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venerdì 15 gennaio 2021

L'inverno è arrivato e le sanzioni uccidono

Buongiorno da Damasco e dalla Siria sotto sanzioni.

La prima neve dell'inverno è arrivata, mentre le forze di occupazione statunitensi continuano la loro guerra alle risorse. I loro protetti separatisti curdi delle SDF commerciano grano e orzo siriani attraverso il confine iracheno per impedire al popolo siriano di averlo. Le code per il pane a Damasco sono lunghe e la maggior parte della gente impiega fino a 3 ore prima che possa ricevere la propria razione gratuita di pane.

Il petrolio viene ancora rubato tramite le reti implementate sotto l'amministrazione Trump, inclusa la compagnia petrolifera DeltaCrescent Energy che sta rubando petrolio siriano con l'aiuto dei contras curdi.

La preziosa merce viene contrabbandata dai carri armati statunitensi attraverso il valico di Al Waleed, in Iraq. Al Waleed fa parte del complesso militare illegale statunitense di Al Tanf, situata al confine con Iraq e Giordania. C'è un raggio di esclusione di 25 km intorno al campo infestato da fazioni terroristiche addestrate regolarmente dalle truppe statunitensi ad Al Tanf. Recentemente le esercitazioni militari hanno incluso l'uso di HIMARS (sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità) statunitensi (Lockheed Martin) che hanno una gittata fino a 300 km.

L'ultima coda per il rifornimento che ho passato a Damasco era lunga più di 5 km, le persone aspettano in fila per 7 ore e più per fare il pieno di carburante. Molti tassisti hanno perso il 50% del reddito su cui fanno affidamento per nutrire le loro famiglie. La fornitura di elettricità è gravemente compromessa, molte zone rurali ce l'hanno solo per 2 ore al giorno durante i due mesi più freddi in Siria.

Le sanzioni uccidono.

Vanessa Beeley

https://www.patreon.com/posts/good-morning-and-46232221

lunedì 11 gennaio 2021

Ritorno nella mia Siria

foto: Issa Touma
 

Era passato un anno dal mio ultimo viaggio in Siria ed era tempo di rivedere la mia patria e ritrovare i miei cari. Tornare a visitare parenti e amici ad Aleppo, la mia città, non è mai facile. Non ci sono voli internazionali dall’Italia per la Siria: fatto scalo a Istambul, atterrato a Beirut, poi proseguirò via terra.  

 A Beirut vive mia sorella. Il nostro ultimo incontro risaliva a 5 anni fa: l’avevo salutata lasciando la Siria - destinazione: Italia - con la mia famiglia, dopo un bombardamento proveniente dai quartieri est di Aleppo occupati dagli islamisti che aveva danneggiato pesantemente la nostra casa. Passo una serata con mia sorella, a parlare della drammatica crisi in Libano: disoccupazione, inflazione, politici corrotti e Covid in giro...  

 Da Beirut verso la Siria partono, oltre ai pullman, i taxi collettivi. Sapevo, già dall’Italia, che a causa della pandemia le auto libanesi non possono entrare in Siria e quelle siriane non possono arrivare in Libano. Ma in Oriente una soluzione c’è sempre: parto dal Libano con una macchina libanese e alla frontiera ci attende una macchina proveniente dalla Siria. Durante il cambio di automobile mi guardo intorno: sono l’unico viaggiatore alla frontiera! Dopo poche ore eccomi a Tartous. La seconda tappa. La città di mia moglie. Fra gioia e abbracci entro in casa: è illuminata con le pile, non c’è corrente e fa freddo. Il combustibile manca.  

 I parenti della mia famiglia acquisita sono tutti radunati per accogliermi. Durante l’abbondante pranzo, preparato in mio onore, affronto un sacco di domande e curiosità. Un parente mi dice: “Non mi dire che hai deciso di tornare a casa in Siria!”. Un ragazzo giovane mi parla con gli occhi e la domanda è: “C’è modo di andare via? Partire dalla Siria, verso l’Italia o altrove, pur di non fare il servizio militare (che dura un tempo infinito), pur di costruirmi un futuro che qui non c’è”. Non so come rispondere. Nel pomeriggio mi reco in visita a parenti e amici nei dintorni. Le loro case? Quasi tutte nello stesso stato: niente energia elettrica, niente riscaldamento. La lotta per la sopravvivenza, una sfida quotidiana per avere lo stretto necessario. E tanti con quella frase: “Non dirmi che hai deciso di tornare!?”. La notte, al gelo, non è facile prendere sonno.  

 Il giorno seguente lascio Tartous e parto in corriera verso la mia città natale. Fra Tartous e Aleppo sono 280 chilometri, ma non si arriva mai. I posti di blocco dell’esercito e altre soste. Fa buio e non riesco a raccapezzarmi. Finalmente dopo cinque ore di Via Crucis arriviamo ad Aleppo. Siccome la mia casa è vuota e non abitabile, mio fratello che mi aspetta all’arrivo mi porta a casa sua. Strade poco illuminate, confusione di passanti e auto. La seconda città siriana è una sopravvissuta di guerra e si vede. La casa di mio fratello è illuminata grazie a un generatore privato che distribuisce la corrente agli appartamenti (si paga un abbonamento). Il poco gasolio che hanno risparmiato lo usano adesso che sono presente per riscaldare un po'…

 Mi invitano a cena in uno dei ristoranti popolari del quartiere: oltre ai miei familiari c’è un amico d’infanzia, con la sua famiglia, un responsabile del quartiere. Le sue parole mi colpiscono dolorosamente: “Hai fatto la cosa giusta, andandotene. Hai fatto bene, per i tuoi figli. I miei, ormai sono all’università e farò di tutto perché partano altrove, a trovare una vita normale. In Siria non c’è futuro”. Per tutta la serata mi parla delle difficoltà della vita, minori coinvolti in atti di delinquenza per bisogno estremo.

