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venerdì 9 aprile 2021

Ora sappiamo cosa ci avvicina ad altri popoli ...

La dignità, la fierezza, la tenacia, la consapevolezza, il coraggio e la bella semplicità dei Siriani, popolo nobilitato dalla sua civiltà plurimillenaria e dalle tradizioni sempre vive, che da dieci anni resistono a una guerra scellerata volta a distruggere il loro Paese e a sterminarli, sono riassunti mirabilmente in questa emozionante lettera della scrittrice damascena Nadia Khost (Siriana circassa nata nel 1935, laureata in filosofia presso l’Università di Damasco e dottorata in letterature comparate in Unione Sovietica con un saggio su: ‘’Influenza dell’opera di Anton Čechov sulla letteratura araba’’).

Autrice di numerosi saggi e racconti sulla storia, l'architettura, la conservazione e la protezione del patrimonio della civiltà araba, è anche un’indefessa testimone sulla guerra contro il suo Paese.

  Maria Antonietta Carta

Miei cari amici, 

 non ci siamo più visti dalla vostra lontana visita in Siria. E oggi siamo sparsi per il mondo, dato che l'ingresso in alcuni Paesi arabi ora è più facile per un Americano o un Israeliano che per un Siriano. 

Ho percepito un po’ di tristezza nelle vostre lettere. Avete ragione. La guerra mondiale che ha ispirato tanti poemi epici è durata solo quattro anni, mentre la guerra contro la Siria continua da dieci anni. Una guerra condotta con la partecipazione di grandi potenze oltre che di piccoli Stati e durante la quale i crimini commessi hanno ricevuto la copertura di conferenze stampa internazionali, incontri di capi di Stato europei, lacrime di organizzazioni umanitarie e un corteggio di intellettuali siriani. 

Comprendo la vostra tristezza. Dieci anni delle nostre vite e delle vite dei nostri figli sono stati ingoiati da una guerra che ha accorciato le nostre strade e ci ha derubato delle nostre foreste e delle nostre montagne, mentre le sabbie delle nostre spiagge hanno dimenticato i nostri passi. Dieci lunghi anni al termine dei quali anche la gioia normalmente ispirata dalla fioritura dei nostri melangoli e cedri non può più dissipare la nostra amarezza, poiché le ali della felicità nascono solo nei Paesi sicuri. 

Tuttavia, anche i bambini hanno resistito cantando. Alcuni hanno continuato a sfilare sotto i proiettili dei gruppi armati e noi li abbiamo seguiti. Una granata è caduta a un passo da noi e quando siamo tornati a casa sani e salvi abbiamo celebrato la nostra vittoria sulla morte nella terra del primo alfabeto.

Spero che gli esperti onesti scriveranno la verità su questa guerra intrapresa contro di noi, poiché i Siriani generalmente compiono imprese e le superano senza fissarle per la storia. Spero che ricorderanno quei giorni difficili, specialmente il giorno in cui il presidente francese Hollande disse a Putin che la mappa della Siria ora era come la scacchiera, a significare la divisione de facto del territorio dello Stato siriano. E questo, proprio mentre i terroristi tentavano di invadere il quartiere di Al-Qassa da Piazza degli Abbasidi ed entrare a Damasco da Daraya. 

Daraya, un sobborgo di Damasco occidentale trasformato in una caserma dei terroristi che ospitavano Americani, tra i quali un agente della CIA che inviò ogni genere di messaggeri per cercarlo; mentre i colpi di mortaio piovevano sulle strade di Damasco e interrompevano il silenzio delle sue notti, mentre "bandiere nere" fluttuavano sui vicini sobborghi di Jobar e Zabadani e mentre salutavamo i nostri figli e i nostri mariti, che andavano a studiare o lavorare, senza alcuna certezza di trovarli sani e salvi al loro ritorno. 

I terroristi hanno persino bombardato la Facoltà di Architettura nel centro della capitale e il Teatro dell'Opera di Damasco. Tuttavia, i venditori di ortaggi sono rimasti al loro posto, i negozi e le farmacie hanno tenuto le porte aperte, le cliniche hanno continuato a ricevere i pazienti, i funzionari hanno ricoperto i loro incarichi in diverse istituzioni, i musicisti non hanno interrotto le prove, i concerti sono continuati e gli ospiti alle serate culturali hanno risposto con la loro presenza. 

 Stavamo giocando con la vita e la morte? Probabilmente. Ma piuttosto, chiediamoci perché un destino così mostruoso abbia sottoposto la terra di così tante civiltà a così tante demolizioni e smantellamento e distruzioni. Ciò può essere spiegato solo con il fatto che Siria, Iraq e Libano hanno combattuto contro Israele e che insieme rappresentiamo il fronte orientale di questa lotta. Una spiegazione a cui va aggiunto l'odio del falso contro l'autentico così come l'odio degli incolti contro gli eredi della civiltà. Bush non ha forse detto che avrebbe riportato l'Iraq all'età della pietra? 

 Nonostante la nostra stessa sofferenza, sentiamo dolorosamente quello che è successo all'Iraq e temiamo quello che potrebbe ancora accadergli con la presenza degli Americani sul suo suolo, perché non siamo abituati a pensare solo alla Siria. Il nostro cuore è sempre rivolto a questi Paesi fratelli con la certezza che, da Baghdad a Beirut, ci è stata riservata la stessa sorte nella mappa delle partizioni israelo-americane. 

Una certezza basata sul complotto ordito contro la Siria dagli Stati Uniti a causa della sua importanza geopolitica? Certamente no! Lo sapevamo molto prima di loro, ma con una visione diversa dalla loro. Una visione che ci invita a difendere insieme la dignità dell’arabicità e della persona umana dalla barbarie occidentale che dobbiamo vincere ed estromettere dalla nostra storia.

Comprendiamo quindi perché contro di noi è scoppiata una nuova guerra: una guerra diretta contro la nostra lira siriana e il nostro pane profumato. 

Comprendiamo perché l'occupante statunitense e i suoi agenti curdi rubano il nostro grano oltre che il nostro petrolio e, come i loro antenati saccheggiatori, bloccano le strade che portano da noi, nella speranza di disegnare una nuova realtà sociale in cima alla quale starebbero i mezzani di guerra e nell'abisso il popolo impoverito. 

Comprendiamo perché ci mettiamo in fila fuori dalle stazioni di servizio e dai forni per il pane. Se chiedessi a qualcuno di coloro che aspettano in coda se acconsentirebbe a un accordo favorevole agli Stati Uniti e a Israele per porre fine alla crisi, lui si indignerebbe e direbbe: "Come potrebbero perdonarci i nostri anziani?"... Non furono i "Martiri di maggio" i primi a illuminarci sul sionismo? ". 

 Prima della guerra, non avrei mai immaginato che fossimo capaci di tanta pazienza e coraggio. È così perché siamo convinti che la nostra sconfitta farebbe precipitare la regione nell'oscurantismo e nella barbarie? È perché crediamo di dover pagare il prezzo per il cambiamento delle relazioni internazionali? Avremo infatti contribuito in larga parte all'avvento di una nuova realtà: quella di un mondo ormai multipolare.

