame e della svalutazione della lira hanno chiuso la strada di Saadnayel che collega gli sciiti della valle della Bekaa a Beirut. Anche la strada di Alay è stata chiusa dai sostenitori del leader druso filo-americano Walid Jumblatt per impedire agli sciiti di raggiungere la periferia di Beirut. E pure  la strada di Jiyeh che porta nel sud del Libano veniva chiusa dai sostenitori di Hariri e di Jumblatt. Erano tutti movimenti coordinati che fanno capire  come lo scenario servisse a preparare il paese a qualcosa di più grosso e a  verificare la reazione di Hezbollah. 

Sta di fatto che anche la leadership dell’esercito libanese ha contribuito a peggiorare la situazione poiché il comandante in capo, il generale Joseph Aoun si rifiutava di obbedire ai ripetuti ordini del presidente Michel Aoun di riaprire le strade permettendo però ai dimostranti di manifestare a lato delle stesse. Il generale Joseph Aoun è candidato alla presidenza e probabilmente crede (ma si sbaglia) che l’appoggio degli Stati Uniti sia sufficiente a soddisfare le sue ambizioni politiche. 

Più di sei mesi fa successe la stessa cosa, vennero chiuse tutte le strade usate dall’ “Asse della Resistenza” che vanno nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Dopo ripetuti e inutili avvertimenti Hezbollah convocava più di 1.000 uomini delle forze di mobilitazione che vivono nella zona dove i dimostranti avevano bloccato le strade affinché si preparassero a sgombrarle con la forza. All’ultimo minuto l’esercito libanese, la cui leadership era stata informata, interveniva e allontanava i dimostranti chiaramente manipolati dai partiti filo-americani. 

Si sta prospettando uno scenario simile ma chiudere la via dei rifornimenti della resistenza non verrà permesso. L’ “Asse della Resistenza” ritiene che questa dichiarazione di guerra non sia nient’altro che un chiaro appoggio a Israele. Si pensa che ci vogliano dalle 24 alle 48 ore per liberare tutte le strade indipendentemente dal numero dei dimostranti e da quanto siano ben armati. 

Al Libano non è permesso di poter vivere in pace a meno che i suoi leader non siano pronti a concedere una parte dei loro  confini marittimi a Israele e Hezbollah venga disarmato, sempre, ovviamente, per far piacere a Israele. Gli Stati Uniti stanno portando il Libano al fallimento, non permettono che riceva gli aiuti dell’Iraq, della Cina e della Russia mentre  loro non sono intenzionati a sostenerlo. Più voci all’interno del paese , soprattutto la Forze Libanesi schierate con gli Stati Uniti e Israele, insistono sul disarmo di Hezbollah e descrivono Sayyed Hassan Nasrallah come la “testa del serpente” ( c’è un video sui social media).

Ma Hezbollah non darà via le sue armi e cercherà di evitare la guerra civile ma non una battaglia se fosse necessaria. Hezbollah consolida la sua organizzazione che fa parte della società e continuerà a prepararsi militarmente per qualunque possibile scenario di guerra, in Libano o al confine. Ha spostato molte delle sue operazioni sottoterra dove stanno nascendo delle città proprio per affrontare in futuro le minacce americane e israeliane. 

Le forze statunitensi continueranno a collaborare con Israele per paralizzare Hezbollah. Il comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM), il generale Kenneth McKenzie è stato in Libano più volte nell’ ultimo anno. La sua visita più recente , avvenuta la scorsa settimana, è di fatto quella più importante: scortato da sei elicotteri dell’esercito libanese ha esplorato la zona di  Ghazzee-Mazraat Deir al-Ashayer con una squadra di ufficiali dell’intelligence e di esperti di topografia. Ha anche fatto visita al generale Joseph Aoun (capo dell’esercito) ma non ha incontrato il presidente e neppure altri leader politici o membri del governo.

Le fonti pensano che gli Stati Uniti stiano esplorando la zona strategica che sta al confine tra la Siria e il Libano che dista solo decine di chilometri da Damasco e potrebbe essere utilizzata come base dell’esercito libanese (una soluzione di facciata) controllata dagli Stati Uniti. E’ oltretutto la zona che collega la valle della Bekaa con il sud del Libano, molto vicina al Monte Hermon dove si pensa che Hezbollah abbia le sue basi e i suoi missili strategici. L’ambasciata americana a Beirut ha comunicato che il comandante del CENTCOM ha “inaugurato un impianto di pompaggio dell’acqua finanziato dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale -USAID” già in uso negli ultimi due anni per fornire acqua ad un villaggio quasi disabitato. Non è chiaro se inaugurare una pompa per l’acqua finanziata dagli Stati Uniti faccia parte delle competenze del generale McKenzie anche se l’ USCENTCOM è uno dei due comandi combattenti il cui quartier generale non si trova nella sua zona di responsabilità ma in Florida. 

Non si intravede nel breve periodo una soluzione per il Libano, un paese che cammina sull’orlo dell’abisso. I paesi del Golfo, gli Stati Uniti e Israele hanno deciso di spezzare il Libano e di far cadere il presidente Michel Aoun e il suo alleato Hezbollah. Ma saranno in grado insieme di far pendere la bilancia in loro favore? Non ci sono riusciti in Siria, in Yemen e in Iraq. Per Israele la guerra del 2006 è stata un fallimento e i  10 miliardi di dollari americani investiti per contrastare Hezbollah non hanno dato il via ad una rivoluzione e neppure ad una guerra civile. Hezbollah ha imposto un equilibrio della dissuasione in Libano e con Israele. E non ha nessuna intenzione di essere quello che comanda lo stato ma vive in un paese dove i politici hanno paura di far arrabbiare gli Stati Uniti. Il governo del Libano e i politici pro-Stati Uniti hanno timore a chiedere l’appoggio all’Oriente. Dipendono dalle esitazioni del nuovo presidente americano e della sua amministrazione che sta mantenendo inalterato lo status-quo di quella precedente (Trump). L’immobilismo e le minacce degli Stati Uniti stanno spingendo sempre più il Libano verso il precipizio.

https://ejmagnier.com/2021/03/23/il-libano-sullorlo-dellabisso/

lunedì 22 marzo 2021

La Colletta del Venerdì Santo: offri il tuo contributo per i Luoghi Santi e i cristiani di Terra Santa

Il prossimo 2 aprile, Venerdì Santo, si celebra la Giornata Mondiale di Terra Santa. La cosiddetta Colletta è “un gesto di carità e di solidarietà che ci permette di custodire i luoghi della Redenzione, di sostenere le nostre comunità cristiane e l'opera della Chiesa”.


