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venerdì 30 ottobre 2020

La follia dei Guerrafondai e il senno dei Giusti

 Di Maria Antonietta Carta

Fra due settimane circa, uscirà in Italia Lettere da AleppoTestimonianze dalla Siria in guerra, di Nabil Antaki e Georges Sabé (ed. L’Harmattan), un libro sugli anni tremendi di una città divisa e sotto assedio e della sua sventurata popolazione, entrambe lacerate profondamente dalla guerra scellerata e funesta contro la Siria.


In quella città martoriata, gli autori vivono, soffrono, agiscono e gridano al mondo le ignominiose atrocità che vi si consumano. 

Il libro comprende una serie di lettere scritte negli oltre cinque anni  di conflitto (per aggiornare amici, estimatori e donatori stranieri sull’evolversi della situazione ad Aleppo e sulle numerose attività di sostegno svolte dalla loro associazione, i Maristi Blu, in favore degli sfollati e dei più indigenti), alcune interviste, brevi note su giorni o avvenimenti molto critici o cruciali e passi di una narrazione più personale, in cui traspaiono lo sconforto, una dolorosa impotenza, una giusta collera, momenti di accesa inquietudine, quando sopraggiungevano situazioni particolarmente dure, e la speranza, coltivata con fede incrollabile. Questi scritti impressionano per la tremenda realtà che raccontano ma anche per l’autentica e toccante umanità dei sentimenti rivelati, per la straordinaria forza d'animo e per la spiritualità profonda che li permea e che riflette la concezione dell’esistenza dei due autori, Siriani cristiani. Ma ognuno, credente, ateo o agnostico, può incontrare spunti di riflessione proficua nel loro libro, che tocca temi universali quali la dignità umana, la giustizia, l'asservimento dei mezzi di comunicazione, l'autodeterminazione dei popoli, la sofferenza e la devastazione causate dai prepotenti che si arrogano il diritto di dominare il mondo etc. 

 

L’autore siriano Hanna Mina scrive nel romanzo al-Shira‘ wa al-‘Assifeh (La Vela e la Tempesta): La speranza è come una fune lunghissima che si prolunga sino al confine estremo della vita.

Un amico di Latakia, Rami Makhoul, in un post che ho tradotto per un articolo recente, Voci dalla Siriaconsidera: Questa nostra vita che perde gusto e colore se non concediamo spazio alla speranza nel rinnovamento.

Speranza (Amal) è anche un nome femminile molto comune in Siria.

Forse, è proprio la speranza, declinata in varie maniere, che tiene i Siriani ancorati alla vita, nonostante patimenti e difficoltà indicibili.

 

Amo questo libro e sono grata a Nabil Antaki che me l’ha affidato per la versione italiana. In certi momenti, mentre traducevo, i miei occhi si velavano di lacrime per la commozione o per la pena.  Sicuramente, vi sono errori e imperfezioni dovuti alla mia negligenza ma anche al fatto che ho voluto rispettare il testo. Nella versione originale in francese, infatti, non furono apportate correzioni per lasciare intatto il carattere di urgenza e di spontaneità a quelle pagine scritte mentre si svolgevano gli eventi che gli Aleppini pativano: era la volontà degli autori e ho scelto di non tradirla.

 Mentre lo leggevo per la prima volta, le riflessioni si affollavano nella mia mente, ma ora provo quasi ritrosia a commentarlo.  Noi Occidentali ci arroghiamo troppo spesso la pretesa di capire, interpretare o commentare la realtà di coloro che consideriamo ‘’diversi’’ invece di ascoltare ciò che hanno da dire o leggere ciò che scrivono. 

Propongo quindi alcuni brevi passaggi con l’augurio che vi stimolino a voler conoscere Lettere da Aleppo, che non è soltanto un documento esemplare sul conflitto siriano ma una testimonianza inestimabile sul valore della conciliazione, dell’altruismo, del mutuo rispetto e sull’insensata, indecente bestialità di questa guerra. Per ciò, è un’opera che merita di essere letta e diffusa, soprattutto tra i giovani.


Se avete intenzione di regalare un libro per le prossime feste, scegliete Lettere da Aleppo; sarà un atto concreto contro l’ingiustizia e la prevaricazione di chi continua a perpetuare quel cancro immondo che distrugge l’essenza della pace e dell’armonia cioè la sacralità della vita, unica speranza di salvezza per l’umanità.  


Nabil Antaki. 

1. … abbiamo visto colonne di fumo salire verso il cielo e abbiamo incrociato decine di migliaia di persone, cariche di fagotti, che erravano nelle strade alla ricerca di un rifugio. Alcune si sono poi installate nei giardini pubblici, ma la maggioranza ha occupato le scuole pubbliche, chiuse per le vacanze estive, dopo averne forzato le porte. In pochi giorni, 500.000 persone hanno abbandonato il loro domicilio nei quartieri est e sud di Aleppo, diventando sfollati. E lo sono a tutt’oggi. I ribelli hanno invaso i quartieri in cui vivevano, adesso teatro di violenti combattimenti. 

A Jabal al-Sayideh, vi sono quattro scuole pubbliche e lì si ammassano circa trecento famiglie prive di tutto: niente acqua, elettricità e servizi igienici. Non hanno materassi per dormire né cibo per sopravvivere. Impossibile restare indifferenti! Il nostro gruppo ha deciso senza esitare di sostenerli. Con una trentina di volontari, ci rechiamo in queste scuole e cerchiamo di rimediare ai problemi più urgenti. Per identificarci, abbiamo cominciato a indossare magliette blu e ogni volta al nostro arrivo gli sfollati gridano: i blu sono arrivati! … 

Nelle nostre lettere, raccontiamo i drammi che abbiamo vissuto attraverso numerose persone: i nostri cari uccisi, feriti, amputati o scomparsi; la miseria e le sofferenze delle famiglie sfollate che abbiamo soccorso e dovuto alloggiare, nutrire, vestire e curare; la condizione dei bambini di cui siamo responsabili, a cui la guerra ha rubato l’infanzia; il problema dell’esodo di migliaia di nostri concittadini che hanno visto i loro sogni spazzati via e che sono emigrati per assicurarsi un futuro sotto cieli più clementi. 