 Amici miei, non preoccupatevi per me. Naturalmente, durante questa guerra, ho spesso pianto di tristezza per le sofferenze della gente e del Paese. Una tristezza che però non ha niente a che vedere con la rassegnazione o la debolezza. Inoltre, i Siriani non hanno mai chinato la testa, tranne quando sono stati decapitati dai terroristi wahhabiti.

D'altra parte, abbiamo perso le nostre illusioni che ogni Arabo sia più vicino a noi di un Russo, Iraniano e Venezuelano. Abbiamo scoperto che ciò che unisce o divide le persone è la visione, il comportamento e la consapevolezza.

  Nadia Khost

Trad.  Maria Antonietta Carta

https://arretsurinfo.ch/syrie-desormais-nous-savons-ce-qui-nous-rapproche-dautres-peuples/

mercoledì 7 aprile 2021

Il futuro della Chiesa in Siria

Non ha mai abbandonato la sua città in questi dieci anni il gesuita Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo dal 1992 ed ex presidente della Caritas siriana: “Fu chiaro sin dall’inizio che le manifestazioni della cosiddetta primavera araba erano manovrate dai Fratelli musulmani sunniti. Ben presto arrivarono gli aiuti militari di Arabia Saudita e Turchia per rovesciare gli alawiti che detengono il potere”, ci ha detto in questa intervista.

Intervista di Paolo Vites a Mons. Antoine AUDO

Il Sussidiario, 05-04.2021 


Dieci anni fa, il 15 marzo 2011, scoppiò la guerra a Dara’a, nel sud della Siria e al confine con la Giordania. Avevate sperato che la Primavera araba potesse portare a un cambiamento pacifico?

Va ricordato che sin dall’inizio la maggioranza dei siriani non credeva a una primavera araba,  come annunciato dai media per giustificare questa guerra. Fin dall’inizio, in Siria, tutti sapevano che erano per lo più Fratelli musulmani sunniti che si ribellavano contro gli alawiti, che sono in maggioranza al potere e che detengono l’esercito. Inoltre, i vari gruppi armati che hanno attaccato e distrutto le infrastrutture dello Stato siriano erano di obbedienza sunnita e hanno ricevuto aiuti militari dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e da altri paesi del Golfo.

Cosa resta di questa primavera araba?

La distruzione dell’economia siriana. L’occupazione di gran parte dei territori, soprattutto nella regione di Jésiré dove si trova il petrolio. Con l’islam al servizio del potere politico ed economico, potenze regionali come la Turchia e l’Arabia Saudita hanno sostenuto i gruppi armati sunniti per rovesciare il governo siriano e dare potere ai sunniti siriani, vale a dire i Fratelli musulmani.

Cosa ha voluto dire vivere questi anni di devastazione?

La guerra in Siria è stata un inferno dall’inizio e lo è ancora oggi. Ad ogni tappa speravamo di uscire dal tunnel, e ora la situazione è peggiorata: da un bombardamento all’altro in tutte le regioni, da una carenza alimentare e medica a un’altra di gas ed elettricità. Per rileggere questi dieci anni di guerra, possiamo dire che oggi la maggior parte del popolo siriano soffre per l’alto costo della vita dovuto alla svalutazione della lira siriana. In questa crisi economica ha preso piede una nuova classe benestante, mentre la maggioranza della popolazione è umiliata e privata del necessario: cibo di qualità, medicine, riscaldamento, abbigliamento, istruzione. Con una tale crisi, la strada è aperta alla droga e alla prostituzione, mentre prima la stabilità economica e politica proteggeva le famiglie da questi abusi causati dalla miseria generalizzata.

Una situazione di distruzione generalizzata? Quali speranze concrete?

Distruzione materiale, delle infrastrutture, soprattutto a livello economico e a livello di danno materiale: ferrovie, strade, elettricità, scuole, ospedali, fabbriche. Questa situazione impedisce la visione di un futuro, di una speranza nell’immediato futuro. All’inizio della guerra, si credeva che la guerra fosse questione di pochi mesi. Oggi la maggior parte delle persone cerca cibo e medicine per non morire. I bisogni quotidiani sono cibo, medicine, riscaldamento, gas, elettricità. Tutto è diventato caro a causa della svalutazione della lira siriana, e tutti sperimentiamo la mancanza di tutto e l’umiliazione.

Ad Aleppo, martoriata da incessanti combattimenti, come è la situazione?

Ciò che sto descrivendo si applica in modo particolare ad Aleppo, la cui infrastruttura economica è stata distrutta e che, come tutti i siriani, soffre dell’embargo imposto da Stati Uniti, Unione Europea e Gran Bretagna. La ricostruzione presuppone la revoca delle sanzioni contro la Siria. Tuttavia, non avendo trovato una soluzione politica alla crisi siriana, e con un Paese minacciato dagli obiettivi di turchi, curdi e potenze occidentali, non è possibile parlare di un progetto di ricostruzione generale che presupponga stabilità e budget enormi. Ma possiamo ugualmente segnalare iniziative di ricostruzione, a livello di strade, come a livello di mercati e negozi, di piccole industrie e laboratori di abbigliamento.

La Siria era un modello di convivenza tra religioni e culture diverse: adesso?

Parliamo di dieci milioni di sfollati e rifugiati all’interno della Siria, come nei paesi vicini: Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto, per non parlare di tutti coloro che sono emigrati in Europa, Canada e Australia. Come cristiani che hanno perso più della metà dei fedeli di tutte le Chiese, specialmente i giovani e le famiglie ricche, vorremmo che tutte queste famiglie tornassero, avessero una presenza significativa e viva. Ma chi sarebbe attratto dalla situazione che abbiamo appena descritto, da osare considerare un ritorno?

Come Chiesa non avete mai smesso di aiutare la popolazione, quali le iniziative più importanti che seguite?

Per il momento, come Chiesa, stiamo cercando di aiutare le famiglie e le persone in modo che possano continuare a vivere il più degnamente possibile, in modo da non fare i bagagli ed emigrare. Allo stesso modo, è difficile prevedere il ritorno di coloro che sono emigrati in Occidente e soprattutto tra i giovani. Chi invece si trova nei paesi vicini potrà tornare in Siria più facilmente.

Veniamo a una domanda che ci sta a cuore, come Chiesa e come cristiani: come immaginare il futuro della Chiesa in Siria?

È certo innanzitutto che non si può più considerare la presenza cristiana com’era prima della guerra, secondo il modello del Novecento, una presenza consistente tra il 15 e il 20% della popolazione, con fiorente attività economica e culturale. Dovremo credere nella ricostruzione di un tessuto sociale cristiano adattato al XXI secolo. Non potremo più accontentarci della teologia, dei riti e delle confessioni, come gente alla ricerca della sola ricchezza e della superiorità economica e culturale.

