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sabato 14 marzo 2020

 Entrando nel decimo anno di guerra in Siria

Questa opera d'arte è stata realizzata in un parco
siriano, per ricordare tutte le madri che hanno dato
alla luce i soldati che hanno perso la vita in questi
anni per la difesa del Paese. (E. Vigna)

La drammatica situazione in cui ci ha precipitato il Coronavirus forse aiuterà molti a comprendere 'sulla pelle' questa testimonianza proveniente dalla Siria, dove la gente da 9 anni vive in uno stato costante di incertezza e di tensione, dove milioni di persone subiscono le conseguenze delle sanzioni che i nostri governi impongono. 

Chiediamo con tutto il cuore che il Signore ci liberi dal male e ci renda più umani e giusti verso tutti i fratelli nel mondo.
    OraproSiria 

"IL CONFLITTO SARA' FINITO SOLO SENZA L'EMBARGO" 
Da Avvenire del 8 marzo 2020
intervista di Luca Geronico 

Ingegnere meccanico con un passato in una compagnia farmaceutica, Riad Sargi, originario di Damasco, è dal 2016 direttore di Caritas Siria, quando il suo Paese era già nel bel mezzo della guerra civile.
Il Venerdi Santo del 2019, assieme alla moglie Rouba Farah e ai tre figli, ha portato la Croce durante la Via Crucis al Colosseo.

Dottor Riad Sargi, gli ultimi appelli dell'ONU parlano di un'emergenza umanitaria che coinvolge almeno un milione di sfollati. Qual è la sua percezione di una situazione che Papa Francesco, domenica 23 febbraio a Bari, ha definito una "immane tragedia"?
  Quanto sta avvenendo ora a Idlib, è realmente una immensa tragedia, come ha detto Papa Francesco, specialmente per le donne ed i bambini. Per quanto concerne i profughi, posso assicurare che la maggior parte sono sfollati in luoghi che non sono sotto il controllo siriano, e solo alcune famiglie si sono spostate da Aleppo, Tartous, Lattakia.
Riad Sargi, direttore di Caritas Siria: gli sfollati dal Nord-Ovest
non sono nel territorio sotto il controllo del governo.
Che tipo di progetti avete in campo, o state organizzando per far fronte a questa emergenza?
  Tutti noi operatori di Caritas Siria siamo molto preoccupati per la situazione di queste famiglie di sfollati e abbiamo intenzione di cercarli per poi prenderci cura di loro. Fino ad ora i profughi sono soltanto ospitati da diverse comunità.

Caritas Siria sta operando con sei uffici regionali, organizza progetti umanitari il tutto il Paese: un lavoro di cui beneficiano, in base ai vostri report, 100.000 persone per un impegno complessivo pari a sei milioni di Euro. In generale, guardando a questi quasi 9 anni di guerra civile, qual è la maggiore difficoltà, qual è il più importante bisogno che voi, in quanto Caritas Siria, dovete soccorrere?
  Per sostenere migliaia di famiglie durante gli anni di guerra abbiamo dovuto fronteggiare enormi difficoltà, delle quali la principale è dovuta alla sanzioni economiche imposte alla Siria dalla comunità occidentale. In particolare il blocco delle transazioni bancarie è un ostacolo che ci impedisce di poter realizzare i nostri obiettivi per soccorrere i bisogni delle famiglie.

Quali sono in particolare, i rischi per la sopravvivenza della Comunità Cristiana che è in Siria che vive in una situazione di minoranza?
  Nei fatti, come comunità cristiana non dobbiamo affrontare nessuna difficoltà, dal momento che non siamo considerati una minoranza. Alla fine, siamo tutti cittadini siriani. Noi già soccorriamo tutti i bisogni delle famiglie siriane senza alcuna discriminazione. Così cerchiamo di fare del nostro meglio per essere un buon esempio nel processo di riconciliazione delle comunità locali.