La guerra ha cambiato tanto la mia Aleppo, era una città gentile, prospera e tranquilla...

Nel tragitto di ritorno a casa, strade buie, piene del rumore dei generatori e dei loro fumi tossici. C’è chi chiede l’elemosina all’uscita di un negozio e chi cerca nell’immondizia. Sono triste vedendo per strada le facce ansiose, le teste inclinate verso terra, non è più la Aleppo di prima.

foto: Issa Touma

 Mio fratello ha un negozio di stampa e fotocopie per l’università. Vedo entrare i clienti. Li conosco da una vita, e anche da loro, la fatidica domanda: “Come mai sei qua? Non dirmi che sei tornato a vivere in Siria?!”. A un uomo della comunità armena chiedo quante famiglie siano rimaste. “Solo il 20%, l'80% sono partite”, risponde.

Sono le 14, prima di andare a pranzo facciamo un salto per la spesa al mercato del quartiere. C’è ottima frutta e verdura in abbondanza... ma i prezzi? Troppo alti per i clienti della città…

In vendita c’è di tutto ma per comprare non c’è denaro. La gente per strada è tanta, ma nelle mani i sacchetti sono piccoli, certo insufficienti per tutta la famiglia. Certi cibi come carne e frutta per tante famiglie sono inarrivabili da settimane o da mesi. In questo dopoguerra piegato dalle sanzioni e embargo, il governo ha messo in atto un sistema di approvvigionamento dei generi di prima necessità. Ogni nucleo famigliare riceve 10 pezzi di pane ogni due giorni, una bombola del gas ogni due mesi, 100 litri di gasolio per riscaldamento. Per il ritiro occorre aspettare un sms dal Comune, mettersi in fila per ore, e a volte non ce n’è per tutti...

 Il giorno dopo andiamo con amici a prendere qualcosa in un ristorante popolare dove si mangia e si chiacchiera. I clienti del posto non mancano. I buonissimi patti tipici della cucina di Aleppo sono un piacere, come il calduccio del locale – benessere così raro… viene voglia di dormire lì...

 Il terzo giorno devo salutare la mia città. Ma voglio passare a trovare alcune persone care. Fra queste, le suore e il personale dell’ospedale Saint Louis, una vecchia struttura sanitaria famosa ad Aleppo. Nel tragitto di venti minuti a piedi al centro della città mi immergo fra la folla che passa a piedi, desideroso di sentire il dialogo della pietra con me come una volta. Visto che vivo in Italia, dove il coronavirus colpisce duro, faccio attenzione a un particolare: le farmacie espongono cartelli con su scritto “vendiamo mascherine”… ma nessuno le ha. La priorità è, ovviamente, comprare il cibo. Già, chi ha perso tutto non ha più niente da perdere...

 All’ospedale gestito dalle suore, come sempre pulito e ben organizzato (ma ovviamente a pagamento), la suora coordinatrice, un’italiana, mi accoglie con gioia. Le ho portato un panettone per ricordarle il suo paese.

Sempre a piedi mi reco nella nostra parrocchia, da padre Ibrahim, il nostro parroco. Mi accoglie gentilmente, ascolta le notizie dall’Italia. Per lui sono un po’ la pecorella smarrita… Mi racconta la tragica situazione delle persone, fra povertà, penuria, timore della pandemia, sanzioni europee ed embargo statunitense. Venti minuti intensi e ci salutiamo.   


 Poche ore mi separano dalla partenza. Sono disorientato, colpito dalla situazione che ho visto e dalle notizie che ho avuto. Anche l’anno scorso gli aleppini erano in difficoltà, ma l’atmosfera era diversa. Non solo tutte le persone mi parlavano, ma io sentivo come la voce delle antiche pietre, delle strade, delle case… Adesso nessuno parla, tutto piange, pure le pietre...

 Non vedo l’ora di uscire da questa situazione insopportabile. Posso tornare a vivere qui con la mia famiglia? Ma i miei bambini… come posso offrire loro il necessario, una vita normale?  Qui tutti ormai sono costretti ad arrangiarsi come possono, chiusi agli altri, come mai i siriani erano stati. Grazie a tanta gente che mi ha offerto in Italia alcuni contributi ho potuto portare un piccolo sostegno ad alcune famiglie... ma la situazione è tragica, fra povertà, delinquenza e corruzione, furti e addirittura prostituzione… Il mio paese non è mai mai mai stato così.

Era ricco, la guerra lo ha rovinato. E tanti paesi sono arrivati qui a distruggere e saccheggiare la Siria. Terroristi da ogni nazionalità hanno fatto a pezzi questa patria come se fosse carta straccia.

Quanti anni occorreranno al mio paese per la ricostruzione anche delle persone? Ricostruire la sua mentalità e l'educazione … La generazione uscita da tanti anni di guerra è strana… 

  Sono partito senza guardarmi indietro. Porto nel cuore i miei che sono rimasti, i vecchi amici e conoscenti, che tagliano il fiore tra le spine per sentire il profumo della speranza.... E i quartieri e gli edifici cari... Li porto tutti nella mente sperando abbia fine un brutto sogno che, purtroppo, è una dolorosa realtà.

  J. M.

venerdì 8 gennaio 2021

In Libano 'la speranza è il nostro pane quotidiano'


Aiuto alla Chiesa che SoffreGennaio 2021

Il Libano è spesso considerato un modello per l'intero Medio Oriente, non da ultimo a causa della relativa stabilità delle relazioni interreligiose all'interno del paese.  Eppure l'equilibrio è cambiato e la situazione è diventata sempre più instabile dopo che sempre più cristiani hanno lasciato la loro patria. Nell'agosto 2020 Beirut è stata scossa da una delle più violente esplosioni in tempo di pace nella storia umana. Ora la capitale libanese affronta una crisi esistenziale e con essa l'intero paese, che era già afflitto da cattiva gestione economica e corruzione, nonché da una crisi politica e bancaria.