Nel corso di tutto il 2020, in Terra Santa come nel resto del mondo, siamo stati messi a dura prova dalla pandemia che ha paralizzato buona parte delle attività economiche, ha bloccato il movimento delle persone e quindi anche dei pellegrini, ha messo in sofferenza e in stato di indigenza la maggior parte delle famiglie, ha sprofondato molte persone nella solitudine e nell’isolamento.

Nonostante o forse proprio a causa di questa situazione, come frati della Custodia di Terra Santa abbiamo cercato di intensificare il nostro impegno per vivere la nostra missione: quella che san Francesco ha voluto intraprendere nel 1217, di essere presenti come lievito di vangelo in un contesto a maggioranza di altra religione; e la missione che la Chiesa ci ha affidato, ufficialmente a partire dal 1342, di custodire i Luoghi Santi della nostra redenzione e la piccola comunità cristiana che qui ancora esiste e resiste, a dispetto delle avverse condizioni della storia e della globalizzazione dell’indifferenza.

Non abbiamo chiuso i santuari, ma abbiamo cercato di valorizzarli, intensificando in questi luoghi speciali della fede la nostra invocazione a nome dell’intera umanità e la nostra intercessione per l’umanità intera. Abbiamo cercato di rendere accessibili questi luoghi anche in modo virtuale, trasmettendo le varie celebrazioni durante l’anno, per mantenere vivo il legame con i fedeli e i pellegrini.

Non abbiamo smesso di prenderci cura delle nostre parrocchie, con i loro fedeli, siano essi locali di lingua araba, ebraica o greca, siano essi migranti lavoratori stranieri o rifugiati. Le celebrazioni – pur con molte restrizioni – sono continuate. I sacramenti hanno continuato a nutrire la vita dei nostri fedeli. È continuato l’impegno di catechesi. È continuata la cura degli ammalati, anche di quelli di Covid-19, ed è continuato l’accompagnamento dei moribondi, per non abbandonarli a una morte priva di dignità umana e cristiana. È continuato l’impegno caritativo per venire incontro a popolazioni provate non solo dalla pandemia, ma anche dai disastri della guerra e dalle leggi ciniche e crudeli dei mercati, dall’assenza di assistenza sociale, dal dover ricorrere a mendicare per potersi curare, per soddisfare i bisogni di tutti i giorni o per mandare a scuola i propri figli. Non abbiamo chiuso le scuole e abbiamo continuato a prenderci cura dell’educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani.

Tutto questo, ovviamente, ha un costo e gran parte di questo costo viene annualmente coperto dalla Colletta del Venerdì Santo e dalla generosità dei fedeli di tutto il mondo. Il 2020, anche per noi è stato un anno in cui le uscite necessarie a portare avanti la nostra missione sono rimaste consistenti, mentre le entrate sono state minime, perché proprio la Colletta per la Terra Santa in molte parti del mondo non si è celebrata. Quest’anno, perciò, più ancora che negli anni passati, noi frati della Custodia di Terra Santa ci facciamo mendicanti e ci appelliamo alla generosità del vostro cuore.

Come ci ricorda papa Francesco nella sua ultima enciclica, riflettendo sulla parabola del Buon Samaritano: «Oggi, e sempre di più, ci sono persone ferite. L’inclusione o l’esclusione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza» (Fratelli tutti, 69). E poco dopo la costatazione si fa domanda: «È l’ora della verità. Ci chineremo per toccare e curare le ferite degli altri? Ci chineremo per caricarci sulle spalle gli uni gli altri?» (Fratelli tutti, 70).

Aiutateci secondo le vostre possibilità, aiutateci secondo la generosità del vostro cuore, aiutateci ad aiutare.

Fr. Francesco Patton OFM, Custode di Terra Santa 

https://www.collettavenerdisanto.it/wp-content/uploads/2021/03/Colletta_2021.pdf

mercoledì 17 marzo 2021

Cronaca dei 10 anni di guerra contro la Siria. Di Nabil Antaki.

Le sanzioni impinguano le mafie nazionali e sovranazionali, riunendole intorno al banchetto abominevole dell'olocausto siriano.

    Maria Antonietta Carta 


Lettera da Aleppo n. 41 (15 marzo 2021)


Dieci anni fa, il 15 marzo 2011, ebbero inizio gli eventi in Siria. Molte proteste sfociarono rapidamente in un conflitto armato.

I ribelli raccontarono di voler stabilire uno Stato di diritto, uno Stato democratico che avrebbe rispettato i diritti umani e combattuto la corruzione, ma ben presto tutti si resero conto che questi ribelli non erano per niente moderati. Si trattava di  islamisti estremisti (Daesh, al-Nusra e altri) che intendevano abbattere l'unico Stato laico della regione per realizzare ‘’uno Stato islamista con più democrazia e diritti umani’’ (sic!). Erano armati e finanziati dai Paesi più arretrati del mondo, dove non esistono  democrazia o diritti umani, e supportati dai Paesi occidentali intenzionati ad abbattere l'unico governo della regione che osava dire no alla loro egemonia. Dopo essersi sbarazzati dei governanti iracheni e libici, pensavano che sarebbe stato facile: "Questione di poche settimane e voilà". 