Riad Sargi, quando, al di là delle dichiarazioni ufficiali, la guerra sarà realmente finita per il popolo siriano?
  La guerra in Siria finirà quando la maggior parte delle nazioni straniere avrà tolto le sanzioni alla Siria e i foreign fighters (combattenti stranieri) saranno tornati alle loro case. Allora, la riconciliazione e il perdono riempiranno i cuori di tutti i Siriani.

giovedì 12 marzo 2020

"Dobbiamo fare qualcosa per dare speranza al nostro popolo in Siria"


Un'intervista a suor Annie Demerjian della Congregazione delle religiose di Gesù e Maria

 di Doreen Abi Raad, corrispondente di Register, scrive da Beirut
  trad. Gb.P. OraproSiria

La città di Aleppo, conosciuta a lungo come la capitale industriale della Siria, con migliaia di fabbriche e officine, è stata ridotta a edifici diroccati e strade disseminate di macerie durante un sanguinoso assedio dal 2012 al 2016. Centinaia di persone sono state uccise e migliaia sono fuggite dalla città. In mezzo al furioso conflitto siriano, le suore della Congregazione religiosa di Gesù e Maria hanno continuato a prestare servizio nel Paese - sette sorelle ad Aleppo e tre a Damasco - nonostante avessero il permesso del loro provinciale di andarsene, se lo desideravano.

Per la suora siriana Annie Demerjian, superiora dell'Ordine in Medio Oriente, ciò che l'ha davvero toccata è stata la determinazione delle Sorelle di Gesù e Maria provenienti dall'Inghilterra, che hanno detto: "Non lasceremo" la Siria. Suor Annie ha riconosciuto la loro perseveranza come segno di un cuore incentrato sulla missione.
Ad Aleppo, come le persone che servono, le suore hanno subito i bombardamenti e la mancanza di beni di prima necessità, tra cui acqua ed elettricità. Gli studenti nella loro scuola hanno continuato diligentemente gli studi, malgrado fossero sempre a portata di sparo del cecchino. Nelle visite alle famiglie sofferenti e in lutto, suor Annie ha incontrato una profonda fede tra le persone che riuscivano ancora a dire: "Grazie a Dio", nonostante tutto quello che avevano sopportato.

La sofferenza continua. Le sanzioni internazionali hanno "paralizzato" la vita in Siria per le persone comuni che affrontano difficoltà economiche, dice Annie. E c'è un grande bisogno di guarire i cuori e le ferite interiori dei siriani traumatizzati dalla guerra.
La Congregazione dei Religiosi di Gesù e Maria fu fondata a Lione, in Francia, nel 1818 da Santa Claudine Thévenet, canonizzata da Papa Giovanni Paolo II nel 1993. L'ordine è presente in 28 Paesi di quattro continenti. La sua presenza in Siria è iniziata nel 1983 e in Libano nel 1963.
Dal convento a Rabweh, in Libano, da dove visita la Siria nel suo ruolo di superiora, suor Annie racconta le prove della guerra e il bisogno di speranza e di guarigione per il popolo siriano.

Sister Annie Demerjian says, “There is so much suffering.”  But faith gives strength as the people heal, with the support of the sisters.

Cosa ha vissuto durante la guerra?
Sono stati giorni molto dolorosi quelli che abbiamo passato. Noi [sorelle] abbiamo vissuto esattamente ciò che vivevano le altre persone: niente acqua, niente elettricità, niente basi della vita quotidiana. Molto spesso le bombe cadevano vicino a noi e rompevano le finestre. Brividi di notte senza riscaldamento; faceva molto freddo.
Ad Aleppo, abbiamo continuato con la nostra scuola, ma abbiamo anche iniziato ad aiutare la nostra gente, visitando le famiglie.
E le persone si sono aiutate a vicenda. Ricordo che avevamo un amico che ci visitava portando una melanzana, una zucchina e un cetriolo. Diceva: "Mio fratello ha comprato questo per i miei genitori e vogliamo condividerlo con te". Tra noi, abbiamo condiviso la sofferenza, ma abbiamo anche condiviso il bene insieme; e sempre, abbiamo sperimentato quello che la nostra fondatrice, St. Claudine Thévenet, diceva: "Dio provvederà". Durante la guerra sono accadute molte cose e noi dicevamo: "Dio sta davvero provvedendo". Dobbiamo solo aver fede in Lui e affidarci a lui.