Padre Jad Chlouk, 38 anni, è parroco della cattedrale maronita di San Giorgio a Beirut. Descrive come la Chiesa è presente e aiuta tutti i bisognosi. La cattedrale stessa è stata gravemente danneggiata dall'esplosione. Aid to the Church in Need (ACN International) sta finanziando i lavori di restauro di questa cattedrale e di altre 16 proprietà della Chiesa a Beirut

La vita a Beirut non è stata la stessa dall'esplosione di quattro mesi fa. Com'è l'atmosfera in città oggi?
Siamo ancora scioccati da quanto accaduto ad agosto. I ricordi di quel giorno orribile tornano spesso, soprattutto quando vediamo le case in rovina, le chiese, le scuole e gli ospedali, o quando sentiamo un rumore improvviso come un tuono. Non possiamo che ricordarci di quell'incidente! Lo stato d'animo è ancora angosciato e ansioso, ma nonostante tutto ci stiamo preparando il più possibile a rinnovare la nostra vita spirituale.

I quartieri cristiani sono stati particolarmente colpiti dall'esplosione di inizio agosto, perché vicini al porto. Anche la cattedrale maronita di cui sei parroco è stata danneggiata. ACN sostiene la ricostruzione. Fino a che punto sono progrediti i lavori di riparazione, all'inizio dell'inverno?

La riabilitazione della cattedrale maronita è iniziata un mese fa, quando abbiamo provato alcune misure temporanee per evitare ulteriori danni dalla pioggia proveniente dal tetto danneggiato e dalle finestre e porte frantumate. Prevediamo di terminare la riparazione del tetto in un paio di settimane, mentre per le altre aperture, il fissaggio dei serramenti danneggiati, questo lavoro è ancora in corso.

In che misura la pandemia COVID-19 ha influito sul lavoro di ripristino e di aiuto umanitario?

La pandemia COVID-19 ha ritardato il processo di riabilitazione della cattedrale, soprattutto durante le due settimane del periodo di blocco, quando abbiamo dovuto richiedere permessi speciali per procedere con i lavori, rispettando allo stesso tempo sempre le misure di sicurezza, come il distanziamento sociale e così via. D'altra parte, abbiamo cercato di mantenere gli aiuti umanitari perché, con la crisi economica che sta attraversando il popolo libanese, dobbiamo essere molto vicini ai nostri fratelli e sorelle in difficoltà. Era rischioso, ma adottando tutte le misure di sicurezza, abbiamo mantenuto la nostra missione sulla buona strada per servirli.

Subito dopo il disastro, soprattutto molti giovani hanno annunciato la loro intenzione di lasciare il Libano ora, perché non vedono più alcun futuro per se stessi nel Paese. È successo in pratica, e cosa significa per la comunità cristiana in Libano?

Le statistiche mostrano che più di 380.000 richieste di emigrazione sono state presentate alle ambasciate dell'UE e dei paesi del Nord America, e che la maggior parte proveniva da cristiani, che purtroppo ora si sentono estranei nel proprio paese. Questo sta influenzando negativamente l'intera comunità cristiana, perché significa perdere la maggior parte dei suoi più brillanti e migliori, e specialmente i suoi giovani, che dovrebbero essere il futuro della comunità cristiana qui. Quindi, il numero di cristiani nel Paese sta diminuendo di giorno in giorno, e questo sta influenzando la situazione e causando ancora più pressione a coloro che rimangono, in una situazione in cui potrebbero presto subire persecuzioni. Questa non è una teoria del complotto: questa è la realtà a cui abbiamo assistito nei nostri vicini più prossimi, tra cui Siria, Iraq, Palestina, Giordania ...

Mentre guardi al nuovo anno, sei più preoccupato o questa preoccupazione è superata dalla speranza?
La speranza è sempre il nostro pane quotidiano, soprattutto in questi tempi bui. Nonostante tutto, guardiamo al futuro con speranza, perché sappiamo che nostro Signore Gesù Cristo è il Maestro della storia e che nelle sue mani giace tutta la nostra storia e la nostra vita. Con lui e per mezzo di lui siamo sicuri che “tutte le cose funzionano per il bene per coloro che amano Dio” (Rm 8:28).

 Tobias Lehner - ACN

Centinaia di migliaia di cristiani stanno cercando di lasciare il Libano dopo l'esplosione dello scorso agosto, sollevando timori per il futuro della Chiesa lì.

 I media libanesi hanno riferito che circa 380.000 richieste di immigrazione sono state presentate in seguito all'esplosione. Padre Chlouk ha sottolineato come in tutto il Medio Oriente il numero dei cristiani sia crollato.

 L'Iraq aveva 1,5 milioni di cristiani prima del 2003, ma ora potrebbero essere meno di 150.000.

 In Siria, si stima che i cristiani fossero meno di 500.000 a metà del 2017, in calo rispetto ai 1,25 milioni prima dello scoppio della guerra nel 2011.

"Nonostante tutto, guardiamo al futuro con speranza, perché sappiamo che il nostro Signore Gesù Cristo è il maestro della storia e che nelle sue mani giace tutta la nostra storia e la nostra vita".

 https://acnuk.org/news/lebanon-we-want-out/

martedì 29 dicembre 2020

Un messaggio dalla Siria al mondo


Scritto da Padre Elias Zahlaoui
Recitato con la voce del Coro della Gioia (Coro Al Farah) Rita Nahri
all'evento Homeland Tree (Shajaret Watan) 

Cos'è l'albero di Natale? 
Non è che un brillante promemoria 
del più grande dei figli della Siria? 
sì, il Signore Gesù Cristo! 
Lui, che, duemila anni fa, 
ha portato a tutta l'umanità la più pura luce, 
il vero amore! 

Si è parlato molto di questa Siria... 
 La sua patria nel passato 
e la nostra patria crocifissa oggi... 
E, oh quanto è bello quello che è stato detto ! 

 È il luogo di nascita dell'Alfabeto, 
la culla delle Civiltà, 
ed è la patria delle religioni celesti! 