Raccontiamo anche i gesti esemplari di solidarietà di cui siamo stati testimoni, i tesori di generosità che abbiamo scoperto; la straordinaria resilienza degli Aleppini e la nostra risposta a questa guerra tragica; le azioni e i progetti intrapresi con la nostra Associazione di solidarietà basata sulla relazione umana con la persona soccorsa, sul rispetto della dignità calpestata dalla guerra e dalla miseria, sull’accompagnamento e l’ascolto. Il nostro moto è «Seminare la speranza» e il nostro programma si riassume in una frase: «Viviamo la solidarietà con i più deboli per alleviare le sofferenze e promuovere l’uomo».


2. … Noi, ad Aleppo, non avevamo notizie; non sapevamo nulla di quanto succedeva poiché i telefoni cellulari non funzionano nella regione di Khanasser. Eravamo preoccupati perché l’autobus ritardava. Soltanto verso le ore 20, l’autobus può riprendere il viaggio. Finalmente riceviamo notizie. L’ambulanza è pronta all’entrata di Aleppo. Appena l’autobus arriva, portiamo Amin in ospedale, dove ci attendono medici e chirurghi, ma Amin è già morto quando arriviamo. Terroristi, perché avete sparato contro un autobus? Ammazzare un civile fa avanzare la vostra causa? La democrazia e la libertà non c’entrano niente con voi, banda di criminali. Sapete chi avete ucciso? Forse la madre di uno di voi è stata curata da mio fratello Amin per restare incinta, banda di assassini. (Da: Hanno ammazzato mio fratello)

 

Georges Sabé. 

1. E se domani mi svegliassi al rumore delle raffiche vicino a me o a casa mia, cosa farei? Prenderei anch'io la carta d'identità e il poco denaro che mi resta e partirei? Partire, dove, quando, come, cosa prendere, cosa lasciare? Addio, amici! Addio, famiglia! Addio, terra! Addio, strada! Addio, casa! Addio a noi. Più niente sarà casa mia. … Perché io? Quale errore ho commesso? Quale peccato? La vita è forse un eterno peregrinare? Al catechismo mi hanno insegnato che su questa terra noi cerchiamo il cielo; ma quale cielo? E se il cielo fosse il riflesso della terra? I miei occhi tacciono, non parlano più, non sorridono più e non piangono più. Nessuna lacrima. In ogni caso, perché piangere, perché ridere, perché parlare con gli occhi, perché esprimere ed esprimersi? Meglio essere discreti, non mostrarsi né mostrare. Sono vuoto, svuotato. Al mattino mi alzo per andare da nessuna parte, per pianificare un niente, per uscire sul posto, per sognare l'oblìo, per attendere l'istante che è là. Il giorno passa; è il sole che me lo annuncia. L'oscurità mi dice il tempo, la luna segna il giorno. Il giorno passa e non so più se è ieri o domani. Non si assomigliano per nulla e sono tutti uguali.


2. …Viene a sedersi al nostro tavolo, si stabilisce nei nostri cuori e nelle nostre menti, s’invita al nostro quotidiano e lo trasforma. La guerra è qui. Viene per annunciarci la sofferenza e la morte. Viene a dirci che bisogna odiare, che bisogna distruggere i ponti e le relazioni. La guerra è qui. Le sue macchine stanno funzionando a pieno ritmo e i suoi tamburi battono fortemente. Viene a trasformare le nostre notti in un lampo e il calore dei nostri giorni in una fornace. La guerra è qui. Viene a sporcare le nostre mani. Costringe tanti innocenti a impugnare le armi… La guerra è qui. Viene a dirci: «Non vi lascerò. Vi amo tanto. Vi voglio. Vi invito al mio banchetto. Non perdete l’appuntamento. Ecco l'indirizzo: Aleppo, strada della vergogna, palazzo della miseria, piano della sofferenza». 

La guerra è il nostro quotidiano, ma noi ci rifiutiamo di partecipare al suo banchetto. Scegliamo la vita… 

sabato 24 ottobre 2020

Idlib: 'La presenza dei Francescani che restano qui è un segno di speranza'

Due frati francescani, gli unici religiosi cristiani rimasti a Idlib, in Siria, hanno rivelato i dettagli della loro vita in uno degli ultimi baluardi della dominazione jihadista nel paese, compresa la minaccia quotidiana di essere uccisi, torturati o attaccati.

Parlando a Aid to the Church in Need (ACN), Padre Firas Lutfi, Custode della Provincia di San Paolo per i francescani di Siria, Libano e Giordania, ha detto che i frati hanno deciso di restare per aiutare i cristiani che soffrono di persecuzioni estreme.

Padre Lutfi racconta: "La loro sofferenza è iniziata una decina di anni fa. Quando la guerra in Siria ha iniziato a imperversare in diverse aree del Paese, gruppi militanti hanno preso il controllo di quella regione e l'hanno proclamata 'Stato Islamico'. "Confiscarono le proprietà dei Cristiani, costrinsero tutti i non musulmani a rispettare la Shari'a islamica , si presero il diritto di circolare liberamente nei loro villaggi, obbligarono le donne a indossare il velo. Hanno distrutto e impedito ogni apparente simbolo cristiano, come le croci sopra le chiese e i cimiteri". 