Nel 2012 abbiamo interrotto le lezioni nella nostra scuola, che si trova a 20 minuti in auto da Aleppo, perché i cecchini erano intorno alla scuola. Venire da noi era diventato pericoloso per i bambini. Quindi condividemmo le aule di una scuola statale, che teneva lezioni al mattino, mentre con i nostri studenti le utilizzavamo nel pomeriggio, da mezzogiorno alle 16:30, per continuare almeno con le materie principali.
È sorprendente come i bambini si adattino alla situazione. Alle 16:00 in inverno, quando stava diventando buio, gli studenti tiravano fuori le torce e continuavano gli studi, anche i bambini di 4 e 5 anni! Li guardi e dici: "Quanto sono grandi."
Una volta, supervisionavo i giovani, delle classi 10 e 11. Era tempo di esami. Sentivamo che i cecchini avevano raggiunto il vicolo. Ho chiesto agli studenti di allontanarsi dalle finestre. Molti di loro si sedettero sul pavimento e continuarono a scrivere i loro esami. Niente panico, niente. Sono arrivata a piangere, dicendo loro: "Siete gli eroi del nostro tempo".
Forse nessuno sa quanto hanno sopportato in questi giorni, i nostri giovani, ma, in realtà, ci hanno dato una lezione su come sopravvivere.

Non solo ad Aleppo, ma in altre parti della Siria, alcune scuole sono state utilizzate per accogliere i rifugiati; altre erano controllate dai ribelli per scopi diversi. C'erano 1.500 studenti nella nostra scuola, circa il 17% musulmani, ma durante la guerra le iscrizioni divennero sempre meno, fino a quando ne avemmo meno della metà. Se ne andarono anche tante famiglie.
La nostra scuola ha bisogno di tempo per essere riparata dai danni delle bombe. Ovviamente abbiamo perso molti buoni insegnanti perché sono fuggiti dalla zona. Crediamo che l'istruzione sia una delle cose più importanti per ricostruire le menti e i cuori, il modo di pensare.

Qual è il livello di fede delle persone in Siria?
Ciò che mi toccava molto, quando andavamo a visitare le persone, era che continuavano a dire: "Grazie a Dio". Per me è un grande messaggio, come perseverano, come sono determinati a continuare nonostante tutto - come stanno portando questa sofferenza con un "Grazie a Dio". Alcune persone chiedevano: "Perché, Dio?" e questo è normale con una grande sofferenza, specialmente quelli che hanno perso i loro figli o membri delle loro famiglie.

Molte persone andavano ancora nelle chiese, anche quando c'erano bombardamenti. A volte una chiesa era stata colpita più volte, e si poteva pensare: nessuno verrà in chiesa. Il giorno dopo, trovavi persone che andavano lì a pregare, nonostante il danno. Abbiamo così tante chiese di rito diverso ad Aleppo: latino, cattolico maronita, cattolico greco, cattolico siriaco, cattolico armeno, cattolico caldeo, ortodosso armeno, ortodosso siriaco, greco ortodosso, evangelico.
Io considero Aleppo eccellente per le numerose attività nella Chiesa, così piene di vita, con persone attive con tutti i tipi di missioni e incontri di gruppo, catechismo, gruppi di scout. Non si è mai davvero fermata, ma non è come prima. Tutte le Chiese hanno fatto del loro meglio durante la guerra. È stato incredibile come hanno continuato.
C'era, e c'è, una grande collaborazione tra le chiese: un grande esempio di ecumenismo.
Alcune chiese vicine alle aree di conflitto furono completamente distrutte. Alcune chiese furono gravemente danneggiate dalle bombe e dai proiettili, ma ora vengono riparate e nelle chiese ritorna la vita.

Che effetto ha avuto la guerra sulla popolazione cristiana?
Quello che so è che i cristiani di Aleppo erano 150.000 - 200.000 prima della guerra, e quel numero è stato ridotto a circa 32.000.
Ogni volta che saluti una famiglia che se ne va, non è facile. Lasciano la loro storia, le loro cose, la loro terra, la loro casa, i loro parenti, i ricordi, gli amici. Alcuni hanno lasciato le loro madri e padri, che sacrificandosi hanno detto ai loro figli: “Vai. Non preoccuparti per noi. "
Alcuni potrebbero andare, altri no, quindi hanno semplicemente incoraggiato i loro figli ad andarsene, per trovare un posto sicuro all'interno della Siria o all'estero.

