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giovedì 22 aprile 2021

Via le sanzioni per alleviare le sofferenze dei siriani

 

Siria: la più grave catastrofe umanitaria del nostro tempo


Il primo giugno scadono le sanzioni previste dell’Unione europea contro il regime siriano. Tutto fa pensare, purtroppo, che la misura verrà riconfermata. Le sanzioni Ue contro la Siria sono la fotocopia del cosiddetto Caesar Act, il pacchetto di sanzioni firmato da Donald Trump nell’ultimo scorcio del suo mandato e destinato a restare in vigore (a meno di ripensamenti) fino al 2025. Secondo le intenzioni dell’Unione europea e dell’amministrazione americana, le sanzioni dovrebbero colpire «i membri del regime siriano, i loro sostenitori e imprenditori che lo finanziano e beneficiano dell’economia di guerra». Il Caesar Act blocca ogni tipo di transazione economico-finanziaria-commerciale con Damasco, prevede un embargo sul petrolio, il congelamento dei beni della banca centrale siriana, restrizioni all’esportazione di attrezzature e tecnologie, blocco dei capitali privati nelle banche fuori dal Paese (solo nelle banche libanesi giacciono circa 42 miliardi di dollari). In pratica le sanzioni bloccano l’industria energetica e ogni tentativo di ricostruzione.

Vista nel concreto, la realtà siriana è completamente diversa. Sappiamo infatti che le sanzioni colpiscono alla fine, soprattutto, la povera gente. E solo una buona dose d’ipocrisia può portare a dire, come ha fatto l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, che Occidente resta al fianco del popolo siriano e continua nel suo impegno «a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per cercare una soluzione politica al conflitto a beneficio di tutti i siriani e porre fine alla repressione in corso».

In Siria, denunciava a febbraio l’arcivescovo greco-melchita di Aleppo, monsignor Jean-Clément Jeanbart «la gente non ha più cibo, elettricità, carburante e gas sufficienti per riscaldare le case. Non riesce a ottenere prestiti e andare avanti». Chi vuole il bene della Siria e del suo popolo, oggi, non può non chiedere ad alta voce che vengano revocate le misure coercitive che gravano sulla vita quotidiana dei siriani. «Se vogliono aiutarci – diceva monsignor Jeanbart – ci aiutino a rimanere dove siamo e a continuare a vivere nel Paese in cui siamo nati».

Il 21 gennaio scorso i vescovi cattolici e patriarchi ortodossi della Siria avevano indirizzato al neo-eletto presidente Joe Biden un appello affinché rivedesse il regime delle sanzioni. Finora sembra che la richiesta sia caduta nel vuoto. E sempre da Aleppo arrivava, nei giorni di Pasqua, la testimonianza fra Ibrahim Alsabagh, frate minore siriano e parroco della comunità cattolica latina di Aleppo: «La sofferenza è il nostro pane quotidiano. Il costo della vita aumenta e il reddito delle famiglie diminuisce. Molte delle nostre donne sono cadute in depressione. Molti padri si sono suicidati per la disperazione».

A tutta questa sofferenza indicibile, si è aggiunta la pandemia, che sta mietendo nel silenzio e nell’impotenza migliaia di vittime. Cosa serve ancora per ascoltare il grido del popolo siriano?

https://www.terrasanta.net/2021/04/via-le-sanzioni-per-alleviare-le-sofferenze-dei-siriani/

lunedì 19 aprile 2021

Le elezioni presidenziali siriane si terranno il 26 maggio

 

Alexandre Aoun intervista Alexandre Goodarzy, vicedirettore delle attività di SOS Chrétiens d'Orient.

E se, nonostante le pressioni occidentali, Bashar al-Assad andasse verso una rielezione sinonimo di un quarto mandato? Il capo del Parlamento siriano, Hammouda Sabbagh, ha annunciato domenica 18 aprile che le elezioni presidenziali si terranno il 26 maggio. Per il momento, Bashar al-Assad, che governa la Siria dal 2000, è il favorito per le elezioni. Nel 2014, ha trionfato con l'88% dei voti. 

Dal 19 aprile altri candidati potranno unirsi alla corsa se ottengono le firme di 35 deputati. Oltre a questo requisito, secondo l'articolo 88 della Costituzione siriana, il candidato deve avere più di 40 anni, essere siriano di nascita. Lui o lei deve anche aver risieduto nel paese negli ultimi dieci anni prima della candidatura e non essere stato condannato da tribunali. Nel 2014, due avversari sono stati autorizzati a correre. Ad oggi, l'Assemblea popolare siriana ha approvato le candidature di Abdallah Salloum Abdallah e Mohammad Firas Yassin Rajouh. 

L'elezione arriva dopo le devastazioni di dieci anni di aspro conflitto. Secondo Alexandre Goodarzy, vice direttore delle operazioni e responsabile dello sviluppo di SOS Chrétiens d'Orient e autore di 'Guerrier de la paix' (pubblicato da Le Rocher), la popolazione siriana è avvilita, nonostante queste elezioni: 

"Ci sono due tipi di discorso in Siria. C'è quello patriottico con i sostenitori del partito Baath. E c'è il discorso fatalista, per loro queste elezioni non cambieranno nulla. Quest'anno, non ci saranno parate o manifestazioni di massa, questa non è la preoccupazione principale della gente", spiega a Spuntik. 

Il presidente siriano controlla tre quarti del paese. Con l'aiuto dei suoi alleati iraniani, russi e libanesi, ha riconquistato e messo in sicurezza diverse città strategiche. "Controlla la Siria utile", riassume l'attivista umanitario.

Tuttavia, una parte del territorio gli sfugge. La località di Idlib nel nord-est rimane amministrata da jihadisti filo-turchi e il nord rimane sotto l'influenza turca dall'intervento militare di Erdogan nell'ottobre 2019. L'Est del paese, nel frattempo, è più o meno controllato dalle forze curde, a loro volta sostenute dall'Occidente.

Alla fine, le elezioni presidenziali siriane non riguardano tutta la Siria. "Una opportunità per Bashar al-Assad", pensa il nostro interlocutore. Infatti, i siriani che vivono nelle zone amministrate da Damasco tendono ad essere a suo favore, "solo l'opposizione interna a Deraa rimane presente, ma è controllata e contenuta", sottolinea.

"Non ci saranno sorprese nonostante il desiderio di aprire le elezioni ad altri candidati", ritiene Goodarzy. Il partito Baath rimane in maggioranza. Ma rimangono diverse piccole formazioni. Sono generalmente di orientamento nasserista e nazionalista, ma "questo non è un grande pericolo per Bashar" agli occhi del membro di SOS Chrétiens d'Orient. Gli altri due candidati presidenziali sono del Partito Socialista Unionista e delle Forze Democratiche Nazionali, due movimenti vicini all'attuale presidente. 

"Il governo siriano accusa l'asfissia economica (embargo) di offuscare l'immagine della Siria e, in definitiva, di screditare Bashar al-Assad. Gli Occidentali travisano la realtà siriana. Ignorano quello che succede sul terreno e danno credito a un'opposizione che vive all'estero", dice l'uomo sul campo.

In effetti, è probabile che l'opposizione siriana eviti le elezioni presidenziali. Un membro dell'opposizione siriana ha persino descritto il voto come una "mascherata". 

Anche l'Occidente si è affrettato a commentare le prossime elezioni. In una dichiarazione congiunta, Stati Uniti, Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno detto a metà marzo che "le elezioni presidenziali siriane previste per quest'anno non saranno libere o giuste, né dovranno portare a una normalizzazione internazionale del regime siriano”. In altre parole, non riconosceranno il verdetto delle urne. 