A partire dalla ‘’primavera araba’’, tanto lodata dai media occidentali, i Siriani hanno vissuto in un lungo e tremendo inverno (10 anni) che ha distrutto il Paese, le sue infrastrutture, un patrimonio archeologico straordinario, scuole, fabbriche, ospedali; che ha ucciso più di 400.000 persone, causato 5 milioni di rifugiati nei Paesi limitrofi, 8 milioni di persone sradicate - gli sfollati interni che hanno dovuto abbandonare le loro case – e ha spinto un milione di esseri umani sulle rotte migratorie verso l'Europa e altri Paesi occidentali. 

Da 10 anni viviamo in guerra. Sì, 10 lunghi anni. Un tempo superiore alla durata complessiva dei due conflitti mondiali del secolo scorso. Sofferenze, lutti, povertà, miseria sono diventati il nostro destino. Una vita quotidiana che è un incubo. 

L'infanzia dei nostri figli è stata rubata, i loro sogni adolescenziali sono svaniti ed è distrutto il futuro dei nostri giovani. Vivevamo molto bene, prima dell'inizio degli eventi. Il nostro Paese era sicuro, stabile, secolare e prospero. Certo, eravamo ben lontani dalla perfezione, ma nessuna ingiustizia, nessuna violazione dei diritti umani, nessuna riforma mancata può giustificare la distruzione della nostra patria e il sacrificio di generazioni di nostri connazionali.

Sebbene da un anno non ci siano stati quasi combattimenti in Siria, nella nostra vita non esistono altro che prove e patimenti. Attraversiamo una tremenda crisi economica generata da 10 anni di guerra, dalla crisi finanziaria in Libano e dalle sanzioni che Stati Uniti e Paesi europei ci hanno inflitto. Il dollaro si cambia attualmente a 4.000 LireSiriane, mentre valeva 50 LS 10 anni fa e 1000 LS l’anno scorso. L'inflazione è dilagante, l'aumento del costo della vita sbalorditivo, Il 70% delle famiglie vive al di sotto della soglia di povertà. Senza cibo, prodotti per l’igiene e assistenza sanitaria. Per sopravvivere non restano che le ONG.

Confrontando i prezzi dei 10 prodotti più indispensabili, dallo scorso ottobre al 1 ° marzo, ci rendiamo conto che  sono aumentati del 70% in 5 mesi, mentre il reddito non è aumentato. Tutti diventano più poveri e sono sempre a corto di soldi.

Anche se i miei connazionali meritano il titolo di campioni del mondo di resistenza, hanno raggiunto il limite di sopportazione e aspirano soltanto a vivere normalmente e con dignità, come tutti i popoli della Terra.

La pandemia Covid19 ha peggiorato una situazione già gravissima. Tra dicembre e gennaio, abbiamo subito una seconda ondata della malattia. Anche noi Maristi Blu abbiamo pagato un prezzo altissimo con moltissimi i casi tra i nostri volontari o i loro genitori e anche decessi. Abbiamo sofferto molto per la morte del fratello marista Georges Hakim, uno dei nostri pilastri, dopo 15 giorni di ventilazione assistita in terapia intensiva; Margo, la nostra  decana, ha trascorso dieci giorni in ospedale con l’ossigenoterapia. Anche mia moglie Leyla a dicembre e io il mese scorso abbiamo contratto la malattia. Grazie a Dio ora siamo completamente guariti.

In questo contesto di crisi e miseria noi Maristi Blu continuiamo a vivere la compassione e ad agire in solidarietà con i più svantaggiati e gli sfollati. 

Dal 2012 al 2018, sei lunghi e bui anni di guerra, abbiamo mensilmente distribuito cesti alimentari a oltre 1000 famiglie per aiutarle a sopravvivere. Decidemmo di interrompere questo progetto all'inizio del 2019 perché eravamo convinti che fosse giunto il momento per le famiglie di non dipendere più dagli aiuti delle ONG e cominciare a vivere con il frutto del loro lavoro. Purtroppo, la situazione economica attuale è talmente catastrofica che non sono più in grado di sbarcare il lunario e ci hanno implorato di aiutarle nuovamente con i pacchi di cibo.

Secondo gli ultimi dati del Programma alimentare mondiale, "circa il 60% della popolazione siriana non ha accesso a cibo sano e nutriente in quantità sufficiente. Quattro milioni e mezzo di persone sono entrate in questa categoria nel 2020”. Lo scorso novembre, abbiamo quindi ripreso la distribuzione mensile dei pacchi alimentari a circa 1000 famiglie. Ogni cesto del valore di $ 15 può sfamare 4 persone per dieci giorni ed è equivalente all'80% della retribuzione mensile media di un lavoratore. 

Quando decidemmo di interrompere la distribuzione dei cesti alimentari alla fine del 2018, convinti che fosse giunto il tempo per i nostri assistiti di guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte, già da diversi anni  avevamo avviato un programma di "micro-progetti ”, il MIT, per insegnare ai giovani del nostro centro di formazione come creare la propria impresa e per finanziare i migliori. È così che, negli ultimi 5 anni, abbiamo finanziato 188 microprogetti e creato un progetto di apprendistato per giovani che, con l’aiuto di professionisti, imparano un mestiere: falegname, meccanico, elettricista, idraulico, parrucchiere, ecc. L'obiettivo di questi due programmi,  micro-progetti e formazione professionale, è la creazione di posti di lavoro per aiutare i giovani a guadagnarsi da vivere del proprio lavoro, a rinunciare all'emigrazione e a non "mendicare" dalle ONG. 