Padre Hanna Jallouf, 67 anni, e padre Luai Bsharat, 40 anni, servono 300 famiglie cristiane nei villaggi di Knayeh e Yacoubieh, nella provincia di Idlib, vicino al confine della Turchia con la Siria occidentale.

La regione è ancora controllata da gruppi jihadisti internazionali, tra cui una propaggine di Daesh.

Padre Lutfi racconta: "Questi estremisti hanno spesso perseguitato, attaccato, picchiato, torturato e persino ucciso alcuni dei nostri fratelli e sorelle.  In particolare, padre Francois Murad, decapitato nel 2013, e recentemente una maestra è stata violentata e violentemente uccisa a Yacoubieh.  I cristiani di queste regioni devono affrontare persecuzioni, paura, violenza, pericolo, morte, terrorismo e nascondere la loro fede e le loro opinioni".

Dice: "La presenza dei Francescani è un segno di speranza in mezzo alle tenebre e alla disperazione. Nonostante le difficoltà quotidiane e le miserie insopportabili, padre Luai Bsharat e padre Hanna Jallouf vi sono rimasti perché credono nel servire e nel cercare di proteggere i Cristiani rimasti, e credono che questa regione non debba essere abbandonata...". 

Padre Firas ha sottolineato che i frati e le famiglie cristiane ritengono che la loro presenza nella zona sia di fondamentale importanza: "Sia i laici che i frati lì credono fortemente di contribuire, con la loro presenza, a rafforzare la Chiesa affinché [la Chiesa] possa continuare a vivere attraverso il suo popolo durante queste atrocità".

https://acnuk.org/news/syria-a-sign-of-hope-amid-the-darkness-and-despair/

traduzione : OraproSiria


Notizie sulla cittadina Yacoubieh (Al-Yaqoubia ) tratte da 'Syria Tourism'

Il villaggio di Al-Yaqoubia è un dono del Creatore... ed era una testimonianza della tolleranza religiosa in Siria.

Al-Yaqoubia è un villaggio siriano nella campagna del governo di Idlib, situato nella Siria nord-occidentale, a 140 km dalla città di Aleppo e a 385 km dalla capitale Damasco, situato a a 480 km da metri di altitudine.

L 'origine del villaggio è siriaca, e si chiamava Al-Ya' qubiyyah, in riferimento a Yaqoub El-Baradei, seguace di una dottrina cristiana giacobita.

I suoi abitanti parlano arabo e armeno, come quelli di alcuni villaggi e città circostanti Jisr Al-Shughur, Darkoush, Hammam Sheikh Isa, Al-Qunya e Ghassaniyeh.

Al-Yaqoubia è famosa per la diversità delle sue stagioni e per la varietà delle sue colture agricole, possiede molti alberi da frutto e alberi di differenti specie ed è famosa per la coltivazione di olivi dall'antichità fino ad oggi, così come per la coltura di mele, pesche, noci, mandorle e altro.

Al-Yaqoubia era la località preferita di molti turisti, che in gran parte provenivano da Aleppo per godersi lo splendore della natura e della bella atmosfera, la chiesa e il santuario armeno di Santa Anna visitato da pellegrini di tutte le confessioni e religioni. E da tutte le regioni della Siria.

martedì 20 ottobre 2020

La resilienza dei Siriani ha un limite

 

Un messaggio da un amico di Latakia: gli effetti degli incendi sulla popolazione civile

dalla pagina di Tom Duggan

Questo è un messaggio a tutti i miei amici. Voglio solo ringraziarvi di cuore per tutti i vostri messaggi di conforto e affetto che mi avete inviato dopo gli orribili incendi di qui. Non posso esprimere appieno quanto le vostre parole siano importanti per me. Ho davvero sentito di non essere solo e che avete condiviso la nostra tristezza per quello che è successo. Non ho qui tutta la mia famiglia, ma avere voi tutti vicino significa più di quanto voi possiate mai immaginare.

Proverò a spiegarvi cosa è successo venerdì scorso. Un parente ci ha svegliato presto e ci ha detto che c'erano incendi in alcuni campi sulla strada che porta verso il paese. Non vi abbiamo dato troppo peso perché spesso ci sono incendi boschivi e quest'anno è stato eccezionalmente caldo e non vediamo pioggia da mesi, quindi ci si aspettava un qualche incendio. Hikmat e Aemon hanno deciso di andare al villaggio per vedere cosa stava succedendo. Il paese si trova a circa 15 miglia da qui.

Se ne sono andati e io sono rimasto a casa. È vacanza qui di venerdì. Considero questo venerdì uno dei giorni peggiori della mia vita. Volevo disperatamente sapere cosa stava succedendo. Mi sono seduto con il tablet sulle ginocchia aspettando solo le notizie, e più leggevo e peggio mi sentivo. Sembrava che l'intera costa siriana fosse in fiamme. Villaggio dopo villaggio erano stati mangiati nell'inferno, alimentato dai venti estremamente forti e dall'atmosfera secca che per noi è senza precedenti (abbiamo solitamente altissima umidità). Speravamo e pregavamo affinché gli incendi si estinguessero o che il vento cambiasse la direzione del fuoco.

Man mano che la giornata passava le telefonate diventavano sempre più frenetiche. Altre persone mi chiamavano dicendo quanto fosse diventata pericolosa la situazione. Vi invierò una foto di Hikmat seduto sul tetto di casa nostra mentre osservava terrorizzato! Povero, povero Hikmat!!

Penso che fossero le 17 circa quando ho ricevuto l'ultima chiamata da Aemon. Mi urlò che gli incendi erano arrivati al paese e l'intero villaggio si stava evacuando! Questo non era facile perché la gente del villaggio non ha auto, e chi ce l'ha, non aveva benzina. Aemon ha caricato 6 persone sulla sua auto e sono fuggiti dal paese.