Dopo aver cercato di rovesciare militarmente il presidente siriano, l'Occidente mantiene dunque la sua pressione sulla Siria attraverso il giogo di sanzioni economiche. Entrata in vigore nel giugno 2020, la legge Caesar impedisce a Damasco di commerciare con il mondo esterno. Così il paese vive in una sorta di "embargo", spiega il nostro interlocutore. Presente dal 2015 sul terreno, descrive la situazione come "un inferno per la popolazione". "Tutti i siriani stanno lottando per vivere e nutrirsi", riferisce.

Mentre la Siria sta soffocando, l'Occidente si limita ad aiutare i paesi ospitanti a gestire il flusso di rifugiati siriani, deplora Alexandre Goodarzy, che si aspetta il peggio: "Non vogliono vedere le conseguenze delle loro azioni". 

"L'Occidente sta giocando un gioco pericoloso. L'embargo è un'arma a doppio taglio. Imponendo la miseria alla regione, crea i jihadisti di domani", avverte Alexandre Goodarzy.

   traduzione: OraproSiria

https://sptnkne.ws/FYV5

domenica 11 aprile 2021

Dieci anni dopo, la Siria è quasi distrutta. Di chi è la colpa?

  Per introdurre l'articolo di M. K. BHADRAKUMAR, riportiamo la schietta testimonianza che il giovane amico Hsien, studente aleppino che frequenta l'università a Damasco, ci ha inviato  chiedendoci di far conoscere ai lettori italiani la quotidiana realtà vissuta da lui e dai suoi compagni.

Damasco, Aleppo e tutte le città siriane hanno da cinque al massimo dieci ore di elettricità... Le persone qui passano le ore aspettando che le loro auto arrivino alla stazione di servizio, e quando ci arrivano la benzina può essere finita e aspettano fino al giorno dopo. Questo ha un effetto sugli autobus pubblici.. il che significa che si può aspettare per un'ora per trovare un microbus o un autobus in cui decine di persone viaggiano insieme ed altri che rimangono sulla strada tornando a piedi a casa a causa del tempo di attesa...

Quando va bene, abbiamo 8 ore di elettricità a Damasco, una media di 2 ore in cui c'è energia e 4 ore senza... Alcune città hanno un'ora di elettricità e cinque/sei, talvolta perfino 8/9, spente... Ad Aleppo... un'ora di elettricità e 11 ore tagliata... questo significa 2/24! .... Ma questo è se sei stato fortunato ad Aleppo... La metà di Aleppo non ha visto l'elettricità da otto anni... La campagna di Aleppo se la passa proprio come la città.  Non è mai sufficiente per la gente qui .. neanche per lavare i vestiti o perchè i frigoriferi possano produrre un'acqua fredda per "ramadan" .. (Ramadan è un mese in Islam in cui le persone smettono di mangiare e bere dall'alba al tramonto) e non solo per l'acqua fresca, ma per conservare cibo e avere un'aria fresca dai condizionatori in estate.

È un brutto problema in tutta la Siria, specialmente ad Aleppo.  C'è una gran sofferenza.. le soluzioni governative non sono mai azzeccate e non sono buone...

L'epidemia .. Aleppo è stata la prima nel numero di infezioni in Corona-virus 19, ma ora la situazione è migliorata, secondo il numero del Ministero della Salute .. è diventata di sesto grado...  Ma ora Damasco è diventata il numero uno. I pazienti a Damasco sono portati dalle ambulanze a Homs. perché gli ospedali della capitale sono completamente pieni, c'è un piano per trasferire i pazienti ad Hama perché gli ospedali di Homs sono pochi e molti sono stati distrutti dalla guerra, e Homs è una città molto piccola rispetto ad Aleppo e Damasco.”


Dieci anni dopo, la Siria è quasi distrutta. Di chi è la colpa?

Di M. K. BHADRAKUMAR

Traduzione Gb.P. OraproSiria

Nel romanzo di George Orwell La fattoria degli animali, i maiali al potere guidati da Napoleone riscrivevano costantemente la storia per giustificare e rafforzare il proprio potere ininterrotto. La riscrittura della storia del conflitto in corso in Siria da parte delle potenze occidentali risulta evidente leggendo Orwell.

La dichiarazione congiunta rilasciata dai Ministri degli Esteri di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia la scorsa settimana per celebrare il decimo anniversario del conflitto siriano inizia con una palese menzogna ritenendo il presidente Bashar al-Assad e i "suoi sostenitori" responsabili degli eventi orribili in quel Paese. Afferma che le cinque potenze occidentali "non abbandoneranno" il popolo siriano - finché morte non ci separi.

La realtà storica è che la Siria è stata teatro delle attività della CIA sin dall'istituzione di quell'agenzia nel 1947. C'è un'intera storia di progetti di "cambio di regime" sponsorizzati dalla CIA in Siria che vanno dai tentativi di colpo di stato e complotti di assassinio, agli attacchi paramilitari e al finanziamento e addestramento militare delle forze antigovernative.

Tutto iniziò con il colpo di stato militare incruento nel 1949 contro l'allora presidente siriano Shukri al-Quwatli, progettato dalla CIA. Secondo le memorie di Miles Copeland Jr, il capo della sede della CIA a Damasco in quel momento - che in seguito ha poi scritto un bel libro di alta qualità letteraria sull'argomento - un colpo di stato mirato a salvaguardare la Siria dal partito comunista e altri partiti radicali!

Tuttavia, il colonnello al potere installato dalla CIA, Adib Shaishakli, fu una cattiva scelta. Secondo Copeland, era una "simpatica canaglia", che non si era "mai inchinata a un'immagine sacra, per quanto ne so. Tuttavia, aveva commesso sacrilegio, bestemmia, omicidio, adulterio e furto” per guadagnarsi il sostegno americano. Durò quattro anni prima di essere rovesciato dal partito Ba'ath e dagli ufficiali militari. Nel 1955, la CIA stimò che la Siria fosse matura per un altro colpo di stato militare. Nell'aprile 1956 fu attuato un complotto congiunto CIA-SIS (British Secret Intelligence Service) per mobilitare gli ufficiali militari siriani di destra. Ma poi, il fiasco di Suez ne interruppe il progetto.

La CIA rilanciò il progetto e pianificò un secondo colpo di stato nel 1957 con il nome in codice Operazione Wappen, (ancora una volta, per salvare la Siria dal comunismo) e persino spese 3 milioni di dollari per corrompere ufficiali militari siriani. Tim Weiner, nel suo magistrale libro del 2008 'Legacy of Ashes: The History of the CIA' (Eredità delle Ceneri: La storia della CIA), scrive:

Il presidente (Dwight Eisenhower) ha detto di voler promuovere l'idea di una jihad islamica contro il comunismo senza Dio. "Dovremmo fare tutto il possibile per sottolineare l'aspetto della 'guerra santa'", ha detto in una riunione della Casa Bianca del 1957 ... (Il Segretario di Stato) Foster Dulles ha proposto una "task force segreta", sotto i cui auspici la CIA avrebbe consegnato armi americane, denaro e intelligence al Re Saud dell'Arabia Saudita, al re Hussein di Giordania, al presidente del Libano Camille Chamoun e al presidente iracheno Nuri Said ". “Questi quattro bastardi dovevano essere la nostra difesa contro il comunismo e i fautori del nazionalismo arabo in Medio Oriente ... Ma se le armi non potevano comprare la lealtà in Medio Oriente, l'onnipotente dollaro era ancora l'arma segreta della CIA. I soldi per la guerra politica e per i giochi di potere erano sempre i benvenuti. E ciò potrebbe aiutare la creazione di un impero americano nelle terre arabe e asiatiche ".