Cosa ha significato per i cristiani siriani la recente visita del Papa in Iraq?

Abbiamo bisogno di una nuova spina dorsale cristiana che integri l’intera visione del Vaticano II. Fratelli tutti, la fraternità umana sono atteggiamenti da acquisire a seguito di questa guerra per poter avere una presenza viva e significativa in questa società araba musulmana e in questo mosaico di religioni ed etnie.

Il Papa ha dato un messaggio di fratellanza ben preciso che non piace a tutti. È questa la strada?

Di fronte alla modernità e nella lotta contro la secolarizzazione e l'ateismo, l’islam mette in discussione la propria identità e cerca la sua strada e la sua stabilità sociale e religiosa. Crediamo, soprattutto in seguito al viaggio di Papa Francesco in Iraq e anche ad Abu Dhabi e in Egitto (Università Al Azhar), ai suoi incontri con lo sceicco Ahmad Al Tayyeb, suprema autorità sunnita, e al suo incontro con l’ayatollah Al Sistani, suprema autorità sciita, ad Al Najaf (Iraq), che siano tutti gesti e atteggiamenti di rispetto, ascolto e fraternità che d’ora in poi dovrebbero ispirare i cristiani. I cristiani di Siria, con la loro arte di inculturarsi nella cultura araba e musulmana, sono capaci di ricostruire per tutti ponti di riconciliazione e di speranza nel cuore di questo XXI secolo assetato di pace e giustizia.

lunedì 5 aprile 2021

Inno sulla Risurrezione


 

«Accetta, nostro re, la nostra offerta e dacci in cambio la salvezza. 

Pacifica le terre devastate, edifica le chiese incendiate affinché, quando vi sarà pace grande, una gran corona possiamo intrecciarti di fiori provenienti da ogni parte, perché sia incoronato il Signore della pace. 

Benedetto Colui che agì e può agire!».

    Efrem il Siro (+ 373)

sabato 3 aprile 2021

Buona Santa Pasqua!

 

"Cercando un segno adeguato alla Pasqua di quest'anno abbiamo pensato alla figura dell'etimasía, cioè il trono della gloria preparato per il ritorno di Cristo.

Nell'iconografia c'è un trono, sopra cui è disteso il manto imperiale; ai piedi lo sgabello del salmo ("la terra è lo sgabello dei suoi piedi”) con un vaso che ha in sé i chiodi della Passione.

Dietro al trono c'è la croce, che porta su di sè la corona di spine ma fiorita, simbolo della vittoria sulla morte. Accanto, gli strumenti della Passione: la lancia e la canna con la spugna imbevuta di aceto..

Ma segnatamente sul trono è seduto lo Spirito, perché è in Lui che viviamo questo tempo di attesa del compimento.

Ci è sembrato un simbolo molto adatto per questo tempo, nel quale l' attesa del Salvatore si fa più urgente, e indispensabile, per risollevare la nostra umanità dalla dimenticanza del destino di gloria che ci attende come figli di Dio, e per portare all'uomo la libertà vera, la libertà dal peccato che ci appesantisce il cuore e la mente..."


Ci uniamo a questo auspicio delle amiche Sorelle Trappiste di Siria, con l'augurio che la gioia pasquale pervada e rinvigorisca le nostre vite.

Buona Santa Pasqua!

da OraproSiria


giovedì 1 aprile 2021

«Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi», cantano le Sorelle nella Pasqua della Siria


Dalla Liturgia delle Ore delle Monache di Azeir in Siria: 


Dio Santo, 
Dio Forte,
misericordioso salvatore,
liberaci dalla morte.

A Te gridarono i nostri padri,
gridarono 
e Tu li hai esauditi,
in Te riposero la loro speranza 
e Tu li hai liberati.

A chi andremo nell'ora della prova
quando il nemico è in agguato contro di noi
per ghermire con i suoi artigli la nostra vita?

Gloria a Te o Padre 
per il tuo Figlio Gesù Cristo 
nello Spirito Santo consolatore.

 
Nel monastero delle Trappiste tanti cristiani siriani cercano
silenzio, fraternità e speranza
per ancorarsi ancora di più a Cristo
presente nella Via Crucis senza fine della Siria.

venerdì 26 marzo 2021

Le monache di Qara riscoprono l'icona araba con la preghiera contro le epidemie invocata per la peste del 14° secolo


 Una storia straordinaria 

Nel villaggio di Qara, in Siria, le suore dell'Unità di Antiochia hanno pregato per la fine della pandemia di coronavirus con la stessa preghiera che la regina Santa Isabella e le Clarisse di Coimbra invocarono per la fine della peste nel XIV secolo in Portogallo. E con successo, secondo la religiosa Maria Lúcia Ferreira, meglio conosciuta come suor Myri e che appartiene a quella congregazione religiosa.

È una storia quasi improbabile ma è accaduta. Recentemente, un viaggiatore - un viaggiatore raro in questi tempi di pandemia - è apparso con diverse icone, una delle quali si trova alla Temple Gallery di Londra.

Cercava l'occhio esperto di Madre Agnès de La Croix, superiora del Monastero di Mar Yacub, che si è dedicata per anni al restauro delle icone da quando ha iniziato la sua vita religiosa nel Carmelo di Harissa, in Libano, e fino a l'inizio della guerra in Siria.
 La sua conoscenza in questo settore è rinomata e la sua parola è sufficiente per aiutare a rispondere a domande, identificare simboli, tradurre parole o semplicemente per chiarire l'autenticità dei pezzi. E la Madre Superiora, dopo aver analizzato l'icona custodita nel museo londinese, ha scoperto un incredibile legame con la regina Santa Isabel.

Suor Myri racconta la storiaIl viaggiatore, noto alla Madre Superiora, bussò alla porta del Monastero con alcune icone "per ottenere un parere esperto". “Una delle icone della Temple Gallery di Londra ha qualcosa scritto in arabo sul fondo. La Madre ha cercato di decifrare questo arabo arcaico, ha fatto qualche ricerca e ha trovato qualcosa di interessante…” . È qui che la storia dell'icona si interseca con il Portogallo.

Nel testo della perizia sull'icona, Madre Agnès de La Croix afferma che “seguendo una tradizione di fiducia, il testo della preghiera fu offerto dall'Apostolo San Bartolomeo, scritto su un cartoncino, quando apparve alle Clarisse di Coimbra in Portogallo, mentre la città era devastata dalla peste nel 1317, perchè la recitassero"E il convento fu risparmiato.

Il monastero di Coimbra fu rifondato nel 1314 dalla regina Isabella d'Aragona, moglie di D. Dinis I, re del Portogallo, che vi si ritirò e morì. Conosciuta come Rainha Santa o Santa Isabella del Portogallo, fu canonizzata da papa Urbano VIII nel 1625.