La scena che Aemon ha descritto quando finalmente è arrivato qui era proprio quella di un film horror. Persone che urlavano. Persone che correvano in giro cercando di mettere gli oggetti di valore in sacchetti di plastica. Bambini sconvolti che venivano gettati in macchina senza genitori! In altre parole puro panico! Alcune persone si rifiutavano di lasciare le proprie case e pregavano i parenti di andarsene e lasciarli lì.

Il cugino di Hikmat aveva un grande noce proprio davanti casa. Le noci qui costano care e quell'albero era come uno "status symbol". Gli uomini hanno deciso di abbattere l'albero nel tentativo di risparmiare la casa. Riuscite a immaginare quanto costò loro farlo?!?

Ciò che ha peggiorato questa tragedia è che adesso è la stagione della raccolta delle olive. Le persone si affidano ai soldi ricavati dalle olive, e dall'olio d'oliva, per vivere per un anno. È la loro principale fonte di reddito, quindi perdere tutto in questo modo è terribile oltre ogni immaginazione. In tutti gli anni che siamo stati qui non abbiamo mai comprato olive. Le abbiamo sempre raccolte dalla nostra terra. Le olive da noi costituiscono una parte importante della dieta di base, così come l'olio d'oliva.

Penso che la gente abbia versato abbastanza lacrime venerdì per spegnere gli incendi!! Rima e Sarah mi hanno inviato messaggi tutto il giorno chiedendo del paese e della nostra terra. Beh, abbiamo perso TUTTO!!!! Nulla è sopravvissuto all'incendio. Più di 55 acri di ulivi, pieni di olive, pronte per essere raccolte!! Tutti gli alberi da frutto della casa. Fichi, uva, arance, limoni, prugne e melograni. Tutto è andato!!!

La casa in sè è stata risparmiata perché è costruita con pietra, ma potete immaginare i danni causati dal fumo ecc. Tutt'ora il paese non ha elettricità, acqua o telefoni. Piloni e tralicci si sono sciolti e sono crollati. I cavi del telefono distrutti e non ci sono motori per mandare acqua al paese. Continuano a dirci di annaffiare gli alberi e NON di abbatterli, poiché le radici sono resistenti e potrebbero rinascere, ma non abbiamo ACQUA!!!!! Abbiamo disperatamente bisogno di pioggia. Dire che siamo devastati è dire poco ma rispetto a migliaia di altri, in realtà siamo fortunati. La casa è ancora lì e nessuno è morto e per fortuna noi non ci affidiamo al reddito delle olive su cui vivere, mentre qui per la maggior parte delle persone è così!!!

Il popolo siriano è forte e ha resistito a tanti disastri nei 10 anni di guerra, ma questo incendio li batte tutti. Le persone sono distrutte. Non hanno più niente per vivere. Ci domandiamo cosa potrebbe succedere ancora!! La GRANDE domanda è: Questi incendi sono nati spontaneamente o sono stati un atto di guerra deliberato per distruggere completamente la Siria?! Io so cosa credo!!! Perchè, è davvero possibile che ben oltre 100 incendi siano divampati contemporaneamente?!! Ne dubito!

Quindi, non abbiamo altra scelta che andare avanti al meglio che possiamo e pregare affinché le sanzioni del "Caesar Act" vengano revocate in modo da poter almeno iniziare a importare i prodotti necessari. La Siria ha bisogno di aiuto, ma dove si trova questo aiuto? Dopo l'esplosione di Beirut il mondo si è unito per aiutare il popolo libanese, ma se non fosse stato per Facebook il mondo esterno non avrebbe nemmeno sentito parlare di questi incendi!! Perché, perché, perché?!!! Molti di voi mi hanno chiesto come potreste aiutarci. Grazie mille, ma purtroppo non c'è niente da fare perché qui non c'è modo di ricevere nulla dall'estero.

Ora devo dirvi che vi amo tutti e vi lascio. Grazie di esserci sempre per me.  Prendetevi cura di voi stessi con il Covid-19. Dio vi benedica tutti.


Foto della panetteria governativa dove la gente può comprare pane più economico: lunghe code, lunga attesa per tutto.
   ...... E nel resto della Siria la situazione peggiora quotidianamente

A causa delle sanzioni, tutto quello che vediamo sono espressioni tristi sui volti delle persone ogni giorno.
Niente benzina, niente gas propano che la gente usa per cucinare.
Il mercato nero sta fiorendo e i prezzi aumentano ogni giorno.

Se chiedi a 100 persone: lasceresti la Siria? 95 direbbero di sì.
Trump e l'Occidente stanno creando un disastro umanitario.
Se pensi che la migrazione di massa dei cittadini che escono dalla Siria sia stata forte durante la guerra in Siria, preparati ad una migrazione di massa più grande nel prossimo futuro.

Le ONG tagliano il personale, un ufficio ha ridotto di metà il suo personale sul campo a causa dei bilanci finanziari, i donatori su cui si sono affidati stanno riducendo i budget. Quasi tutte le ONG stanno affrontando difficoltà.
La cosa strana è che solo il personale e la media dirigenza sul campo sono tagliati mentre gli alti dirigenti sono al sicuro.
Ad alcuni dipendenti viene chiesto di lavorare a stipendio ridotto.
La persona di una ONG con cui ho parlato ha visto dimezzato il suo stipendio.

La panetteria governativa è sempre piena tutto il giorno: adesso la dieta di base in Siria è per la maggior parte delle persone composta da pane e verdure. La carne costa oltre il doppio del solito. Prima della guerra le uova erano economiche, ora il costo è 5 volte più alto di prima della guerra. I taxi stanno aumentando i prezzi a motivo di carenza del carburante.
I ristoranti e quelli che preparano pasti da asporto riducono le dimensioni dei piatti.