Questa sera, il Coro della Gioia, 
a nome del grande popolo Arabo Siriano 
 è felice di ricordare tutti, sì, TUTTI: 
 quelli presenti e quelli assenti, 
quelli vicini e quelli lontani, 
gli assassini e i martiri, 
i residenti e gli emigranti, 
gli amici e i nemici, 
i funzionari e gli opportunisti, 
"che la Siria è anche 
la seconda patria di ogni persona civile!" 

"Chi ha orecchie per ascoltare possa sentire!" 

 Il Popolo Arabo Siriano 

giovedì 24 dicembre 2020

Dalla Siria: buon Santo Natale del Signore Gesù in mezzo a noi

Forse non ci sono altre parole più forti, più urgenti da annunciare, in questo tempo.
Viene Gesù, il Figlio di Dio, viene ancora, viene sempre, e viene per noi.
Viene per la nostra salvezza. Se desideriamo essere salvati, se ci rendiamo ancora conto che abbiamo bisogno di essere salvati...
Non dalla crisi economica, non dal virus, non dalla guerra: salvati dal Male. Quello che è in noi, e quello che è fuori di noi. Quello che cerca di toglierci la libertà e la grandezza che Dio ci ha dato, creandoci come suoi figli.

Sono tempi di Apocalisse, di ricapitolazione: molti oggi avvertono con il cuore che il tempo si sta facendo breve, che c'è bisogno di destarsi, finché è ancora è possibile farlo, che c'è un'oppressione che incalza e che dobbiamo squarciare il velo, mettendo in gioco tutte le nostre risorse, per fare strada alla Luce. E i molti si sentono pochi, perché ciò che sta accadendo un po' dappertutto nel mondo fa sentire un po' soli, totalmente inadeguati, esposti all'ostilità come nemici dell'umanità vera.
Eppure il mandato era proprio quello: “Nel mondo ma non del mondo”: come Gesù, il Dio-Bambino, pienamente uomo, eternamente “Altro”. Cosa sta accadendo?
Ci si sente come i fuochi accesi sugli antichi castelli di Siria, lungo tutta la costa, che si richiamavano gli uni gli altri avvisando del pericolo in arrivo.

Quanto alla Siria? Tanti stanno raccontando in modo vero e accorato quanto sta accadendo, e che non interessa quasi più a nessuno. Sanzioni disumane; guerra, in alcune parti, e ancora distruzione; corruzione e mancanza di lavoro, di cibo, di medicine, di gasolio, di vere scuole, di una prospettiva per il futuro. E troppe, troppe partenze, soprattutto di giovani, e di giovani famiglie. Si comprendono, ma sono ferite aperte.

È giusto ricordare tutto questo, è giusto chiedere aiuto. Perché troppa gente, qui, è alla fame, anzi lo è ancora di più che durante gli anni di guerra più intensa.
Oggi ogni paese ha i suoi problemi, i poveri aumenteranno in tutto il mondo: siamo solo all'inizio. I tempi che verranno non saranno facili per nessuno.
Dalla Siria, da ogni parte della terra, come uomini di buona volontà, dobbiamo forse guardare un po' più lontano, mentre lottiamo ( e dobbiamo farlo!) per la vita di ogni giorno.
Dobbiamo farlo come singoli, come credenti, come Chiesa.
Essere un po' meno preoccupati del riscaldamento della terra, e un po' più preoccupati del raffreddamento dei cuori. Desiderosi più della salvezza che della salute...
Senza negare i problemi, la malattia, la morte. Ma senza dimenticare neppure che noi seguiamo il Signore della vita, che la morte l'ha già vinta, e per sempre.

Siamo figli ed eredi di un'eternità che è davanti a noi, se acconsentiamo e la desideriamo.

Buon Natale? Sì, buon Natale. Cristo è colui che è, che era e che viene.
Non dovrebbe dispiacergli nascere di nuovo in Siria....: in mezzo a tanta -innegabile- miseria, questa è una terra ricca di tanti cuori semplici, veramente umani, ancora capaci di aprirsi allo stupore e alla vita che vengono da Dio.

Buon Natale da suor Marta e dalle sorelle Trappiste di Siria


E BUON NATALE A TUTTI I NOSTRI AMICI E LETTORI 

DA  ORAPROSIRIA

martedì 22 dicembre 2020

La lunga attesa del popolo siriano

 

UN'ATTESA CHE NON FINISCE MAI!

Lettera n° 40 dai Maristi di Aleppo

traduzione OraproSiria


Cari amici,

Siamo nel pieno dell'Avvento, il tempo che segna l'attesa liturgica della nascita di Cristo. È un tempo di speranza e attesa.

Il profeta Isaia (9,1) proclama: "Il popolo che cammina nelle tenebre vede una grande luce... ".  Purtroppo il popolo siriano continua a camminare nell'oscurità. Per lui, la luce è lungi dall'essere vista!

Quattro anni dopo la fine della guerra ad Aleppo, i suoi abitanti, come tutti i siriani, continuano a soffrire delle sue conseguenze, che si stanno manifestando oggi con altre guerre: una guerra economica, una guerra di sanzioni, una guerra di svalutazione della moneta locale e tante altre miserie... E come se tutto questo non bastasse, la pandemia del COVID 19 sta peggiorando l'angoscia del mio popolo.

La "Cesar Act" ha l'effetto di punire l'intera popolazione siriana, imponendo sanzioni a tutti i livelli.

Quante volte ho sentito dire: "Rimpiangiamo il tempo in cui le bombe ci cadevano addosso... È vero che avevamo paura delle bombe; tuttavia, eravamo meno alle strette. Oggi le bombe non ci minacciano di più, ma tutto il resto ci soffoca...".

Un mio amico medico mi ha detto che per completare il trattamento di chemioterapia di una paziente aveva bisogno di un farmaco che, solitamente, il governo siriano forniva gratuitamente. Oggi costa di più di 4 milioni di sterline siriane... Immaginate cosa significa, quando un ottimo stipendio raggiunge a malapena le centomila sterline siriane!