L'icona analizzata dalla Madre Superiora di Qara, è stata datata intorno al 1700-1710 e ha l'immagine della Madre di Dio rappresentata di fronte leggermente girata a sinistra. Porta sulle ginocchia il Bambino Gesù e lo allatta, offrendogli il seno con la mano destra. Su ogni lato della composizione centrale ci sono due angeli in ginocchio. In fondo sta il testo, una preghiera alla Madre di Dio per implorare la sua protezione contro l'epidemia.

Suor Myri spiega che la preghiera "fu composta da san Pietro di Damasco, contemporaneo di san Giovanni Damasceno, quando ci fu anche la prima peste registrata nella storia nell'VIII secolo".  “Ed è stata scritta su questa icona all'inizio del XVIII secolo perché anche Aleppo a volte ha avuto ondate di epidemie in quel momento. Epidemie di peste bubbonica. "

Di fronte all'esistenza di questa preghiera con cui le Clarisse di Coimbra pregarono per la fine della peste nel XIV secolo, i religiosi del Monastero di Mar Yacub, a Qara, in Siria, a metà del XXI secolo, decisero di fare lo stesso: "Abbiamo subito iniziato a dire quella preghiera qui in un momento in cui i casi di Covid 19 stavano aumentando enormemente nella regione. E il Covid, a poco a poco scomparve in poche settimane ..."

Per la portoghese suor Maria Lúcia Ferreira, questa storia è un segno: "Ecco perché invito tutti a pregare questa preghiera che è stata data, a nostro avviso, come dono di misericordia perché dopo che abbiamo iniziato a pregare, il Covid qui intorno a noi è finito ... Sembra essere una preghiera molto potente, venne da Damasco ed è passata attraverso il Portogallo ed è attraverso il Portogallo che in seguito fu conosciuta in tutta Europa e che i missionari la riportarono ad Aleppo. Possa la benedizione di Dio venire su di voi ancora una volta dall'Oriente ... "


LA PREGHIERA

Stella del cielo,
che allattò il Signore,
sconfisse la piaga mortale piantata
dal primo padre degli uomini.
Possa questa stella ora
degnarsi di trattenere i corpi celesti le
cui battaglie affliggono il popolo
con le ferite crudeli della morte.

O misericordiosa Stella del Mare,
salvaci dall'epidemia.

Ascoltaci, Madonna,
perché tuo figlio che
ti onora non può rifiutarti nulla.

Salva, o Gesù, noi
per cui la Vergine Madre ti prega.

Prega per noi, compassionevole Santa Madre di Dio.
Tu che hai spezzato la testa al serpente, aiutaci.


traduzione: OraproSiria 

martedì 23 marzo 2021

Il Libano sull'orlo dell'abisso

distribuzione e composizione confessionale della popolazione libanese. 
fonte: https://twitter.com/DelamartinoJ/
status/1373324488117485575

Elijah J. Magnier , corrispondente di guerra ed analista politico specializzato su Medio Oriente, ci dà la sua visione della odierna preoccupante situazione del Paese dei Cedri, dal punto di vista del 'Partito di Dio' 

Tradotto da A.C. 

Non ha particolarmente stupito la notizia che il presidente israeliano Reuven Rivlin e il capo di stato maggiore delle forze armate Aviv Kochavi abbiano bussato alle porte dell’Eliseo (la residenza del presidente francese) per esprimere le loro critiche nei confronti di Hezbollah e ovviamente anche dell’Iran. Indubbiamente Israele non sarà mai in grado di accettare la presenza sui suoi confini di una forza militare molto potente, dotata di centinaia di missili di precisione in grado di coprire tutta la Palestina. Non solo, Hezbollah possiede anche decine di migliaia di missili modificati di precisione sebbene con un raggio più corto. Israele già nel 2006, quando l’organizzazione libanese possedeva molti meno missili e non aveva l’esperienza di oggi, non era riuscito a sconfiggerla. Per cui oggi un eventuale scontro avrebbe un prezzo altissimo e Israele non avrebbe affatto la garanzia di poterne uscire vittorioso. Così in seguito al tentativo fallito di dividere la Siria nel 2011 e l’Iraq nel 2014 e dopo aver cercato di piegare l’Iran attraverso sanzioni sempre più dure che gli Stati Uniti continuano a imporre alla “Repubblica Islamica” fin da quando è nata, le prospettive di debellare Hezbollah si riducono sempre più. 

Gli Stati Uniti e Israele hanno cercato di appoggiare la “rivoluzione libanese“, le ONG presenti nel paese, e hanno investito più di 10 miliardi di dollari per riuscire a paralizzare Hezbollah, senza risultati. Non restano a questo punto che due opzioni: fomentare un conflitto settario oppure ridurre alla fame la popolazione accusando Hezbollah e le sue forze armate e di sicurezza. Riusciranno nell’intento? Come si sta organizzando Hezbollah e che opzioni ha? 

Le recenti guerre in Siria, Iraq e Yemen hanno fornito a Hezbollah, uno dei principali partecipanti, un’esperienza bellica senza precedenti. Ha infatti combattuto insieme ad un esercito classico e a quello di una superpotenza, rispettivamente l’esercito siriano e quello russo. Ha usato carri armati, missili che si è costruito e droni armati e tra le tante operazioni che l’hanno visto protagonista ha condotto anche azioni di sabotaggio dietro le linee nemiche. Subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha definito la Russia un avversario e la Cina un concorrente pericoloso, una presa di posizione che ha avuto come risultato quello di favorire un inedito riavvicinamento tra questi due paesi e i nemici dell’amministrazione americana in Medio Oriente, soprattutto l’Iran e Hezbollah. 

Una delegazione del partito comunista cinese si è recata in Libano e ha incontrato la leadership di Hezbollah a cui ha proposto dei progetti del valore di 12 miliardi di dollari mirati a rimettere in sesto la rete elettrica, le comunicazioni, i trasporti e tutte quelle infrastrutture di cui il paese ha un impellente bisogno. E la Russia da parte sua ha invitato a Mosca una delegazione guidata da Haj  Mohamad Raad che ha incontrato il ministro degli esteri Sergei Lavrov e altre autorità del paese. 

E’ importante sottolineare che Hezbollah in Siria è schierato in 131 punti strategici, l’Iran in 115 e la Russia in 95 escludendo l’aeroporto militare di Hmaymeem e la base navale di Tartus (sotto il controllo russo). In conseguenza è d’obbligo un coordinamento strategico tra Hezbollah e la Russia soprattutto dopo che i servizi di intelligence americani riconoscono e prendono atto che Hezbollah è una potenza regionale senza contare che la accusano anche di essere in grado di interferire nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Ma la catastrofica situazione economica del Libano ha colpito duramente la maggior parte dei libanesi, Hezbollah incluso. E le sanzioni imposte dagli Stati Uniti all’Iran (a partire dal 1979) che hanno raggiunto il livello più alto nel 2020 e che Biden non ha revocato, hanno impedito a Teheran di essere generosa con i suoi alleati anche se non ha mai smesso di finanziarli regolarmente. L’Iran considera i suoi alleati una componente  essenziale della sua sicurezza nazionale. Sebbene il loro benessere sia fondamentale, tutti gli extra sono stati tagliati e i finanziamenti ridotti al minimo necessario. I salari di Hezbollah restano gli stessi e vengono regolarmente pagati. Ma solo un 20, 25% riceve lo stipendio in dollari americani e mentre prima a un dollaro corrispondevano 1.500 lire libanesi oggi il cambio è salito a 13.000. Una gran parte dei membri di Hezbollah non riceve alcun salario oppure viene pagata in moneta locale. La leadership dell’organizzazione ha creato un ente di beneficienza interno chiamato “Muwasat” (fondo di consolazione). I membri di Hezbollah pagati in dollari potranno sostenere economicamente i membri non pagati e le famiglie in stato di bisogno. 