Il nostro progetto "Pane condiviso" continua a offrire a 190 persone molto anziane che vivono da sole un pasto caldo giornaliero, cucinato nella nostra sede da 10 signore e distribuito ogni giorno tra le 13:00 e le 14:00 da una ventina di nostri volontari. Visitandole ci siamo resi conto che alcune avevano anche bisogno di aiuto per la pulizia, il bagno, il cambio del pannolone o l’assunzione dei farmaci.

"Pane Condiviso" ora ha un figlio: il progetto "Assistenza agli anziani".


I volontari del progetto Colibrì continuano a prendersi cura degli sfollati nel campo Al Shahba, che si trova a 40 km da Aleppo. Le nostre due visite settimanali al campo permettono di organizzare attività educative per bambini e adolescenti, curare i malati e distribuire cibo, prodotti igienici e tutto ciò che è necessario per rendere la vita di queste famiglie sfollate un po’ meno penosa. La gioia dei bambini quando arriviamo al campo è pari solo alla gratitudine dei loro genitori nei nostri confronti.

I progetti educativi per bambini dai 3 ai 6 anni "Voglio imparare" e "Imparare a crescere" hanno ripreso le proprie attività a pieno ritmo dopo parecchie interruzioni dovute alla pandemia; interruzioni utilizzate dagli istruttori per rivedere i programmi e aggiornarsi.

Continuano l’attività anche:

- SEEDS, con 25 volontari, che offre un supporto psicologico a bambini, adolescenti e adulti con tre programmi differenti.

- Heartmade, che riciclando vecchi vestiti o scarti di tessuto crea meravigliosi abiti femminili che sono modelli unici.

- Taglio e cucito, per ragazze e madri.

-  Hope, per l’insegnamento dell'inglese.

- Sviluppo della donna, offre uno spazio di convivialità e formazione per le donne.

- Goccia di latte, fornisce una razione mensile di latte a bambini e neonati.  Continuiamo anche ad accogliere gli sfollati e a curare a nostre spese i malati indigenti.

Dall'inizio del conflitto, noi Maristi Blu abbiamo cercato di fare del nostro meglio per alleviare le sofferenze, permettere alle famiglie di vivere dignitosamente, trovargli lavoro, per lo sviluppo umano, per seminare speranza, lavorare per la riconciliazione e preparare la Pace.

 

I Siriani sono stanchi di aspettare la fine del tunnel e poter vivere normalmente. Dieci anni. Quando è troppo è troppo! Chiediamo, a breve termine, la revoca delle sanzioni imposte dagli USA e dall'Unione Europea e, a medio termine, l'instaurazione della pace che dovrebbe essere raggiunta attraverso il dialogo tra Siriani.

Strangolata da sanzioni europee e americane ingiuste e illegali, l'economia non si riavvia. Affermano che le sanzioni non colpiscono l’assistenza  umanitaria. Però, esse impediscono il commercio e l'importazione di prodotti, bloccano tutte le transazioni finanziarie da parte di tutti i cittadini siriani e tutti i progetti di ricostruzione. I funzionari europei raccontano cinicamente che le sanzioni sono mirate per colpire soltanto chi è al potere e i profittatori di guerra, e non riguardano farmaci, attrezzature sanitarie  o prodotti alimentari. Pura ipocrisia. Se i conti bancari di tutti i Siriani sono congelati e nessun cittadino siriano può eseguire transazioni finanziarie quali trasferimenti di denaro, come possiamo acquistare i prodotti esenti? Se conoscete aziende occidentali che accettano di fornirci prodotti gratuitamente, noi saremo acquirenti!

Invece, molti prodotti sono contrabbandati dalla Turchia o dal Libano e venduti sul mercato nero a prezzi esorbitanti, impoverendo la popolazione e arricchendo i profittatori di guerra; cioè avviene esattamente il contrario di quello che sostiene pretestuosamente chi ha decretato le sanzioni. 

Come se non bastasse, gli USA hanno peggiorato le cose con il ‘’Caesar Act" che mette sotto sanzione qualsiasi azienda al mondo osi fare affari con la Siria. In realtà, si tratta di una  punizione collettiva contro la popolazione civile, che la Convenzione di Ginevra definisce crimine contro l'umanità. Le sanzioni servono soltanto per martirizzare la popolazione e  sono assolutamente irrilevanti  per la fine della guerra o la soluzione politica del conflitto.

Da anni, collaboriamo con vari sostenitori per sollecitare la revoca delle sanzioni. Di recente, con i nostri amici svizzeri, francesi e inglesi abbiamo scritto e firmato una lettera aperta al presidente Biden, in occasione della sua investitura il 20 gennaio, chiedendogli di revocare la sanzioni contro la popolazione siriana. Lettere simili sono state inviate al presidente Macron, alla cancelliera Merkel, al primo ministro Johnson e al Presidente della Svizzera. Queste lettere sono state firmate da 95 personalità eminenti: tre patriarchi, due ex arcivescovi di Canterbury, senatori, membri della Camera dei Lord, deputati, vescovi, sindaci, ex ambasciatori e direttori di ONG, poi fatte circolare nei media. Crediamo che potrebbero aiutare a ridefinire la strategia dei vari attori presenti nel conflitto siriano e ad abbandonare lo strumento di sanzioni inumane e illegali. 

A sostegno delle lettere, abbiamo anche lanciato una petizione online e chiediamo a tutti i nostri amici di firmarla per chiedere la revoca delle sanzioni che infliggono sofferenze alla popolazione civile della Siria. Per firmare occorrono 30 secondi, andando sul sito: http://chng.it/2mbTFzm2Dp

 

Papa Francesco ha appena concluso una storica visita in Iraq che, come la Siria sua vicina, ha pagato un caro prezzo per l'invasione, l'occupazione e la partizione organizzate con falso pretesto da chi impone sanzioni e pretende di dare ad altri lezioni sui diritti umani.

Papa Francesco continua a ripetere che siamo "Tutti Fratelli". Dovrebbe  essere ascoltato da coloro che trattano la Siria e i Siriani come nemici.