Per i cittadini dell'UE e del Regno Unito... Preparatevi a più immigrati a causa delle sanzioni! Molti di più!

Ho chiesto ad alcune persone se la vita era migliore sotto le bombe durante la guerra; hanno risposto che almeno potevano nutrire i loro figli e la vita era meno cara.. e si moriva più in fretta, non lentamente come sotto embargo.
Si vede la malnutrizione sui poveri, non più gente in carne, solo magri pelle e ossa. ... Grazie Trump!

Tom Duggan

giovedì 15 ottobre 2020

Il 17 ottobre S.Ignazio di Antiochia, patrono della Siria: preghiera per custodire la speranza

 

O Dio del cielo e della terra,

Tu hai suscitato una schiera innumerevole di Santi che ci indicano la via della vera vita.

Tu hai donato alla terra Siriana uomini e donne secondo il tuo cuore, che l’hanno illuminata lungo i secoli con la luce della fede e la gioia della speranza.

Le hai dato come patrono Sant’Ignazio di Antiochia, martire per la fede, uomo che bruciava dal desiderio di Te, del tuo pane e del tuo sangue.

Per sua intercessione, nel giorno della sua festa, ravviva la fede del nostro popolo.

Donaci la vera pace, quella del cuore, che può venire solo da Te, e la pace sociale, quella che potrà esserci solo se taceranno le armi, e se le logiche della politica che regge il nostro mondo si convertiranno verso il vero bene di tutti i popoli.

Dona a chi ha il potere di farlo, di lavorare per il bene soprattutto dei più poveri, dona alla Chiesa che è nel mondo e a tutti gli uomini di buona volontà di non dimenticare le sofferenze del popolo Siriano, di custodirlo nella preghiera e di operare per la carità con verità e giustizia.

Sant’Ignazio aiuti tutti i figli della Siria a rafforzare il coraggio della fede, la certezza che la morte non ha l’ultima parola; la certezza che, anche quando si è al limite delle forze, nessuno può toglierci la dignità e la libertà che ci vengono da Dio..

Che i Santi e le Sante Siriani ci aiutino a ritrovare tutta la pienezza della vita: oggi che non solo il nostro cuore brucia, ma anche le nostre terre con i suoi boschi, i suoi ulivi, le sue case… perché possiamo ancora coltivare, piantare, costruire; costruire soprattutto la speranza che renda luminoso il futuro dei nostri figli.

Donaci pane… lavoro… pace… amicizia… perdono… solidarietà… fede…

Donaci ancora e sempre soprattutto il tuo Cristo, unica salvezza del mondo…

“Io ho fame del pane di Dio, che è il Corpo di Gesù Cristo.. e io ho sete del Sangue di Colui che è l’amore eterno.“ ( S. Ignazio di Antiochia)

    Preghiera delle Monache Trappiste di Azeir , Syria

domenica 11 ottobre 2020

Un cittadino siriano fa appello al mondo: «Non lasciate morire la culla della civiltà. La Siria sta diventando terra bruciata»

Il buio non è mai stato così fitto. Incendi che è impossibile spegnere divorano in questi giorni uliveti e agrumeti, come mesi fa i campi di grano. La guerra quasi decennale contro gruppi terroristi fomentati da potenze straniere ha gettato il Paese in una crisi economica mortale. Proseguono l’occupazione turca e statunitense di territori ricchi di risorse: rubato l'olio dai pozzi petroliferi siriani mediante quotidiani convogli statunitensi che lo trasportano verso l'Iraq mentre in Siria ogni automobilista fa code di chilometri per rifornirsi di 30 litri di benzina;  bruciati i campi di grano siriani al nord;  le fabbriche siriane smontate e rubate dalla Turchia, la povera gente che non aveva un posto dove emigrare è diventata sempre più povera... E intanto continuano le sanzioni internazionali...

Per favore, amici, diffondete e mobilitate le coscienze, prendete iniziative...

     OraproSiria


Come cittadino siriano e giornalista, dichiaro la Siria, tutta la Siria, paese sinistrato. 

Chiedo con assoluta urgenza non solo la fine di tutte le sanzioni occidentali decise a partire dal 2011 contro il mio paese, ma anche un aiuto umanitario, perché la popolazione è allo stremo, stretta fra le sanzioni e l’esaurimento delle risorse economiche e finanziarie interne, dopo lo sforzo immane dispiegato in una guerra lunghissima. 

Dal mese di luglio, stanno accadendo fatti che testimoniano una deliberata volontà di eliminare tutti gli elementi che permettono la vita in Siria. Nel silenzio del mondo intero, alleati compresi. 

All’inizio di luglio, dunque, sono cominciati incendi dolosi che hanno distrutto migliaia di ettari coltivati a frumento. Così, lo Stato siriano si è trovato privo dello stock strategico di grano da trasformare in farina. Il risultato non ha tardato a manifestarsi in lunghe file d’attesa davanti alle panetterie. 

Gli incendi si sono poi riprodotti in una grande area nell’Ovest del paese, non tanto lontano dalle basi militari russe. Abbiamo visto trasformata in cenere la metà dei boschi nelle regioni montane più belle della Siria. 

E il calvario siriano continua. Sembra che si stia passando alla terza tappa, dopo quella della carestia: la terra bruciata.  


Quando Aleppo nel 2012, e poi Idlib nel 2015, furono attaccate dagli amici di François Hollande e Laurent Fabius (il ministro francese che disse: “Al Qaeda fa un buon lavoro in Siria”), gli abitanti di questi due governatorati fuggirono in massa dalla loro regione e furono accolti con affetto dai loro compatrioti nelle due grandi città della costa: Lattaquieh e Tartous. Adesso, le famiglie che abitavano nelle campagne intorno a Lattaquieh e Tartous hanno dovuto a loro volta fuggire dal fuoco, trovandosi d’improvviso prive di tutto. 