Il deterioramento della situazione economica in Libano è dovuto a una serie di motivi. Lunghi decenni segnati dalla corruzione a partire dagli anni 90 hanno portato alla “dollarizzazione” delle importazioni libanesi e inferto un duro colpo alla produzione locale. Negli anni passati la guerra fatta dagli Stati Uniti al governo di Damasco e le sanzioni americane e europee alla vicina Siria (Caesar Act) hanno giocato decisamente a sfavore dell’economia libanese. A livello interno il prosciugarsi dei dollari nel   mercato libanese avvenuto in seguito alla cattiva gestione, voluta, del Governatore della Banca Centrale, personaggio controllato dagli Stati Uniti, e l’influenza esercitata dagli Stati Uniti sui paesi ricchi del Golfo che li ha indotti a non sostenere finanziariamente il Libano, sono stati l’ennesimo colpo letale inferto all’economia libanese.Tutte queste cose messe insieme hanno iniziato a ridurre la popolazione alla fame, le medicine sono praticamente introvabili, mancano i generi alimentari, il crollo della moneta locale ha creato un’inflazione galoppante e così per una grossa fetta di popolazione sopravvivere sta diventando un’impresa quasi impossibile. 

La mancanza di cibo e medicine non necessariamente costituisce un motivo per scatenare un conflitto a livello militare. L’Iran potrebbe rifornire il Libano di medicine necessarie, di cibo (lo sta già facendo) e l’Iraq si è impegnato a consegnare al Libano il carburante necessario a far funzionare la rete elettrica e i trasporti. Ma il problema della sicurezza è quello più critico dato che molti gruppi schierati con gli Stati Uniti stanno chiudendo le strade più importanti in varie città, impedendo in questo modo le comunicazioni tra gli sciiti nella capitale e nelle periferie, nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Il blocco delle strade viene chiamato disturbo della “via dei rifornimenti” della resistenza, un’azione imperdonabile e pericolosissima che Hezbollah potrebbe considerare come una dichiarazione di guerra. 

E’ ancora vivo nel paese il ricordo del 7 maggio 2008 (il giorno in cui Hezbollah prese il controllo di un’area di Beirut in mano al governo filo-americano). Il governo filo-statunitense aveva deciso di chiudere la rete di telecomunicazioni di Hezbollah, un’azione che l’organizzazione interpretò come una dichiarazione di guerra. Lo scopo era quello di bloccare il circuito di Hezbollah e il suo sistema di comunicazione (fibra ottica) essenziale per permettere al comando dell’organizzazione di dirigere le  battaglie se ci fosse stato un conflitto. Durante la guerra del 2006 gli ordini di attacco erano coordinati e non furono mai interrotti anche quando Israele cercò di distruggere la rete senza riuscirci. La decisione era stata presa dal governo dell’ex primo ministro Fouad Siniora un politico nemico di Hezbollah e amico degli Stati Uniti e dei sauditi, accusato di corruzione ma salvato dall’intervento dell’ex primo ministro Rafic Hariri che lo nominò ministro delle finanze per proteggerlo da un procedimento legale ( succede solo in Libano). 

Secondo fonti libanesi ben informate, nelle manifestazioni delle ultime settimane i sostenitori del primo ministro Saad Hariri con la scusa della fame e della svalutazione della lira hanno chiuso la strada di Saadnayel che collega gli sciiti della valle della Bekaa a Beirut. Anche la strada di Alay è stata chiusa dai sostenitori del leader druso filo-americano Walid Jumblatt per impedire agli sciiti di raggiungere la periferia di Beirut. E pure  la strada di Jiyeh che porta nel sud del Libano veniva chiusa dai sostenitori di Hariri e di Jumblatt. Erano tutti movimenti coordinati che fanno capire  come lo scenario servisse a preparare il paese a qualcosa di più grosso e a  verificare la reazione di Hezbollah. 

Sta di fatto che anche la leadership dell’esercito libanese ha contribuito a peggiorare la situazione poiché il comandante in capo, il generale Joseph Aoun si rifiutava di obbedire ai ripetuti ordini del presidente Michel Aoun di riaprire le strade permettendo però ai dimostranti di manifestare a lato delle stesse. Il generale Joseph Aoun è candidato alla presidenza e probabilmente crede (ma si sbaglia) che l’appoggio degli Stati Uniti sia sufficiente a soddisfare le sue ambizioni politiche. 

Più di sei mesi fa successe la stessa cosa, vennero chiuse tutte le strade usate dall’ “Asse della Resistenza” che vanno nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Dopo ripetuti e inutili avvertimenti Hezbollah convocava più di 1.000 uomini delle forze di mobilitazione che vivono nella zona dove i dimostranti avevano bloccato le strade affinché si preparassero a sgombrarle con la forza. All’ultimo minuto l’esercito libanese, la cui leadership era stata informata, interveniva e allontanava i dimostranti chiaramente manipolati dai partiti filo-americani. 

Si sta prospettando uno scenario simile ma chiudere la via dei rifornimenti della resistenza non verrà permesso. L’ “Asse della Resistenza” ritiene che questa dichiarazione di guerra non sia nient’altro che un chiaro appoggio a Israele. Si pensa che ci vogliano dalle 24 alle 48 ore per liberare tutte le strade indipendentemente dal numero dei dimostranti e da quanto siano ben armati. 

Al Libano non è permesso di poter vivere in pace a meno che i suoi leader non siano pronti a concedere una parte dei loro  confini marittimi a Israele e Hezbollah venga disarmato, sempre, ovviamente, per far piacere a Israele. Gli Stati Uniti stanno portando il Libano al fallimento, non permettono che riceva gli aiuti dell’Iraq, della Cina e della Russia mentre  loro non sono intenzionati a sostenerlo. Più voci all’interno del paese , soprattutto la Forze Libanesi schierate con gli Stati Uniti e Israele, insistono sul disarmo di Hezbollah e descrivono Sayyed Hassan Nasrallah come la “testa del serpente” ( c’è un video sui social media).

