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lunedì 16 marzo 2020

Lettera da Aleppo: "No, la guerra non è finita"


Lettera di Aleppo n°38 (10 marzo 2020)
Trad Gb.P.  OraproSiria

Cari amici,

Avrei voluto poter annunciare buone notizie... In effetti, quasi un mese fa, il 16 febbraio 2020, Aleppo era finalmente completamente liberata. L'autostrada, la famosa M5 era riaperta, l'aeroporto internazionale accoglieva, dopo otto anni di chiusura, il primo aereo civile. Gli Aleppini festeggiavano la liberazione...
Quel giorno scrivevo nel mio diario: "La speranza è adesso, non è in un futuro lontano, è ora."
Pensavo come molti siriani che la pace bussasse alle nostre porte...
Purtroppo, la boccata d'aria fresca è stata sostituita da un abbattimento asfissiante.
La Turchia ha avviato un'operazione in Siria per proteggere i terroristi. L'esercito siriano avanza verso Idlib riprendendo villaggi che erano sotto controllo del fronte Al Nosra.
L' autostrada principale M5 è di nuovo tagliata. I combattimenti infuriano. Centinaia di giovani perdono la vita.

E mi chiedo:
Che succede nel mio Paese? Perché gli occidentali trattano i jihadisti come terroristi quando arrivano nei loro Paesi mentre quando il governo siriano cerca di eliminare il terrorismo in Siria, questi stessi occidentali parlano di crisi umanitaria?
Perché il governo turco si permette di respingere l'esercito siriano che si trova sul proprio territorio?
Perché dei giovani devono morire per difendere il proprio Paese da aggressioni straniere?
Come Siriani, abbiamo il diritto o no di decidere del nostro destino? Siamo burattini nelle mani delle grandi potenze senza poter avere una parola da dire?
Chi restituirà ai genitori i loro figli caduti sui campi di battaglia?
E la settimana scorsa, un incontro a Mosca decide un cessate il fuoco e una riapertura delle autostrade M5 e M4 (che collegano Aleppo a Lattakia). Questo cessate il fuoco resisterà alle violazioni dei gruppi armati?

Il Santo Padre invita ad agire a favore dei "dimenticati di Idlib".
Ma chi sono i "dimenticati di Idlib"? Sono soltanto le migliaia di famiglie che sono attualmente sfollate per fuggire dai combattimenti o sono anche le migliaia di famiglie cristiane e musulmane trattenute dai jihadisti del fronte Al Nosra (Al Qaeda) che, da oltre 8 anni, impediscono loro di vivere degnamente?

Penso a tutte quelle famiglie dei villaggi di KNAYEH, YACOUBIEH, JDAIDEH E GHASSANIEH che sono dovute scappare a causa dei terroristi che hanno occupato i loro villaggi. Quelle che sono rimaste sono state costrette a condividere una parte o l'intero territorio con i gruppi armati stranieri!

Diteci chi sono "i dimenticati di Idlib"!
Sono quelle città morte del nord della Siria, città archeologiche completamente cristiane ma saccheggiate e distrutte dai ladri in nome della democrazia e della libertà?
Se è vero che centinaia di migliaia di famiglie sono fuggite dalla guerra, bisognerebbe cercarne il vero motivo.
La guerra ha fatto di un popolo alla ricerca di pace e prosperità, un popolo di sfollati e dimenticati.

Tra pochi giorni, ancora una volta ricorderemo questa fatidica data del 15 marzo 2011 quando tutto è iniziato.
E la guerra non è finita...
Ogni giorno continua ad annunciarci brutte notizie che vengono ad abbattere i germi di speranza che ci consentono di vivere.

Ricordatevi che siamo sotto embargo! Un embargo che colpisce la popolazione ogni giorno! Un embargo che impoverisce i più poveri! Un embargo che ci rende un popolo di mendicanti!
Abbiamo bisogno della vostra amicizia, della vostra solidarietà, del vostro sostegno per spiegare la sofferenza del nostro popolo. La vostra preghiera sostiene il nostro quotidiano, ma anche la vostra azione presso i responsabili politici è molto importante!
Dite loro che siamo un popolo degno di vivere umanamente come qualsiasi altro popolo della terra. Dite loro che siamo un popolo radicato nella cultura e nella civiltà da migliaia di anni. Dite loro che il popolo siriano sceglie la pace come percorso di ricostruzione di tutto ciò che è stato e viene continuamente distrutto.

Con la nostra gente e per loro, noi Maristi Blu, agiamo.
Continuiamo a seminare questa speranza.

L'immagine può contenere: 23 persone, spazio all'aperto
Il 15 febbraio siamo stati ricevuti dal nostro Presidente della Repubblica e dalla First Lady. Volevano ringraziarci per tutti i servizi resi alla comunità locale in tutti gli anni di guerra. Essi vedono in noi un modello della società siriana ideale: un modello di apertura e solidarietà, un esempio di difesa dell'interesse dei più poveri. Ci hanno invitati a sviluppare la nostra azione umanitaria. Hanno insistito sull'importanza dei valori che viviamo e sui programmi che mettiamo in atto per l'occupazione e lo sviluppo della persona umana e del posto della donna nella nostra società.
Ci hanno spiegato la loro visione del futuro per il Paese e soprattutto nella fase che seguirà all'instaurazione della pace.

Sulla strada del ritorno, domenica 16 febbraio 2020, Aleppo viveva momenti di gioia e di letizia: la periferia occidentale occupata dai terroristi che minacciavano la città era appena stata liberata.
Da questo momento continuiamo ad approfondire la risposta alla domanda: «di quali iniziative ha bisogno la città e i suoi abitanti, in questa fase di pace»?

I nostri progetti educativi "voglio imparare" e "Imparare a crescere" proseguono bene. I bambini stanno preparando la festa della mamma, che in Siria si celebra il 21 marzo. L'educazione ai valori, lo sport, la musica, l'accompagnamento personale di ogni bambino e spesso anche della sua famiglia, l'interesse per la vita sociale e per la salute psichica e fisica costituiscono un insieme della nostra educazione ben radicata nel carisma Marista.

Il progetto "Seeds" (semi), in tutte le sue componenti, Lotus e Bamboo, continuano ad offrire ai giovani adolescenti uno spazio di formazione ai valori e all'espressione dei sentimenti. Oltre 350 giovani godono di un accompagnamento nel loro sviluppo personale, psichico e sociale.