Ma, come poi accadde, alcuni di quegli ufficiali di "destra" invece consegnarono i soldi della tangente e rivelarono il complotto della CIA all'intelligence siriana. Dopo di che, 3 agenti della CIA furono cacciati dall'ambasciata americana a Damasco, costringendo Washington a ritirare il suo ambasciatore a Damasco. Con l'uovo in faccia, Washington prontamente bollò la Siria come un "satellite sovietico", schierò una flotta nel Mediterraneo e incitò la Turchia ad ammassare truppe al confine siriano. Dulles persino contemplò un attacco militare sotto la cosiddetta "Dottrina Eisenhower" come rappresaglia contro le "provocazioni" della Siria. A tal proposito, anche l'MI6 britannico stava lavorando con la CIA nel fallito tentativo di colpo di stato; i dettagli sono venuti alla luce casualmente nel 2003 tra le carte del ministro della Difesa britannico Duncan Sandys molti anni dopo la sua morte.

Ora, arrivando alla storia attuale, basti dire che secondo WikiLeaks, dal 2006, gli Stati Uniti hanno finanziato i dissidenti siriani con sede a Londra, e l'unità della CIA responsabile delle operazioni segrete è stata schierata in Siria per mobilitare gruppi ribelli e accertarne le potenziali vie di approvvigionamento. È noto che gli Stati Uniti hanno addestrato almeno 10.000 combattenti ribelli al costo di 1 miliardo di dollari all'anno dal 2012. Il presidente Barack Obama avrebbe ammesso a un gruppo di senatori l'operazione per inserire questi combattenti ribelli addestrati dalla CIA in Siria.

Il noto giornalista investigativo e scrittore politico americano Seymour Hersh ha scritto, sulla base degli input di ufficiali dell'intelligence, che la CIA stava già trasferendo armi dalla sua stazione di Bengasi (Libia) alla Siria in quel periodo. Non facciamo confusione: Obama è stato il primo leader mondiale a chiedere apertamente la rimozione di Assad. Era l'agosto 2011. Poi il capo della CIA David Petraeus ha effettuato due visite senza preavviso in Turchia (a marzo e settembre 2012) per persuadere Erdogan a intervenire come compagnia di bandiera del progetto degli Stati Uniti di cambio di regime in Siria (sotto il titolo di "lotta al terrorismo").

Di fatto, i principali alleati degli Stati Uniti nel Golfo Persico - Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti - hanno preso spunto da Obama per allentare i loro cordoni della borsa per reclutare, finanziare ed equipaggiare migliaia di combattenti jihadisti da dispiegare in Siria. Allo stesso modo, sin dalle prime fasi del conflitto in Siria, le principali agenzie di intelligence occidentali hanno fornito supporto politico, militare e logistico (e di disinformazione Ndt) all'opposizione siriana e ai suoi gruppi ribelli associati in Siria.

Curiosamente, l'intervento russo in Siria nel settembre 2015 è stato in risposta a un'imminente sconfitta delle Forze Governative Siriane per mano dei combattenti jihadisti sostenuti dagli alleati regionali degli Stati Uniti. L'Arabia Saudita si è ritirata dall'arena solo nel 2017 dopo che le sorti della guerra sono cambiate, grazie all'intervento russo.

La dichiarazione congiunta rilasciata la scorsa settimana dagli Stati Uniti e dai loro alleati della NATO appartiene al mondo della narrativa. In realtà, c'è molto sangue siriano nelle mani di questi paesi della NATO (Turchia compresa) e degli alleati degli Stati Uniti nel Golfo. Notate la colossale distruzione che gli Stati Uniti hanno causato: secondo le stime della Banca Mondiale, un totale cumulativo di 226 miliardi di dollari di prodotto interno lordo è stato perduto dalla Siria a causa della guerra solo dal 2011 al 2016.

Il conflitto siriano è stato uno dei conflitti più tragici e distruttivi del nostro tempo. Centinaia di migliaia di Siriani sono morti, mezza nazione è stata sfollata e milioni sono stati gettati nella disperazione per povertà e fame. Secondo le stime dell'UNHRC, dopo dieci anni di conflitto, metà della popolazione siriana è stata costretta a fuggire da casa, il 70% vive in povertà, 6,7 milioni di siriani sono sfollati interni, oltre 13 milioni di persone hanno bisogno di assistenza e protezione umanitaria, 12,4 milioni le persone soffrono di mancanza di cibo (ovvero il 60% dell'intera popolazione), 5,9 milioni di persone stanno vivendo un'emergenza abitativa e quasi nove siriani su 10 vivono al di sotto della soglia di povertà.

E, a pensarci bene, la Siria aveva uno dei più alti livelli di formazione sociale dell'intero Medio Oriente musulmano. Era un paese a medio reddito fino a quando gli Stati Uniti non decisero di destabilizzare la Siria. Dalla fine degli anni Quaranta, i successivi progetti di cambio di regime degli Stati Uniti sono stati guidati da considerazioni geopolitiche. L'agenda è inequivocabile: gli Stati Uniti hanno sistematicamente distrutto il cuore, l'anima e la mente dell'"arabismo" - Iraq, Siria ed Egitto - con l'obiettivo di perpetuare la dominazione occidentale del Medio Oriente.

L'ex presidente Donald Trump intendeva ritirare le truppe statunitensi dalla Siria e porre fine alla guerra. Ha provato due volte, ma i comandanti del Pentagono hanno sabotato i suoi piani. Quello che Joe Biden si propone di fare è un'ipotesi di chiunque: Biden non sembra avere fretta di ritirare le truppe americane..

L'aspetto più inquietante è che gli Stati Uniti stanno metodicamente facilitando una balcanizzazione della Siria aiutando i gruppi Curdi con loro allineati a ritagliarsi un'enclave semiautonoma nel nord-est del paese. In effetti, la popolazione araba nella Siria nord-orientale non sopporta di essere sotto il governo dei Curdi, e questo potrebbe alla fine trasformarsi in una nuova fonte di reclutamento per lo Stato islamico. Nel frattempo la Turchia ha utilizzato l'asse curdo-statunitense come alibi per occupare vasti territori nel nord della Siria.

La parte triste della dichiarazione congiunta degli Stati Uniti e dei loro alleati europei non è solo che stanno riscrivendo la storia e diffondendo falsità, ma trasmette un senso di disperazione, come se non ci fosse alcuna speranza di una luce alla fine del tunnel nel conflitto siriano in un ipotetico futuro.

La politica degli Stati Uniti in Siria è opaca. Ha oscillato tra l'obiettivo di prevenire una rinascita dell'IS, affrontare l'Iran, respingere la Russia, fornire aiuti umanitari e persino proteggere Israele, mentre il nocciolo della questione è che le amministrazioni statunitensi succedutesi, non sono riuscite ad articolare una chiara strategia e una logica per la presenza militare statunitense in Siria.

https://www.indianpunchline.com/ten-years-on-syria-is-almost-destroyed-whos-to-blame/

venerdì 9 aprile 2021

Ora sappiamo cosa ci avvicina ad altri popoli ...