In questa lettera, voglio condividere con voi le mie riflessioni a partire dall'enciclica "FRATELLI TUTTI" promulgata dal Santo Padre il 3 ottobre 2020.

Al numero 25, scrive:

Guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali o religiosi, e tanti soprusi contro la dignità umana vengono giudicati in modi diversi a seconda che convengano o meno a determinati interessi, essenzialmente economici. Ciò che è vero quando conviene a un potente, cessa di esserlo quando non è nel suo interesse. Tali situazioni di violenza vanno «moltiplicandosi dolorosamente in molte regioni del mondo, tanto da assumere le fattezze di quella che si potrebbe chiamare una “terza guerra mondiale a pezzi”

Non stiamo forse affrontando in Siria questa "terza guerra mondiale a pezzi"?

Perché dobbiamo passare l'inverno gelido e senza carburante per scaldarci, quando il nostro paese è un produttore di petrolio, ma i campi di produzione del nostro paese sono sotto il controllo delle truppe americane?

Inoltre perchè il signor Trump, decisore dell'ordine mondiale, ha appena annunciato la sua volontà di non lasciare la regione del nord-est della Siria?

Perché la nostra moneta deve subire una svalutazione galoppante e costante? Chi ha un interesse in tutto questo?

Perché impoverire un popolo che viveva con dignità e renderlo pezzente a tutti i costi, chiedendo l'elemosina e indebitato?

Che ha deciso di privarci di elettricità, dell' olio combustibile, di benzina, di pane, delle medicine e di tanti altri beni di prima necessità?

In un altro paragrafo (26), il Papa ci dice:

Questo non stupisce se notiamo la mancanza di orizzonti in grado di farci convergere in unità, perché in ogni guerra ciò che risulta distrutto è «lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana», per cui «ogni situazione di minaccia alimenta la sfiducia e il ripiegamento». Così, il nostro mondo avanza in una dicotomia senza senso, con la pretesa di «garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia.

Le parole del Santo Padre arrivano a spiegare questa disillusione del popolo siriano.

Come possiamo parlare di un progetto di fraternità quando ci impongono un falso senso di sicurezza sostenuto da una mentalità di paura e diffidenza?

Come capire che, in questo 21° secolo, delle grandi potenze possono decidere il destino e il futuro di un paese?

E anche se siamo spesso delusi, stanchi e preoccupati, continuiamo, come Maristi Blu, a seminare speranza nella misura delle nostre capacità.

Vogliamo condividere con voi alcune buone notizie.

Sabato 5 dicembre 2020 e in occasione della Giornata Mondiale del volontariato, FOCSIV (Federazione delle organizzazioni di servizio cristiano - Servizio Volontario Internazionale) ha premiato il Dr. Nabil Antaki durante la sua 27a edizione sul volontariato internazionale. Questo è un nuovo riconoscimento da parte di un organismo internazionale per l'impegno del Dr. Nabil e per il lavoro dei Maristi Blu.

Il nostro libro "Le lettere di Aleppo" è stato pubblicato anche in versione spagnola e italiana.

Quanto all'edizione italiana, è stata pubblicata da Harmattan Italia con il titolo « LETTERE DA ALEPPO » e potrete acquistarla ed offrirla come regalo di Natale... 

  Il progetto "Pane condiviso" continua a servire gli anziani. Certo: 170 anziani, che vivono da soli in una situazione precaria, senza famiglia e senza supporto, ricevono un pasto caldo giornaliero con frutta e pane, preparato da una dozzina di signore 'mariste blu'. I giovani volontari che distribuiscono questi pasti, e in risposta all'invito del Papa rivolto ai giovani in occasione della 32a Giornata Mondiale della Gioventù, raccolgono le parole di saggezza che queste persone anziane custodiscono. Partecipano così alla campagna lanciata da laytifamilylife.va  (http://www.laityfamilylife.va/content/laityfamilylife/fr/news/2020/undono-di-saggezza.html)

Ascoltando le sofferenze della gente, non potevamo restare senza una risposta. Abbiamo preso l'iniziativa di distribuire un paniere alimentare che ha raggiunto 700 famiglie tra le più povere.

Dato che il governo siriano non ha promulgato un secondo confinamento del paese, gli altri progetti dei Maristi Blu hanno ripreso normalmente dal settembre 2020.

I progetti educativi "Imparare a crescere" e "Voglio imparare" hanno visto il numero di bambini aumentare in modo significativo. Alcuni nuovi locali hanno sono stati convertiti in aule.

Il laboratorio Heartmade si è dotato di altre 3 sale per consentire una maggiore produzione.

Da settembre 2020, tutti i membri dei Maristi Blu seguono una formazione permanente i cui temi toccano lo spirito Marista e il significato della solidarietà e del volontariato.

Quando leggerete questa quarantesima lettera, il Natale sarà alle porte.

Che questo Natale sia un momento di ricongiungimento, nonostante tutte le restrizioni che sono imposte.

Che questo Natale sia un momento di preghiera per tutti i bambini del mondo.

Che questo Natale sia un momento di speranza.

Fr. Georges Sabé per i Maristi Bleu di Aleppo

sabato 19 dicembre 2020

Aleppo, un Natale tra Covid e sanzioni

  da : AsiaNews 

Un Natale “semplice”, che richiama la Sacra Famiglia nella grotta di Betlemme con poche luci e addobbi, ma partecipato e con chiese gremite  dai fedeli in un contesto ”drammatico per le sanzioni, che uccidono più delle bombe durante la guerra”. 

È quanto sottolinea ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, raccontando il clima dell’Avvento nella metropoli del nord del Paese, per anni epicentro del conflitto siriano sino alla liberazione nel dicembre del 2016. Il prelato conferma che “abbiamo abolito i ricevimenti ufficiali”, perché sarebbe stato “impossibile stare in piedi cinque ore e fare gli auguri a tutti i rappresentanti religiosi e istituzionali al tempo del Covid-19. Si celebra la messa, poi un saluto sulla porta della chiesa con maschere, distanziamento e disinfettanti”. 