Il progetto "taglio e cucito" ha completato la sua 7ª a sessione e ha consegnato diplomi a 17 donne che per 60 ore hanno frequentato regolarmente questa formazione. Oltre alla loro soddisfazione e al loro ringraziamento, tutte hanno messo in risalto la qualità del rapporto intrecciata tra di loro. Molte hanno rilevato il valore della scoperta della differenza dall'altro e dell'importanza del lavoro in comune.
Una ventina di donne partecipano alla formazione nell'ambito del progetto di sviluppo della donna. Esse esprimono la loro felicità ad essere formate su diversi temi: psicologico, umano, relazionale e soprattutto personale.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone sedute e bambino
Quest'anno abbiamo ospitato nei nostri locali l'associazione "L'impronta di felicità". Si tratta di un workshop per 30 adulti disabili mentali. La loro presenza in mezzo a noi è una benedizione del cielo.

Continuiamo, ogni mercoledì e domenica, ad animare attività e a distribuire derrate e prodotti essenziali al campo "Shahba", campo di sfollati della regione di Afrin occupata dall'esercito turco dal febbraio 2018. Sentiamo una grande stanchezza in questi sfollati. La nostra presenza e il nostro accompagnamento sono un grande sollievo per queste famiglie. Esse hanno espresso più volte la loro preoccupazione se, per qualche motivo, ci assentiamo.

Il MIT organizza sessioni di formazione su diversi temi che interessano gli adulti soprattutto nei settori della psicologia, dell'economia e dell'informatica. Liste d'attesa sempre più lunghe ci obbligano superare i limiti di 24 partecipanti per sessione.
Ma è soprattutto nella formazione dell'imprenditoria per microprogetti che la domanda è grande. Molte persone chiedono di essere addestrate per poter avviare il proprio microprogetto. Siamo lieti di portare alla popolazione di Aleppo questo servizio di formazione che prepara un futuro migliore per una moltitudine di giovani e meno giovani.
Heartmade si sta sviluppando velocemente. Abbiamo aumentato il numero di sarte assumendo diverse donne. Stiamo pensando di espandere lo spazio dell'atelier. Prossimamente inaugureremo un negozio in uno dei migliori Centri Commerciali di Damasco.

Nel concludere la mia lettera, mi vengono in mente le parole di Martin Luther King: "Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli, altrimenti moriremo tutti insieme come idioti".
Viviamo dunque come fratelli!
Costruiamo insieme la civiltà dell'amore!
Rendiamo la nostra terra uno spazio di armonia!
Restituiamo all'uomo la sua umanità!
Siamo testimoni della luce!
Allarghiamo lo spazio della nostra tenda!
Teniamo la mano del più bisognoso!
Alziamo la testa!
Formiamo intorno al nostro pianeta una catena di umanità.

Fr. Georges Sabé
Per i Maristi Blu

sabato 14 marzo 2020

 Entrando nel decimo anno di guerra in Siria

Questa opera d'arte è stata realizzata in un parco
siriano, per ricordare tutte le madri che hanno dato
alla luce i soldati che hanno perso la vita in questi
anni per la difesa del Paese. (E. Vigna)

La drammatica situazione in cui ci ha precipitato il Coronavirus forse aiuterà molti a comprendere 'sulla pelle' questa testimonianza proveniente dalla Siria, dove la gente da 9 anni vive in uno stato costante di incertezza e di tensione, dove milioni di persone subiscono le conseguenze delle sanzioni che i nostri governi impongono. 

Chiediamo con tutto il cuore che il Signore ci liberi dal male e ci renda più umani e giusti verso tutti i fratelli nel mondo.
    OraproSiria 

"IL CONFLITTO SARA' FINITO SOLO SENZA L'EMBARGO" 
Da Avvenire del 8 marzo 2020
intervista di Luca Geronico 

Ingegnere meccanico con un passato in una compagnia farmaceutica, Riad Sargi, originario di Damasco, è dal 2016 direttore di Caritas Siria, quando il suo Paese era già nel bel mezzo della guerra civile.
Il Venerdi Santo del 2019, assieme alla moglie Rouba Farah e ai tre figli, ha portato la Croce durante la Via Crucis al Colosseo.

Dottor Riad Sargi, gli ultimi appelli dell'ONU parlano di un'emergenza umanitaria che coinvolge almeno un milione di sfollati. Qual è la sua percezione di una situazione che Papa Francesco, domenica 23 febbraio a Bari, ha definito una "immane tragedia"?
  Quanto sta avvenendo ora a Idlib, è realmente una immensa tragedia, come ha detto Papa Francesco, specialmente per le donne ed i bambini. Per quanto concerne i profughi, posso assicurare che la maggior parte sono sfollati in luoghi che non sono sotto il controllo siriano, e solo alcune famiglie si sono spostate da Aleppo, Tartous, Lattakia.
Riad Sargi, direttore di Caritas Siria: gli sfollati dal Nord-Ovest
non sono nel territorio sotto il controllo del governo.
Che tipo di progetti avete in campo, o state organizzando per far fronte a questa emergenza?
  Tutti noi operatori di Caritas Siria siamo molto preoccupati per la situazione di queste famiglie di sfollati e abbiamo intenzione di cercarli per poi prenderci cura di loro. Fino ad ora i profughi sono soltanto ospitati da diverse comunità.

Caritas Siria sta operando con sei uffici regionali, organizza progetti umanitari il tutto il Paese: un lavoro di cui beneficiano, in base ai vostri report, 100.000 persone per un impegno complessivo pari a sei milioni di Euro. In generale, guardando a questi quasi 9 anni di guerra civile, qual è la maggiore difficoltà, qual è il più importante bisogno che voi, in quanto Caritas Siria, dovete soccorrere?
  Per sostenere migliaia di famiglie durante gli anni di guerra abbiamo dovuto fronteggiare enormi difficoltà, delle quali la principale è dovuta alla sanzioni economiche imposte alla Siria dalla comunità occidentale. In particolare il blocco delle transazioni bancarie è un ostacolo che ci impedisce di poter realizzare i nostri obiettivi per soccorrere i bisogni delle famiglie.

Quali sono in particolare, i rischi per la sopravvivenza della Comunità Cristiana che è in Siria che vive in una situazione di minoranza?
  Nei fatti, come comunità cristiana non dobbiamo affrontare nessuna difficoltà, dal momento che non siamo considerati una minoranza. Alla fine, siamo tutti cittadini siriani. Noi già soccorriamo tutti i bisogni delle famiglie siriane senza alcuna discriminazione. Così cerchiamo di fare del nostro meglio per essere un buon esempio nel processo di riconciliazione delle comunità locali.

