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mercoledì 10 giugno 2020

L’impiego arbitrario delle sanzioni contro un popolo innocente e fiero.


Opera dello scultore siriano: Nizar Ali Badr





Di Maria Antonietta Carta
Il popolo siriano, che patisce indicibili tormenti da oltre nove anni a causa di una guerra iniqua ed efferata, è anche vittima di una vile e crudele coercizione morale e fisica. Utilizzando il ricatto delle sanzioni, disonorevole arma di una Civiltà incivilissima, l'Occidente ne oltraggia la dignità e la fierezza e lo condanna all'annientamento con la deprivazione del soddisfacimento dei bisogni essenziali: salute, istruzione, e nutrimento.
Dopo l'usurpazione dei campi petroliferi, gli incendi di campi di grano, il furto dei raccolti e dei tesori archeologici a opera dei complici turchi, ecco in arrivo, per completare l'opera, il cinico ''Caesar Syria Civilian Protection Act'', sadicamente elaborato e inflitto dai nostri governanti criminali alla Siria.

Maen, commentando queste mie parole in un post contro le sanzioni alla Siria, mi ha offerto la sua preziosa testimonianza. Egli vive e patisce in una zona che i terroristi occupano devastandola, saccheggiandola, esercitando ogni genere di abusi, ma soprattutto distruggendo l'armonia e l'unicità del tessuto sociale frutto di una preziosa cultura plurimillenaria. Tutto ciò per le mire neocolonialiste ed espansionistiche di un Occidente cinico, avido, prepotente al guinzaglio del Sionismo. Un Occidente che pretende ipocritamente di voler offrire ai Siriani libertà e democrazia mentre li condanna a morte con le bombe e con sanzioni inique e illegali. Il “Caos costruttivo''!
Maen scrive:  ''Per pochi mesi di chiusura [a causa del COVID19] il mondo intero ha sofferto. Noi, in Siria, oltre alla distruzione della guerra da dieci lunghi anni, dobbiamo affrontare l'odio occidentale che sta accrescendo la miseria, le malattie, la fame. Tutti ci domandiamo: Quando questo Occidente sarà finalmente sazio del nostro sangue? Perché tanto odio? Cosa abbiamo fatto di male all'Occidente per essere ripagati con tutta questa brutalità? Popoli cosiddetti civili, che parlano di libertà, democrazia e diritti umani, impongono al mondo intero di applicare le più severe sanzioni contro pochi milioni di pacifici abitanti. Feriti, ammalati, affamati, sfollati in nome dei ‘diritti umani’ e 'per aiutare il popolo siriano’! Ci chiediamo anche: Non è ora che i popoli occidentali si sveglino e si liberino da queste menzogne americano-sioniste e tornino a essere liberi di praticare la loro umanità?''.

Nel 2011, Nibal era un ragazzo gentile con tanti sogni da realizzare, ma da anni fa il soldato e non vede crescere le sue due splendide bambine che adora e che anche quando giocano o ridono hanno gli occhi tremendamente tristi per l’assenza del loro papà e per il timore di perderlo. Sono stata insieme a loro l’estate scorsa e con l’emozione per il dono della loro tenerezza affettuosa, perché mi hanno adottata come nonna, conservo il ricordo lancinante dell’angustia profonda celata dietro i loro sorrisi.
Nibal in un commento allo stesso post scrive: ''La guerra economica è più crudele della guerra militare. La gente muore di fame e di miseria. Cosa vogliono da noi? Noi non ci arrenderemo mai.''
Due giorni dopo, in un altro messaggio mi confida: ‘’Pensavo che questa guerra fosse quasi finita, ma adesso ho capito che sta ricominciando. Questa guerra tocca il popolo direttamente’’.

Certo, caro Nibal. Questa guerra è contro l'anima della Siria, e l'anima della Siria che resiste è il suo popolo. Se ha resistito tanto, si deve molto alla vostra forza di carattere. Coloro che intendono distruggerla e frammentarla temono ormai la vostra resilienza civile e morale forse più della resistenza armata. Ecco perché sono disposti a immolarvi.

La situazione è oggi più tragica che mai. Mentre sto terminando questo articolo, ricevo una telefonata da Latakia. È una cara amica: ‘’ Maria, non ho avuto mai paura e poche speranze quanto ora – mi dice – In alcune zone sono riprese le proteste pilotate, come nel 2011, in altre la popolazione è davvero ridotta alla fame, i prezzi continuano a salire follemente e in pochi giorni si sono moltiplicati anche per cinque. Molti negozi ormai restano chiusi. Sono tutti coalizzati contro di noi. Non vogliono che la Siria continui a esistere’’.

In Europa, si crede che la Siria sia lontana, invece è vicinissima. La sua immane tragedia colpisce anche noi (pensiamo per esempio al blocco degli scambi commerciali) e ci colpirà sempre più, anche se ci illudiamo di esserne immuni. Non possiamo permetterci di essere indifferenti.

Tra sanzioni, pandemia e guerra, la lotta dei siriani per la sopravvivenza

Continua l'agonia del popolo siriano segnato da una guerra lunga ormai 10 anni, piegato dalla crisi economica e da sanzioni internazionali di cui paga gli effetti devastanti. Non è la pandemia a preoccupare ma la priorità oggi è: "sopravvivere".
Testimonianze da Damasco e Aleppo. L'appello: "rimuovete le sanzioni"