Case distrutte. Gli uliveti e agrumeti inceneriti dalle fiamme.

Sembra che il calvario non abbia fine.


La scomparsa della Siria, o l’esodo massiccio del suo millenario popolo avranno gravi conseguenze per tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo, se non per il mondo intero. 

Non lasciate morire la culla dell’umanità. 

Salvatela, per il futuro dei vostri figli e anche per l’equilibrio del mondo. 

           Said Hilal Alcharifi , da Damasco

(traduzione di Marinella Correggia)

martedì 6 ottobre 2020

Dal monastero trappista "Nostra Signora Fonte della Pace” ad Azeir, in Siria.


Vatican News, 6 ottobre 2020

Un piccolo gruppo di suore dedite alla vita monastica e alla preghiera in un Paese sconvolto dalla guerra. Una presenza che è segno di una Chiesa "in uscita", testimonianza della presenza di Dio anche tra le macerie siriane. E’ la storia delle monache trappiste di “Nostra Signora Fonte della Pace” di Azeir, tra le città di Tartum e Homs, vicino al confine con il Libano. 

Ad accendere in loro il desiderio di andare, nel 2005, il tragico martirio dei monaci di Tibhirine, rapiti e uccisi nel 1996. Una morte violenta che bisognava sanare con la preghiera, raccogliendo l’eredità di “una vita in Cristo” in un Paese abitato da fratelli di diverse fedi. Quindi prima l’arrivo ad Aleppo e poi il trasferimento sulle colline siriane ad Azeir.

Sei suore che, in un nuovo contesto, riscoprono “la consacrazione e l'esperienza monastica viva, non solo come antica tradizione dei Padri, ma come qualcosa che oggi può dare senso, gusto, vita e bellezza a un'esistenza”. Così racconta suor Marta Fagnani, originaria di Como, monaca di clausura, che si fa portavoce del dolore siriano. “Il popolo il naturalmente soffre per le conseguenze di questa durissima guerra, andiamo verso il decimo anno di un conflitto molto duro che ha avuto fasi diverse – spiega la religiosa - direi che in questo momento pesa quasi di più la conseguenza di questa realtà precaria che si è creata per la distruzione delle strutture, la mancanza di lavoro, l'esodo di tanti siriani”. Suor Marta parla della “mancanza di medicine, di materie prime”, di tante zone in cui si “fa la fame”.

Ascolta l'intervista a suor Marta Fagnani

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/10/02/11/135736789_F135736789.mp3


La resilienza

“Siamo stupite – racconta - della resilienza e della capacità di sopportazione” dei siriani ma anche della loro reazione e “della forza di vita” vista in questi anni. “Non so fino a quando questo durerà – spiega suor Marta – perché questo momento è quasi più duro rispetto agli anni del conflitto vero e proprio”. Allora c'era la speranza che un giorno la guerra sarebbe finita, “ma la situazione di questi ultimi due anni è segnata proprio dalla mancanza di speranza”. “E’ sempre più difficile per i nostri giovani sperare, in alcune zone ancora non si vede una possibilità reale di lavoro, di vita sicura e anche degna per la gente”. 



Il meraviglioso e salutare 'sapone di Aleppo' prodotto dalle Trappiste di Azeir si vende in Italia tramite il sito dei Prodotti di Valserena 
https://www.prodottivalserena.com/prodotto/sapone-delle-monache-di-azer/



Suor Marta racconta della loro presenza, della vicinanza alla gente che si traduce non solo in preghiera ma anche nell’aiutare i ragazzi nello studio, nel pagare i mezzi per andare in università, le medicine dei malati. “Abbiamo aiutato le persone – aggiunge - a comprare il gasolio, a sistemare le case danneggiate dalla guerra”, a sostenere alcuni operai che nel lavoro ritrovano la dignità. 


Infine il pensiero di suor Marta va alla fraternità che si vive tra cristiani e musulmani, “un qualcosa di quotidiano e naturale”. “La Siria non è un Paese di grandi dibattiti teologici. Viviamo insieme in un rispetto che nasce soprattutto da un fatto: che tutti noi, cristiani, musulmani e altri, viviamo la vita davanti a Dio, sentiamo Dio presente nella vita. E questo ci permette di stare insieme, di vivere insieme, un vero atteggiamento di vita che riceviamo da Dio e a Dio torna”.

lunedì 28 settembre 2020

Voci dalla Siria

Aleppo, 21 settembre 2020. (Foto di Pierre le Corf)

di Maria Antonietta Carta

Damasco, 26 settembre 2020. Pierre le Corf, un umanitario francese che da molti anni condivide la vita e i patimenti della popolazione siriana, scrive: ‘’La vita qui si svolge tra guerra e sanzioni economiche, crimine contro l’umanità. Se riuscite a sopportare ciò senza che il vostro cuore tremi, proseguite per la vostra strada; altrimenti, considerate chi paga il prezzo di questa partita mortale su grande scala contro un Paese e la sua gente e tenete il cuore aperto’’.

Latakia, 18 settembre 2020. Rami Makhoul scrive: ‘’Che sapore ha la vita se non resta più spazio per la speranza? Tutto il popolo siriano è sotto la soglia di povertà e la nostra esistenza è diventata un inferno insopportabile? Questo non è veritiero del tutto. Non rispecchia puntualmente la realtà dei fatti.

In Siria oggi, esiste uno strato della popolazione che è riuscita, in breve tempo, a creare enormi ricchezze con la forza, con l'influenza e con il potere del denaro: corrotti, opportunisti, ladri e trafficanti della crisi. Essi sono riusciti a raddoppiare il loro denaro. Il meno che si possa dire è che sono percorsi illegali. Ma la domanda più importante che si pone è: Quale soluzione per affrontare questa condizione anomala e difficile che stiamo vivendo? Emigrare può essere la soluzione?