Riad Sargi, quando, al di là delle dichiarazioni ufficiali, la guerra sarà realmente finita per il popolo siriano?
  La guerra in Siria finirà quando la maggior parte delle nazioni straniere avrà tolto le sanzioni alla Siria e i foreign fighters (combattenti stranieri) saranno tornati alle loro case. Allora, la riconciliazione e il perdono riempiranno i cuori di tutti i Siriani.

giovedì 12 marzo 2020

"Dobbiamo fare qualcosa per dare speranza al nostro popolo in Siria"


Un'intervista a suor Annie Demerjian della Congregazione delle religiose di Gesù e Maria

 di Doreen Abi Raad, corrispondente di Register, scrive da Beirut
  trad. Gb.P. OraproSiria

La città di Aleppo, conosciuta a lungo come la capitale industriale della Siria, con migliaia di fabbriche e officine, è stata ridotta a edifici diroccati e strade disseminate di macerie durante un sanguinoso assedio dal 2012 al 2016. Centinaia di persone sono state uccise e migliaia sono fuggite dalla città. In mezzo al furioso conflitto siriano, le suore della Congregazione religiosa di Gesù e Maria hanno continuato a prestare servizio nel Paese - sette sorelle ad Aleppo e tre a Damasco - nonostante avessero il permesso del loro provinciale di andarsene, se lo desideravano.

Per la suora siriana Annie Demerjian, superiora dell'Ordine in Medio Oriente, ciò che l'ha davvero toccata è stata la determinazione delle Sorelle di Gesù e Maria provenienti dall'Inghilterra, che hanno detto: "Non lasceremo" la Siria. Suor Annie ha riconosciuto la loro perseveranza come segno di un cuore incentrato sulla missione.
Ad Aleppo, come le persone che servono, le suore hanno subito i bombardamenti e la mancanza di beni di prima necessità, tra cui acqua ed elettricità. Gli studenti nella loro scuola hanno continuato diligentemente gli studi, malgrado fossero sempre a portata di sparo del cecchino. Nelle visite alle famiglie sofferenti e in lutto, suor Annie ha incontrato una profonda fede tra le persone che riuscivano ancora a dire: "Grazie a Dio", nonostante tutto quello che avevano sopportato.

La sofferenza continua. Le sanzioni internazionali hanno "paralizzato" la vita in Siria per le persone comuni che affrontano difficoltà economiche, dice Annie. E c'è un grande bisogno di guarire i cuori e le ferite interiori dei siriani traumatizzati dalla guerra.
La Congregazione dei Religiosi di Gesù e Maria fu fondata a Lione, in Francia, nel 1818 da Santa Claudine Thévenet, canonizzata da Papa Giovanni Paolo II nel 1993. L'ordine è presente in 28 Paesi di quattro continenti. La sua presenza in Siria è iniziata nel 1983 e in Libano nel 1963.
Dal convento a Rabweh, in Libano, da dove visita la Siria nel suo ruolo di superiora, suor Annie racconta le prove della guerra e il bisogno di speranza e di guarigione per il popolo siriano.

Sister Annie Demerjian says, “There is so much suffering.”  But faith gives strength as the people heal, with the support of the sisters.

Cosa ha vissuto durante la guerra?
Sono stati giorni molto dolorosi quelli che abbiamo passato. Noi [sorelle] abbiamo vissuto esattamente ciò che vivevano le altre persone: niente acqua, niente elettricità, niente basi della vita quotidiana. Molto spesso le bombe cadevano vicino a noi e rompevano le finestre. Brividi di notte senza riscaldamento; faceva molto freddo.
Ad Aleppo, abbiamo continuato con la nostra scuola, ma abbiamo anche iniziato ad aiutare la nostra gente, visitando le famiglie.
E le persone si sono aiutate a vicenda. Ricordo che avevamo un amico che ci visitava portando una melanzana, una zucchina e un cetriolo. Diceva: "Mio fratello ha comprato questo per i miei genitori e vogliamo condividerlo con te". Tra noi, abbiamo condiviso la sofferenza, ma abbiamo anche condiviso il bene insieme; e sempre, abbiamo sperimentato quello che la nostra fondatrice, St. Claudine Thévenet, diceva: "Dio provvederà". Durante la guerra sono accadute molte cose e noi dicevamo: "Dio sta davvero provvedendo". Dobbiamo solo aver fede in Lui e affidarci a lui.

Nel 2012 abbiamo interrotto le lezioni nella nostra scuola, che si trova a 20 minuti in auto da Aleppo, perché i cecchini erano intorno alla scuola. Venire da noi era diventato pericoloso per i bambini. Quindi condividemmo le aule di una scuola statale, che teneva lezioni al mattino, mentre con i nostri studenti le utilizzavamo nel pomeriggio, da mezzogiorno alle 16:30, per continuare almeno con le materie principali.
È sorprendente come i bambini si adattino alla situazione. Alle 16:00 in inverno, quando stava diventando buio, gli studenti tiravano fuori le torce e continuavano gli studi, anche i bambini di 4 e 5 anni! Li guardi e dici: "Quanto sono grandi."
Una volta, supervisionavo i giovani, delle classi 10 e 11. Era tempo di esami. Sentivamo che i cecchini avevano raggiunto il vicolo. Ho chiesto agli studenti di allontanarsi dalle finestre. Molti di loro si sedettero sul pavimento e continuarono a scrivere i loro esami. Niente panico, niente. Sono arrivata a piangere, dicendo loro: "Siete gli eroi del nostro tempo".
Forse nessuno sa quanto hanno sopportato in questi giorni, i nostri giovani, ma, in realtà, ci hanno dato una lezione su come sopravvivere.

Non solo ad Aleppo, ma in altre parti della Siria, alcune scuole sono state utilizzate per accogliere i rifugiati; altre erano controllate dai ribelli per scopi diversi. C'erano 1.500 studenti nella nostra scuola, circa il 17% musulmani, ma durante la guerra le iscrizioni divennero sempre meno, fino a quando ne avemmo meno della metà. Se ne andarono anche tante famiglie.
La nostra scuola ha bisogno di tempo per essere riparata dai danni delle bombe. Ovviamente abbiamo perso molti buoni insegnanti perché sono fuggiti dalla zona. Crediamo che l'istruzione sia una delle cose più importanti per ricostruire le menti e i cuori, il modo di pensare.

Qual è il livello di fede delle persone in Siria?
Ciò che mi toccava molto, quando andavamo a visitare le persone, era che continuavano a dire: "Grazie a Dio". Per me è un grande messaggio, come perseverano, come sono determinati a continuare nonostante tutto - come stanno portando questa sofferenza con un "Grazie a Dio". Alcune persone chiedevano: "Perché, Dio?" e questo è normale con una grande sofferenza, specialmente quelli che hanno perso i loro figli o membri delle loro famiglie.