di Daniele Rocchi,  S.I.R. 10 giugno 2020
Siamo entrati nell’oblio. Chiediamo alla comunità internazionale di rimuovere le sanzioni che impoveriscono ogni giorno di più i siriani. Sono contro i diritti umani, sono disumane perché penalizzano tutta la popolazione. Qui la gente sta morendo di fame. Non ci sono medicine. Non c’è lavoro”. 
È il monito di mons. George Abou Khazen, vicario apostolico latino di Aleppo, città martire della guerra siriana, entrata ormai nel suo decimo anno. 
Non è solo il conflitto a preoccupare l’arcivescovo, e nemmeno il Covid-19. A strangolare progressivamente la popolazione siriana, dice, sono “le sanzioni internazionali e i suoi effetti”. L’Ue ha prorogato, il 28 maggio scorso, le misure restrittive contro il regime siriano per un altro anno, fino al 1 giugno 2021. Dal 17 giugno, invece, dovrebbero entrare in vigore quelle decise dal presidente Usa, Donald Trump, contenute nel “Caesar Syria Civilian Protection Act”.  Le sanzioni Ue, introdotte nel 2011 “in risposta alla repressione del regime siriano della popolazione civile”, colpiscono aziende e imprenditori che hanno rapporti commerciali con il regime e con l’economia di guerra. Le sanzioni, tra le altre cose, vietano l’importazione di petrolio, impongono restrizioni su determinati investimenti e su attrezzature e tecnologia che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna. Il “Caesar”, dal canto suo, imporrà sanzioni sui leader siriani, società, Stati e individui che appoggiano militarmente, finanziariamente e tecnicamente il governo di Assad e i suoi alleati Russia e Iran. Altre sanzioni Usa sono in vigore già da prima dell’insurrezione del 2011.
La comunità internazionale si faccia un esame di coscienza: per noi le sanzioni sono un crimine” rimarca il Vicario - “Siamo molto delusi dall’Ue. Chissà cosa accadrà con l’entrata in vigore del Caesar Act di Trump. Abbiamo bisogno della pace, ma adesso la priorità è sopravvivere”.
La vera paura e la crisi del Libano.  A confermare al Sir la gravità della situazione in Siria sono alcune fonti locali che vogliono restare anonime:
Ad oggi la vera paura dei siriani non è la pandemia ma la povertà generata da anni di guerra, di sanzioni e di crisi economica”.
Il termometro della crisi oggi è la svalutazione della moneta locale che sta provocando un’impennata dei prezzi per tutti i beni compresi cibo e medicine. A giocare un ruolo determinante nella svalutazione della lira siriana è la crisi finanziaria libanese. Per la Siria, infatti, il Paese dei Cedri è sempre stato una strada aperta verso il mondo esterno, soprattutto dopo l’imposizione delle sanzioni occidentali. In Libano sono depositati i conti e i risparmi di tantissimi siriani e le banche libanesi hanno favorito i commercianti e imprenditori siriani nei loro affari. Almeno fino a pochi mesi, quando le avvisaglie della crisi che avrebbe portato il Libano al default nel marzo di quest’anno, hanno di fatto provocato restrizioni bancarie nella vendita di dollari, nel ritiro dei risparmi e causato il blocco dei depositi siriani nelle banche libanesi. Al crollo della sterlina libanese ha fatto seguito anche quello della valuta siriana.
Così ogni giorno assistiamo ad un calo della nostra moneta con conseguente salita dei prezzi – dichiarano le fonti -. La gente non ce la fa a comprare da mangiare. Nelle ultime sei settimane la lira siriana ha perso circa il 65% del suo potere di acquisto. Se prima un dollaro era scambiato a 1000 lire siriane, adesso ce ne vogliono oltre 3000. All’inizio della guerra (2011) per un dollaro servivano 50 lire”.
E chi sperava che con la fine del lockdown i locali e negozi delle città siriane tornassero a riempirsi si è dovuto ricredere. Per il rilancio dell’economia bisognerà attendere ancora: “Con i prezzi è cresciuta anche la disperazione e la rabbia della gente”.
Mancano medicine e chiudono le farmacie. Gravi le ripercussioni anche sul sistema sanitario, già disastrato dalla guerra:  “Le industrie farmaceutiche siriane hanno smesso di produrre per mancanza di materie prime molto costose da reperire. Il prezzo di produzione è più alto di quello fissato dal Governo per la vendita. Dunque produrre medicine significa perdere denaro. Ne deriva una carenza di medicinali e la corsa all’accaparramento specie di quelli per le malattie croniche. Molte farmacie hanno chiuso per mancanza di forniture. Ci sono ospedali che faticano a rifornirsi anche di carta igienica e di presidi medici di uso comune”. 
In questo quadro a tinte fosche, chi continua a curare gratuitamente i più vulnerabili di Damasco e Aleppo sono i tre nosocomi cattolici del progetto “Ospedali Aperti”, ideato dal card. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, che ne ha affidato la gestione ad Avsi, organizzazione internazionale che opera su più fronti per dare sostegno alla popolazione siriana. Nell’Ospedale Italiano e Francese di Damasco, e in quello di St. Louis ad Aleppo, spiegano da Avsi, “si continua a curare la popolazione. L’impegno è cercare di accogliere un numero sempre più alto di malati e salvare più vite possibile. In questi anni sono cresciute patologie gravi come i tumori, specie tra i giovani”.
Contro le sanzioni. Chi si sta battendo contro le sanzioni alla Siria è l’ong New Humanity, con la sua associata Amu – Azione per un Mondo Unito, che ha lanciato un appello per chiederne l’immediata sospensione “almeno per le forniture sanitarie e i materiali destinati alle cure mediche e per i fondi necessari per pagarle”. I destinatari dell’appello, firmato fino ad oggi da oltre 17 mila persone, sono tra gli altri António Guterres, Segretario Generale Nazioni Unite; Donald J. Trump, Presidente degli Stati Uniti d’America e David M. Sassoli, Presidente Parlamento europeo.
Un’iniziativa, spiegano al Sir le ong promotrici che fanno capo al movimento dei Focolari, “al di sopra di qualsiasi orientamento politico o ideologico con l’obiettivo di salvaguardare la popolazione civile siriana”. “Le sanzioni – dicono le ong – bloccano investimenti e transazioni finanziarie rendendo difficili i commerci, importazioni e esportazioni. I siriani che sono all’estero non riescono più a far arrivare soldi ai loro parenti”. Le ong non mancano di segnalare “un velo di ipocrisia sul tema delle sanzioni:
hanno posto l’embargo all’acquisto del ferro perché potrebbe essere usato a fini bellici e poi fanno arrivare qui in Siria armi da ogni dove. Piuttosto che impoverire il popolo siriano con le sanzioni, Ue e Usa dovrebbero trovare strade di dialogo per una soluzione negoziata del conflitto. In Siria prima d’ora non abbiamo mai visto gente che cerca cibo nell’immondizia e persone che vendono reni per avere soldi”.
Anche l’Associazione pro Terra Sancta, che fa riferimento alla Custodia di Terra Santa, invoca lo stop all’embargo alla Siria, così come le Trappiste siriane. In una lettera le religiose chiedono la fine delle sanzioni che pure, affermano, “non sono l’unica causa di tutti i problemi in Siria. Ci sono tante responsabilità, anche interne. Ora c’è una guerra economica in corso, una guerra di spartizione di aree di potere, di privilegi economici, di influenze sul territorio”. Per questo il sistema politico-economico interno è chiamato a combattere la corruzione e a promuovere la crescita, facendosi carico dell’interesse del paese aiutando tutti i cittadini”.

lunedì 8 giugno 2020

Le Trappiste dalla Siria: "dateci una mano a non rendere per i Siriani 'speranza' una parola troppo difficile"


da Azeir, Syria, 8 giugno 2020

Non si sa più cosa dire.. Cosa dire ancora, dopo tante parole di molti, e parole autorevoli!, che, almeno apparentemente, non hanno però la forza di cambiare nulla.

Avevamo sperato che, in Europa, l’esperienza della precarietà, l’esperienza della vita minacciata così da un giorno all’altro, l’esperienza della morte così vicina, facesse comprendere un po’ di più cosa avesse significato per tanti Siriani vivere otto, nove anni, con la morte che cammina accanto, per strada, con l’idea di uscire di casa senza sapere se saresti ritornato, se avresti rivisto i tuoi figli.

Ma anche, non meno drammaticamente, la fatica per lavorare, per dare il necessario alla propria famiglia, l’angoscia di trovarsi senza lavoro e col futuro chiuso….
Certo, quando ci si è dentro, è già abbastanza pensare ai propri problemi...
Però… invece sono state RINNOVATE, ANCORA E DI PIU’, LE SANZIONI ALLA SIRIA.

Alla Siria, vuol dire ai Siriani : persone, come me e come te, uomini donne bambini….Non ai politici, non ai capi. Le sanzioni sono contro la gente.

Certo, chi decide di imporle lo sa bene: esasperare la gente per far cadere chi governa, là dove non si è riusciti con le armi. Ma è morale USARE la sofferenza dei popoli per fare politica?

Apriamo gli occhi ! Adesso che questo sistema diventa più evidente anche in Italia (facendo leva sulla paura della malattia, per chi lo vuole vedere...) si possono ancora tollerare scelte come quelle delle sanzioni applicate ad altri paesi ?