In quella che un tempo era la metropoli economica e commerciale della Siria quest’anno la festa è in tono minore, non tanto per la paura di contrarre il nuovo coronavirus quanto per le sanzioni e l’embargo di Stato Uniti ed Europa. “Alle misure punitive ordinarie - spiega mons. Abu Khazen - si è aggiunta anche il Caesar Act imposto dagli Usa, che colpisce la popolazione nella vita di ogni giorno, assieme all’inflazione”. 

La nascita di Gesù, racconta il vicario apostolico, è sempre “fonte di speranza e di gioia. Tuttavia, in Siria oggi c’è poco da festeggiare non tanto per il virus, quanto per l’impoverimento generale della popolazione. Un tempo un euro era scambiato a 50 lire siriane, oggi a 3600. Le paghe sono rimaste uguali, i prezzi saliti alle stelle con file enormi ai forni per un pezzo di pane, razionato dal governo. E con il freddo, molte famiglie non hanno ricevuto nemmeno la loro parte di gasolio. In passato le forniture, anche in tempo di guerra, ogni ventina di giorni arrivava una bombola di gas mentre oggi ne trascorrono almeno 60. La luce viene un’ora e mezza, poi sparisce per nove, altrettante file di auto in coda per la benzina e così via”.

“Il Natale in passato - ricorda il prelato - sotto la guerra, nonostante l’assedio e le bombe, non presentava le stesse difficoltà. Per le persone era forse più facile soddisfare i bisogni della vita quotidiana. Oggi molte cose non si possono comprare, dalla frutta alla carne che resta un sogno per la grande maggioranza”. 

Il blocco occidentale, in primis gli Stati Uniti, si è accorto “di non poter vincere la guerra sul piano militare, quindi ha scelto di strozzare la Siria da un punto di vista economico. Ma questo è un crimine contro l’umanità, perché questo popolo non ha colpe. Inoltre, non è vero che i combattimenti sono finiti, mentre quello che è certo è l’aumento della povertà e la mancanza di medicinali, doppiamente grave in questo momento di pandemia”. 

Mons. Abou Khazen ricorda che la Siria è una nazione “ricca di frumento, di risorse minerali, di petrolio e di gas, cui viene impedito di usarlo, soprattutto quello del nord-est controllato dagli americani, persino per riscaldare le abitazioni private”. 

In questo contesto “il coronavirus, a differenza di molti altri Paesi, non è ‘il’ problema ma uno dei tanti cui dobbiamo far fronte e chi può lavora, per mandare avanti la famiglia”. Fra le poche voci che si levano a favore della Siria vi è quella di papa Francesco, con i suoi ripetuti appelli per la pace l’ultimo dei quali l’11 dicembre ad un incontro di 50 agenzie cattoliche. “Il pontefice - sottolinea - parla sempre a favore del popolo siriano e la decisione, forte e coraggiosa, di visitare l’Iraq può avere risvolti positivi anche per noi perché lancia un messaggio forte al mondo, soprattutto verso quanti vogliono disgregarne Stato e società”. 

“Il più bel regalo di Natale - conclude - sarebbe la cancellazione delle sanzioni verso il popolo siriano”.

mercoledì 16 dicembre 2020

Natale in Siria. Card. Zenari: “La povertà in cui è nato Gesù è la stessa in cui versano oggi i bambini siriani”.

 

Le comunità cristiane della Siria si preparano a vivere il Natale.

Le testimonianze del nunzio apostolico, card. Mario Zenari, e dei parroci delle zone dove si combatte ancora, padre Antonio Ayvazian, parroco armeno di Qamishli, nel nord Est siriano (al confine turco) e di padre Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa e parroco latino del villaggio cristiano di Knaye (Idlib)

La povertà in cui è nato il Signore, a Betlemme, è la stessa in cui oggi versano tante famiglie, con i loro bambini, nella Siria in guerra da 10 anni”.

A 10 giorni dal Natale, è il card. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, a descrivere le condizioni dei bambini siriani e delle loro famiglie. Un pensiero continuo, quello del nunzio, per i piccoli della Siria, accompagnato da un impegno strenuo sul terreno. “Il Papa – dice al Sir – mi ha donato questa fascia color porpora che è lunga e larga quanto è lunga e larga la Siria. Questa missione è un privilegio datomi da Dio: condividere le sorti della popolazione siriana martoriata”.

Damasco.

Sarà anche questo un Natale di povertà, al freddo, come nella grotta di Betlemme” afferma il cardinale che da tempo denuncia l’emergenza umanitaria in Siria che coinvolge circa 12 milioni di persone tra rifugiati fuori i confini siriani e sfollati interni. “Sono famiglie che vivono come possono, tante sotto le tende, lontano dalle loro case, alcune anche a cielo aperto. Mancano stufe e chi le ha non può accenderle per mancanza di gasolio. Spesso mi capita di vedere nelle strade file interminabili di gente in attesa di comprare del pane a prezzo agevolato dal Governo”. A Damasco e in altre zone della Siria non cadono più razzi e mortai ma è scoppiata, spiega, “la bomba della povertà”. Il nunzio cita dati Onu: “l’83% della popolazione vive sotto la soglia della povertà e questo uccide la speranza. C’è bisogno di pane, di latte, di gasolio, di medicine”. Il pensiero va ancora alla “sofferenza dei più piccoli che vedono tornare a casa i loro genitori solo con un po’ di pane spesso di scarsa qualità per la mancanza di farine adatte”. Anche la solidarietà paga il suo tributo alla guerra.

Rivela il nunzio: “Giorni fa un ecclesiastico è andato ad inaugurare un panificio a 30 km a nord di Damasco, donato da un Paese europeo. Il forno non funziona già più perché manca il gasolio”.