Molte persone andavano ancora nelle chiese, anche quando c'erano bombardamenti. A volte una chiesa era stata colpita più volte, e si poteva pensare: nessuno verrà in chiesa. Il giorno dopo, trovavi persone che andavano lì a pregare, nonostante il danno. Abbiamo così tante chiese di rito diverso ad Aleppo: latino, cattolico maronita, cattolico greco, cattolico siriaco, cattolico armeno, cattolico caldeo, ortodosso armeno, ortodosso siriaco, greco ortodosso, evangelico.
Io considero Aleppo eccellente per le numerose attività nella Chiesa, così piene di vita, con persone attive con tutti i tipi di missioni e incontri di gruppo, catechismo, gruppi di scout. Non si è mai davvero fermata, ma non è come prima. Tutte le Chiese hanno fatto del loro meglio durante la guerra. È stato incredibile come hanno continuato.
C'era, e c'è, una grande collaborazione tra le chiese: un grande esempio di ecumenismo.
Alcune chiese vicine alle aree di conflitto furono completamente distrutte. Alcune chiese furono gravemente danneggiate dalle bombe e dai proiettili, ma ora vengono riparate e nelle chiese ritorna la vita.

Che effetto ha avuto la guerra sulla popolazione cristiana?
Quello che so è che i cristiani di Aleppo erano 150.000 - 200.000 prima della guerra, e quel numero è stato ridotto a circa 32.000.
Ogni volta che saluti una famiglia che se ne va, non è facile. Lasciano la loro storia, le loro cose, la loro terra, la loro casa, i loro parenti, i ricordi, gli amici. Alcuni hanno lasciato le loro madri e padri, che sacrificandosi hanno detto ai loro figli: “Vai. Non preoccuparti per noi. "
Alcuni potrebbero andare, altri no, quindi hanno semplicemente incoraggiato i loro figli ad andarsene, per trovare un posto sicuro all'interno della Siria o all'estero.

Com'è la situazione adesso, in termini di sicurezza?
Per la maggior parte dei luoghi in Siria, per quanto riguarda la sicurezza, è molto meglio. In alcune parti, ci sono ancora conflitti in corso tra il nostro esercito e i ribelli, nel nord e nel nordest.
Prima della guerra, vivevamo una vita molto pacifica in Siria. Le persone vivevano fianco a fianco come fratelli e sorelle. Non ci siamo mai chiesti se qualcuno fosse musulmano o cristiano. Li conoscevamo come i nostri vicini. Durante le nostre feste cristiane ci visitavano e noi facevamo lo stesso [per le loro feste]. Vivevamo insieme in un modo davvero pacifico. Questo concetto di [etichettare come] musulmano, cristiano, sciita, sunnita - non l'avevo mai sperimentato prima, non fino alla guerra. È molto doloroso. Siamo umani alla fine. Noi crediamo in un solo Dio.
Nelle zone controllate dai ribelli era molto difficile per i cristiani vivere con i musulmani, non perché i nostri fratelli non volessero vivere insieme, ma la vita era influenzata dai ribelli che imponevano determinati criteri o mentalità. C'era una famiglia che viveva a Raqqa, in Siria, che era controllata dall'ISIS. Quest'uomo cristiano aveva bisogno dell'aiuto di un musulmano. Un miliziano dell'ISIS disse al musulmano: “Non lo devi aiutare; è un kafar [infedele] ". L'uomo [musulmano] rispose: "È il nostro vicino". Ma gli è stato detto dal funzionario dell'ISIS che non deve aiutare il cristiano. Questa famiglia cristiana aveva pagato il jizya [una tassa imposta a tutti i non musulmani]. L'anno successivo, non poterono pagare la jizya e l'uomo [cristiano] fu picchiato e trattato molto male. Più tardi, ha trovato il modo di scappare con la sua famiglia ad Aleppo.
In alcune parti controllate dai jihadisti, i cristiani vivono in una brutta situazione.
In altre parti, viviamo insieme in pace.
Davvero, è un peccato quello che è successo in Siria. Avevamo la nostra libertà. Le chiese sono sempre state libere di festeggiare. Gli scout [gruppi di giovani che sono tipicamente affiliati a una chiesa] uscivano per le strade per alcune feste. Non abbiamo mai pensato che non ci fosse libertà di praticare la nostra fede.

Quali sono i bisogni adesso?
C'è così tanta sofferenza.
Ora, con la crisi economica, la gente dice che almeno durante la guerra siamo riusciti a mangiare un po'. Adesso è un momento molto difficile per noi. Le sanzioni [internazionali], imposte alla Siria, colpiscono la gente comune. Le sanzioni hanno paralizzato la vita della Siria. Ogni cosa.

Ad Aleppo, oltre 200 fabbriche furono distrutte durante la guerra. Il loro ripristino e il loro funzionamento richiederà anni. Migliaia di persone sono senza lavoro. La mancanza di elettricità, la mancanza di reddito ha colpito le persone terribilmente. Per coloro che lavorano, il reddito non è sufficiente ad una famiglia normale per vivere con dignità. E tutto è diventato più costoso. La stragrande maggioranza delle persone che sono rimaste ad Aleppo sono anziane e non hanno entrate.
Le cose sono così pesanti per le persone. Penso sempre all'Occidente e al modo in cui parlano dei diritti umani e della dignità umana, e allo stesso tempo ci stanno imponendo sanzioni. Cosa stanno facendo? Perché vogliono danneggiare il popolo siriano? Le sanzioni, siamo onesti, sono le persone comuni a soffrirne.
Riesci a immaginare se qualcuno interferisse nel tuo Paese? Se non si accetta l'interferenza nel proprio Paese, perché dovremmo accettarla noi nel nostro Paese? E molti stanno interferendo. Dobbiamo fare qualcosa.
Quindi prego sempre per i leader in Occidente, che il Signore dia loro la saggezza per essere un vero strumento per la pace in Siria, e non solo in Siria ma nel mondo intero.

Cosa possono fare i cristiani in Occidente?
Prima di tutto, quando parlo dell'Occidente, mi riferisco ai leader del governo.
Ho incontrato molte persone in Occidente che sono preoccupate per i loro fratelli e sorelle, che sono davvero attente a noi. Senza di loro, non so cosa succederebbe alla nostra gente in Siria. Questo, per me, è una cosa grandiosa, pensare ai nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo che pregano, aiutando anche per ogni tipo di necessità. A volte un messaggio aiuta; a volte una preghiera. E a volte aiutano finanziariamente.
Quello che mi viene sempre in mente è San Paolo, quando dice: "Se una parte del corpo soffre, tutte le altre parti ne soffrono". Non possiamo semplicemente dire: "Non ha nulla a che fare con me: è a miglia di distanza". No. La malattia può andare in tutto il Corpo di Cristo. Quindi dobbiamo stare attenti.
Voglio ringraziare tutte le persone che, con buon cuore, cercano di aiutare e quelle che ci stanno supportando con le preghiere. E' la cosa più importante, almeno sappiamo che qualcuno sta pregando per noi ed è preoccupato per noi.