Noi italiani, che vediamo cosa stiamo subendo da parte dell’Europa, non riusciamo davvero ad essere solidali con paesi che subiscono le sanzioni, a capire quanto questo sistema possa essere ingiusto per la gente ?

Cosa si può fare ? Almeno, essere sensibili, capire il problema, capire il DRAMMA di questo popolo.

Cosicchè, se domani qualcuno lancerà ancora un appello a togliere le sanzioni, essere almeno d’accordo, mettere una firma, sostenere la causa.. CAPIRE IL PROBLEMA.

Chi impone le sanzioni, lo può fare appoggiandosi a un sistema che lo giustifica. Togliamo questo consenso ad azioni simili, indeboliamo il consenso a questo modo di gestire politica ed economia…Non è vero che non possiamo fare nulla. Possiamo cominciare a pensare con la nostra testa, tenendo davanti agli occhi l’UOMO e non l’interesse di pochi. Se facciamo questo, sarà già tantissimo.

Noi, da qui, pur essendo in monastero, ci rendiamo conto che c’è chi cerca di portare avanti altre strade, una “economia umanistica” che abbia alla base valori di cultura, di morale, di visione dell’uomo… Per favore, partecipate a queste strade nuove, informatevi, collaborate per cambiare questo sistema che sembra inattaccabile, ma in realtà non lo è. Dipende da ciascuno di noi.

Perché noi, monache, scriviamo di questo ? Perché la gente attorno a noi sta morendo-letteralmente-di fame. Di malattia. Non perché c’è il virus! Ma perché non trova più le medicine “normali”, per il diabete, per la pressione, per i tumori, per il cuore.. Perché le farmacie sono chiuse da una settimana, perché le fabbriche di medicinali non hanno più possibilità di importare materie prime e non fabbricano più..

Perchè la lira siriana è svalutata di ora in ora, due giorni fa un dollaro valeva 2000 lire ( all’inizio dell’anno 650 !), ieri 2500, oggi 3000 ! Di 500 lire in 500… un chilo di zucchero 1400 lire ? quando uno stipendio mensile è- ad andar bene- di 60.000 lire ??? I negozianti che non vendono più le scorte, perché gli si svaluta la merce di ora in ora…Poi ci si stupisce che la gente si arrangi come può ??

Noi cerchiamo di integrare l’inflazione delle paghe dei nostri operai.. ma è difficile.. Banche paralizzate in Libano, sistema economico fermo. Difficoltà a fare arrivare gli aiuti..

Provate a rendervi conto di questo…Sappiamo che i problemi sono tanti, anche in Italia.
Ma pensare non costa, anzi.. E’ un investimento per tutti, in termini di umanità..

Cercare di essere pronti, quando si presenta qualche occasione per fare la differenza, almeno di pensiero...

I problemi in Siria sono dovuti tutti alle sanzioni ? No, certamente. Ci sono tante responsabilità, anche interne. Come si può immaginare, il tempo dopo la guerra armata è più difficile. Ora c’è una guerra economica in corso, guerra di spartizione di aree di potere, di privilegi economici, di influenze sul territorio.. Chi era contro la Siria, continua ad esserlo e non si arrende nel fare pressione: come i terroristi ( sostenuti da chi ??) che ancora bruciano i campi di grano nel nord del paese...

Chi era con la Siria, ora rivendica la sua parte… Anche il sistema politico-economico interno, che ha resistito con tutto il diritto nel difendere la sovranità del paese, ora rischia di mettere in gioco questa stessa sovranità se non si prende cura adeguatamente delle sofferenze del popolo nel suo insieme…Se non combatte la corruzione, se non promuove la crescita, in poche parole se non si fa carico dell’interesse del paese aiutando tutti i cittadini.

E se bisogna essere sinceri non è chiaro, almeno per noi persone esterne ad ogni “circuito” di interesse, capire cosa veramente si sta muovendo attorno e all’interno della Siria e del Medio Oriente in questo momento.

Ma almeno non appesantiamo ulteriormente questa situazione! Interveniamo, almeno per quanto riguarda le sanzioni…. Lo hanno chiesto in tanti, ormai, ci uniamo , ancora una volta, anche noi…



In questi giorni abbiamo incontrato una bella realtà, una parrocchia molto attiva nella cittadina di Rahble, nella zona del Qseir ( sì, per chi ha seguito è dove c’è stata una guerra dura e lunga con i ribelli). Un parroco generoso, un bel gruppo di giovani delle Superiori e dell’Università… Noi a dir loro che sì, vale la pena resistere, che dobbiamo cercare le forze e le risorse in noi stessi… Inutile seguire il mito di andare da un’altra parte…

Però, dateci una mano anche voi, da lì, a non rendere per loro la speranza una parola troppo difficile !

    Le sorelle Trappiste dalla Siria

AGGIORNAMENTO DEL 15 GIUGNO:
La redazione di Ora pro Siria ha ricevuto alcune domande di chiarimento circa l'intento della lettera delle Monache, che abbiamo girato alle Sorelle.
La superiora, suor Marta, ci ha risposto così:
Qualcuno ci chiede "ma alla fine, che cosa volete dire con la vostra lettera?".
Proviamo a spiegarlo. Da una parte volevamo unire la nostra voce per denunciare la situazione insostenibile per la gente siriana, dall'altra volevamo dire che ciò che accade ancora oggi, come in tutti questi anni, è frutto non tanto di una situazione locale, ma di un sistema globale di finanza e geopolitica, che usa i popoli e le nazioni solo come pedine, per il proprio interesse.
E' inutile agire sugli effetti, se non si cambiano a monte le cause (in questo senso, detto per inciso, dispiace che qualcuno abbia ripreso solo alcune frasi del nostro scritto, per condannare ciò che accade all'interno della Siria, senza sottolineare la responsabilità esterne molto più pesanti, in questo tragico gioco).
E' importante aprire gli occhi, e non solo riguardo alla Siria! Noi da qui speriamo in cambiamenti profondi in Italia: che il nostro paese sappia ritrovare il suo ruolo culturale nel Mediterraneo, ribaltando le logiche perverse del sistema economico europeo.. tanto per fare qualche esempio..."

giovedì 4 giugno 2020

Caesar Act e Sanzioni Europee: Governi occidentali puniscono collettivamente i civili siriani con embargo economici distruttivi


Rapporto di Tom Duggan


Il governo siriano cerca di garantire che le medicine abbiano un prezzo accessibile per la popolazione siriana limitando il prezzo dei farmaci, ma l’industria farmaceutica siriana ora ha bisogno di aumentare i prezzi per sostenere i costi di produzione.

Questo è dovuto principalmente a due fattori: 1) le sanzioni, 2) l’economia.
Alcune fabbriche chiudono e alcune altre riducono la forza lavoro.
E’ estremamente difficile trovare le materie prime per fare le medicine di base in una situazione di sanzioni e anche per via dei tassi di cambio dollaro/lira siriana.

La maggior parte dei siriani guadagna lo stesso salario di prima della guerra iniziata nel 2011, ma il costo della vita è assolutamente aumentato, diventando insostenibile per la gran parte delle famiglie.

Al tempo stesso le industrie farmaceutiche affrontano prezzi di produzione più elevati, che si riverberano sulla gente bisognosa di medicinali. Il governo siriano sta negoziando con i produttori.