Un buon numero di Siriani ha bussato alle porte dell'emigrazione. Hanno chiesto asilo ​​in Paesi lontani. Estranei. Alcuni di loro sono riusciti a ottenerlo, ma la stragrande maggioranza non ha acquistato un'identità alternativa a quella originaria.

Sono ancora disponibili opportunità di lavoro all'estero, soprattutto in Libano, Iraq o Paesi del Golfo? Purtroppo, le opportunità sono diventate quasi inesistenti a causa delle battute d'arresto subite dalle economie di questi Paesi come effetto collaterale della pandemia, che ha provocato un crollo clamoroso dei sistemi economici tradizionali.

Ci sono altre soluzioni a cui ricorrere oltre a emigrare e lavorare all'estero? Purtroppo, non ci resta che cercare di rimanere in vita e affrontare le grinfie della fame... oppure rassegnarci e morire sconfitti. La sofferenza è indescrivibile. Enorme quasi per tutti. Molti di noi si rimproverano per non aver ceduto alla scelta di partire nel momento in cui le condizioni per l’emigrazione erano favorevoli, ma nessuno merita di essere biasimato per aver scelto di vivere nel proprio Paese come alternativa naturale all’emigrazione. Il senso di appartenenza alla patria è non soltanto istintivo, ma anche ragionevole per ogni essere umano ovunque si trovi.

Smettete di incolpare voi stessi per avere voluto aggrapparvi alla vostra identità ed essere rimasti fedeli alla memoria e ai vostri cari. E per avere rinunciato all’esodo nonostante l'amplitudine delle sofferenze e le difficoltà immani.

Si sa che niente dura per sempre, che tutto muta e che nella nostra terra natale c’è davvero qualcosa per cui resistere e vivere. Stiamo tutti in attesa della liberazione affinché la nostra esistenza migliori, ma anche per ritrovare il diritto di fare i conti con i corrotti e i negligenti. Insomma, perché la ruota della vita torni a girare normalmente. Questa nostra vita che perde gusto e colore, se non concediamo spazio alla speranza del rinnovamento e del ritorno ai bei vecchi tempi. A come eravamo.’’

Rami, che è stato per molto tempo il dentista della nostra famiglia ed era un ragazzino quando arrivai in Siria nel 1978, alla vigilia del primo embargo contro il Paese, ha vissuto 40 anni di sanzioni. Quasi la sua vita intera. La madre, Nawal, era una donna gentile e sensibile, ma aveva anche una grande forza d’animo. Però nel 2011, quando per le strade di Latakia si cominciarono a udire voci che gridavano: i cristiani a Beirut e gli Alawiti nelle tombe, lei ormai vecchia e fragile si spaventò molto perché è cristiana. Eppure, ha resistito. Madre e figlio hanno resistito con quella tempra morale che ammiro e mi commuove nei Siriani che da quasi dieci anni stanno subendo una persecuzione efferata soltanto perché resistono.

Latakia, 24 settembre 2020.
Taxi in attesa da un benzinaio.
(Foto di اللاذقية الآن)

Latakia, 23 settembre 2020. Lilly Martin Sahiounie, Statunitense sposata con un Siriano, che ha sofferto questi lunghi anni di guerra a Latakia, scrive: ‘’In Siria stiamo vivendo una grave carenza di benzina perché le forze armate statunitensi hanno confiscato tutto il petrolio dei due più grandi pozzi petroliferi. Attendiamo dall’estero l’arrivo di due petroliere, ma c'è la possibilità che siano bloccate prima di giungere in porto. Nel frattempo, anziani e malati che hanno bisogno di un mezzo di trasporto per andare dal medico o per altri motivi urgenti, sono quelli che soffrono maggiormente. Un'altra sanzione degli Stati Uniti che rende la vita in Siria un amaro cammino che a molti sembra senza speranza. La cosa triste è che la Siria è così bella e piena di persone adorabili: cordiali e generose. Perché il governo americano dovrebbe pensare che far soffrire i Siriani sia una buona cosa? Riponiamo la fede in Dio e speriamo in giorni migliori senza truppe americane di occupazione che rubano il petrolio.’’

Latakia, 24 settembre 2020, Code di auto, in attesa di poter raggiungere un distributore, ai lati della lunga via 8 Marzo e che proseguono nelle vie circostanti. (Foto Milagros de la Fuente)


Latakia, 25 settembre 2020. Milagros de la Fuente
, spagnola da oltre quaranta anni in Siria e anche lei vittima di questa guerra maligna. Ieri, mi ha inviato foto e cronaca delle code, lunghe perlomeno cinque chilometri, che da giorni ingorgano le vie della città in attesa di qualche litro di carburante. Il che significa migliaia di tassisti e camionisti fermi, lunghi spostamenti a piedi per recarsi a scuola e al lavoro, vecchi e ammalati che non possono andare dal medico… 

Poi al telefono mi ha detto: "Non puoi immaginare quanto costi un chilogrammo di carne di agnello: venti mila lire‘’ (più di un terzo di uno stipendio medio mensile). E siccome, nonostante una quotidianità a ostacoli per l’endemica mancanza di elettricità, di acqua, gas, 44 gradi all’ombra senza poter usare uno straccio di ventilatore e tante altre difficoltà riesce ancora a conservare la sua bella ironia, ha aggiunto: ‘’ Se non ci uccideranno le bombe moriremo tutti vegetariani! Anzi no, moriremo tutti per digiuno. Ricordi quanto costavano a ottobre prima della guerra i pomodori per la salsa?’’ 20, 30 lire, le ho detto. ‘’ Ecco, oggi costano 600 lire al chilo. Non smetteranno di farci la guerra prima di sterminarci tutti‘’. Ridiamo, come siamo sempre solite fare quando non ci va di farci schiacciare dalla vita, ma la sua voce è stanca e io provo una tristezza infinita.