Come ha mantenuto la sua forza durante i tempi difficili della guerra?
Non so quante volte mi è stata posta questa domanda. Due cose ci hanno aiutato, insieme come sorelle: la preghiera e lo stare insieme, aiutandoci a vicenda, sostenendoci a vicenda; questo è un punto molto forte.
Ricordo quando i tempi erano molto, molto duri ad Aleppo e non c'era elettricità. Ok, ti ci abitui. Avevamo solo un'ora e mezza al giorno di elettricità.
Ci svegliavamo alle 6 del mattino, andavamo in cappella, con una candela in mano e l'Ufficio [divino] in un'altra mano, e continuavamo. La vita significa continuare.
Durante la notte quando c'erano forti bombardamenti, uscivamo dalle nostre stanze e andavamo in una stanza sicura. A volte ci sedevamo insieme e pregavamo, a volte ognuna pregava in silenzio. Ricordavo sempre questa immagine, quando Gesù era sulla croce, dicendo: "Perché mi hai abbandonato?". Penso sempre al silenzio di Dio, che soffre per noi e soffre con noi. Dio è qui con noi.

Cosa è necessario per la guarigione tra il popolo siriano?
Descrivo sempre la nostra gente come una persona che ha subito un'operazione molto invasiva. La guarigione ha sempre bisogno di tempo. Guarire la loro memoria, il loro cuore, le loro ferite, non è facile. Naturalmente abbiamo bisogno di molto lavoro nella cura del trauma, nel supporto psicologico, specialmente per coloro che hanno vissuto un grande trauma: donne, bambini e uomini.
Hanno bisogno di accompagnamento, qualcuno che li ascolti, che sia lì. L'aiuto spirituale, la preghiera, fanno davvero un buon lavoro per guarire le ferite di una persona.
 Di recente, come Sorelle di Gesù e Maria, abbiamo tenuto diversi corsi in alcune parti della Siria.
A Damasco, abbiamo aperto il Centro Beata Dina Bélanger [ il nome dalla Suora di Gesù e Maria che è stata beatificata nel 1993], che offre guarigione attraverso la musica e l'arte per i bambini. Abbiamo centinaia di bambini che vengono in questo centro. Crediamo che questo sia un modo in cui possiamo aiutare i nostri piccoli a prendere tutta la tensione, i ricordi, di ciò che hanno ascoltato negli ultimi 10 anni. Hanno ascoltato i rumori dei missili, delle bombe e ora vogliamo che ascoltino davvero la musica, che può curare i loro cuori e le loro anime.
Abbiamo anche il Hope Center di Damasco, nel quale cerchiamo di raggiungere donne e giovani; cerchiamo di supportarli con consapevolezza sanitaria e l'assistenza psicologica. Attraverso il Hope Center, li aiutiamo anche a trovare lavoro.

Anche ad Aleppo abbiamo giovani che hanno istituito un Hope Center. Stanno cercando di aiutare la comunità a trovare lavoro. Circa 18 giovani al Hope Center di Aleppo hanno deciso di rimanere. Stanno facendo un lavoro davvero straordinario. Più di 200 famiglie hanno trovato lavoro, negli ultimi due anni. Hanno anche creato uno spazio un po' più comodo per gli studenti universitari per studiare, con elettricità e riscaldamento. E abbiamo aperto un altro Centro per aiutare i giovani dopo l'università a sviluppare le loro capacità personali e [offrire assistenza] su come trovare un lavoro. Ad Aleppo, cerchiamo di aiutare con una piccola fabbrica di jeans, con più di 17 giovani che lavorano lì.
Questo è il modo in cui la speranza sta arrivando: come un puzzle, ognuno mette un pezzo di questa bellissima immagine per ricostruire l'ampia immagine della Siria. Dobbiamo fare qualcosa per dare speranza al nostro popolo. Per far loro sentire che c'è un futuro. Che possiamo costruire il nostro paese.
Se torniamo a Santa Claudine Thévenet, la nostra fondatrice, ella viveva durante la Rivoluzione francese; e il nostro tempo è simile al suo tempo, con la sofferenza, l'uccisione e la distruzione della vita e della dignità della gente. Vide i suoi due fratelli uccisi. Poco prima di morire, le hanno inviato un messaggio dicendo: "Perdonate volentieri perché siamo perdonati".
Questo è ciò di cui abbiamo bisogno anche oggi: riconciliazione, guarigione e perdono; affinché le persone sappiano che Dio è amore, Dio è misericordia, Dio è perdono.

In che modo le persone possono aiutare finanziariamente?
Lavoriamo molto con Aid to the Church in Need (ACN) e altre organizzazioni, come L'Oeuvre d'Orient in Francia e Caritas, così come altre organizzazioni che lavorano in Siria. Quindi possono contattare queste organizzazioni. ACN in particolare è ben noto.

https://www.ncregister.com/daily-news/we-need-to-do-something-to-give-hope-to-our-people-in-syria

lunedì 9 marzo 2020

Padre Firas: «Ecco come soffre la Siria»


di Maria Acqua Simi 
Padre Firas Lutfi è un frate francescano della Custodia di Terra Santa. Siriano, da pochi mesi si trova a Beirut perché è stato nominato Ministro della regione di San Paolo (Siria, Libano e Giordania). Dove si trovano i “dimenticati di Iblid”, ricordati all’Angelus da papa Francesco.
«È una responsabilità che nessuno vorrebbe portare sulle spalle, mi affido ogni giorno al Signore e a Lui affido anche i trenta frati che vivono in questi tre Paesi», racconta. La situazione non è semplice. Mentre l’intervista è in corso, veniamo raggiunti dalla notizia che il Libano è stato dichiarato fallito. Default. La Svizzera del Medio Oriente, da mesi percorsa da proteste e manifestazioni, ha ceduto. È crollata sotto il peso di un debito economico diventato insostenibile, causato dalla corruzione della politica (dove tutti sono colpevoli, ma nessuno si sente responsabile) e dall’instabilità dovuta all’influenza che forze regionali (Iran, Turchia, Paesi del Golfo) e internazionali esercitano a quelle latitudini.

«La nostra prima preoccupazione, molto concreta, è come far arrivare gli aiuti in Siria. Se fino a due anni fa, in piena guerra, potevamo in qualche modo far passare denaro e generi di prima necessità dalla frontiera libanese, oggi non è più così perché l’intero sistema bancario libanese è bloccato». Non si blocca però l’emergenza umanitaria: «Se in Libano è difficile trovare lavoro e il Paese subisce la pressione fortissima di milioni di profughi, in Siria ci sono bambini che ad Aleppo e in altri villaggi più lontani muoiono di freddo». E non è una metafora. Mancano letteralmente vestiti e coperte, non c’è nafta per far funzionare i generatori, non parliamo dell’energia elettrica.