La dignità, la fierezza, la tenacia, la consapevolezza, il coraggio e la bella semplicità dei Siriani, popolo nobilitato dalla sua civiltà plurimillenaria e dalle tradizioni sempre vive, che da dieci anni resistono a una guerra scellerata volta a distruggere il loro Paese e a sterminarli, sono riassunti mirabilmente in questa emozionante lettera della scrittrice damascena Nadia Khost (Siriana circassa nata nel 1935, laureata in filosofia presso l’Università di Damasco e dottorata in letterature comparate in Unione Sovietica con un saggio su: ‘’Influenza dell’opera di Anton Čechov sulla letteratura araba’’).

Autrice di numerosi saggi e racconti sulla storia, l'architettura, la conservazione e la protezione del patrimonio della civiltà araba, è anche un’indefessa testimone sulla guerra contro il suo Paese.

  Maria Antonietta Carta

Miei cari amici, 

 non ci siamo più visti dalla vostra lontana visita in Siria. E oggi siamo sparsi per il mondo, dato che l'ingresso in alcuni Paesi arabi ora è più facile per un Americano o un Israeliano che per un Siriano. 

Ho percepito un po’ di tristezza nelle vostre lettere. Avete ragione. La guerra mondiale che ha ispirato tanti poemi epici è durata solo quattro anni, mentre la guerra contro la Siria continua da dieci anni. Una guerra condotta con la partecipazione di grandi potenze oltre che di piccoli Stati e durante la quale i crimini commessi hanno ricevuto la copertura di conferenze stampa internazionali, incontri di capi di Stato europei, lacrime di organizzazioni umanitarie e un corteggio di intellettuali siriani. 

Comprendo la vostra tristezza. Dieci anni delle nostre vite e delle vite dei nostri figli sono stati ingoiati da una guerra che ha accorciato le nostre strade e ci ha derubato delle nostre foreste e delle nostre montagne, mentre le sabbie delle nostre spiagge hanno dimenticato i nostri passi. Dieci lunghi anni al termine dei quali anche la gioia normalmente ispirata dalla fioritura dei nostri melangoli e cedri non può più dissipare la nostra amarezza, poiché le ali della felicità nascono solo nei Paesi sicuri. 

Tuttavia, anche i bambini hanno resistito cantando. Alcuni hanno continuato a sfilare sotto i proiettili dei gruppi armati e noi li abbiamo seguiti. Una granata è caduta a un passo da noi e quando siamo tornati a casa sani e salvi abbiamo celebrato la nostra vittoria sulla morte nella terra del primo alfabeto.

Spero che gli esperti onesti scriveranno la verità su questa guerra intrapresa contro di noi, poiché i Siriani generalmente compiono imprese e le superano senza fissarle per la storia. Spero che ricorderanno quei giorni difficili, specialmente il giorno in cui il presidente francese Hollande disse a Putin che la mappa della Siria ora era come la scacchiera, a significare la divisione de facto del territorio dello Stato siriano. E questo, proprio mentre i terroristi tentavano di invadere il quartiere di Al-Qassa da Piazza degli Abbasidi ed entrare a Damasco da Daraya. 

Daraya, un sobborgo di Damasco occidentale trasformato in una caserma dei terroristi che ospitavano Americani, tra i quali un agente della CIA che inviò ogni genere di messaggeri per cercarlo; mentre i colpi di mortaio piovevano sulle strade di Damasco e interrompevano il silenzio delle sue notti, mentre "bandiere nere" fluttuavano sui vicini sobborghi di Jobar e Zabadani e mentre salutavamo i nostri figli e i nostri mariti, che andavano a studiare o lavorare, senza alcuna certezza di trovarli sani e salvi al loro ritorno. 

I terroristi hanno persino bombardato la Facoltà di Architettura nel centro della capitale e il Teatro dell'Opera di Damasco. Tuttavia, i venditori di ortaggi sono rimasti al loro posto, i negozi e le farmacie hanno tenuto le porte aperte, le cliniche hanno continuato a ricevere i pazienti, i funzionari hanno ricoperto i loro incarichi in diverse istituzioni, i musicisti non hanno interrotto le prove, i concerti sono continuati e gli ospiti alle serate culturali hanno risposto con la loro presenza. 

 Stavamo giocando con la vita e la morte? Probabilmente. Ma piuttosto, chiediamoci perché un destino così mostruoso abbia sottoposto la terra di così tante civiltà a così tante demolizioni e smantellamento e distruzioni. Ciò può essere spiegato solo con il fatto che Siria, Iraq e Libano hanno combattuto contro Israele e che insieme rappresentiamo il fronte orientale di questa lotta. Una spiegazione a cui va aggiunto l'odio del falso contro l'autentico così come l'odio degli incolti contro gli eredi della civiltà. Bush non ha forse detto che avrebbe riportato l'Iraq all'età della pietra? 

 Nonostante la nostra stessa sofferenza, sentiamo dolorosamente quello che è successo all'Iraq e temiamo quello che potrebbe ancora accadergli con la presenza degli Americani sul suo suolo, perché non siamo abituati a pensare solo alla Siria. Il nostro cuore è sempre rivolto a questi Paesi fratelli con la certezza che, da Baghdad a Beirut, ci è stata riservata la stessa sorte nella mappa delle partizioni israelo-americane. 

Una certezza basata sul complotto ordito contro la Siria dagli Stati Uniti a causa della sua importanza geopolitica? Certamente no! Lo sapevamo molto prima di loro, ma con una visione diversa dalla loro. Una visione che ci invita a difendere insieme la dignità dell’arabicità e della persona umana dalla barbarie occidentale che dobbiamo vincere ed estromettere dalla nostra storia.

Comprendiamo quindi perché contro di noi è scoppiata una nuova guerra: una guerra diretta contro la nostra lira siriana e il nostro pane profumato. 

Comprendiamo perché l'occupante statunitense e i suoi agenti curdi rubano il nostro grano oltre che il nostro petrolio e, come i loro antenati saccheggiatori, bloccano le strade che portano da noi, nella speranza di disegnare una nuova realtà sociale in cima alla quale starebbero i mezzani di guerra e nell'abisso il popolo impoverito. 

Comprendiamo perché ci mettiamo in fila fuori dalle stazioni di servizio e dai forni per il pane. Se chiedessi a qualcuno di coloro che aspettano in coda se acconsentirebbe a un accordo favorevole agli Stati Uniti e a Israele per porre fine alla crisi, lui si indignerebbe e direbbe: "Come potrebbero perdonarci i nostri anziani?"... Non furono i "Martiri di maggio" i primi a illuminarci sul sionismo? ". 

 Prima della guerra, non avrei mai immaginato che fossimo capaci di tanta pazienza e coraggio. È così perché siamo convinti che la nostra sconfitta farebbe precipitare la regione nell'oscurantismo e nella barbarie? È perché crediamo di dover pagare il prezzo per il cambiamento delle relazioni internazionali? Avremo infatti contribuito in larga parte all'avvento di una nuova realtà: quella di un mondo ormai multipolare.

 Amici miei, non preoccupatevi per me. Naturalmente, durante questa guerra, ho spesso pianto di tristezza per le sofferenze della gente e del Paese. Una tristezza che però non ha niente a che vedere con la rassegnazione o la debolezza. Inoltre, i Siriani non hanno mai chinato la testa, tranne quando sono stati decapitati dai terroristi wahhabiti.

D'altra parte, abbiamo perso le nostre illusioni che ogni Arabo sia più vicino a noi di un Russo, Iraniano e Venezuelano. Abbiamo scoperto che ciò che unisce o divide le persone è la visione, il comportamento e la consapevolezza.