Ma Hezbollah non darà via le sue armi e cercherà di evitare la guerra civile ma non una battaglia se fosse necessaria. Hezbollah consolida la sua organizzazione che fa parte della società e continuerà a prepararsi militarmente per qualunque possibile scenario di guerra, in Libano o al confine. Ha spostato molte delle sue operazioni sottoterra dove stanno nascendo delle città proprio per affrontare in futuro le minacce americane e israeliane. 

Le forze statunitensi continueranno a collaborare con Israele per paralizzare Hezbollah. Il comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM), il generale Kenneth McKenzie è stato in Libano più volte nell’ ultimo anno. La sua visita più recente , avvenuta la scorsa settimana, è di fatto quella più importante: scortato da sei elicotteri dell’esercito libanese ha esplorato la zona di  Ghazzee-Mazraat Deir al-Ashayer con una squadra di ufficiali dell’intelligence e di esperti di topografia. Ha anche fatto visita al generale Joseph Aoun (capo dell’esercito) ma non ha incontrato il presidente e neppure altri leader politici o membri del governo.

Le fonti pensano che gli Stati Uniti stiano esplorando la zona strategica che sta al confine tra la Siria e il Libano che dista solo decine di chilometri da Damasco e potrebbe essere utilizzata come base dell’esercito libanese (una soluzione di facciata) controllata dagli Stati Uniti. E’ oltretutto la zona che collega la valle della Bekaa con il sud del Libano, molto vicina al Monte Hermon dove si pensa che Hezbollah abbia le sue basi e i suoi missili strategici. L’ambasciata americana a Beirut ha comunicato che il comandante del CENTCOM ha “inaugurato un impianto di pompaggio dell’acqua finanziato dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale -USAID” già in uso negli ultimi due anni per fornire acqua ad un villaggio quasi disabitato. Non è chiaro se inaugurare una pompa per l’acqua finanziata dagli Stati Uniti faccia parte delle competenze del generale McKenzie anche se l’ USCENTCOM è uno dei due comandi combattenti il cui quartier generale non si trova nella sua zona di responsabilità ma in Florida. 

Non si intravede nel breve periodo una soluzione per il Libano, un paese che cammina sull’orlo dell’abisso. I paesi del Golfo, gli Stati Uniti e Israele hanno deciso di spezzare il Libano e di far cadere il presidente Michel Aoun e il suo alleato Hezbollah. Ma saranno in grado insieme di far pendere la bilancia in loro favore? Non ci sono riusciti in Siria, in Yemen e in Iraq. Per Israele la guerra del 2006 è stata un fallimento e i  10 miliardi di dollari americani investiti per contrastare Hezbollah non hanno dato il via ad una rivoluzione e neppure ad una guerra civile. Hezbollah ha imposto un equilibrio della dissuasione in Libano e con Israele. E non ha nessuna intenzione di essere quello che comanda lo stato ma vive in un paese dove i politici hanno paura di far arrabbiare gli Stati Uniti. Il governo del Libano e i politici pro-Stati Uniti hanno timore a chiedere l’appoggio all’Oriente. Dipendono dalle esitazioni del nuovo presidente americano e della sua amministrazione che sta mantenendo inalterato lo status-quo di quella precedente (Trump). L’immobilismo e le minacce degli Stati Uniti stanno spingendo sempre più il Libano verso il precipizio.

https://ejmagnier.com/2021/03/23/il-libano-sullorlo-dellabisso/

lunedì 22 marzo 2021

La Colletta del Venerdì Santo: offri il tuo contributo per i Luoghi Santi e i cristiani di Terra Santa

Il prossimo 2 aprile, Venerdì Santo, si celebra la Giornata Mondiale di Terra Santa. La cosiddetta Colletta è “un gesto di carità e di solidarietà che ci permette di custodire i luoghi della Redenzione, di sostenere le nostre comunità cristiane e l'opera della Chiesa”.


Nel corso di tutto il 2020, in Terra Santa come nel resto del mondo, siamo stati messi a dura prova dalla pandemia che ha paralizzato buona parte delle attività economiche, ha bloccato il movimento delle persone e quindi anche dei pellegrini, ha messo in sofferenza e in stato di indigenza la maggior parte delle famiglie, ha sprofondato molte persone nella solitudine e nell’isolamento.

Nonostante o forse proprio a causa di questa situazione, come frati della Custodia di Terra Santa abbiamo cercato di intensificare il nostro impegno per vivere la nostra missione: quella che san Francesco ha voluto intraprendere nel 1217, di essere presenti come lievito di vangelo in un contesto a maggioranza di altra religione; e la missione che la Chiesa ci ha affidato, ufficialmente a partire dal 1342, di custodire i Luoghi Santi della nostra redenzione e la piccola comunità cristiana che qui ancora esiste e resiste, a dispetto delle avverse condizioni della storia e della globalizzazione dell’indifferenza.

Non abbiamo chiuso i santuari, ma abbiamo cercato di valorizzarli, intensificando in questi luoghi speciali della fede la nostra invocazione a nome dell’intera umanità e la nostra intercessione per l’umanità intera. Abbiamo cercato di rendere accessibili questi luoghi anche in modo virtuale, trasmettendo le varie celebrazioni durante l’anno, per mantenere vivo il legame con i fedeli e i pellegrini.

Non abbiamo smesso di prenderci cura delle nostre parrocchie, con i loro fedeli, siano essi locali di lingua araba, ebraica o greca, siano essi migranti lavoratori stranieri o rifugiati. Le celebrazioni – pur con molte restrizioni – sono continuate. I sacramenti hanno continuato a nutrire la vita dei nostri fedeli. È continuato l’impegno di catechesi. È continuata la cura degli ammalati, anche di quelli di Covid-19, ed è continuato l’accompagnamento dei moribondi, per non abbandonarli a una morte priva di dignità umana e cristiana. È continuato l’impegno caritativo per venire incontro a popolazioni provate non solo dalla pandemia, ma anche dai disastri della guerra e dalle leggi ciniche e crudeli dei mercati, dall’assenza di assistenza sociale, dal dover ricorrere a mendicare per potersi curare, per soddisfare i bisogni di tutti i giorni o per mandare a scuola i propri figli. Non abbiamo chiuso le scuole e abbiamo continuato a prenderci cura dell’educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani.

Tutto questo, ovviamente, ha un costo e gran parte di questo costo viene annualmente coperto dalla Colletta del Venerdì Santo e dalla generosità dei fedeli di tutto il mondo. Il 2020, anche per noi è stato un anno in cui le uscite necessarie a portare avanti la nostra missione sono rimaste consistenti, mentre le entrate sono state minime, perché proprio la Colletta per la Terra Santa in molte parti del mondo non si è celebrata. Quest’anno, perciò, più ancora che negli anni passati, noi frati della Custodia di Terra Santa ci facciamo mendicanti e ci appelliamo alla generosità del vostro cuore.