«Questo, lo devo dire, è causato soprattutto dall’embargo internazionale che impedisce di far transitare aiuti in Siria. A pagarne il prezzo più altro sono i civili. Noi frati però non andiamo via, rimaniamo per stare vicino alla nostra gente». Come nei villaggi di Yacoubie e Knaye, racconta. Lì padre Hanna Jallouf, 67 anni, e padre Luai Bsharat, quarantenne, continuano la loro opera di carità a fianco delle oltre trecento famiglie cristiane presenti, sebbene da anni ormai l’intera area sia sotto controllo degli jihadisti e delle milizie di Al Nusra. «Vivono sotto la sharia. Le chiese e i cimiteri sono stati spogliati delle croci, non possono celebrare messa pubblicamente né tantomeno fare processioni. Anche i terreni (è una grande zona di agricoltura, ndr) non possono essere coltivati e la sopravvivenza dipende dagli aiuti delle poche Ong internazionali che riescono a raggiungerli». I due religiosi hanno cura di tutta la comunità cristiana, non solo quella latina, ma anche quella armena e quella greco-ortodossa. In queste ultime settimane, dopo gli scontri con la Turchia che ha invaso l’area appoggiando i ribelli, si sono fatti carico di aiutare moltissimi musulmani fuggiti dalla zona di Idlib o dai campi profughi.

L'immagine può contenere: spazio all'aperto
«Non vedo padre Hanna dal 2013, è troppo pericoloso recarsi in quelle zone, però ci sentiamo spesso al telefono e mi spalanca il cuore sapere che loro rimangono anche per custodire i luoghi della memoria cristiana. La memoria è importantissima, perché viviamo calpestando la terra di quella che era conosciuta come l’antica Antiochia, citata nel Nuovo Testamento, dove per la prima volta i seguaci di Cristo prendono il nome di cristiani. Lì passarono Paolo, Pietro, Luca e ancora oggi i cristiani e i frati presenti hanno la coscienza della storia grandissima a cui apparteniamo tutti: quella cristiana che è fatta di carità e testimonianza». Questo si traduce in pacchi alimentari per migliaia di persone, messe celebrate a dispetto di qualunque condizione, assistenza negli ospedali, cura dell’educazione dei giovani, supporto alle giovani coppie che «sempre meno, ma con sempre più coscienza» decidono di sposarsi. 

Nelle zone più difficili da raggiungere come quelle dove si combatte, la gente si arrabatta come può per sopravvivere, cercando di scampare alle milizie (i frati sono stati più volte rapiti, alcuni parrocchiani sono stati uccisi) e di sopravvivere all’inverno che quest’anno è stato particolarmente rigido. Andare via non è un’opzione, anche perché ormai è quasi impossibile
La presenza cristiana in Siria in questi nove anni di guerra è crollata: erano quasi due milioni nel 2010, ora tantissimi sono fuggiti. Ad Aleppo, per dare un’idea, si è passati dalle 200mila presenze alle 30mila. A rimanere nel Paese ora sono perlopiù anziani, malati, bambini e vedove. I pochi adulti rimasti devono confrontarsi con la mancanza di lavoro. «Oggi un dollaro vale mille lire siriane. Come fa a vivere una famiglia che guadagna 50 dollari al mese? Come può mangiare, vestire e mandare a scuola i figli? Con il guadagno di un mese vivono si e no una settimana», racconta ancora padre Firas. Che pone l’accento su una piaga nascosta, quella dei bambini nati durante le occupazioni e rimasti orfani oppure da donne che sono state violentate e dunque mai registrati e considerati i figli della vergogna. Solo ad Aleppo sono circa duemila, hanno un’età compresa tra i quattro e i sette anni e vagano per la città come fantasmi, non sono registrati all’anagrafe e non vanno a scuola. Per questo i francescani e Ahmad Badrehddin Hassoun, gran muftì di Aleppo, si sono uniti per aiutarli. Per l’islam non esiste l’adozione, ma il muftì ha condotto uno studio secondo il quale, nel rispetto della religione, una famiglia musulmana può prendere a carico un bambino e tenerlo in affido fino alla maggiore età. «Tengo particolarmente ad aiutare quei bambini, perché il dolore innocente ci interroga ogni mattina, ci fa chiedere al Signore un senso».

Ovunque, spiega, il bisogno è grande «e per questo chiediamo al Signore ogni giorno una fede salda». Senza retorica chiarisce che è come avere addosso una ferita che non si rimargina mai. «Siamo in Quaresima e come Gesù viviamo il calvario. Questa guerra ha toccato tutti noi, ci tocca ogni giorno. Nessuno qui avrebbe mai pensato di dover abbandonare la sua terra o di morire sotto delle bombe. Ha scosso i nostri cuori, le nostre certezze, ci ha fatto conoscere cosa sia il dolore in tutte le sue forme. Ma anche se ogni tanto capita di lasciarci andare allo sconforto, abbiamo sempre davanti come esempio Gesù. E la nostra fede ne esce rafforzata, diventa più matura giorno dopo giorno. Come diceva San Paolo è un tesoro in vasi di creta. Spesso abbiamo paura, siamo sommersi dalle preoccupazioni, ma continuiamo a custodirla perché cresca e porti frutto».

domenica 8 marzo 2020

Preghiera da Aleppo per l'Italia colpita dal coronavirus; e dall' Italia per chi alimenta la sofferenza del popolo siriano


La preghiera del Papa per la prima volta in streaming e non dalla finestra dello studio privato del palazzo apostolico: 
"Sono vicino a chi soffre per l’attuale epidemia di coronavirus e a tutti coloro che se ne prendono cura. Mi unisco ai miei fratelli Vescovi nell’incoraggiare i fedeli a vivere questo momento difficile con la forza della fede, la certezza della speranza e il fervore della carità". 
Al termine della preghiera mariana ha ricordato gli abitanti di Idlib e del nord della Siria: 
"Rinnovo il mio dolore per questa situazione disumana di queste persone inermi, tra cui tanti bambini, che stanno rischiando la vita. Non si deve distogliere lo sguardo di fronte a questa crisi umanitaria, ma darle priorità rispetto ad ogni altro interesse. Preghiamo per questa gente, questi fratelli e sorelle nostri, che soffrono tanto al nord-ovest della Siria, nella città di Idlib". 