Com'è la situazione adesso, in termini di sicurezza?
Per la maggior parte dei luoghi in Siria, per quanto riguarda la sicurezza, è molto meglio. In alcune parti, ci sono ancora conflitti in corso tra il nostro esercito e i ribelli, nel nord e nel nordest.
Prima della guerra, vivevamo una vita molto pacifica in Siria. Le persone vivevano fianco a fianco come fratelli e sorelle. Non ci siamo mai chiesti se qualcuno fosse musulmano o cristiano. Li conoscevamo come i nostri vicini. Durante le nostre feste cristiane ci visitavano e noi facevamo lo stesso [per le loro feste]. Vivevamo insieme in un modo davvero pacifico. Questo concetto di [etichettare come] musulmano, cristiano, sciita, sunnita - non l'avevo mai sperimentato prima, non fino alla guerra. È molto doloroso. Siamo umani alla fine. Noi crediamo in un solo Dio.
Nelle zone controllate dai ribelli era molto difficile per i cristiani vivere con i musulmani, non perché i nostri fratelli non volessero vivere insieme, ma la vita era influenzata dai ribelli che imponevano determinati criteri o mentalità. C'era una famiglia che viveva a Raqqa, in Siria, che era controllata dall'ISIS. Quest'uomo cristiano aveva bisogno dell'aiuto di un musulmano. Un miliziano dell'ISIS disse al musulmano: “Non lo devi aiutare; è un kafar [infedele] ". L'uomo [musulmano] rispose: "È il nostro vicino". Ma gli è stato detto dal funzionario dell'ISIS che non deve aiutare il cristiano. Questa famiglia cristiana aveva pagato il jizya [una tassa imposta a tutti i non musulmani]. L'anno successivo, non poterono pagare la jizya e l'uomo [cristiano] fu picchiato e trattato molto male. Più tardi, ha trovato il modo di scappare con la sua famiglia ad Aleppo.
In alcune parti controllate dai jihadisti, i cristiani vivono in una brutta situazione.
In altre parti, viviamo insieme in pace.
Davvero, è un peccato quello che è successo in Siria. Avevamo la nostra libertà. Le chiese sono sempre state libere di festeggiare. Gli scout [gruppi di giovani che sono tipicamente affiliati a una chiesa] uscivano per le strade per alcune feste. Non abbiamo mai pensato che non ci fosse libertà di praticare la nostra fede.

Quali sono i bisogni adesso?
C'è così tanta sofferenza.
Ora, con la crisi economica, la gente dice che almeno durante la guerra siamo riusciti a mangiare un po'. Adesso è un momento molto difficile per noi. Le sanzioni [internazionali], imposte alla Siria, colpiscono la gente comune. Le sanzioni hanno paralizzato la vita della Siria. Ogni cosa.

Ad Aleppo, oltre 200 fabbriche furono distrutte durante la guerra. Il loro ripristino e il loro funzionamento richiederà anni. Migliaia di persone sono senza lavoro. La mancanza di elettricità, la mancanza di reddito ha colpito le persone terribilmente. Per coloro che lavorano, il reddito non è sufficiente ad una famiglia normale per vivere con dignità. E tutto è diventato più costoso. La stragrande maggioranza delle persone che sono rimaste ad Aleppo sono anziane e non hanno entrate.
Le cose sono così pesanti per le persone. Penso sempre all'Occidente e al modo in cui parlano dei diritti umani e della dignità umana, e allo stesso tempo ci stanno imponendo sanzioni. Cosa stanno facendo? Perché vogliono danneggiare il popolo siriano? Le sanzioni, siamo onesti, sono le persone comuni a soffrirne.
Riesci a immaginare se qualcuno interferisse nel tuo Paese? Se non si accetta l'interferenza nel proprio Paese, perché dovremmo accettarla noi nel nostro Paese? E molti stanno interferendo. Dobbiamo fare qualcosa.
Quindi prego sempre per i leader in Occidente, che il Signore dia loro la saggezza per essere un vero strumento per la pace in Siria, e non solo in Siria ma nel mondo intero.