Come ci ricorda papa Francesco nella sua ultima enciclica, riflettendo sulla parabola del Buon Samaritano: «Oggi, e sempre di più, ci sono persone ferite. L’inclusione o l’esclusione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza» (Fratelli tutti, 69). E poco dopo la costatazione si fa domanda: «È l’ora della verità. Ci chineremo per toccare e curare le ferite degli altri? Ci chineremo per caricarci sulle spalle gli uni gli altri?» (Fratelli tutti, 70).

Aiutateci secondo le vostre possibilità, aiutateci secondo la generosità del vostro cuore, aiutateci ad aiutare.

Fr. Francesco Patton OFM, Custode di Terra Santa 

https://www.collettavenerdisanto.it/wp-content/uploads/2021/03/Colletta_2021.pdf

mercoledì 17 marzo 2021

Cronaca dei 10 anni di guerra contro la Siria. Di Nabil Antaki.

Le sanzioni impinguano le mafie nazionali e sovranazionali, riunendole intorno al banchetto abominevole dell'olocausto siriano.

    Maria Antonietta Carta 


Lettera da Aleppo n. 41 (15 marzo 2021)


Dieci anni fa, il 15 marzo 2011, ebbero inizio gli eventi in Siria. Molte proteste sfociarono rapidamente in un conflitto armato.

I ribelli raccontarono di voler stabilire uno Stato di diritto, uno Stato democratico che avrebbe rispettato i diritti umani e combattuto la corruzione, ma ben presto tutti si resero conto che questi ribelli non erano per niente moderati. Si trattava di  islamisti estremisti (Daesh, al-Nusra e altri) che intendevano abbattere l'unico Stato laico della regione per realizzare ‘’uno Stato islamista con più democrazia e diritti umani’’ (sic!). Erano armati e finanziati dai Paesi più arretrati del mondo, dove non esistono  democrazia o diritti umani, e supportati dai Paesi occidentali intenzionati ad abbattere l'unico governo della regione che osava dire no alla loro egemonia. Dopo essersi sbarazzati dei governanti iracheni e libici, pensavano che sarebbe stato facile: "Questione di poche settimane e voilà". 

A partire dalla ‘’primavera araba’’, tanto lodata dai media occidentali, i Siriani hanno vissuto in un lungo e tremendo inverno (10 anni) che ha distrutto il Paese, le sue infrastrutture, un patrimonio archeologico straordinario, scuole, fabbriche, ospedali; che ha ucciso più di 400.000 persone, causato 5 milioni di rifugiati nei Paesi limitrofi, 8 milioni di persone sradicate - gli sfollati interni che hanno dovuto abbandonare le loro case – e ha spinto un milione di esseri umani sulle rotte migratorie verso l'Europa e altri Paesi occidentali. 

Da 10 anni viviamo in guerra. Sì, 10 lunghi anni. Un tempo superiore alla durata complessiva dei due conflitti mondiali del secolo scorso. Sofferenze, lutti, povertà, miseria sono diventati il nostro destino. Una vita quotidiana che è un incubo. 

L'infanzia dei nostri figli è stata rubata, i loro sogni adolescenziali sono svaniti ed è distrutto il futuro dei nostri giovani. Vivevamo molto bene, prima dell'inizio degli eventi. Il nostro Paese era sicuro, stabile, secolare e prospero. Certo, eravamo ben lontani dalla perfezione, ma nessuna ingiustizia, nessuna violazione dei diritti umani, nessuna riforma mancata può giustificare la distruzione della nostra patria e il sacrificio di generazioni di nostri connazionali.

Sebbene da un anno non ci siano stati quasi combattimenti in Siria, nella nostra vita non esistono altro che prove e patimenti. Attraversiamo una tremenda crisi economica generata da 10 anni di guerra, dalla crisi finanziaria in Libano e dalle sanzioni che Stati Uniti e Paesi europei ci hanno inflitto. Il dollaro si cambia attualmente a 4.000 LireSiriane, mentre valeva 50 LS 10 anni fa e 1000 LS l’anno scorso. L'inflazione è dilagante, l'aumento del costo della vita sbalorditivo, Il 70% delle famiglie vive al di sotto della soglia di povertà. Senza cibo, prodotti per l’igiene e assistenza sanitaria. Per sopravvivere non restano che le ONG.

Confrontando i prezzi dei 10 prodotti più indispensabili, dallo scorso ottobre al 1 ° marzo, ci rendiamo conto che  sono aumentati del 70% in 5 mesi, mentre il reddito non è aumentato. Tutti diventano più poveri e sono sempre a corto di soldi.

Anche se i miei connazionali meritano il titolo di campioni del mondo di resistenza, hanno raggiunto il limite di sopportazione e aspirano soltanto a vivere normalmente e con dignità, come tutti i popoli della Terra.

La pandemia Covid19 ha peggiorato una situazione già gravissima. Tra dicembre e gennaio, abbiamo subito una seconda ondata della malattia. Anche noi Maristi Blu abbiamo pagato un prezzo altissimo con moltissimi i casi tra i nostri volontari o i loro genitori e anche decessi. Abbiamo sofferto molto per la morte del fratello marista Georges Hakim, uno dei nostri pilastri, dopo 15 giorni di ventilazione assistita in terapia intensiva; Margo, la nostra  decana, ha trascorso dieci giorni in ospedale con l’ossigenoterapia. Anche mia moglie Leyla a dicembre e io il mese scorso abbiamo contratto la malattia. Grazie a Dio ora siamo completamente guariti.

In questo contesto di crisi e miseria noi Maristi Blu continuiamo a vivere la compassione e ad agire in solidarietà con i più svantaggiati e gli sfollati. 

Dal 2012 al 2018, sei lunghi e bui anni di guerra, abbiamo mensilmente distribuito cesti alimentari a oltre 1000 famiglie per aiutarle a sopravvivere. Decidemmo di interrompere questo progetto all'inizio del 2019 perché eravamo convinti che fosse giunto il momento per le famiglie di non dipendere più dagli aiuti delle ONG e cominciare a vivere con il frutto del loro lavoro. Purtroppo, la situazione economica attuale è talmente catastrofica che non sono più in grado di sbarcare il lunario e ci hanno implorato di aiutarle nuovamente con i pacchi di cibo.

Secondo gli ultimi dati del Programma alimentare mondiale, "circa il 60% della popolazione siriana non ha accesso a cibo sano e nutriente in quantità sufficiente. Quattro milioni e mezzo di persone sono entrate in questa categoria nel 2020”. Lo scorso novembre, abbiamo quindi ripreso la distribuzione mensile dei pacchi alimentari a circa 1000 famiglie. Ogni cesto del valore di $ 15 può sfamare 4 persone per dieci giorni ed è equivalente all'80% della retribuzione mensile media di un lavoratore. 