Al ricordo del Papa, vogliamo supplicare il Signore per quanti sono impegnati a lottare contro il terrorismo, per quelli che hanno sacrificato la loro vita e versato il sangue per il Vangelo e la libertà. 
Senza dimenticare i Cristiani rimasti ad Idlib, sottoposti dai jihadisti a immani sofferenze, oltre ad essere costretti ad osservare la legge della sharia. 
Non dimentichiamo CHI continua a causare dolore al popolo siriano;  CHI propaga menzogne nascondendosi sotto l'ala della crisi umanitaria per difendere gli interessi di quanti hanno provocato 9 anni di guerra in Siria. 

Per raggiungere la pace non basta parlare degli effetti, è opportuno indicare le cause. 
Quanta tristezza sentire parlare da CHI in questi anni ha favorito i terroristi, di pace e di aiuto ai bambini di Idlib! 
Che Dio ci perdoni! 
   Don Salvatore Lazzara

mercoledì 4 marzo 2020

Siria. La distruzione della memoria : Città Morte del Massiccio Calcare

LETTURE PER CAPIRE (2° PARTE)
(1° PARTE QUI)

2. Le chiese paleocristiane
Di Maria Antonietta Carta

Il Massiccio Calcare
Da li, in epoca romano-protobizantina, si esportava nel resto della Siria e in altre parti dell’impero l’olio di oliva, prodotto di grande valore commerciale per il suo vasto impiego: saponi, lubrificanti, cosmetici, unguenti, base dell’alimentazione popolare, illuminazione pubblica e privata. Anche i suoi vini erano conosciuti a Roma e in Gallia.

Nel IV secolo, vi si stabilirono i primi monaci cristiani e, a partire dal V secolo, i pellegrini cominciarono a giungere da Oriente e Occidente per venerare Simeone stilita. Conserva più di settecento siti con migliaia di edifici, tra cui vestigia di 1200 chiese, una ogni 3 km2 e, visitandolo si assiste all’ininterrotto sviluppo, dal I VI secolo, di un’architettura nata dall’occupazione romana, ma più vicina a quella apparsa tra il Mediterraneo e l’Altipiano iranico e con originali apporti dell’arte della costruzione locale, soprattutto nell’impiego delle pietre di grosso taglio senza alcun elemento coesivo. Questa regione della Siria, (lunga 140 Km circa in direzione Nord-Sud e larga dai 20 ai 40) compresa tra Antiochia, terza metropoli dell’Impero Romano, Aleppo antichissimo emporio internazionale, Chalcis ed Apamea centri carovanieri e strategici, ricca di vestigia storiche è oggi vittima della bramosia di conquista di uno degli arroganti governanti dei nostri giorni oscuri: il presidente della Turchia Erdogan. Ho frequentato e studiato per lunghi anni questi luoghi ora devastati dalla guerra e voglio raccontarveli così come sono scolpiti nella mia memoria.

Lasciando Aleppo, la confusione, i rumori, le mille atmosfere di quella vivace città mediorientale e dirigendosi a Nord-Ovest verso la via che, anticamente, portava ad Antiochia o verso Sud-Ovest alla volta di Apamea, si iniziava un viaggio in luoghi formati per lo più da altipiani e colli di gruppi montagnosi situati tra le steppe dell’Est e il Mediterraneo: i Gebel (montagna in arabo) Sim’an a Nord, Barisha-A’la-Wastani al centro e a Sud il Gebel Zawiye che, nella parte orientale degrada verso la steppa. Si tratta di territori quasi privi di risorse idriche: un deserto petreo spesso mitigato soltanto da radi e stentati lazzeruoli, allori e pistacchi selvatici, forse fantasmi di boschi un tempo lussureggianti, macchie di terra rossa sottratta da tenaci contadini alle rocce per coltivarvi l’ulivo e da due fertili piane interne, Sarmada e Rouj. Ma, guardando con attenzione, dal confuso magma del calcare ecco che si delineava il contorno di edifici solitari o di interi paesi con strade ingombre di massi squadrati, muri bordati di portici a pilastri o colonne, porte o finestre con architravi scolpiti, parapetti di balconi, capitelli. Non mi sono mai stancata di quei panorami e di quelle vestigia tante volte incontrati, dei silenzi e delle atmosfere di luoghi dove il tempo sembrava essersi fermato per oltre settecento anni.

Il Massiccio Calcare fu tra le prime regioni della Siria colonizzate dai Romani: l’Antiochene e l’Apamene. Traiano l’aveva assegnata a veterani emeriti e funzionari indigeni che vi avevano edificato le prime ville e introdotto la coltivazione intensiva dell’ulivo e della vite. A partire dal I secolo, furono edificati borghi, villaggi e, nelle alture, templi. Dal III secolo, vi si stabilì una popolazione semitica e i latifondi lasciarono il posto a medie e piccole proprietà. Lungo le piste carovaniere e la via Antiochia-Chalcis, fino alla conquista araba ponte tra Ctesifonte, Bisanzio, l’Asia e il Mediterraneo, si incrociavano soldati, pellegrini e mercanti. Nella seconda metà del VI secolo, ebbe inizio il declino. Le cause furono molteplici: invasioni di cavallette, peste, siccità, terremoti, incursioni dei Persiani e, dopo la conquista araba, il blocco del Mediterraneo da parte dei Bizantini, che secondo alcuni storici causò la fine dei commerci tra Occidente e Siria. Dal X secolo, chiusero anche i grandi complessi monastici, tra cui il famoso convento di Teleda, quando i monaci si schierarono a fianco dei principi musulmani contro Costantinopoli intenzionata a riconquistare la Siria. Il Massiccio fu terra di frontiera nel periodo delle Crociate: si costruirono cittadelle, si fortificarono numerosi monasteri e chiese e vi si svolsero battaglie cruente come quella dell’Ager Sanguinis presso Sarmada (28 giugno 1119) tra l’esercito di Ruggero principe di Antiochia e le truppe di al-Ghazi. Steli funerarie e vestigia di moschee attestano un parziale ripopolamento e una certa rinascita economica durante il regno Ayyubide (1169-1291). Con l’occupazione mamelucca (1291) e ottomana (1515) fu decadenza totale. La regione rimase quasi isolata dal resto del Paese fino agli ultimi decenni del XIX secolo, epoca in cui ricominciò lentamente a popolarsi. Durante la prima metà del XX secolo, i nuovi abitanti continuavano a stabilirsi negli antichi edifici.