Cosa possono fare i cristiani in Occidente?
Prima di tutto, quando parlo dell'Occidente, mi riferisco ai leader del governo.
Ho incontrato molte persone in Occidente che sono preoccupate per i loro fratelli e sorelle, che sono davvero attente a noi. Senza di loro, non so cosa succederebbe alla nostra gente in Siria. Questo, per me, è una cosa grandiosa, pensare ai nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo che pregano, aiutando anche per ogni tipo di necessità. A volte un messaggio aiuta; a volte una preghiera. E a volte aiutano finanziariamente.
Quello che mi viene sempre in mente è San Paolo, quando dice: "Se una parte del corpo soffre, tutte le altre parti ne soffrono". Non possiamo semplicemente dire: "Non ha nulla a che fare con me: è a miglia di distanza". No. La malattia può andare in tutto il Corpo di Cristo. Quindi dobbiamo stare attenti.
Voglio ringraziare tutte le persone che, con buon cuore, cercano di aiutare e quelle che ci stanno supportando con le preghiere. E' la cosa più importante, almeno sappiamo che qualcuno sta pregando per noi ed è preoccupato per noi.

Come ha mantenuto la sua forza durante i tempi difficili della guerra?
Non so quante volte mi è stata posta questa domanda. Due cose ci hanno aiutato, insieme come sorelle: la preghiera e lo stare insieme, aiutandoci a vicenda, sostenendoci a vicenda; questo è un punto molto forte.
Ricordo quando i tempi erano molto, molto duri ad Aleppo e non c'era elettricità. Ok, ti ci abitui. Avevamo solo un'ora e mezza al giorno di elettricità.
Ci svegliavamo alle 6 del mattino, andavamo in cappella, con una candela in mano e l'Ufficio [divino] in un'altra mano, e continuavamo. La vita significa continuare.
Durante la notte quando c'erano forti bombardamenti, uscivamo dalle nostre stanze e andavamo in una stanza sicura. A volte ci sedevamo insieme e pregavamo, a volte ognuna pregava in silenzio. Ricordavo sempre questa immagine, quando Gesù era sulla croce, dicendo: "Perché mi hai abbandonato?". Penso sempre al silenzio di Dio, che soffre per noi e soffre con noi. Dio è qui con noi.

Cosa è necessario per la guarigione tra il popolo siriano?
Descrivo sempre la nostra gente come una persona che ha subito un'operazione molto invasiva. La guarigione ha sempre bisogno di tempo. Guarire la loro memoria, il loro cuore, le loro ferite, non è facile. Naturalmente abbiamo bisogno di molto lavoro nella cura del trauma, nel supporto psicologico, specialmente per coloro che hanno vissuto un grande trauma: donne, bambini e uomini.
Hanno bisogno di accompagnamento, qualcuno che li ascolti, che sia lì. L'aiuto spirituale, la preghiera, fanno davvero un buon lavoro per guarire le ferite di una persona.
 Di recente, come Sorelle di Gesù e Maria, abbiamo tenuto diversi corsi in alcune parti della Siria.
A Damasco, abbiamo aperto il Centro Beata Dina Bélanger [ il nome dalla Suora di Gesù e Maria che è stata beatificata nel 1993], che offre guarigione attraverso la musica e l'arte per i bambini. Abbiamo centinaia di bambini che vengono in questo centro. Crediamo che questo sia un modo in cui possiamo aiutare i nostri piccoli a prendere tutta la tensione, i ricordi, di ciò che hanno ascoltato negli ultimi 10 anni. Hanno ascoltato i rumori dei missili, delle bombe e ora vogliamo che ascoltino davvero la musica, che può curare i loro cuori e le loro anime.
Abbiamo anche il Hope Center di Damasco, nel quale cerchiamo di raggiungere donne e giovani; cerchiamo di supportarli con consapevolezza sanitaria e l'assistenza psicologica. Attraverso il Hope Center, li aiutiamo anche a trovare lavoro.