Quando decidemmo di interrompere la distribuzione dei cesti alimentari alla fine del 2018, convinti che fosse giunto il tempo per i nostri assistiti di guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte, già da diversi anni  avevamo avviato un programma di "micro-progetti ”, il MIT, per insegnare ai giovani del nostro centro di formazione come creare la propria impresa e per finanziare i migliori. È così che, negli ultimi 5 anni, abbiamo finanziato 188 microprogetti e creato un progetto di apprendistato per giovani che, con l’aiuto di professionisti, imparano un mestiere: falegname, meccanico, elettricista, idraulico, parrucchiere, ecc. L'obiettivo di questi due programmi,  micro-progetti e formazione professionale, è la creazione di posti di lavoro per aiutare i giovani a guadagnarsi da vivere del proprio lavoro, a rinunciare all'emigrazione e a non "mendicare" dalle ONG. 

Il nostro progetto "Pane condiviso" continua a offrire a 190 persone molto anziane che vivono da sole un pasto caldo giornaliero, cucinato nella nostra sede da 10 signore e distribuito ogni giorno tra le 13:00 e le 14:00 da una ventina di nostri volontari. Visitandole ci siamo resi conto che alcune avevano anche bisogno di aiuto per la pulizia, il bagno, il cambio del pannolone o l’assunzione dei farmaci.

"Pane Condiviso" ora ha un figlio: il progetto "Assistenza agli anziani".


I volontari del progetto Colibrì continuano a prendersi cura degli sfollati nel campo Al Shahba, che si trova a 40 km da Aleppo. Le nostre due visite settimanali al campo permettono di organizzare attività educative per bambini e adolescenti, curare i malati e distribuire cibo, prodotti igienici e tutto ciò che è necessario per rendere la vita di queste famiglie sfollate un po’ meno penosa. La gioia dei bambini quando arriviamo al campo è pari solo alla gratitudine dei loro genitori nei nostri confronti.

I progetti educativi per bambini dai 3 ai 6 anni "Voglio imparare" e "Imparare a crescere" hanno ripreso le proprie attività a pieno ritmo dopo parecchie interruzioni dovute alla pandemia; interruzioni utilizzate dagli istruttori per rivedere i programmi e aggiornarsi.

Continuano l’attività anche:

- SEEDS, con 25 volontari, che offre un supporto psicologico a bambini, adolescenti e adulti con tre programmi differenti.

- Heartmade, che riciclando vecchi vestiti o scarti di tessuto crea meravigliosi abiti femminili che sono modelli unici.

- Taglio e cucito, per ragazze e madri.

-  Hope, per l’insegnamento dell'inglese.

- Sviluppo della donna, offre uno spazio di convivialità e formazione per le donne.

- Goccia di latte, fornisce una razione mensile di latte a bambini e neonati.  Continuiamo anche ad accogliere gli sfollati e a curare a nostre spese i malati indigenti.

Dall'inizio del conflitto, noi Maristi Blu abbiamo cercato di fare del nostro meglio per alleviare le sofferenze, permettere alle famiglie di vivere dignitosamente, trovargli lavoro, per lo sviluppo umano, per seminare speranza, lavorare per la riconciliazione e preparare la Pace.

 

I Siriani sono stanchi di aspettare la fine del tunnel e poter vivere normalmente. Dieci anni. Quando è troppo è troppo! Chiediamo, a breve termine, la revoca delle sanzioni imposte dagli USA e dall'Unione Europea e, a medio termine, l'instaurazione della pace che dovrebbe essere raggiunta attraverso il dialogo tra Siriani.

Strangolata da sanzioni europee e americane ingiuste e illegali, l'economia non si riavvia. Affermano che le sanzioni non colpiscono l’assistenza  umanitaria. Però, esse impediscono il commercio e l'importazione di prodotti, bloccano tutte le transazioni finanziarie da parte di tutti i cittadini siriani e tutti i progetti di ricostruzione. I funzionari europei raccontano cinicamente che le sanzioni sono mirate per colpire soltanto chi è al potere e i profittatori di guerra, e non riguardano farmaci, attrezzature sanitarie  o prodotti alimentari. Pura ipocrisia. Se i conti bancari di tutti i Siriani sono congelati e nessun cittadino siriano può eseguire transazioni finanziarie quali trasferimenti di denaro, come possiamo acquistare i prodotti esenti? Se conoscete aziende occidentali che accettano di fornirci prodotti gratuitamente, noi saremo acquirenti!

Invece, molti prodotti sono contrabbandati dalla Turchia o dal Libano e venduti sul mercato nero a prezzi esorbitanti, impoverendo la popolazione e arricchendo i profittatori di guerra; cioè avviene esattamente il contrario di quello che sostiene pretestuosamente chi ha decretato le sanzioni. 

Come se non bastasse, gli USA hanno peggiorato le cose con il ‘’Caesar Act" che mette sotto sanzione qualsiasi azienda al mondo osi fare affari con la Siria. In realtà, si tratta di una  punizione collettiva contro la popolazione civile, che la Convenzione di Ginevra definisce crimine contro l'umanità. Le sanzioni servono soltanto per martirizzare la popolazione e  sono assolutamente irrilevanti  per la fine della guerra o la soluzione politica del conflitto.

Da anni, collaboriamo con vari sostenitori per sollecitare la revoca delle sanzioni. Di recente, con i nostri amici svizzeri, francesi e inglesi abbiamo scritto e firmato una lettera aperta al presidente Biden, in occasione della sua investitura il 20 gennaio, chiedendogli di revocare la sanzioni contro la popolazione siriana. Lettere simili sono state inviate al presidente Macron, alla cancelliera Merkel, al primo ministro Johnson e al Presidente della Svizzera. Queste lettere sono state firmate da 95 personalità eminenti: tre patriarchi, due ex arcivescovi di Canterbury, senatori, membri della Camera dei Lord, deputati, vescovi, sindaci, ex ambasciatori e direttori di ONG, poi fatte circolare nei media. Crediamo che potrebbero aiutare a ridefinire la strategia dei vari attori presenti nel conflitto siriano e ad abbandonare lo strumento di sanzioni inumane e illegali. 

A sostegno delle lettere, abbiamo anche lanciato una petizione online e chiediamo a tutti i nostri amici di firmarla per chiedere la revoca delle sanzioni che infliggono sofferenze alla popolazione civile della Siria. Per firmare occorrono 30 secondi, andando sul sito: http://chng.it/2mbTFzm2Dp

 

Papa Francesco ha appena concluso una storica visita in Iraq che, come la Siria sua vicina, ha pagato un caro prezzo per l'invasione, l'occupazione e la partizione organizzate con falso pretesto da chi impone sanzioni e pretende di dare ad altri lezioni sui diritti umani.

Papa Francesco continua a ripetere che siamo "Tutti Fratelli". Dovrebbe  essere ascoltato da coloro che trattano la Siria e i Siriani come nemici.

 

Dr Nabil Antaki a nome dei Maristi Blu di Aleppo

 

Trad. Maria Antonietta Carta


Vi ricordiamo di acquistare il prezioso libro che raccoglie le testimonianze dei Maristi  "LETTERE DA ALEPPO. TESTIMONIANZE DALLA SIRIA IN GUERRA"