  Nadia Khost

Trad.  Maria Antonietta Carta

https://arretsurinfo.ch/syrie-desormais-nous-savons-ce-qui-nous-rapproche-dautres-peuples/

mercoledì 7 aprile 2021

Il futuro della Chiesa in Siria

Non ha mai abbandonato la sua città in questi dieci anni il gesuita Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo dal 1992 ed ex presidente della Caritas siriana: “Fu chiaro sin dall’inizio che le manifestazioni della cosiddetta primavera araba erano manovrate dai Fratelli musulmani sunniti. Ben presto arrivarono gli aiuti militari di Arabia Saudita e Turchia per rovesciare gli alawiti che detengono il potere”, ci ha detto in questa intervista.

Intervista di Paolo Vites a Mons. Antoine AUDO

Il Sussidiario, 05-04.2021 


Dieci anni fa, il 15 marzo 2011, scoppiò la guerra a Dara’a, nel sud della Siria e al confine con la Giordania. Avevate sperato che la Primavera araba potesse portare a un cambiamento pacifico?

Va ricordato che sin dall’inizio la maggioranza dei siriani non credeva a una primavera araba,  come annunciato dai media per giustificare questa guerra. Fin dall’inizio, in Siria, tutti sapevano che erano per lo più Fratelli musulmani sunniti che si ribellavano contro gli alawiti, che sono in maggioranza al potere e che detengono l’esercito. Inoltre, i vari gruppi armati che hanno attaccato e distrutto le infrastrutture dello Stato siriano erano di obbedienza sunnita e hanno ricevuto aiuti militari dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e da altri paesi del Golfo.

Cosa resta di questa primavera araba?

La distruzione dell’economia siriana. L’occupazione di gran parte dei territori, soprattutto nella regione di Jésiré dove si trova il petrolio. Con l’islam al servizio del potere politico ed economico, potenze regionali come la Turchia e l’Arabia Saudita hanno sostenuto i gruppi armati sunniti per rovesciare il governo siriano e dare potere ai sunniti siriani, vale a dire i Fratelli musulmani.

Cosa ha voluto dire vivere questi anni di devastazione?

La guerra in Siria è stata un inferno dall’inizio e lo è ancora oggi. Ad ogni tappa speravamo di uscire dal tunnel, e ora la situazione è peggiorata: da un bombardamento all’altro in tutte le regioni, da una carenza alimentare e medica a un’altra di gas ed elettricità. Per rileggere questi dieci anni di guerra, possiamo dire che oggi la maggior parte del popolo siriano soffre per l’alto costo della vita dovuto alla svalutazione della lira siriana. In questa crisi economica ha preso piede una nuova classe benestante, mentre la maggioranza della popolazione è umiliata e privata del necessario: cibo di qualità, medicine, riscaldamento, abbigliamento, istruzione. Con una tale crisi, la strada è aperta alla droga e alla prostituzione, mentre prima la stabilità economica e politica proteggeva le famiglie da questi abusi causati dalla miseria generalizzata.

Una situazione di distruzione generalizzata? Quali speranze concrete?

Distruzione materiale, delle infrastrutture, soprattutto a livello economico e a livello di danno materiale: ferrovie, strade, elettricità, scuole, ospedali, fabbriche. Questa situazione impedisce la visione di un futuro, di una speranza nell’immediato futuro. All’inizio della guerra, si credeva che la guerra fosse questione di pochi mesi. Oggi la maggior parte delle persone cerca cibo e medicine per non morire. I bisogni quotidiani sono cibo, medicine, riscaldamento, gas, elettricità. Tutto è diventato caro a causa della svalutazione della lira siriana, e tutti sperimentiamo la mancanza di tutto e l’umiliazione.

Ad Aleppo, martoriata da incessanti combattimenti, come è la situazione?

Ciò che sto descrivendo si applica in modo particolare ad Aleppo, la cui infrastruttura economica è stata distrutta e che, come tutti i siriani, soffre dell’embargo imposto da Stati Uniti, Unione Europea e Gran Bretagna. La ricostruzione presuppone la revoca delle sanzioni contro la Siria. Tuttavia, non avendo trovato una soluzione politica alla crisi siriana, e con un Paese minacciato dagli obiettivi di turchi, curdi e potenze occidentali, non è possibile parlare di un progetto di ricostruzione generale che presupponga stabilità e budget enormi. Ma possiamo ugualmente segnalare iniziative di ricostruzione, a livello di strade, come a livello di mercati e negozi, di piccole industrie e laboratori di abbigliamento.

La Siria era un modello di convivenza tra religioni e culture diverse: adesso?

Parliamo di dieci milioni di sfollati e rifugiati all’interno della Siria, come nei paesi vicini: Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto, per non parlare di tutti coloro che sono emigrati in Europa, Canada e Australia. Come cristiani che hanno perso più della metà dei fedeli di tutte le Chiese, specialmente i giovani e le famiglie ricche, vorremmo che tutte queste famiglie tornassero, avessero una presenza significativa e viva. Ma chi sarebbe attratto dalla situazione che abbiamo appena descritto, da osare considerare un ritorno?

Come Chiesa non avete mai smesso di aiutare la popolazione, quali le iniziative più importanti che seguite?

Per il momento, come Chiesa, stiamo cercando di aiutare le famiglie e le persone in modo che possano continuare a vivere il più degnamente possibile, in modo da non fare i bagagli ed emigrare. Allo stesso modo, è difficile prevedere il ritorno di coloro che sono emigrati in Occidente e soprattutto tra i giovani. Chi invece si trova nei paesi vicini potrà tornare in Siria più facilmente.

Veniamo a una domanda che ci sta a cuore, come Chiesa e come cristiani: come immaginare il futuro della Chiesa in Siria?

È certo innanzitutto che non si può più considerare la presenza cristiana com’era prima della guerra, secondo il modello del Novecento, una presenza consistente tra il 15 e il 20% della popolazione, con fiorente attività economica e culturale. Dovremo credere nella ricostruzione di un tessuto sociale cristiano adattato al XXI secolo. Non potremo più accontentarci della teologia, dei riti e delle confessioni, come gente alla ricerca della sola ricchezza e della superiorità economica e culturale.

Cosa ha significato per i cristiani siriani la recente visita del Papa in Iraq?

Abbiamo bisogno di una nuova spina dorsale cristiana che integri l’intera visione del Vaticano II. Fratelli tutti, la fraternità umana sono atteggiamenti da acquisire a seguito di questa guerra per poter avere una presenza viva e significativa in questa società araba musulmana e in questo mosaico di religioni ed etnie.

Il Papa ha dato un messaggio di fratellanza ben preciso che non piace a tutti. È questa la strada?

Di fronte alla modernità e nella lotta contro la secolarizzazione e l'ateismo, l’islam mette in discussione la propria identità e cerca la sua strada e la sua stabilità sociale e religiosa. Crediamo, soprattutto in seguito al viaggio di Papa Francesco in Iraq e anche ad Abu Dhabi e in Egitto (Università Al Azhar), ai suoi incontri con lo sceicco Ahmad Al Tayyeb, suprema autorità sunnita, e al suo incontro con l’ayatollah Al Sistani, suprema autorità sciita, ad Al Najaf (Iraq), che siano tutti gesti e atteggiamenti di rispetto, ascolto e fraternità che d’ora in poi dovrebbero ispirare i cristiani. I cristiani di Siria, con la loro arte di inculturarsi nella cultura araba e musulmana, sono capaci di ricostruire per tutti ponti di riconciliazione e di speranza nel cuore di questo XXI secolo assetato di pace e giustizia.

lunedì 5 aprile 2021

Inno sulla Risurrezione


 

«Accetta, nostro re, la nostra offerta e dacci in cambio la salvezza. 