Il secondo problema viene dalle sanzioni. Gli Stati Uniti furono i primi a introdurle nell’aprile 2011 contro cinque persone chiave, ed altre entità del governo siriano. Questa misura fu seguita poco dopo da sanzioni simili imposte dall’UE. Gli USA estesero le sanzioni il 18 agosto 2011. 
Il 3 settembre 2011 l’UE fece lo stesso, prendendo di mira l’offerta, il trasporto, il finanziamento e l’assicurazione del petrolio siriano e dei prodotti petroliferi. Questo fu l’inizio, seguito da ulteriori sanzioni contro persone ed entità nel 2013, sempre senza possibilità di negoziare.

Seguirono negli anni :
- la messa al bando della fornitura di certi servizi circa la strumentazione per il monitoraggio e l’intercettazione delle comunicazioni
- bando alle importazioni di petrolio grezzo e prodotti petroliferi
- bando sull’offerta di alcuni servizi relativi al petrolio e prodotti petroliferi
- embargo su equipaggiamenti e tecnologie chiave per le industrie del petrolio e del gas naturale
- messa al bando della fornitura di certi servizi, dal petrolio al gas naturale
- divieto della fornitura di banconote e monete siriane
- divieto del commercio dell’oro, metalli preziosi e diamanti con il governo siriano
- messa al bando di certi investimenti nel campo delle industrie del petrolio e del gas naturale e per la costruzione di centrali energetiche finalizzate alla produzione di elettricità
- divieto di partecipare alla costruzione di nuovi impianti energetici per produzione elettrica
- embargo sui beni di lusso
- restrizione sugli impegni per il sostegno finanziario pubblico e privato al commercio con la Siria
- divieto di impegni nuovi a lungo termine da parte degli Stati membri
- divieto di nuovi impegni per prestiti, assistenza finanziaria e concessione di crediti al governo della Siria
- divieto imposto alla Banca Europea di investimenti e di fare alcuni pagamenti
- restrizioni sulla emissione e commercio di alcune obbligazioni
- restrizioni sull’apertura di succursali e filiali di banche siriane o in cooperazione con banche siriane
- restrizione sulla fornitura di assicurazioni e riassicurazioni
- restrizioni sugli accessi agli aeroporti nell’UE per alcuni voli
- ispezione di certi cargo verso la Siria e richiesta di previa informazione sui carichi verso la Siria
- restrizioni sulle missioni di certe persone
- congelamento dei fondi e delle risorse economiche di certe persone, entità e corpi
- divieto di soddisfare i crediti da parte di certe persone
- divieti validi fino al 1.6.2017

Ma ogni anno peggiora. Con le notizie del falsi attacchi chimici, dopo il 2017 sono entrate in vigore nuove sanzioni, anche grazie al rapporto sul presunto attacco chimico a Douma da parte dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) che nascose informazioni importanti finché solo nel 2020 alcune talpe dell’organizzazione stessa hanno svelato la verità.

Tuttavia l’imposizione di sanzioni molto severe è proseguita.
Sono messe al bando diverse sostanze chimiche che non possono entrare nel paese:
acetone, acetilene, ammoniaca, antimonio, butanolo, isobutanolo, cloro, etanolo, etilene, ossido di etilene, anidride solforosa, isopropanolo, metanolo, zolfo, ipoclorito di sodio, anidride solforosa,......

Si sono poi aggiunte :
Equipaggiamento di laboratorio compresi parti e accessori per tali apparecchiature, (distruttiva o non distruttiva) di analisi o rilevamento delle sostanze chimiche. Questa parte con l’eccezione degli equipaggiamenti, incluso parti o accessori specificamente designati per uso medico.

Le sanzioni saranno applicate a qualsiasi soggetto o paese che infrangono le sanzioni. Ad esempio per Covid 19, Siria nord-est è in grado di sostenere solo un massimo di 900 casi

Le università siriane non possono comprare materiale per i test o materiale di laboratorio a causa delle sanzioni .

Trump sta estendendo le sanzioni attraverso la legge Caesar Act, che entrerà in vigore il 17 giugno. "La legge Caesar punta a impedire la normalizzazione dei rapporti con la Siria di paesi come il Libano, la Cina o gli Emirati e a “ostacolare la ricostruzione”. “Ogni paese che ospita persone o compagnie che fanno questo (aiutare la Siria) sarà preso di mira” dalla legge. Legge che dovrebbe articolarsi per fasi successive, fino a colpire, oltre ai siriani, compagnie e persone in Libano, Iraq, Russia e Iran."

mercoledì 3 giugno 2020

Le radici salafite della rivolta siriana, 2° parte


Tralasciamo la traduzione dei due capitoli 
'Armed Groups Form Before the Uprising' 
e 
'Thank God for Bandar'
per proporvi la parte finale della ricerca di 


   La prima parte qui: 

Quando è iniziata la militarizzazione?

Mentre i funzionari statunitensi e sauditi sostengono che l'armamento dei gruppi militanti dell'opposizione è iniziato nel 2012, il flusso di armi verso questi gruppi dalla vicina Giordania, dall'Iraq e dal Libano, e con l'aiuto delle agenzie di intelligence straniere, è iniziato molto prima.

Il governo siriano ha affermato di aver intercettato il contrabbando di armi dall'Iraq in Siria all'inizio di marzo 2011, due settimane prima dello scoppio delle proteste a Deraa il 18 marzo 90. Queste affermazioni sono state in gran parte respinte dagli osservatori occidentali, ma sono probabilmente credibili, date le analoghe affermazioni delle fonti dell'opposizione. 
Muhammad Jamal Barout scrive che secondo l'eminente oppositore e attivista per i diritti umani Haitham Manna', ci sono state comunicazioni segrete tra alcuni uomini d'affari siriani all'estero che si sono gettati in una battaglia di vendetta verso il regime siriano perché i loro interessi erano stati danneggiati dalla rete dell'uomo d'affari pro-regime Rami Makhlouf, e che questi gruppi erano disposti a finanziare e armare i movimenti di opposizione in tutto il Paese. Barout osserva che questi uomini d'affari apparentemente avevano rapporti con reti professionali in grado di consegnare armi in qualsiasi località della Siria e che alcuni membri del 'Future Movement' (un importante partito politico in Libano guidato da Saad Hariri e noto per avere un forte sostegno saudita e statunitense) erano tra coloro che organizzavano queste spedizioni di armi. Barout osserva inoltre che Manna' ha reso pubblica parte di questi contatti in un'intervista su al-Jazeera il 31 marzo 2011, appena due settimane dopo l'inizio delle proteste antigovernative, con Manna' che "aveva ricevuto offerte di armare movimenti da Raqqa a Daraa per tre volte da partiti che non ha identificato nell'intervista ".

Manna' ha confermato ulteriori dettagli alla giornalista Alix Van Buren del quotidiano italiano la Repubblica, parlando "di tre gruppi che lo hanno contattato per fornire denaro e armi ai ribelli in Siria. In primo luogo, un uomo d'affari siriano (la storia riportata da Al Jazeera); in secondo luogo, è stato contattato da "diversi oppositori siriani filo-americani" per dirla con parole sue (ha fatto riferimento a più di un individuo); in terzo luogo, ha menzionato approcci dello stesso tipo da parte di "siriani in Libano fedeli a un partito libanese che è contro la Siria".
Van Buren osserva inoltre che altre fonti dell'opposizione sostengono che i sostenitori dell'ex vicepresidente siriano Abd al-Halim Khaddam, che aveva disertato in Francia anni prima, "seminavano guai distribuendo denaro e armi" e si immischiavano "nel sangue degli innocenti ".