 

Dr Nabil Antaki a nome dei Maristi Blu di Aleppo

 

Trad. Maria Antonietta Carta


Vi ricordiamo di acquistare il prezioso libro che raccoglie le testimonianze dei Maristi  "LETTERE DA ALEPPO. TESTIMONIANZE DALLA SIRIA IN GUERRA"

domenica 14 marzo 2021

15 marzo 2011- 15 marzo 2021, la tragedia senza fine

 Questo è l'intervento di Papa Francesco, dopo la preghiera dell’Angelus, alla vigilia del decimo anniversario dell’inizio del sanguinoso conflitto in Siria: 

"Cari fratelli e sorelle,

dieci anni fa iniziava il sanguinoso conflitto in Siria, che ha causato una delle più gravi catastrofi umanitarie del nostro tempo: un numero imprecisato di morti e feriti, milioni di profughi, migliaia di scomparsi, distruzioni, violenze di ogni genere e immani sofferenze per tutta la popolazione, in particolare per i più vulnerabili, come i bambini, le donne e le persone anziane. 
Rinnovo il mio accorato appello alle parti in conflitto, affinché manifestino segni di buona volontà, così che possa aprirsi uno squarcio di speranza per la popolazione stremata. 
Auspico altresì un deciso e rinnovato impegno, costruttivo e solidale, della Comunità Internazionale, in modo che, deposte le armi, si possa ricucire il tessuto sociale e avviare la ricostruzione e la ripresa economica. 
Preghiamo tutti il Signore, perché tanta sofferenza, nell’amata e martoriata Siria, non venga dimenticata e perché la nostra solidarietà ravvivi la speranza.
Preghiamo insieme per l’amata e martoriata Siria.  Ave, o Maria…"

Riprendiamo dal sito MIDEAST DISCOURSE  un articolo di sintesi degli eventi e dei protagonisti di questi 10 anni di guerra in Siria, scritto dal giornalista  e commentatore politico Steven Sahiounie.

trad. Gb.P. OraproSiria


10 anni dopo Deraa: la situazione di stallo in Siria

Il 15 marzo è la data che molti usano per l' inizio della rivolta siriana nel 2011. Per molti anni, la guerra in Siria è stata una voce costante sui media occidentali; tuttavia, negli ultimi anni i combattimenti si sono interrotti, il processo di pace di Ginevra non ha prodotto risultati e alcuni Paesi hanno iniziato a rimandare a casa i profughi siriani. I campi di battaglia sono silenziosi, ma la sofferenza continua a causa delle sanzioni USA-UE che privano i cittadini di alcune forniture mediche e dei materiali da costruzione per riparare le loro case e imprese. L'economia è in caduta libera, mentre il COVID-19 si è aggiunto alla disperazione che molti sentono. La popolazione non ha ancora ricevuto le prime vaccinazioni.

  Le parti opposte in campo

I media occidentali hanno descritto l'Esercito Siriano Libero (FSA) come combattenti per la libertà e per la democrazia. Le atrocità della FSA non sono state denunciate , mentre gli Stati Uniti e i loro alleati hanno utilizzato la FSA come soldati di fanteria nel progetto del "cambio di regime".

Dei 23 milioni di cittadini in Siria, circa otto milioni erano minoranze, come cristiani, drusi e alawiti, che erano protetti esclusivamente dal governo siriano. Il presidente Assad è il leader del partito Ba'ath, il più antico partito in Siria, e ha un'ampia base di appoggio tra il popolo siriano. Certamente, c'è un'opposizione politica in Siria, ma solo una piccola minoranza dell'opposizione sostiene la rivoluzione armata e la distruzione dello Stato. Questa è la ragione per cui la "rivoluzione" è fallita: non è stata sostenuta dalla maggioranza.

Aleppo è stata attaccata dall'FSA perché era favorevole al governo. L'FSA ha risposto con un brutale giro di vite contro la cittadinanza disarmata oltre a combattere i cittadini che si ribellavano alla loro ideologia islamica radicale.

I media occidentali vorrebbero farvi credere che la maggior parte delle morti in Siria siano state causate dal governo siriano, ma non sentirete parlare delle migliaia di civili disarmati uccisi, violentati, mutilati e torturati dall'FSA e dai loro alleati. Altrettanto erroneamente riportato è il numero di soldati dell'Esercito Arabo Siriano che sono morti, che si ritiene siano almeno la metà delle morti segnalate.

L'FSA ha rubato le riserve di grano ad Aleppo e le ha vendute a commercianti turchi, saccheggiato i farmaci e distrutto le scuole, mentre brutalizzavano il popolo siriano, le loro case e le imprese.

L'FSA ha implementato la legge della Sharia, costringendo i cittadini a rispettare leggi che non avevano mai dovuto affrontare prima, nella Siria laica.

L'FSA ha prodotto un video ampiamente visto, di un bambino di 12 anni costretto dall'FSA a tagliare la testa a un ufficiale dell'Esercito Arabo Siriano.

Quando l'FSA fu sconfitto sui campi di battaglia, inviò una richiesta di aiuto ai suoi compagni d'armi di Al Qaeda, e i terroristi internazionali iniziarono a riversarsi in Siria dalla Turchia, che era il loro rifugio sicuro. Fornire ufficialmente ad Al Qaeda denaro e armi era contro le leggi statunitensi, quindi Washington ha semplicemente esternalizzato il sostegno all'Arabia Saudita e al Qatar che hanno entrambi rifornito Jabhat al-Nusra, l'affiliata di Al Qaeda in Siria.

Il 31 dicembre 2012, l' Huffington Post ha pubblicato: “L'Occidente non dovrebbe sorprendersi se uno Stato islamico emerge da una vittoria dell'FSA. In tal caso, saranno stati complici del risultato ".