Chiese paleocristiane del Massiccio Calcare
Scrive lo storico di arte paleocristiana, bizantina e altomedievale André Grabar in: L’age d’or de Justinien: ‘’Il numero di chiese in Siria durante i secoli V e VI è superiore a quello di altre provincie dell’impero di quella medesima epoca.’’ La Siria è dunque un luogo privilegiato per la storia dell’architettura cristiana e il Massiccio Calcare, essendo rimasto disabitato in gran parte per centinaia di anni, custodisce numerosissimi edifici sacri paleocristiani nelle loro forme originali; un numero maggiore di quanto, forse, possa contarne qualsiasi altra regione della terra.
Anche piccolissimi villaggi ne possedevano due o tre, e alcuni siti conservano vestigia di quattro, cinque, sei e persino otto chiese. Il fiorire di edifici sacri presso quelle comunità rurali non dipendeva dal numero degli abitanti, ma dalla sua composizione etnico-religiosa: popolazione semitica ed ellenistica, dispute cristologiche, soprattutto tra Calcedonesi e Monofisiti, all’interno dello stesso villaggio, come mi insegnò il P. Pasquale Castellana durante le nostre escursioni in quei luoghi straordinari, ’’Se i fedeli che aderivano al Concilio di Calcedonia avevano la loro chiesa a Sud, quelli anticalcedonesi ne costruivano una a Nord; se la prima era situata a Ovest, un’altra era costruita dagli antagonisti a Est.’’ Già dal IV secolo, si veneravano le reliquie dei martiri. Le loro ossa, distribuite alle chiese, erano collocate dentro urne di pietra (reliquiari) posti accanto all’altare del presbiterio.
reliquiario


I fedeli versavano l’olio in un foro a imbuto, praticato nel coperchio, e lo raccoglievano con panni e fiale da una nicchia sotto la fossetta che conteneva le reliquie. Nella prima metà del secolo V, la cappella della navata a Sud, prothesis, diventò Martyrium.

La chiesa di Qirq Bize, nel Gebel A’la, è particolarmente interessante per la storia dell’architettura sacra in Siria. Appena anteriore o di poco successiva all’Editto di Costantino (313 d.C.), segna il passaggio dalla Domus-ecclesiae precostantiniana ai luoghi espressamente di culto. Fu concepita in funzione delle case e di un edificio pubblico, l’andron, tipico di quella regione. Dell’architettura domestica riprende la posizione Est-Ovest, il cortile con porticato (che sostituiva il temenos dei templi politeisti) e le due porte nel lato sud. Aveva un’unica navata rettangolare (di m. 14,75 x 6,40) con il bema (lungo m. 3,77) e il santuario, o presbiterio, che occupava l’estremità est. Il santuario, profondo 3 m. circa, era rialzato rispetto al resto della sala e vi si accedeva per mezzo di due gradini. Ai lati del primo gradino, erano collocati due reliquiari, (e altri tre stavano accanto alla parete sud del santuario). Il secondo gradino, l’arco trionfale, il martyrion e una balaustra decorata da simboli scolpiti furono aggiunti in tempi successivi. Il porticato, a colonne, poggiava su una piattaforma rocciosa. Nel cortile, come nelle case, una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana: coperta da cinque lastre di pietra e con un’apertura quadrata. L’ingresso del cortile era monumentale.
Le chiese di Ishroq e Ma’ramaya (Gebel Barisha) sono quasi contemporanee e simili a Qirq Bize per le dimensioni e le caratteristiche architettoniche. A Nouriye (Gebel Barisha) si conserva la prima chiesa con abside sporgente e a Banqousa (Gebel Barisha) la prima basilica. Della stessa epoca, sono le basiliche di Sinhar, Borj Heidar, Kharab Shams, nel Gebel Sim’an, tutte con le arcate della navata centrale sostenute da colonne.
Borj Heidar
Kharab Shams
 Dopo il concilio di Efeso (431 d.C.), a Sheikh Souleiman (nel Gebel Sim’an) fu edificata una basilica in onore della Madonna.
I templi cristiani non nascono isolati e dominanti sulle alture come i templi politeisti ma, a eccezione delle cappelle monastiche, fanno parte del centro abitato. Le chiese del IV secolo sono piccole, allungate e massicce, hanno stretti colonnati, l’abside affiancata da due locali laterali e quasi sempre chiusa all’esterno da un muro dritto. Gli elementi decorativi sono pochi, semplici e limitati a capitelli, architravi, che recano scolpiti i primi simboli cristiani (croci greche e di Malta, monogrammatiche, a sei bracci inscritte in cerchio) e al marthyrium. Verso la fine del secolo, acquista risalto la facciata ovest. Dal V secolo, che vede operare uno tra i pochi architetti di cui è conosciuto il nome, Markianos Kyris, lo stile architettonico e quello decorativo si affinano sempre piu e acquistano tratti originali. La scultura di Lintelli, pareti, archivolti, cornici diventa esuberante e artisticamente notevole. I motivi essenziali: croci a sei o otto bracci, chrismon, rosette a sei petali, elici, si sviluppano in innumerevoli varianti stilistiche, sono scolpite in rilievo e talvolta racchiuse o anche costituite da nastri perlati, motivi accordellati e, con termine improprio, arabescati, provvisti di borchie all’esterno o di perle o globuli all’interno (motivi che si trovano anche nella decorazione degli edifici civili). Le finestre, talvolta, si fanno geminate con la separazione di una colonnetta.


 








Alcuni elementi sembrano anticipare il romanico. Ricordiamo, tra le tante di questo periodo: le basiliche di Babisqa, Kseijbe, Dar Qita, Qasr el-Banat, Sarfoud, Taqle e Mouchabbak.



Baqirha



Alla fine del V secolo, con le basiliche di Qalb Loze e S. Simeone Stilita che racconterò in seguito) e durante tutto il VI, l’architettura sacra raggiunge il suo pieno sviluppo. Si costruiscono una quantità straordinaria di chiese, battisteri, cappelle monastiche. Le absidi diventano profonde, escono sempre più frequentemente dal perimetro dell’edificio e in alcuni casi sono circondate da due ordini di colonne. Le arcate si allargano e le colonne della navata centrale, ormai più alta, ampia e luminosa, sono anche sostituite da robusti pilastri, elemento originale, come a Qalb Loze, o Roweiha, dove compare per la prima volta l’idea dell’arco trasversale. Archi trionfali e capitelli sono superbamente scolpiti, porte finestre sottolineate da modanature che possono prolungarsi fino ad avvolgere l’intero edificio. L’esterno diventa monumentale. I cortili, più vasti, ospitano battisteri e mausolei, e le facciate si arricchiscono di finestre o torri laterali unite da un arco che forma vestibolo e atri, come a S. Simeone, Qalb Loze, Tourmanin, Rouweiha. In casi eccezionali, la basilica è situata al centro di un temenos, ma continuano a costruirsi le semplici chiese a una sola navata e le basiliche a tre navate tipiche della regione.
Sitti el Roum
Deir Sim'an

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