Azmi Bishara, un ex membro arabo del parlamento israeliano e direttore generale del Centro arabo per la ricerca e gli studi politici con sede in Qatar, rileva analogamente che gruppi armati hanno iniziato a contrabbandare armi nella città siriana di Homs dal vicino Libano alla fine di aprile 2011, e che queste armi sono state inizialmente utilizzate in rapimenti e assassinii individuali. Spiega che a Homs, solo nel luglio 2011, i militanti dell'opposizione hanno ucciso o rapito 30 persone in un giorno. Queste armi sono state usate anche contro l'esercito siriano nei casi in cui ha tentato di prendere d'assalto una città o un paese, per esempio a Qalqilya il 14 maggio 2011 e a Rastan e Talbiesah il 20 maggio 2011. Come Barout, Azmi Bishara indica che molte delle armi sono state contrabbandate nell'area di Homs dai sostenitori del leader del 'Movimento del Futuro'  Saad Hariri, come dimostra il nome di alcuni gruppi armati in onore di suo padre Rafiq Hariri.

Analogamente, il 1° giugno 2011, il National, di proprietà degli Emirati Arabi Uniti, ha riferito che secondo un attivista di Homs, "l'esercito sta affrontando la resistenza armata e non è in grado di entrare" nelle vicine città di Talbiseh e Rastan, mentre i militanti dell'opposizione combattevano con mitragliatrici e granate a razzo. L'attivista ha aggiunto "che negli ultimi anni sono state contrabbandate armi dai Paesi vicini come il Libano e l'Iraq ".

Le forze di sicurezza siriane uccise
Come risulta evidente, le violenze dei militanti dell'opposizione contro le forze di sicurezza siriane e l'esercito siriano hanno accompagnato fin dall'inizio le manifestazioni antigovernative. Ad esempio, Israel National News riferisce che "sette agenti di polizia sono stati uccisi, e il quartier generale del partito Baath e il tribunale sono stati dati alle fiamme" domenica 20 marzo 2011, appena due giorni dopo la prima grande protesta a Deraa.  La giornalista Sharmine Narwani ha confermato che tre giorni dopo, il 23 marzo 2011, anche due soldati siriani, Sa'er Yahya Merhej e Habeel Anis Dayoub, sono stati uccisi a Daraa. La Narwani riferisce che secondo l'Osservatorio siriano dei diritti umani (SOHR), i militanti dell'opposizione hanno ucciso 19 membri delle forze di sicurezza siriane o "mukhabarat" a Deraa il 1° aprile 2011.

Il 10 aprile 2011 i militanti dell'opposizione hanno ucciso 9 soldati siriani che viaggiavano in autobus a Banyas. Gli attivisti dell'opposizione hanno tentato di dare la colpa delle uccisioni al governo siriano, e queste affermazioni sono state trasmesse acriticamente dal quotidiano Guardian, che ha linkato un video fornito dagli attivisti dell'opposizione di un soldato ferito nell'attacco. Il Guardian ha affermato che il video mostrava il soldato che riconosceva di essere stato colpito dalle forze di sicurezza del governo dopo essersi rifiutato di sparare ai civili. Ma queste affermazioni sono state confutate dall'esperto siriano Joshua Landis, che scrive che "il video non 'supporta' la storia che il Guardian dice di sostenere. Il soldato nega di aver ricevuto l'ordine di sparare sulla gente. Invece, dice che stava andando a Banyas per far rispettare la sicurezza. Non dice di essere stato colpito da agenti governativi o soldati. Anzi, lo nega. L'intervistatore cerca di mettergli le parole in bocca, ma il soldato nega chiaramente la storia che l'intervistatore sta cercando di fargli confessare. Nel video, il soldato ferito è circondato da persone che cercano di fargli dire che gli ha sparato un ufficiale militare. Il soldato dice chiaramente: 'Loro [i nostri superiori] ci hanno detto: 'Sparate a loro se vi sparano'.

Il 17 aprile 2011 i militanti dell'opposizione hanno assassinato il generale di brigata siriano Abdu Telawi, i suoi due figli e un nipote vicino al quartiere di Zahra a Homs. Secondo il ricercatore siriano Aziz Nakkash, gli omicidi sono avvenuti "in un momento di forti manifestazioni antiregime". L'evento è stato molto pubblicizzato con i corpi mutilati degli uomini e il funerale a Wadi al-Dahab, ampiamente trasmesso in televisione. Anche altri due ufficiali alawiti dell'esercito siriano, Ra'id Iyad Harfoush e Muaein Mahla sono stati assassinati a Homs in questo periodo, continuando lo schema delle uccisioni settarie tra sunniti e alawiti a Homs.

Poi l'ambasciatore indiano in Siria V.P. Haran ha osservato che il 18 aprile 2011 i media siriani hanno riferito che tra i 6 e gli 8 soldati siriani sono stati uccisi quando un gruppo armato ha fatto irruzione in due posti di sicurezza sulla strada tra Damasco e il confine giordano. Dopo aver visitato la zona due giorni dopo e aver parlato con la gente del posto, Haran ha avuto l'impressione che fosse successo qualcosa di ancora più grave. L'ambasciatore statunitense in Siria Robert Ford e l'ambasciatore iracheno in Siria hanno entrambi espresso, in conversazioni private con Haran, l'opinione che al-Qaeda in Iraq (che poi ha formato il Fronte di Nusra) fosse responsabile delle uccisioni.

Fonti dell'opposizione che hanno fornito testimonianze a Human Rights Watch hanno confermato che i militanti dell'opposizione hanno ucciso 7 membri delle forze di sicurezza durante una manifestazione nella città di Nawa, nella provincia di Deraa, il 22 aprile 2011.
Il 25 aprile 2011 i militanti dell'opposizione hanno ucciso 19 soldati siriani. La giornalista Sharmine Narwani scrive che "il 25 aprile - lunedì di Pasqua - le truppe siriane si sono finalmente trasferite a Daraa. In quella che è diventata la scena del secondo massacro di massa di soldati dal fine settimana, 19 soldati sono stati uccisi... da ignoti aggressori. I nomi, l'età, le date di nascita e di morte, il luogo di nascita e di morte e lo stato civile di questi 19 soldati sono documentati in un elenco di vittime militari ottenuto dal Ministero della Difesa siriano. L'elenco è stato corroborato da un altro documento - che mi è stato dato da un conoscente non governativo coinvolto negli sforzi di pace - che descrive in dettaglio le vittime della sicurezza del 2011. Tutti i 19 nomi sono stati verificati da questa seconda lista ".

Mentre continuavano gli scontri tra l'esercito siriano e i militanti dell'opposizione a Deraa, la maggior parte dei media occidentali ha descritto questo come un tentativo di usare una forza schiacciante per reprimere le proteste pacifiche. Fonti dell'opposizione hanno tuttavia confermato che si stavano verificando scontri armati tra l'esercito siriano e militanti sconosciuti. Al-Jazeera ha citato un residente di Deraa il 27 aprile 2011, affermando che "l'esercito sta combattendo con alcuni gruppi armati perché ci sono state pesanti sparatorie da due parti. Non posso dire chi sia l'altra parte, ma ora posso dire che è molto difficile per i civili".