Pacifica le terre devastate, edifica le chiese incendiate affinché, quando vi sarà pace grande, una gran corona possiamo intrecciarti di fiori provenienti da ogni parte, perché sia incoronato il Signore della pace. 

Benedetto Colui che agì e può agire!».

    Efrem il Siro (+ 373)

sabato 3 aprile 2021

Buona Santa Pasqua!

 

"Cercando un segno adeguato alla Pasqua di quest'anno abbiamo pensato alla figura dell'etimasía, cioè il trono della gloria preparato per il ritorno di Cristo.

Nell'iconografia c'è un trono, sopra cui è disteso il manto imperiale; ai piedi lo sgabello del salmo ("la terra è lo sgabello dei suoi piedi”) con un vaso che ha in sé i chiodi della Passione.

Dietro al trono c'è la croce, che porta su di sè la corona di spine ma fiorita, simbolo della vittoria sulla morte. Accanto, gli strumenti della Passione: la lancia e la canna con la spugna imbevuta di aceto..

Ma segnatamente sul trono è seduto lo Spirito, perché è in Lui che viviamo questo tempo di attesa del compimento.

Ci è sembrato un simbolo molto adatto per questo tempo, nel quale l' attesa del Salvatore si fa più urgente, e indispensabile, per risollevare la nostra umanità dalla dimenticanza del destino di gloria che ci attende come figli di Dio, e per portare all'uomo la libertà vera, la libertà dal peccato che ci appesantisce il cuore e la mente..."


Ci uniamo a questo auspicio delle amiche Sorelle Trappiste di Siria, con l'augurio che la gioia pasquale pervada e rinvigorisca le nostre vite.

Buona Santa Pasqua!

da OraproSiria


giovedì 1 aprile 2021

«Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi», cantano le Sorelle nella Pasqua della Siria


Dalla Liturgia delle Ore delle Monache di Azeir in Siria: 


Dio Santo, 
Dio Forte,
misericordioso salvatore,
liberaci dalla morte.

A Te gridarono i nostri padri,
gridarono 
e Tu li hai esauditi,
in Te riposero la loro speranza 
e Tu li hai liberati.

A chi andremo nell'ora della prova
quando il nemico è in agguato contro di noi
per ghermire con i suoi artigli la nostra vita?

Gloria a Te o Padre 
per il tuo Figlio Gesù Cristo 
nello Spirito Santo consolatore.

 
Nel monastero delle Trappiste tanti cristiani siriani cercano
silenzio, fraternità e speranza
per ancorarsi ancora di più a Cristo
presente nella Via Crucis senza fine della Siria.

venerdì 26 marzo 2021

Le monache di Qara riscoprono l'icona araba con la preghiera contro le epidemie invocata per la peste del 14° secolo


 Una storia straordinaria 

Nel villaggio di Qara, in Siria, le suore dell'Unità di Antiochia hanno pregato per la fine della pandemia di coronavirus con la stessa preghiera che la regina Santa Isabella e le Clarisse di Coimbra invocarono per la fine della peste nel XIV secolo in Portogallo. E con successo, secondo la religiosa Maria Lúcia Ferreira, meglio conosciuta come suor Myri e che appartiene a quella congregazione religiosa.

È una storia quasi improbabile ma è accaduta. Recentemente, un viaggiatore - un viaggiatore raro in questi tempi di pandemia - è apparso con diverse icone, una delle quali si trova alla Temple Gallery di Londra.

Cercava l'occhio esperto di Madre Agnès de La Croix, superiora del Monastero di Mar Yacub, che si è dedicata per anni al restauro delle icone da quando ha iniziato la sua vita religiosa nel Carmelo di Harissa, in Libano, e fino a l'inizio della guerra in Siria.
 La sua conoscenza in questo settore è rinomata e la sua parola è sufficiente per aiutare a rispondere a domande, identificare simboli, tradurre parole o semplicemente per chiarire l'autenticità dei pezzi. E la Madre Superiora, dopo aver analizzato l'icona custodita nel museo londinese, ha scoperto un incredibile legame con la regina Santa Isabel.

Suor Myri racconta la storiaIl viaggiatore, noto alla Madre Superiora, bussò alla porta del Monastero con alcune icone "per ottenere un parere esperto". “Una delle icone della Temple Gallery di Londra ha qualcosa scritto in arabo sul fondo. La Madre ha cercato di decifrare questo arabo arcaico, ha fatto qualche ricerca e ha trovato qualcosa di interessante…” . È qui che la storia dell'icona si interseca con il Portogallo.

Nel testo della perizia sull'icona, Madre Agnès de La Croix afferma che “seguendo una tradizione di fiducia, il testo della preghiera fu offerto dall'Apostolo San Bartolomeo, scritto su un cartoncino, quando apparve alle Clarisse di Coimbra in Portogallo, mentre la città era devastata dalla peste nel 1317, perchè la recitassero"E il convento fu risparmiato.

Il monastero di Coimbra fu rifondato nel 1314 dalla regina Isabella d'Aragona, moglie di D. Dinis I, re del Portogallo, che vi si ritirò e morì. Conosciuta come Rainha Santa o Santa Isabella del Portogallo, fu canonizzata da papa Urbano VIII nel 1625.

L'icona analizzata dalla Madre Superiora di Qara, è stata datata intorno al 1700-1710 e ha l'immagine della Madre di Dio rappresentata di fronte leggermente girata a sinistra. Porta sulle ginocchia il Bambino Gesù e lo allatta, offrendogli il seno con la mano destra. Su ogni lato della composizione centrale ci sono due angeli in ginocchio. In fondo sta il testo, una preghiera alla Madre di Dio per implorare la sua protezione contro l'epidemia.

Suor Myri spiega che la preghiera "fu composta da san Pietro di Damasco, contemporaneo di san Giovanni Damasceno, quando ci fu anche la prima peste registrata nella storia nell'VIII secolo".  “Ed è stata scritta su questa icona all'inizio del XVIII secolo perché anche Aleppo a volte ha avuto ondate di epidemie in quel momento. Epidemie di peste bubbonica. "

Di fronte all'esistenza di questa preghiera con cui le Clarisse di Coimbra pregarono per la fine della peste nel XIV secolo, i religiosi del Monastero di Mar Yacub, a Qara, in Siria, a metà del XXI secolo, decisero di fare lo stesso: "Abbiamo subito iniziato a dire quella preghiera qui in un momento in cui i casi di Covid 19 stavano aumentando enormemente nella regione. E il Covid, a poco a poco scomparve in poche settimane ..."

Per la portoghese suor Maria Lúcia Ferreira, questa storia è un segno: "Ecco perché invito tutti a pregare questa preghiera che è stata data, a nostro avviso, come dono di misericordia perché dopo che abbiamo iniziato a pregare, il Covid qui intorno a noi è finito ... Sembra essere una preghiera molto potente, venne da Damasco ed è passata attraverso il Portogallo ed è attraverso il Portogallo che in seguito fu conosciuta in tutta Europa e che i missionari la riportarono ad Aleppo. Possa la benedizione di Dio venire su di voi ancora una volta dall'Oriente ... "


LA PREGHIERA

Stella del cielo,
che allattò il Signore,
sconfisse la piaga mortale piantata
dal primo padre degli uomini.
Possa questa stella ora
degnarsi di trattenere i corpi celesti le
cui battaglie affliggono il popolo
con le ferite crudeli della morte.