Anche ad Aleppo abbiamo giovani che hanno istituito un Hope Center. Stanno cercando di aiutare la comunità a trovare lavoro. Circa 18 giovani al Hope Center di Aleppo hanno deciso di rimanere. Stanno facendo un lavoro davvero straordinario. Più di 200 famiglie hanno trovato lavoro, negli ultimi due anni. Hanno anche creato uno spazio un po' più comodo per gli studenti universitari per studiare, con elettricità e riscaldamento. E abbiamo aperto un altro Centro per aiutare i giovani dopo l'università a sviluppare le loro capacità personali e [offrire assistenza] su come trovare un lavoro. Ad Aleppo, cerchiamo di aiutare con una piccola fabbrica di jeans, con più di 17 giovani che lavorano lì.
Questo è il modo in cui la speranza sta arrivando: come un puzzle, ognuno mette un pezzo di questa bellissima immagine per ricostruire l'ampia immagine della Siria. Dobbiamo fare qualcosa per dare speranza al nostro popolo. Per far loro sentire che c'è un futuro. Che possiamo costruire il nostro paese.
Se torniamo a Santa Claudine Thévenet, la nostra fondatrice, ella viveva durante la Rivoluzione francese; e il nostro tempo è simile al suo tempo, con la sofferenza, l'uccisione e la distruzione della vita e della dignità della gente. Vide i suoi due fratelli uccisi. Poco prima di morire, le hanno inviato un messaggio dicendo: "Perdonate volentieri perché siamo perdonati".
Questo è ciò di cui abbiamo bisogno anche oggi: riconciliazione, guarigione e perdono; affinché le persone sappiano che Dio è amore, Dio è misericordia, Dio è perdono.

In che modo le persone possono aiutare finanziariamente?
Lavoriamo molto con Aid to the Church in Need (ACN) e altre organizzazioni, come L'Oeuvre d'Orient in Francia e Caritas, così come altre organizzazioni che lavorano in Siria. Quindi possono contattare queste organizzazioni. ACN in particolare è ben noto.

https://www.ncregister.com/daily-news/we-need-to-do-something-to-give-hope-to-our-people-in-syria

lunedì 9 marzo 2020

Padre Firas: «Ecco come soffre la Siria»


di Maria Acqua Simi 
Padre Firas Lutfi è un frate francescano della Custodia di Terra Santa. Siriano, da pochi mesi si trova a Beirut perché è stato nominato Ministro della regione di San Paolo (Siria, Libano e Giordania). Dove si trovano i “dimenticati di Iblid”, ricordati all’Angelus da papa Francesco.
«È una responsabilità che nessuno vorrebbe portare sulle spalle, mi affido ogni giorno al Signore e a Lui affido anche i trenta frati che vivono in questi tre Paesi», racconta. La situazione non è semplice. Mentre l’intervista è in corso, veniamo raggiunti dalla notizia che il Libano è stato dichiarato fallito. Default. La Svizzera del Medio Oriente, da mesi percorsa da proteste e manifestazioni, ha ceduto. È crollata sotto il peso di un debito economico diventato insostenibile, causato dalla corruzione della politica (dove tutti sono colpevoli, ma nessuno si sente responsabile) e dall’instabilità dovuta all’influenza che forze regionali (Iran, Turchia, Paesi del Golfo) e internazionali esercitano a quelle latitudini.

«La nostra prima preoccupazione, molto concreta, è come far arrivare gli aiuti in Siria. Se fino a due anni fa, in piena guerra, potevamo in qualche modo far passare denaro e generi di prima necessità dalla frontiera libanese, oggi non è più così perché l’intero sistema bancario libanese è bloccato». Non si blocca però l’emergenza umanitaria: «Se in Libano è difficile trovare lavoro e il Paese subisce la pressione fortissima di milioni di profughi, in Siria ci sono bambini che ad Aleppo e in altri villaggi più lontani muoiono di freddo». E non è una metafora. Mancano letteralmente vestiti e coperte, non c’è nafta per far funzionare i generatori, non parliamo dell’energia elettrica.