Poi il giornalista di al-Jazeera Ali Hashem ha riferito che uomini armati stavano attraversando il confine della Siria dal Libano in aprile e maggio 2011 e si stavano scontrando con l'esercito siriano. Questi uomini armati sconosciuti erano probabilmente militanti salafiti della città libanese del nord ,Tripoli, a due ore di macchina da Homs. Der Spiegel ha riferito che lo sceicco Masen al-Mohammad, un importante ecclesiastico salafita di Tripoli, già nell'estate del 2011 inviava combattenti in Siria.
In una rara ammissione precoce della natura armata dell'opposizione nei primi mesi della rivolta siriana, Anthony Shadid del New York Times ha riferito l'8 maggio 2011 che "i funzionari americani riconoscono che alcuni manifestanti sono stati armati. La televisione siriana è inondata dalle immagini delle sepolture dei soldati".

I militanti dell'opposizione hanno teso un'imboscata e ucciso 120 soldati siriani nella città di Jisr al-Shagour, vicino al confine turco, il 4 giugno 2011. La violenza è iniziata quando un militante armato di nome Basil al-Masry è stato ucciso mentre attaccava un check point del governo. La morte di Masry ha fatto arrabbiare molti residenti della città, che hanno creduto alle voci secondo cui Masry era stato disarmato quando è stato ucciso, invece di condurre un'operazione armata. Di conseguenza, il suo funerale è diventato una manifestazione antigovernativa. Quando i manifestanti si sono avvicinati all'ufficio postale locale, diverse centinaia di militanti islamisti sono emersi tra i manifestanti e hanno aperto il fuoco sui tiratori del governo che stazionavano sul tetto dell'ufficio postale. I militanti hanno poi lanciato dispositivi incendiari all'interno delle porte dell'ufficio postale, dando fuoco all'edificio e bruciando a morte otto persone, prima di attaccare il vicino edificio della sicurezza militare, dove il personale della sicurezza dello Stato e della sicurezza politica si era barricato all'interno. Quando le autorità siriane hanno inviato un convoglio di soldati in aiuto, i militanti islamisti hanno teso un'imboscata al loro convoglio, uccidendone circa 120.
Gli attivisti dell'opposizione diffusero la falsa affermazione che i soldati erano disertori uccisi dai loro stessi superiori alawiti nell'esercito, nonostante le prove del contrario fornite da Joshua Landis, che dimostravano che i soldati erano stati uccisi da uomini armati dell'opposizione. Come ha riferito Rania Abouzeid della rivista Time Magazine, solo anni dopo gli attivisti coinvolti nell'incidente hanno riconosciuto che la storia dei soldati disertori era stata inventata. Abouzeid stessa aveva riferito dell'incidente in quel momento e, inconsapevolmente, aveva trasmesso le false affermazioni che suggerivano che i soldati morti avevano disertato. Abouzeid ha successivamente rettificato la sua cronaca e ha fornito tutti i dettagli dell'evento dopo aver intervistato un militante islamista che aveva partecipato all'attacco, così come altri civili che erano presenti alla protesta iniziale fuori dall'ufficio postale. Il militante ha anche riconosciuto ad Abouzeid che lui e i suoi uomini avevano filmato i corpi di alcune delle forze di sicurezza che avevano ucciso e presentato i video come se mostrassero "le fosse comuni piene di vittime del regime". La falsa affermazione di diserzione dei soldati è stata usata per nascondere il fatto che i soldati sono stati uccisi da militanti islamisti, permettendo così che la rivolta continuasse ad essere considerata pacifica.

Sei giorni dopo gli omicidi di Jisr al-Shagour, Hala Jaber del Sunday Times ha riportato un incidente simile, dove degli uomini armati islamisti hanno usato la copertura di una manifestazione per attaccare le forze di sicurezza siriane, questa volta nella città di Ma'arrat al-Nu'man. Secondo gli anziani tribali della città, uomini armati di fucili e lanciagranate a razzo si sono uniti a circa 5.000 manifestanti che manifestavano fuori da una caserma militare nel centro della città. Gli uomini armati hanno attaccato la caserma, dove circa 100 poliziotti si sono barricati all'interno, causando l'arrivo di un elicottero militare in aiuto della polizia. Quattro poliziotti e 12 degli uomini armati sono stati uccisi, mentre 20 poliziotti sono stati feriti. La caserma fu saccheggiata da una folla e incendiata, così come il tribunale locale e la stazione di polizia.

In questo periodo i militanti dell'opposizione hanno anche iniziato ad assassinare informatori del governo. Amnesty International riferisce che secondo un operatore umanitario impegnato nel trasporto dei morti e dei feriti nel sobborgo di Damasco a Douma, "a luglio e agosto 2011, un uomo veniva 'giustiziato' ogni due settimane... Noi andavamo a prenderli. La ragione più comune addotta per gli omicidi era che la vittima fungeva da informatore per la sicurezza. Il numero di "giustiziati" è aumentato gradualmente fino a uno ogni settimana, poi due o tre ogni settimana. A luglio 2012, ogni giorno venivano "giustiziate" da tre a quattro persone, e abbiamo smesso di conoscere l'accusa esatta. La gente si riferiva a loro come a degli informatori "

Mentre il governo siriano affrontava un curioso mix di protesta non violenta e insurrezione armata fin dall'inizio della rivolta, il reportage occidentale si è concentrato solo sulle proteste, lasciando intendere che le morti avvenute in Siria sono il risultato dell'uccisione da parte del governo siriano di manifestanti pacifici che chiedevano la democrazia. Per spiegare le morti dei soldati siriani e delle forze di sicurezza, i giornalisti occidentali hanno trasmesso teorie cospirative infondate secondo cui l'esercito siriano avrebbe ucciso i propri soldati.

Il 'Damascus Center for Human Rights Studies' (DCHRS) è stato un gruppo che ha contribuito a diffondere queste false voci. I media statali britannici hanno riferito il 5 maggio che fonti all'interno del DCHRS "hanno affermato che sono stati ricevuti 81 corpi di soldati e ufficiali dell'esercito. La maggior parte sono stati uccisi da un colpo di pistola alla schiena. Il DCHRS afferma di sospettare fortemente che i soldati siano stati uccisi per essersi rifiutati di sparare ai civili". DCHRS ha sede a Washington DC, mentre il fondatore del gruppo, Radwan Ziadeh, ha legami di lunga data con i governi statunitense e britannico. Nel 2010, poco prima dello scoppio della guerra in Siria, Ziadeh è stato membro del National Endowment for Democracy (NED). Ziadeh è diventato anche direttore delle relazioni estere per il Consiglio nazionale siriano (SNC), che rappresentava l'opposizione politica statunitense, britannica e del Golfo all'estero. Il giornalista Max Blumenthal osserva che il NED ha svolto un ruolo di primo piano nel destabilizzare vari governi considerati nemici degli Stati Uniti, e che secondo Allen Weinstein, membro fondatore del NED, "molto di quello che facciamo oggi è stato fatto di nascosto venticinque anni fa dalla CIA".

La affermazioni non plausibili dell'uccisione dei propri soldati da parte del governo siriano sono stati respinte anche da Rami Abdul Rahman, capo dell'opposizione SOHR, che è la principale fonte di informazioni sugli eventi in Siria per la stampa occidentale. Abul Rahman ha dichiarato che "questo gioco di dire che l'esercito sta uccidendo i disertori per andarsene - non l'ho mai accettato perché è propaganda".