O misericordiosa Stella del Mare,
salvaci dall'epidemia.

Ascoltaci, Madonna,
perché tuo figlio che
ti onora non può rifiutarti nulla.

Salva, o Gesù, noi
per cui la Vergine Madre ti prega.

Prega per noi, compassionevole Santa Madre di Dio.
Tu che hai spezzato la testa al serpente, aiutaci.


traduzione: OraproSiria 

martedì 23 marzo 2021

Il Libano sull'orlo dell'abisso

distribuzione e composizione confessionale della popolazione libanese. 
fonte: https://twitter.com/DelamartinoJ/
status/1373324488117485575

Elijah J. Magnier , corrispondente di guerra ed analista politico specializzato su Medio Oriente, ci dà la sua visione della odierna preoccupante situazione del Paese dei Cedri, dal punto di vista del 'Partito di Dio' 

Tradotto da A.C. 

Non ha particolarmente stupito la notizia che il presidente israeliano Reuven Rivlin e il capo di stato maggiore delle forze armate Aviv Kochavi abbiano bussato alle porte dell’Eliseo (la residenza del presidente francese) per esprimere le loro critiche nei confronti di Hezbollah e ovviamente anche dell’Iran. Indubbiamente Israele non sarà mai in grado di accettare la presenza sui suoi confini di una forza militare molto potente, dotata di centinaia di missili di precisione in grado di coprire tutta la Palestina. Non solo, Hezbollah possiede anche decine di migliaia di missili modificati di precisione sebbene con un raggio più corto. Israele già nel 2006, quando l’organizzazione libanese possedeva molti meno missili e non aveva l’esperienza di oggi, non era riuscito a sconfiggerla. Per cui oggi un eventuale scontro avrebbe un prezzo altissimo e Israele non avrebbe affatto la garanzia di poterne uscire vittorioso. Così in seguito al tentativo fallito di dividere la Siria nel 2011 e l’Iraq nel 2014 e dopo aver cercato di piegare l’Iran attraverso sanzioni sempre più dure che gli Stati Uniti continuano a imporre alla “Repubblica Islamica” fin da quando è nata, le prospettive di debellare Hezbollah si riducono sempre più. 

Gli Stati Uniti e Israele hanno cercato di appoggiare la “rivoluzione libanese“, le ONG presenti nel paese, e hanno investito più di 10 miliardi di dollari per riuscire a paralizzare Hezbollah, senza risultati. Non restano a questo punto che due opzioni: fomentare un conflitto settario oppure ridurre alla fame la popolazione accusando Hezbollah e le sue forze armate e di sicurezza. Riusciranno nell’intento? Come si sta organizzando Hezbollah e che opzioni ha? 

Le recenti guerre in Siria, Iraq e Yemen hanno fornito a Hezbollah, uno dei principali partecipanti, un’esperienza bellica senza precedenti. Ha infatti combattuto insieme ad un esercito classico e a quello di una superpotenza, rispettivamente l’esercito siriano e quello russo. Ha usato carri armati, missili che si è costruito e droni armati e tra le tante operazioni che l’hanno visto protagonista ha condotto anche azioni di sabotaggio dietro le linee nemiche. Subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha definito la Russia un avversario e la Cina un concorrente pericoloso, una presa di posizione che ha avuto come risultato quello di favorire un inedito riavvicinamento tra questi due paesi e i nemici dell’amministrazione americana in Medio Oriente, soprattutto l’Iran e Hezbollah. 

Una delegazione del partito comunista cinese si è recata in Libano e ha incontrato la leadership di Hezbollah a cui ha proposto dei progetti del valore di 12 miliardi di dollari mirati a rimettere in sesto la rete elettrica, le comunicazioni, i trasporti e tutte quelle infrastrutture di cui il paese ha un impellente bisogno. E la Russia da parte sua ha invitato a Mosca una delegazione guidata da Haj  Mohamad Raad che ha incontrato il ministro degli esteri Sergei Lavrov e altre autorità del paese. 

E’ importante sottolineare che Hezbollah in Siria è schierato in 131 punti strategici, l’Iran in 115 e la Russia in 95 escludendo l’aeroporto militare di Hmaymeem e la base navale di Tartus (sotto il controllo russo). In conseguenza è d’obbligo un coordinamento strategico tra Hezbollah e la Russia soprattutto dopo che i servizi di intelligence americani riconoscono e prendono atto che Hezbollah è una potenza regionale senza contare che la accusano anche di essere in grado di interferire nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Ma la catastrofica situazione economica del Libano ha colpito duramente la maggior parte dei libanesi, Hezbollah incluso. E le sanzioni imposte dagli Stati Uniti all’Iran (a partire dal 1979) che hanno raggiunto il livello più alto nel 2020 e che Biden non ha revocato, hanno impedito a Teheran di essere generosa con i suoi alleati anche se non ha mai smesso di finanziarli regolarmente. L’Iran considera i suoi alleati una componente  essenziale della sua sicurezza nazionale. Sebbene il loro benessere sia fondamentale, tutti gli extra sono stati tagliati e i finanziamenti ridotti al minimo necessario. I salari di Hezbollah restano gli stessi e vengono regolarmente pagati. Ma solo un 20, 25% riceve lo stipendio in dollari americani e mentre prima a un dollaro corrispondevano 1.500 lire libanesi oggi il cambio è salito a 13.000. Una gran parte dei membri di Hezbollah non riceve alcun salario oppure viene pagata in moneta locale. La leadership dell’organizzazione ha creato un ente di beneficienza interno chiamato “Muwasat” (fondo di consolazione). I membri di Hezbollah pagati in dollari potranno sostenere economicamente i membri non pagati e le famiglie in stato di bisogno. 

Il deterioramento della situazione economica in Libano è dovuto a una serie di motivi. Lunghi decenni segnati dalla corruzione a partire dagli anni 90 hanno portato alla “dollarizzazione” delle importazioni libanesi e inferto un duro colpo alla produzione locale. Negli anni passati la guerra fatta dagli Stati Uniti al governo di Damasco e le sanzioni americane e europee alla vicina Siria (Caesar Act) hanno giocato decisamente a sfavore dell’economia libanese. A livello interno il prosciugarsi dei dollari nel   mercato libanese avvenuto in seguito alla cattiva gestione, voluta, del Governatore della Banca Centrale, personaggio controllato dagli Stati Uniti, e l’influenza esercitata dagli Stati Uniti sui paesi ricchi del Golfo che li ha indotti a non sostenere finanziariamente il Libano, sono stati l’ennesimo colpo letale inferto all’economia libanese.Tutte queste cose messe insieme hanno iniziato a ridurre la popolazione alla fame, le medicine sono praticamente introvabili, mancano i generi alimentari, il crollo della moneta locale ha creato un’inflazione galoppante e così per una grossa fetta di popolazione sopravvivere sta diventando un’impresa quasi impossibile. 

La mancanza di cibo e medicine non necessariamente costituisce un motivo per scatenare un conflitto a livello militare. L’Iran potrebbe rifornire il Libano di medicine necessarie, di cibo (lo sta già facendo) e l’Iraq si è impegnato a consegnare al Libano il carburante necessario a far funzionare la rete elettrica e i trasporti. Ma il problema della sicurezza è quello più critico dato che molti gruppi schierati con gli Stati Uniti stanno chiudendo le strade più importanti in varie città, impedendo in questo modo le comunicazioni tra gli sciiti nella capitale e nelle periferie, nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Il blocco delle strade viene chiamato disturbo della “via dei rifornimenti” della resistenza, un’azione imperdonabile e pericolosissima che Hezbollah potrebbe considerare come una dichiarazione di guerra. 