Il piano USA-NATO di "cambio di regime" per la Siria doveva culminare in uno Stato islamico, guidato dai Fratelli Musulmani, che erano stati il braccio politico dell'opposizione siriana sostenuta dagli Stati Uniti e dall'UE a Istanbul. Gli Stati Uniti hanno architettato le elezioni egiziane che hanno portato al potere i Fratelli Musulmani, solo per poi essere cacciati dalla carica dalle proteste di massa.

Il gruppo chiamato ISIS (ISIL o Daesh) ha capitalizzato il caos che gli Stati Uniti avevano creato in Siria per proclamare un "califfato" a cavallo tra Siria e Iraq che ha scioccato il mondo. Mentre gli Stati Uniti e l'UE sostenevano l'FSA e i loro alleati di Al Qaeda, le forze della coalizione statunitense stavano combattendo per sradicare l'ISIS.

I terroristi sono stati trasferiti con accordi di resa nella provincia nord-occidentale di Idlib , dove circa tre milioni di persone vivono ora in condizioni disastrose sotto l'occupazione di Hayat Tahrir al-Sham (Ex Al Nusra), l'affiliata di Al Qaeda in Siria.

  Proclami su armi chimiche

Nel 2012, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha tracciato un'ipotetica insuperabile linea rossa e ha affermato che l'uso di armi chimiche in Siria avrebbe provocato l'intervento militare degli Stati Uniti. I gruppi terroristici hanno preso questa linea rossa come un semaforo verde.

Nel maggio 2013, Carla Del Ponte , ex procuratore generale svizzero e procuratore presso il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY), ha affermato che le prove indicano che i "ribelli" utilizzano il gas sarin. Era un membro di spicco di una commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite.

Nell'agosto 2013, Obama si è trovato di fronte alla decisione se attaccare la Siria in una decimazione pianificata del governo e delle infrastrutture. Tuttavia, l'ha annullata.

Nell'aprile 2014, Seymour M. Hersh ha pubblicato un'indagine che descriveva in dettaglio l'autostrada per armi illecite dell'amministrazione Obama in Siria gestita dalla CIA, pubblicando anche il rapporto del Laboratorio di Difesa del Regno Unito a Obama, secondo cui il gas sarin utilizzato in Siria non proveniva da riserve del Governo Siriano.

Nell'aprile 2018 il corrispondente di guerra veterano del Medio Oriente Robert Fisk è andato alla ricerca della verità sull' asserito uso di armi chimiche fatte a Douma. Fisk aveva mantenuto una posizione anti-Assad per tutta la guerra, ma andò a Douma con gli occhi aperti, cercando la verità. Quello che ha scoperto è stato l'altro lato del video mostrato in tutto il mondo. Dopo aver intervistato medici, infermieri e astanti, ha scoperto che il video dell'attacco con gas mostrava pazienti sopraffatti non dal gas ma dalla fame di ossigeno nei tunnel e negli scantinati in cui vivevano, in una notte di vento e pesanti bombardamenti che provocarono una tempesta di sabbia.. La gente del posto che ha interpellato ha parlato dei terroristi di Jaish al-Islam (Esercito dell'Islam), supportati dal re dell'Arabia Saudita, che hanno occupato le case, gli uffici e le imprese e hanno soggiogato i residenti.

Gli "White Helmets" erano i responsabili del video, che ha approfittato della situazione e lo ha descritto falsamente come un attacco di gas. Adulti e bambini sono stati annaffiati con getti d'acqua per fornire la prova di un attacco chimico.

Giorni dopo il rapporto Fisk, i funzionari russi hanno mostrato un ragazzo di 11 anni, Hassan Diab in perfetta salute, che era nel video a Douma. I media occidentali hanno screditato la conferenza stampa russa come propaganda. Il ragazzo è stato accompagnato da suo padre mentre descriveva di non essere stato attaccato da sostanze chimiche, ma costretto a essere inzuppato d'acqua dai "Caschi Bianchi".

La maggior parte del popolo siriano non ha lasciato la Siria. Se fossero stati tutti convinti che il governo stesse usando armi chimiche, altri sarebbero fuggiti. Di coloro che sono partiti per la Germania nell'estate 2015, la maggior parte erano migranti economici in cerca di un posto sicuro e di un reddito.

   Gli attori stranieri 

La guerra siriana è stato un copione scritto a Washington, DC, ma il Regno Unito, la Francia e la Germania hanno tutti svolto il loro ruolo di supporto. I leader nel 2011 di Stati Uniti, Regno Unito e Francia se ne sono andati (sconfitti alle elezioni), e rimane solo la tedesca Angela Merkel.

Timber Sycamore era un programma di rifornimento e addestramento di armi classificato gestito dalla CIA, con sede nel sud della Turchia. Nell'agosto 2017, il presidente Trump ha chiuso le operazioni segrete da 1 miliardo di dollari con cui hanno addestrato, finanziato e armato i terroristi islamici radicali per combattere in Siria. Ciò fu fatto in coordinamento con Arabia Saudita, Qatar e Turchia.

Il programma ha perso il sostegno politico al Congresso perché gran parte delle armi sono state consegnate ad Al Qaeda, che era alleata con FSA. Il presidente Barack Obama aveva avviato il programma nel 2013 per rovesciare il governo del presidente Bashar al-Assad, ma è stato sconfitto dalle defezioni dall'FSA verso Jabhat al-Nusra e l'ISIS.

L'esercito russo è entrato in Siria alla fine del 2015. Mosca non voleva permettere a un regime islamico radicale di prendere il potere in Siria, perché ciò avrebbe minacciato la sicurezza nazionale della Russia. Mosca sapeva di dover combattere e sconfiggere i terroristi in Siria o affrontarli in seguito per le strade di Mosca.