Il governo ha ucciso i manifestanti?
Certamente il governo ha ucciso alcuni manifestanti pacifici. Tuttavia, durante un reportage dalla Siria nell'estate del 2011, il giornalista Nir Rosen ha descritto come fosse stato a circa 100 manifestazioni in Siria. “In molte di esse ho dovuto scappare per salvarmi la vita da una sparatoria in diretta. Ero terrorizzato. I manifestanti che escono ogni giorno da marzo sanno che stanno rischiando la vita. Li aiuta a credere nel paradiso e nel martirio”. La giornalista londinese del Times of London Hala Jaber ha osservato nel giugno 2011 che, secondo un funzionario della sicurezza siriana, le forze di sicurezza "vedono i manifestanti a centinaia o migliaia, cantando slogan antigovernativi o strappando foto di Assad - cosa che solo pochi mesi fa avrebbe fatto finire la gente in prigione - e reagiscono con mano pesante e sparano a caso".

Il 3 maggio 2011 lo scrittore politico siriano Camille Otrakji ha riassunto così il conflitto: "Mentre la maggior parte delle proteste sono state veramente pacifiche, molte sono state conflittuali e violente. La polizia e il personale di sicurezza siriani non sono abituati a queste sfide e purtroppo in alcuni casi alcuni di loro hanno probabilmente reagito con violenza inutile. Ma dei 150.000 manifestanti stimati finora, secondo i dati dell'opposizione, fino a 500 sono morti. Il governo sostiene che 78 sono morti, e credo che la cifra reale si trovi nel mezzo, più vicina alle cifre dell'opposizione. Il governo sostiene che molti sono morti in scontri armati. Dato che sono morti anche 80 soldati e poliziotti, è logico che gli uomini armati non pacifici siano stati tra le centinaia di vittime "civili". In altre parole, non tutte le vittime civili erano manifestanti pacifici. Molti altri sono probabilmente morti a causa dell'eccessiva violenza del personale di sicurezza. Dobbiamo tenere presente che, nonostante l'amara sensazione che tutti noi oggi proviamo dopo la morte di centinaia di persone, è necessario condurre un'indagine su quanto è accaduto. Nessuno di noi ha accesso alla verità, ma penso che sia giusto concludere per ora che i numeri implicano che non è vero che non esiste una politica ufficiale di sparare a caso a qualsiasi dimostrante. Molti errori fatali sono stati commessi, ma molti altri sono morti mentre partecipavano a scontri non pacifici con l'esercito o la polizia".

Un'osservazione simile la fece il sacerdote olandese Franz Van Der Lugt, che visse in Siria per quasi 50 anni. Scrisse che "Fin dall'inizio, i movimenti di protesta non sono stati puramente pacifici. Fin dall'inizio ho visto manifestanti armati marciare nelle proteste, che hanno cominciato a sparare per primi contro la polizia". Molto spesso la violenza delle forze di sicurezza è stata una reazione alla violenza brutale dei ribelli armati". Van der Lugt osserva anche che "Inoltre, fin dall'inizio c'è stato il problema dei gruppi armati, che fanno parte anche dell'opposizione. . . . L'opposizione della strada è molto più forte di qualsiasi altra opposizione. E questa opposizione è armata e spesso usa brutalità e violenza, solo per poi incolpare il governo. Molti rappresentanti del governo [regeringsmensen - Padre Frans potrebbe riferirsi ai sostenitori del governo] sono stati torturati e uccisi a colpi di arma da fuoco da loro". 
Come osserva l'accademico australiano Tim Anderson, la testimonianza di Van der Lugt è importante perché era un testimone indipendente. Van der Lugt era sul campo a Homs per assistere direttamente agli eventi ed era ampiamente rispettato dai belligeranti di entrambe le parti in conflitto. Quando Van der Lugt è stato assassinato da ignoti uomini armati nell'aprile 2014, dopo essersi rifiutato di lasciare Homs nonostante le terribili violenze e l'assedio paralizzante delle zone della città controllate dall'opposizione da parte del governo, il Telegraph ha osservato che "negli ultimi mesi padre Van der Lugt era noto come un campione del dialogo interreligioso, che era riuscito a mantenere rapporti di lavoro, generalmente buoni, con alcuni dei gruppi ribelli islamici più duri della zona "

Cos'è la libertà?
Il mito di un movimento di protesta del tutto laico e pacifico è persistito in parte perché molti degli slogan più comuni, come "Dio, Siria, Libertà, tutto qui", erano abbastanza ambigui da permettere agli osservatori occidentali di supporre che gli appelli alla libertà e alla dignità da parte dei manifestanti significassero un appello alla democrazia liberale, piuttosto che un appello alla libertà di vivere in un Paese governato da interpretazioni salafitiche della legge islamica e ripulito etnicamente dagli alawiti e da altre minoranze religiose. Allo stesso modo, lo slogan della rivolta, "Il popolo vuole la caduta del regime", non dava alcuna indicazione del perché volevano rovesciare il governo, né con quale tipo di governo volevano sostituirlo.

Per i salafiti siriani intenti a rovesciare il governo siriano e a ripulire il Paese dagli alawiti, non c'era alcuna contraddizione tra questi obiettivi e la lotta per quella che essi consideravano "libertà". Lo dimostrano i nomi dei gruppi armati antigovernativi da loro istituiti e la loro retorica.

Come già detto, Ahrar al-Sham è stato uno dei primi (fondato nel marzo 2011) e più potenti gruppi armati antigovernativi. Il nome del gruppo si traduce in "Uomini liberi della Siria ". Il gruppo ha ricevuto in anticipo finanziamenti da al-Qaeda, ed è stato fondato in parte dal militante jihadista di lunga data Abu Khalid al-Suri. L'ideologia di Ahrar al-Sham è stata ispirata dal predicatore salafita settario Muhammad Sarour, come già detto.
Allo stesso modo, molti dei gruppi armati dell'opposizione che combattono sotto la bandiera "Esercito Siriano Libero" avevano orientamenti islamisti o salafiti. Mentre l'Esercito siriano libero (FSA) è tipicamente considerato laico e democratico, il giornale saudita Al-Hayat ha descritto come l'FSA sia stato fondato da un gruppo di disertori dell'esercito, ma in seguito numerose fazioni armate salafite, tra cui Liwa Islam, Saqour al-Sham, Ahfad Rasoul e le Brigate Farouq, hanno presto iniziato a combattere sotto la bandiera dell'FSA.
Il quotidiano libanese Daily Star ha osservato che "più di un battaglione della FSA ha preso il nome da Ibn Taymiyya, lo studioso musulmano sunnita del XIV secolo che ha sollecitato lo sterminio degli alawiti come eretici. Questo tipo di atto annulla qualsiasi retorica o azione favorevole da parte di altri elementi della FSA, di cui alcuni portavoce spesso promettono di stabilire una Siria che sia pluralista e civile, e non di carattere religioso".
Abu Firas, membro del Consiglio della Shura del Fronte di Nusra, ha difeso la FSA dalle accuse di apostasia rivolte al gruppo dall'ISIS, spiegando che "molti gruppi sono sotto un grande ombrello chiamato FSA" e che molti di loro "sono credenti, persone buone e giuste, che vogliono che la Shari'a di Allah prevalga sulla terra". Abu Firas menziona specificamente Liwa al-Tawheed, Nur al-Deen al-Zinky, Liwa Islam e Jund al-Sham tra questi gruppi "giusti" della FSA.