E’ ancora vivo nel paese il ricordo del 7 maggio 2008 (il giorno in cui Hezbollah prese il controllo di un’area di Beirut in mano al governo filo-americano). Il governo filo-statunitense aveva deciso di chiudere la rete di telecomunicazioni di Hezbollah, un’azione che l’organizzazione interpretò come una dichiarazione di guerra. Lo scopo era quello di bloccare il circuito di Hezbollah e il suo sistema di comunicazione (fibra ottica) essenziale per permettere al comando dell’organizzazione di dirigere le  battaglie se ci fosse stato un conflitto. Durante la guerra del 2006 gli ordini di attacco erano coordinati e non furono mai interrotti anche quando Israele cercò di distruggere la rete senza riuscirci. La decisione era stata presa dal governo dell’ex primo ministro Fouad Siniora un politico nemico di Hezbollah e amico degli Stati Uniti e dei sauditi, accusato di corruzione ma salvato dall’intervento dell’ex primo ministro Rafic Hariri che lo nominò ministro delle finanze per proteggerlo da un procedimento legale ( succede solo in Libano). 

Secondo fonti libanesi ben informate, nelle manifestazioni delle ultime settimane i sostenitori del primo ministro Saad Hariri con la scusa della fame e della svalutazione della lira hanno chiuso la strada di Saadnayel che collega gli sciiti della valle della Bekaa a Beirut. Anche la strada di Alay è stata chiusa dai sostenitori del leader druso filo-americano Walid Jumblatt per impedire agli sciiti di raggiungere la periferia di Beirut. E pure  la strada di Jiyeh che porta nel sud del Libano veniva chiusa dai sostenitori di Hariri e di Jumblatt. Erano tutti movimenti coordinati che fanno capire  come lo scenario servisse a preparare il paese a qualcosa di più grosso e a  verificare la reazione di Hezbollah. 

Sta di fatto che anche la leadership dell’esercito libanese ha contribuito a peggiorare la situazione poiché il comandante in capo, il generale Joseph Aoun si rifiutava di obbedire ai ripetuti ordini del presidente Michel Aoun di riaprire le strade permettendo però ai dimostranti di manifestare a lato delle stesse. Il generale Joseph Aoun è candidato alla presidenza e probabilmente crede (ma si sbaglia) che l’appoggio degli Stati Uniti sia sufficiente a soddisfare le sue ambizioni politiche. 

Più di sei mesi fa successe la stessa cosa, vennero chiuse tutte le strade usate dall’ “Asse della Resistenza” che vanno nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Dopo ripetuti e inutili avvertimenti Hezbollah convocava più di 1.000 uomini delle forze di mobilitazione che vivono nella zona dove i dimostranti avevano bloccato le strade affinché si preparassero a sgombrarle con la forza. All’ultimo minuto l’esercito libanese, la cui leadership era stata informata, interveniva e allontanava i dimostranti chiaramente manipolati dai partiti filo-americani. 

Si sta prospettando uno scenario simile ma chiudere la via dei rifornimenti della resistenza non verrà permesso. L’ “Asse della Resistenza” ritiene che questa dichiarazione di guerra non sia nient’altro che un chiaro appoggio a Israele. Si pensa che ci vogliano dalle 24 alle 48 ore per liberare tutte le strade indipendentemente dal numero dei dimostranti e da quanto siano ben armati. 

Al Libano non è permesso di poter vivere in pace a meno che i suoi leader non siano pronti a concedere una parte dei loro  confini marittimi a Israele e Hezbollah venga disarmato, sempre, ovviamente, per far piacere a Israele. Gli Stati Uniti stanno portando il Libano al fallimento, non permettono che riceva gli aiuti dell’Iraq, della Cina e della Russia mentre  loro non sono intenzionati a sostenerlo. Più voci all’interno del paese , soprattutto la Forze Libanesi schierate con gli Stati Uniti e Israele, insistono sul disarmo di Hezbollah e descrivono Sayyed Hassan Nasrallah come la “testa del serpente” ( c’è un video sui social media).

Ma Hezbollah non darà via le sue armi e cercherà di evitare la guerra civile ma non una battaglia se fosse necessaria. Hezbollah consolida la sua organizzazione che fa parte della società e continuerà a prepararsi militarmente per qualunque possibile scenario di guerra, in Libano o al confine. Ha spostato molte delle sue operazioni sottoterra dove stanno nascendo delle città proprio per affrontare in futuro le minacce americane e israeliane. 

Le forze statunitensi continueranno a collaborare con Israele per paralizzare Hezbollah. Il comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM), il generale Kenneth McKenzie è stato in Libano più volte nell’ ultimo anno. La sua visita più recente , avvenuta la scorsa settimana, è di fatto quella più importante: scortato da sei elicotteri dell’esercito libanese ha esplorato la zona di  Ghazzee-Mazraat Deir al-Ashayer con una squadra di ufficiali dell’intelligence e di esperti di topografia. Ha anche fatto visita al generale Joseph Aoun (capo dell’esercito) ma non ha incontrato il presidente e neppure altri leader politici o membri del governo.

Le fonti pensano che gli Stati Uniti stiano esplorando la zona strategica che sta al confine tra la Siria e il Libano che dista solo decine di chilometri da Damasco e potrebbe essere utilizzata come base dell’esercito libanese (una soluzione di facciata) controllata dagli Stati Uniti. E’ oltretutto la zona che collega la valle della Bekaa con il sud del Libano, molto vicina al Monte Hermon dove si pensa che Hezbollah abbia le sue basi e i suoi missili strategici. L’ambasciata americana a Beirut ha comunicato che il comandante del CENTCOM ha “inaugurato un impianto di pompaggio dell’acqua finanziato dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale -USAID” già in uso negli ultimi due anni per fornire acqua ad un villaggio quasi disabitato. Non è chiaro se inaugurare una pompa per l’acqua finanziata dagli Stati Uniti faccia parte delle competenze del generale McKenzie anche se l’ USCENTCOM è uno dei due comandi combattenti il cui quartier generale non si trova nella sua zona di responsabilità ma in Florida. 

Non si intravede nel breve periodo una soluzione per il Libano, un paese che cammina sull’orlo dell’abisso. I paesi del Golfo, gli Stati Uniti e Israele hanno deciso di spezzare il Libano e di far cadere il presidente Michel Aoun e il suo alleato Hezbollah. Ma saranno in grado insieme di far pendere la bilancia in loro favore? Non ci sono riusciti in Siria, in Yemen e in Iraq. Per Israele la guerra del 2006 è stata un fallimento e i  10 miliardi di dollari americani investiti per contrastare Hezbollah non hanno dato il via ad una rivoluzione e neppure ad una guerra civile. Hezbollah ha imposto un equilibrio della dissuasione in Libano e con Israele. E non ha nessuna intenzione di essere quello che comanda lo stato ma vive in un paese dove i politici hanno paura di far arrabbiare gli Stati Uniti. Il governo del Libano e i politici pro-Stati Uniti hanno timore a chiedere l’appoggio all’Oriente. Dipendono dalle esitazioni del nuovo presidente americano e della sua amministrazione che sta mantenendo inalterato lo status-quo di quella precedente (Trump). L’immobilismo e le minacce degli Stati Uniti stanno spingendo sempre più il Libano verso il precipizio.

https://ejmagnier.com/2021/03/23/il-libano-sullorlo-dellabisso/