Alla povertà si è aggiunta la pandemia del Covid-19. “Non abbiamo dati ufficiali dei contagi, i tamponi sono molto pochi. Probabilmente fino ad ora il virus è stato contenuto anche grazie al fatto che la Siria è un Paese chiuso, dove non arriva nessuno”. Con il progetto “Ospedali Aperti”, portato avanti con la fondazione Avsi, in tre nosocomi cattolici, due a Damasco e uno ad Aleppo, “abbiamo cominciato a prestare cure domiciliari. Nell’ospedale italiano a Damasco le nove suore sono state contagiate e una è deceduta – afferma il card. Zenari -. Il sistema sanitario siriano è ridotto ai minimi termini a causa della guerra. Reperire dispositivi di protezione è difficile così come educare la popolazione a idonei comportamenti igienici. Molte famiglie vivono in case senza servizi. I rifugiati vivono in campi dove non c’è distanziamento.

La priorità in Siria oggi non è tanto la mascherina quanto il pane”.

Che questo Natale scaldi il cuore di tanti nel mondo, che nonostante la pandemia, possano davvero ricordarsi della Siria. Impariamo dalla nostra sofferenza per aiutare chi ne ha una più grande”.

Qamishli.

Le parole del nunzio sono raccolte da padre Antonio Ayvazian, parroco armeno di Qamishli, nel nord Est siriano e da padre Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Knaye, uno dei tre villaggi cristiani della Valle dell’Oronte (gli altri sono Yacoubieh e Gidaideh, tutti a circa 50 km da Idlib).

Si tratta di due aree ad alta tensione. “Qui nel nord Est ci sono 13 villaggi cristiani armeni sperduti nelle montagne. fa molto freddo ed è urgente trovare il carburante per le stufe” dice al Sir padre Ayvazian che punta l’indice contro “l’embargo e le sanzioni internazionali che stanno distruggendo la Siria e provocando l’esodo dei cristiani nel silenzio dell’Occidente. Solo la nunziatura apostolica ci è vicina”.

La speranza adesso è riposta nell’aiuto inviato da Papa Francesco a tutte le diocesi siriane, 60 mila euro ciascuna.

Le comunità cristiane si sono tirate su le maniche contro il Covid. “Insieme ai capi religiosi della nostra regione – dichiara il parroco armeno – ci siamo dotati di bombole di ossigeno e di presidi di protezione per 100 persone”. Ma la vera emergenza sono le famiglie: “sta arrivando il Natale e il senso di abbandono e di solitudine è ancora più grande. Le famiglie non hanno possibilità di fare l’albero e il presepe perché il loro primo pensiero e trovare il pane per i loro figli. Basterebbe un po’ di cibo per donare un po’ di festa a queste famiglie. Con uno stipendio mensile di pochi dollari non si riesce a comprare più nulla. La gente è disperata – denuncia padre Ayvazian – ci sono tantissime giovani donne che sono arrivate a vendere la propria verginità per avere di che vivere”. “A Natale non ci saranno il presepe e l’albero. Ci resta il dono più grande: la nostra fede cui ci aggrappiamo per continuare a sperare”.

Idlib. 

Da Knaye, nel nord-ovest della Siria, padre Hanna Jallouf racconta la vita dei pochi cristiani locali ora che si avvicina il Natale. I problemi di ieri – la guerra, la povertà, i ribelli jihadisti di Tahrir al-Sham, ex Fronte al-Nusra, legato ad al-Qaeda e alleato della Turchia – e quelli di oggi, come la pandemia, segnano giornate sempre più dure.

Da circa un mese – rivela il francescano – i miliziani che governano qui hanno imposto l’uso della lira turca. I prezzi sono quadruplicati e la gente è disperata. Non sappiamo come fare per aiutare le famiglie”. La tensione è altissima: “ci sono regolamenti di conti tra i leader delle fazioni islamiste. Coloro che sono contro Tahrir al-Sham vengono eliminati” dice il francescano. Nessuno entra e nessuno esce dall’area controllata dai ribelli.

Ci sono tanti sfollati e rifugiati. Qualcuno prova a rientrare ma i miliziani non lo permettono. Sono 11 mesi che le strade sono chiuse”.

Mancano 10 giorni al Natale e la comunità cristiana si prepara. Proibite dai jihadisti decorazioni esterne e luminarie, tolte le croci dalle chiese, e imposto il divieto di indossare il saio a padre Hanna e al suo confratello, padre Louai Bsharat, alle circa 300 famiglie cristiane della zona non resta che festeggiare dentro la chiesa e in casa.

Il 4 dicembre scorso – racconta padre Jallouf – abbiamo celebrato santa Barbara, che per noi è come il Carnevale, con le maschere. Abbiamo organizzato una mostra con prodotti dei nostri ragazzi creati con materiali di scarto come vecchie lampadine. Oggetti natalizi che i ragazzi hanno poi portato a casa in segno di festa. Abbiamo realizzato anche delle croci per abbellire alberi e presepi in casa. Quest’anno non abbiamo mandato i nostri ragazzi, una quarantina in tutto, nelle scuole dei jihadisti così abbiamo potuto anche cantare e fare teatro. Sono piuttosto felici. Grazie a loro possiamo dire di avere un futuro qui”.  Già sono pronte altre iniziative: “il 15 dicembre cominciamo la novena di Natale, il 23 distribuiremo piccoli doni ai bambini. Il 24 e il 25 dopo la messa ci scambieremo gli auguri con qualche confetto”.