Liwa al-Islam era guidata da Zahran Alloush, figlio di un famoso predicatore salafita del sobborgo di Damasco di Douma. Il gruppo di Alloush è poi cresciuto fino a diventare un altro dei più potenti gruppi armati antigovernativi, ovvero "Jaish al-Islam", o "Esercito dell'Islam". Il gruppo di Alloush ha combattuto sotto il soprannome di "Esercito Siriano Libero" dalla sua fondazione nel luglio 2011 fino alla metà del 2012.
Donne alawite in gabbia usate come scudi umani a Douma. Credit to: Al Jazeera
Alloush, noto per il suo settarismo anti-alawita e anti-Shia (ha chiesto la pulizia etnica di questi gruppi dalla Siria e promosse l'infame sfilata dei prigionieri alawiti in gabbia per le strade di Douma) , si considerava anche lui tra i "siriani liberi" che lottano contro il governo siriano. Per Alloush, tuttavia, questo significava lottare contro la democrazia, piuttosto che per essa. Rispondendo alla domanda di un intervistatore se egli sosteneva o meno le elezioni democratiche dopo la caduta del regime, Alloush ha spiegato che "anch'io sono uno dei liberi siriani". Allo stesso tempo, Alloush ha sostenuto che il popolo siriano nel suo insieme rifiuta la democrazia e chiede la creazione di uno Stato islamico. Alloush ha affermato come prova di ciò che i primi manifestanti antigovernativi "sono usciti dalle moschee per dire: 'non c'è nessuno con noi se non Dio'. E hanno detto: "Dio è grande". Non hanno detto: "La democrazia è grande".

Un altro dei primi gruppi dell'Esercito Siriano Libero era "Kita'ib al-Farouq", o le "Brigate Farouq". Farouq è un titolo che si riferisce a un primo compagno del profeta Maometto, il secondo califfo Omar bin al-Khattab. Le Brigate Farouq sono state fondate in parte da un predicatore salafita di nome Amjad Bitar, che ha potuto finanziare il gruppo attraverso le donazioni delle reti salafite negli Stati del Golfo.
Un combattente di Farouq ha spiegato a un giornalista belga che non era "libero" quando viveva sotto il governo siriano guidato dai Baathisti: "Prima della rivoluzione, il regime era troppo forte; aveva una mano su ogni persona, e non era possibile vivere come islamista in Siria. Dopo la rivoluzione, siamo liberi di vivere come la nostra fede ci ordina di vivere. La via giusta, nell'Islam, è lo Stato islamico". 
Farouq, con la sua base originale a Homs, ha ricevuto anche il sostegno delle reti Salafi nella vicina Tripoli, in Libano. Secondo un predicatore salafita di Tripoli che ha partecipato all'invio di denaro e combattenti in Siria a sostegno di Farouq, "Assad è un infedele. . . . È dovere di ogni musulmano, di ogni arabo combattere gli infedeli... C'è una guerra santa in Siria e i giovani vi conducono la jihad. Per il sangue, per l'onore, per la libertà, per la dignità ". Nel discorso salafita, quindi, la lotta per la libertà e la dignità è sinonimo di lotta per stabilire una dittatura religiosa fondamentalista.

Allo stesso modo, i termini "jihad" e "rivoluzione" sono spesso usati in modo intercambiabile o in tandem, così come i termini "mujahideen" e "rivoluzionari". Per esempio, nel 2015, Abdullah Muhaysini, un religioso saudita che esercita come giudice per il Fronte di Nusra, ha elogiato la battaglia combattuta dal gruppo (conosciuto all'epoca come Jabhat Fatah al-Sham) per catturare Idlib come "islamico, jihadista e rivoluzionario". Nel 2020, il Fronte di Nusra (allora noto come Hayat Tahrir al-Sham) ha rilasciato una dichiarazione che descriveva i suoi combattenti come "mujahideen rivoluzionari" e la sua lotta come "rivoluzione", mentre si impegnava a continuare a combattere fino a quando "la Siria tornerà libera, dignitosa e ribelle".
Ciò non sorprende, vista l'influenza dell'ideologo dei Fratelli musulmani Sayyid Qutb sul pensiero jihadista. Il suo libro, "Milestones", esponeva la strategia per usare uno stile leninista "avanguardista"per guidare la lotta armata per una "rivoluzione islamica".
Qutb voleva rovesciare i governi arabi laici e stabilire uno Stato islamico presumibilmente sotto la sovranità di Dio al loro posto.
Di conseguenza, il gruppo dei Fratelli Musulmani che tra il 1976 e il 1982 ha combattuto per rovesciare il governo siriano si è chiamato "l'Avanguardia combattente". Molti dei suoi militanti hanno continuato a combattere per al-Qaeda in Afghanistan negli anni '80 e in seguito hanno assunto un ruolo di primo piano nel movimento jihadista, in particolare Abu Khalid al-Suri e Abu Musab al-Suri.

L'uso salafita di discorsi che promuovono la libertà e la dignità, ma per obiettivi religiosi fondamentalisti, spiega perché slogan apparentemente contraddittori come "Dio, Siria, la libertà, tutto qui" e "Alawiti alla tomba, cristiani a Beirut!” potevano coincidere durante le prime manifestazioni anti-governative.

Conclusione
In contrasto con la visione convenzionale, la rivolta siriana non è stata del tutto pacifica o laica. Il movimento salafita siriano ha avuto un ruolo di primo piano nel "creare e spingere gli eventi" della rivolta siriana. I predicatori salafiti sia in Siria che all'estero usavano discorsi di odio settario per incitare i loro seguaci contro il governo siriano e contro le comunità alawite e cristiane siriane in generale.
Fin dalle prime settimane del movimento di protesta, i militanti salafiti armati hanno attaccato e ucciso le forze di sicurezza, i soldati e la polizia siriane. La violenza e il settarismo dei salafiti hanno indotto la maggior parte dei siriani, compresi i musulmani sunniti siriani, a rifiutare la rivolta e ad assumere una posizione neutrale o a continuare a sostenere il governo, nonostante il suo pesante apparato di sicurezza e la corruzione presente nell'élite al potere.

Anche se le agenzie di intelligence statunitensi e del Golfo non hanno orchestrato le prime proteste antigovernative o non hanno creato l'insurrezione armata che le ha accompagnate fin dall'inizio, questi attori esterni hanno giocato un ruolo chiave nel conflitto. Le agenzie di intelligence degli Stati Uniti e del Golfo hanno alimentato la nascente insurrezione incanalando miliardi di dollari di armi e attrezzature verso i gruppi armati salafiti, perché condividevano l'obiettivo di rovesciare il governo siriano e quindi di indebolire lo stretto alleato di Assad, l'Iran.
Il sostegno degli Stati Uniti all'insurrezione salafita ha intensificato e prolungato il conflitto, portando ad anni di inutili spargimenti di sangue e sofferenze per milioni di siriani. Gli eventi in Siria dell'ultimo decennio sono un ulteriore esempio delle terribili conseguenze della politica estera statunitense nella regione. Come in Iraq e in Libia, la politica estera statunitense in Siria non è stata benigna o ben intenzionata, ma piuttosto deliberatamente distruttiva e ha causato sofferenze umane su una scala difficile da comprendere.