La Turchia ha circa 15.000 soldati dispiegati all'interno della Siria e esercita un'influenza significativa a Idlib, che è occupata da Hayat Tahir al-Sham, l'affiliata di Al Qaeda in Siria. La Turchia è guidata da un partito dei Fratelli Musulmani che si oppone al governo laico di Damasco. Inoltre, la Turchia ha invaso la regione nord-est dove i Curdi separatisti avevano stabilito un quasi-stato. Ankara vede i Curdi come terroristi, fedeli al PKK, riconosciuto a livello internazionale come un gruppo terroristico, responsabili di 30.000 morti in tre decenni.

L'Iran ha fornito sostegno all'Esercito Siriano e aiuti umanitari. Hanno anche fatto parte del trio russo e turco per i colloqui di pace e il cessate il fuoco.

  Il prossimo passo

Il processo di pace delle Nazioni Unite sta lentamente producendo una possibile nuova costituzione e le elezioni presidenziali potrebbero essere programmate quest'estate. Niente è ancora chiaro e lo stallo politico continua, mentre la situazione economica peggiora di giorno in giorno.

   Steven Sahiounie è un giornalista pluripremiato

giovedì 11 marzo 2021

10 anni di guerra in Siria, e continuano le sofferenze del popolo siriano

 

Aleppo (AsiaNews)  

La Siria “è una nazione lacerata, a pezzi, cui manca un po’ di tutto e il popolo vive in condizioni di estrema povertà e di crescente disperazione”.  È il grido d’allarme lanciato ad AsiaNews dal vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui la gente “avrebbe voluto celebrare non l’anniversario della guerra” a 10 anni dall’inizio, ma “l’anniversario della pace e della riconciliazione, invece va tutto al contrario”. Inoltre, le sanzioni internazionali e il Caesar Act imposto dagli Usa “hanno contribuito a peggiorar la situazione”. 

“Da tempo - racconta mons. Abu Khazen - non distribuiscono più gasolio alle famiglie, in pochissime hanno ricevuto 100 litri, poi le scorte si sono esaurite. Adesso hanno anche cessato di distribuire il gas da cucina, per il quale bisogna aspettare fino a 60 giorni. Per 20 litri di benzina si resta in coda anche due giorni al distributore, abbandonando la macchina in attesa del rifornimento, e lunghe file - anche di ore - sono necessarie per l’acquisto di un po’ di pane a prezzo calmierato”. 

“Senza viverle sulla propria pelle, non è possibile immaginare le difficoltà che è costretta a subire la povera gente” denuncia il vicario apostolico di Aleppo. “Anche l’elettricità è diminuita e viene erogata solo una o due ore al giorno. Questa è la condizione generale di tutto il Paese e dire che la Siria è ricca di petrolio, gas e frumento, ma non può beneficiare di tutto questo, perché le è stato espropriato”. 

Il conflitto è divampato nel marzo 2011 come rivolta popolare nel contesto dei moti di piazza della Primavera araba, che hanno coinvolto alcune nazioni del nord Africa e del Medio oriente. Da scontro interno, esso si è trasformato nella peggiore guerra - per procura fra potenze rivali - del ventunesimo secolo, cui si sono unite derive jihadiste che hanno insanguinato ancor più il Paese. In nove anni si sono registrate quasi 400mila vittime, decine di città sono state rase al suolo e metà della popolazione risulta sfollata interna o profuga in cerca di riparo all’estero.

Ripensando alla Siria prima della guerra, il prelato ricorda “un Paese che stava sperimentando un processo di sviluppo enorme, una realtà di pace, di convivenza, un bel mosaico, un luogo sicuro in cui si poteva andare dappertutto. Anche le ragazze all’una di notte potevano uscire in tutta tranquillità, prendere un taxi e girare senza disturbo”. Il popolo, prosegue, “si ricorda ancora come era prima, ma col passare del tempo sta perdendo la speranza” di tornare ai fasti di un tempo. “E poi ci sono i profughi, sempre più persone dicono di aver sbagliato a restare in Siria e questo è indice di sfiducia generalizzata e di una disperazione diffusa di questa povera gente”. 

A mancare di più, afferma il vicario di Aleppo, “sono gli elementi primari, della vita di tutti i giorni: il gas, la benzina, il pane... la pace! La gente non ha grandi pretese, ma solo la preoccupazione di poter vivere, di andare avanti con un dollaro che prima valeva 50 lire e ora 4mila, mentre la paga è rimasta la stessa. Questo significa che gran parte delle famiglie è costretta a campare con 30 dollari al mese, sotto la soglia di povertà. Senza l’aiuto di varie ong e della stessa Chiesa la gente morirebbe di fame”. A questo si uniscono “le distruzioni, il crollo delle infrastrutture, l’esodo dei profughi per una nazione che ha perso la metà della propria popolazione, le minoranze che soffrono senza che si veda la fine di questo tunnel”. 

In questo dramma, “non vogliamo che finisca la speranza, ma dobbiamo mantenerla viva” afferma mons. Abu Khazen, anche se resta una sfiducia diffusa “per un cammino che non va nella direzione della pace ed è complicato dagli interessi contrapposti“ dei vari attori in gioco: americani, russi, turchi, curdi, arabi. 