Festeggiare il Natale è segno di speranza e di gioia per tutti. La Provvidenza non ci abbandona: quando non ho più nulla da dare dico al Signore, questo è il tuo gregge, chi deve pensarci? Ecco allora che arriva sempre un aiuto”.

https://www.agensir.it/mondo/2020/12/14/natale-in-siria-card-zenari-nunzio-la-poverta-in-cui-e-nato-gesu-e-la-stessa-in-cui-versano-oggi-i-bambini-siriani-testimonianze-da-idlib-e-qamishli/

lunedì 14 dicembre 2020

Lo splendore della carità: premio ai Maristi di Aleppo

      

Il 5 dicembre 2020 si è celebrata la giornata internazionale del volontariato. FOCSIV (la federazione delle associazioni cristiane italiane di solidarietà internazionale) ha assegnato al dottor Nabil Antaki il premio annuale volontario internazionale, in riconoscimento della missione dei Maristi Blu ad Aleppo.


Ricorre proprio in questi giorni l'anniversario della liberazione di Aleppo , avvenuta nel dicembre 2016 . “La città di Aleppo finalmente sta per essere completamente liberata e unificata dopo quattro lunghi anni di divisione e di morte seminata da diversi gruppi armati siriani e non”, fu la testimonianza a ZENIT di mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino.

 Nel libro da poco edito da Hamattan  Lettere da AleppoTestimonianze dalla Siria in guerra, di Nabil Antaki e Georges Sabé troverete le cronache sugli anni tremendi di una città divisa e sotto assedio e della sua sventurata popolazione. 

Sono gli scritti in cui i Maristi Blu aggiornano amici, estimatori e donatori stranieri sull’evolversi della situazione ad Aleppo e sulle numerose attività di sostegno svolte dalla loro associazione in favore degli sfollati e dei più indigenti. 

Se avete intenzione di regalare un libro per le prossime feste,
scegliete 
Lettere da Aleppo.

Si può ottenere il libro dall'Harmattan
Editrice L’HARMATTAN ITALIA srl
via Degli Artisti 15 - 10124 Torino
tel. e fax: 011.817.13.88 - cell. 348.3989.198 . harmattan.italia@gmail.com
oppure contattando le vostre librerie e i siti di fiducia

domenica 6 dicembre 2020

Siria, il decimo Natale senza pace

Nella dimenticata Siria da dieci anni di terrorismo, di guerra e ora di fame a causa delle sanzioni imposte dagli Usa. 

L’articolo si riferisce alla zona dove prima della guerra vivevano 1200 famiglie cristiane, mentre ora ne sono rimaste solo 300: la cancellazione della presenza cristiana in Siria è uno degli obiettivi degli amici degli Usa nel Vicino Oriente. 

Maurizio Blondet , 5 dicembre 2020

Idlib, noi prigionieri nella roccaforte dell’Isis 

Si parla poco oggi della Siria, siamo lontano dai riflettori. Direi che siamo messi ai margini. Per chi come noi vive nella provincia di ldlib, la situazione è ormai la stessa da tempo: tutte le strade sono completamente chiuse, non si passa né verso la parte controllata dalle forze siriane né verso la Turchia. Siamo come naufraghi su un’isola. 
Da una parte è un male, dall’altra è un bene. È un male, perché non abbiamo letteralmente più nulla. La vita è carissima e la gente è alla fame: per vivere una famiglia avrebbe bisogno almeno di 600 dollari al mese, ma un capofamiglia arriva a guadagnarne appena 30. Così è aumentata la criminalità: moltissimi rubano per necessità e per fame. L’unica possibilità di sussistenza è legata al lavoro agricolo, ma le campagne sono insicure perché vengono bombardate o si rischiano incursioni da parte delle milizie islamiche che controllano la regione. Tutto si compra e si vende al mercato nero.
La tregua decisa da turchi e russi lo scorso 5 marzo, per favorire il ritorno degli sfollati, tiene, anche se ogni giorno ci sono violazioni, sia da parte dei combattenti jihadisti che non vogliono la pace e che boicottano la riapertura della vicina autostrada M4, sia da parte delle forze governative e russe.

Oggi nella provincia di Idlib resta a malapena un milione persone, molto meno della metà dei suoi abitanti, perché 2 milioni sono fuggiti in Turchia. Chi è rimasto vive giorno per giorno, senza pensare al futuro, perché il futuro è un’ipotesi.
Resta forte la presenza dei ribelli jihadisti anti-Assad, che, cacciati dalle altre zone del Paese riconquistate dall’esercito regolare, si sono rifugiati qui. Chi di loro lascia il territorio lo fa per andare a combattere da mercenario, ad esempio in Libia o nello Yemen, o per ingrossare le fila dei combattenti islamici nelle regioni russe del Caucaso. Altri ancora entrano in una sorta di milizia che lo Stato islamico sta formando con le risorse fornite da Qatar e Turchia. Il territorio continua a essere pattugliato dai combattenti che arrivano quando meno te lo aspetti. Non hanno basi riconoscibili, per paura di essere bombardati dall’aviazione russa. Hanno scavato rifugi sotterranei o si servono di grotte per celare la loro presenza e i loro arsenali.
Nessuno in realtà sa dove siano! 

L’aspetto sanitario, paradossalmente, è quello meno preoccupante rispetto al resto della Siria. La chiusura totale della provincia di ldlib, il blocco delle strade, ha impedito finora il propagarsi del Covid-19, se non in qualche sporadico caso subito isolato.Non abbiamo smesso di celebrare, le chiese sono aperte… Non abbiamo chiusa neanche una porta.

l cristiani della valle dell’Oronte, nelle nostre residue comunità cristiane, vivono quasi solamente degli aiuti esterni. Cerchiamo di provvedere ai più poveri soprattutto con aiuti alimentari che acquistiamo attraverso le donazioni che arrivano dalla Custodia e dai benefattori. La vera sfida oggi è tenere unite le famiglie, custodire chi è rimasto e garantire la trasmissione della fede in un contesto fortemente islamizzato.

Nei villaggi della valle dell’Oronte sono rimaste circa 300 famiglie cristiane, con una trentina di ragazzi in età scolare. La dimensione della tragedia sta tutta in questi numeri: prima della guerra la comunità cristiana delle nostre tre parrocchie contava oltre 1.200 nuclei familiari.

fra Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa in Siria