Latakia, 22 ottobre 2019. Rimasto senza lavoro, per sopravvivere va alla ricerca e vende interruttori e fili elettrici vecchi. Una delle innumerevoli vittime della ‘’guerra umanitaria’’ che commina sanzioni mentre saccheggia le ricchezze della Siria. (Foto, M.A.Carta)

Quaranta anni di sanzioni per assoggettare la Siria

Torno ancora sul tema delle sanzioni, perché mi è impossibile non continuare a denunciare questa subdola arma di distruzione di massa che trova il suo compimento più atroce nelle rinnovate sanzioni europee contro una popolazione ormai allo stremo e sul cinicamente denominato ‘’Caesar Syria Civilian Protection Act’’: un vero e proprio strumento genocidiale che, se non sarà sospeso, sottoporrà al supplizio un intero popolo civile e valoroso.

Durante il mio viaggio a Latakia dell’autunno scorso, ho potuto constatare ancora una volta quanto i Siriani siano provati e straziati da questa persecuzione spietata e senza tregua che dura da oltre quarant’anni. Sì, perché la persecuzione economica contro la Siria non è iniziata con la guerra che attualmente la sta devastando.

Quando vi giunsi per la prima volta nel 1978, in un bel giorno di fine estate, la Siria era un cantiere in piena attività: si costruivano edifici residenziali (in parte destinati a militari reduci della guerra del 1973 o alle famiglie di chi in guerra era morto), scuole anche nei villaggi più sperduti, ospedali e Università. Poi, di repente, nel 1979 arrivò l’embargo, decretato dagli Stati Uniti e messo in pratica da tutti i suoi ‘’alleati’’ per punire la Siria che stava dalla parte dell’Iran, Paese aggredito, nella guerra con l’Iraq, Paese aggressore. Fu così che cominciai a imparare quali terribili conseguenze genera l’impiego delle sanzioni: un ricatto ignobile con gli stessi effetti deleteri dell’assedio medievale. L’embargo significò allora traffici commerciali bloccati anche per le enormi quantità di derrate di ogni genere che attraverso le vie terrestri e marittime giungevano a Latakia o ad Aleppo, destinate non soltanto al mercato locale ma a vari Paesi mediorientali. La prima conseguenza fu l’improvvisa perdita del lavoro per centinaia di migliaia di persone: impiegati, marittimi, portuali, camionisti, commercianti, artigiani, che prima conducevano un’esistenza dignitosa. Quindi fame, mancanza di tutti i prodotti essenziali di importazione dall’aspirina ai farmaci salvavita (non esistevano ancora fabbriche farmaceutiche locali), ai macchinari di ogni genere, al ferro per l’edilizia etc. etc. E ci fu una crescita aberrante della corruzione e del malaffare. Aumentarono povertà e privazioni contemporaneamente alla ricchezza scandalosa di affaristi senza scrupoli, autoctoni e internazionali in perfetta combutta, che si trasformarono purtroppo in imprescindibili procacciatori di tutti i beni indispensabili. Proprio come accade oggi. Perché quando a un intero Paese con scarsa autosufficienza di alcune materie prime e di industrie si impedisce l’attività commerciale lecita esso diventa ostaggio e vittima dell’illegalità.

E' difficile immaginare il numero di mutilati o morti per la mancanza di antibiotici, ma persino di sostitutivi del latte materno o di glucosio! o a causa di tante altre privazioni. Io, che ho vissuto in Siria per oltre trent’anni, so. I miei ricordi, indelebili e tremendi, sugli effetti nefasti delle sanzioni sono così tanti che servirebbero ore e ore per rievocarli tutti. Ho visto troppi sventurati patirne le conseguenze, perciò al solo sentirle menzionare provo sempre un dolore profondo. E rabbia, perché le sanzioni sono uno strumento irragionevole, spregevole, disumano.

Anche quelle dal 2006 fino al 2012 causarono danni molto gravi.  La Siria attraversava una difficile crisi a causa di una lunga siccità e per un conseguente aumento del proletariato urbano. Inoltre, doveva affrontare un aggiuntivo costo economico e sociale dovuto alle centinaia di migliaia di rifugiati iracheni, dopo la seconda guerra del Golfo, e di quelli libanesi in seguito alla seconda guerra israelo-libanese del 2006; perché è da sempre accogliente: con gli Armeni perseguitati dai Turchi, con i Palestinesi, con i vicini Libanesi, persino con gli Italiani durante la Seconda guerra mondiale e con tanti altri.

Il motivo pretestuoso fu: dare una risposta alla "minaccia inusuale e straordinaria del governo siriano agli interessi economici, di sicurezza nazionale e di politica estera degli Stati Uniti’’ (sic!). Sinceramente: vi sembra davvero credibile che un Paese più piccolo dell’Italia e con poco più di venti milioni di abitanti potesse costituire una così terribile minaccia per la prima potenza mondiale? Di certo, posso dire che dopo aver demolito l’Iraq si apprestavano a ripetere gli stessi crimini scellerati. Insomma, sanzioni propedeutiche all’inizio del caos in Siria. Ancora di più, molto di più, sono ferali oggi che questo infelice popolo è stanco, anzi stremato e dilaniato da un conflitto brutale che dura da oltre nove anni. Il costo della vita diventa proibitivo anche per chi prima era benestante, perché l’economia di un intero Paese è condannata. Una condanna iniqua contro vecchi, bambini, malati, mutilati, uomini e donne incolpevoli, con la giustificazione paradossale di ‘’misure umanitarie’’. 

Maria Antonietta Carta