“In questo quadro - aggiunge - chi rischia di pagare un prezzo altissimo sono i cristiani, che sono sempre stati un fattore di unità e di dialogo mentre la Siria viene spinta a passi sempre più spediti verso la partizione, verso una divisione che nessuno di noi vuole e avrebbe effetti devastanti. Ma noi vogliamo che resti unita”. “Uno dei pochi elementi di forza - conclude - è la vicinanza mostrataci in questi anni da Papa Francesco, le cui preghiere sono sempre state elemento di gioia e di coesione. Il viaggio in Iraq ha dato grande speranza anche a noi, speriamo che un giorno possa venire qui in Siria ed essere testimone di pace per celebrare un anniversario che non sia di guerra, ma di vera riconciliazione”.

http://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-di-Aleppo:-guerra-e-sanzioni-hanno-distrutto-il-mosaico-siriano-52576.html

martedì 9 marzo 2021

Uno sguardo allo storico viaggio del Papa in Iraq

Dopo l'incontro con il Papa che gli ha fatto un simbolico dono, il leader delle brigate Babylon , Rayan alKaldani, cristiano caldeo recentemente sanzionato dagli Stati Uniti, è stato ricevuto dal Patriarca siro-cattolico Younan 


da: Piccole Note, 9 marzo 

La visita del Papa in Iraq è andata bene, anzitutto perché ne è tornato, cosa non scontata come si potrebbe pensare (si immagina che anche un eventuale contagio da Covid-19 sia stato evitato).

Non ha solo confortato il piccolo gregge cristiano del Paese, ma tutta la popolazione, per lo più islamica, afflitta prima da un regime crudele, che per conto degli Usa lo trascinò in una guerra terribile contro il vicino Iran, e poi da indebite attenzioni internazionali, fatte di interventi militari diretti, sanzioni durissime e un’occupazione che ancora permane, nonostante il Parlamento abbia chiesto il ritiro delle truppe Usa.

Tanti i momenti toccanti della visita. Più di tutti, sicuramente, quando, con un  rilancio in mondovisione, è stato recitato il “Padre nostro” in aramaico, la lingua di Gesù.

Il Papa ha incontrato la popolazione sofferente, il grande imam sciita Alì al Sistani, punto di riferimento incontrastato degli islamici, in un incontro pieno di significato, e la Chiesa locale, dai presuli ai fedeli che attendevano una visita papale, ritardata per anni.

Non che la Chiesa abbia abbandonato questo popolo. Tante le attenzioni, le preghiere, gli appelli profusi dai papi in favore di questo povero paese, che sotto il pontificato di Benedetto XVI fu beneficato anche dalla creazione a cardinale di Emmanuel Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, il secondo porporato iracheno nominato a distanza di un secolo dall’altro.

Ma una visita papale ha un significato alto e altro, dimostrazione di una prossimità concreta che non si ferma neanche davanti a pericoli reali, come quelli che hanno messo a rischio il viaggio.

Il Papa ha visitato le rovine della guerra, in particolare quelle lasciate dalla recente invasione del Califfato, ché di invasione si è trattata, dato che la maggior parte dei militanti dell’Isis proveniva da terre straniere, d’oriente e d’occidente, dai miliziani libici, ai sanguinari ceceni, agli uiguri cinesi dello Xinjiang.

Le Tv hanno rimandato lo scempio delle chiese ad opera di questa legione straniera, dimenticando le chiese bombardate dagli americani durante i loro interventi passati, e dimenticando di raccontare chi avesse salvato il Paese dalla marea nera dell’Isis, cioè l’Iran, in una campagna guidata dal generale Qassem Soleimani, ucciso poi dai missili Usa (vedi New York Times: “Perché l’Isis è contento che Soleimani sia morto“).

Della storica visita ha scritto anche il National Interest, commentando: il viaggio di papa Francesco “dovrebbe anche essere occasione di una solenne riflessione da parte degli Stati Uniti, nazione in cui due persone su tre si professano cristiane e anche la nazione che con la sua politica estera errata ha contribuito alla  quasi estirpazione  del cristianesimo in Iraq”.

L’articolo ricorda che quando gli Stati Uniti “invasero” l’Iraq (“invasero”: parola esatta e normalmente evitata in altri report), i cristiani erano il 6 per cento della popolazione.

Racconta che il regime di Saddam perseguitava i cristiani (cosa non vera dato che Tareq Aziz, il vicepresidente che si era scelto, era cristiano, l’unico leader politico cristiano in un Paese arabo, Libano a parte), ma anche generalmente tollerati, come avvenuto per 2000 anni.

Ma dopo l’invasione americana, le guerre settarie, i rapimenti, gli attentati e quant’altro, hanno flagellato la popolazione irachena, cristiani compresi, la cui presenza si è fatta residuale.

Ma se riportiamo l’articolo è per la sua conclusione, che riferisce le parole del reverendo Andrew White, pastore anglicano che opera in Iraq, il quale alla CBS ha dettagliato la drammatica situazione odierna, sedata ma non per questo pacificata.

“White ha detto alla CBS – si legge sul NI – che la situazione dei cristiani iracheni è ‘chiaramente peggiorata’ sotto il regime forzato dagli Stati Uniti rispetto a prima. ‘Non c’è paragone tra l’Iraq di allora con quello odierno’, ha detto. ‘Le cose non sono mai state così difficili per i cristiani. Probabilmente mai nella storia [i cristiani iracheni] hanno conosciuto una situazione come l’attuale'”.

Così, nella tragedia che si perpetua, papa Francesco ha portato l’inerme conforto che può portare un successore di Pietro. I suoi appelli alla pace non verranno accolti, ché prima di scendere dall’aereo gli americani hanno dichiarato che avrebbero risposto ai missili lanciati contro una loro base da Kata’ib Hezbollah, ma almeno per qualche giorno questa parola ha coperto il rumore delle bombe e dei missili.

E per una volta, oltre ai vacillanti apparati di Sicurezza iracheni, a vigilare sull’incolumità di papa Francesco anche i due più attrezzati contendenti, Hezbollah (che già vigilò sulla sicurezza di Benedetto XVI nella sua visita in Libano del 2012) e americani (il cattolico Biden ha grande stima del Papa, fu lui a ricercare la visita di Francesco negli Stati Uniti nel 2017).

Tale insolita convergenza può essere annoverata tra i successi della visita. Per una volta, invece di farsi la guerra, i due nemici hanno collaborato. Non è cosa da poco.

https://piccolenote.ilgiornale.it/50024/la-visita-di-francesco-in-iraq