«Questo, lo devo dire, è causato soprattutto dall’embargo internazionale che impedisce di far transitare aiuti in Siria. A pagarne il prezzo più altro sono i civili. Noi frati però non andiamo via, rimaniamo per stare vicino alla nostra gente». Come nei villaggi di Yacoubie e Knaye, racconta. Lì padre Hanna Jallouf, 67 anni, e padre Luai Bsharat, quarantenne, continuano la loro opera di carità a fianco delle oltre trecento famiglie cristiane presenti, sebbene da anni ormai l’intera area sia sotto controllo degli jihadisti e delle milizie di Al Nusra. «Vivono sotto la sharia. Le chiese e i cimiteri sono stati spogliati delle croci, non possono celebrare messa pubblicamente né tantomeno fare processioni. Anche i terreni (è una grande zona di agricoltura, ndr) non possono essere coltivati e la sopravvivenza dipende dagli aiuti delle poche Ong internazionali che riescono a raggiungerli». I due religiosi hanno cura di tutta la comunità cristiana, non solo quella latina, ma anche quella armena e quella greco-ortodossa. In queste ultime settimane, dopo gli scontri con la Turchia che ha invaso l’area appoggiando i ribelli, si sono fatti carico di aiutare moltissimi musulmani fuggiti dalla zona di Idlib o dai campi profughi.

L'immagine può contenere: spazio all'aperto
«Non vedo padre Hanna dal 2013, è troppo pericoloso recarsi in quelle zone, però ci sentiamo spesso al telefono e mi spalanca il cuore sapere che loro rimangono anche per custodire i luoghi della memoria cristiana. La memoria è importantissima, perché viviamo calpestando la terra di quella che era conosciuta come l’antica Antiochia, citata nel Nuovo Testamento, dove per la prima volta i seguaci di Cristo prendono il nome di cristiani. Lì passarono Paolo, Pietro, Luca e ancora oggi i cristiani e i frati presenti hanno la coscienza della storia grandissima a cui apparteniamo tutti: quella cristiana che è fatta di carità e testimonianza». Questo si traduce in pacchi alimentari per migliaia di persone, messe celebrate a dispetto di qualunque condizione, assistenza negli ospedali, cura dell’educazione dei giovani, supporto alle giovani coppie che «sempre meno, ma con sempre più coscienza» decidono di sposarsi. 

Nelle zone più difficili da raggiungere come quelle dove si combatte, la gente si arrabatta come può per sopravvivere, cercando di scampare alle milizie (i frati sono stati più volte rapiti, alcuni parrocchiani sono stati uccisi) e di sopravvivere all’inverno che quest’anno è stato particolarmente rigido. Andare via non è un’opzione, anche perché ormai è quasi impossibile
La presenza cristiana in Siria in questi nove anni di guerra è crollata: erano quasi due milioni nel 2010, ora tantissimi sono fuggiti. Ad Aleppo, per dare un’idea, si è passati dalle 200mila presenze alle 30mila. A rimanere nel Paese ora sono perlopiù anziani, malati, bambini e vedove. I pochi adulti rimasti devono confrontarsi con la mancanza di lavoro. «Oggi un dollaro vale mille lire siriane. Come fa a vivere una famiglia che guadagna 50 dollari al mese? Come può mangiare, vestire e mandare a scuola i figli? Con il guadagno di un mese vivono si e no una settimana», racconta ancora padre Firas. Che pone l’accento su una piaga nascosta, quella dei bambini nati durante le occupazioni e rimasti orfani oppure da donne che sono state violentate e dunque mai registrati e considerati i figli della vergogna. Solo ad Aleppo sono circa duemila, hanno un’età compresa tra i quattro e i sette anni e vagano per la città come fantasmi, non sono registrati all’anagrafe e non vanno a scuola. Per questo i francescani e Ahmad Badrehddin Hassoun, gran muftì di Aleppo, si sono uniti per aiutarli. Per l’islam non esiste l’adozione, ma il muftì ha condotto uno studio secondo il quale, nel rispetto della religione, una famiglia musulmana può prendere a carico un bambino e tenerlo in affido fino alla maggiore età. «Tengo particolarmente ad aiutare quei bambini, perché il dolore innocente ci interroga ogni mattina, ci fa chiedere al Signore un senso».

Ovunque, spiega, il bisogno è grande «e per questo chiediamo al Signore ogni giorno una fede salda». Senza retorica chiarisce che è come avere addosso una ferita che non si rimargina mai. «Siamo in Quaresima e come Gesù viviamo il calvario. Questa guerra ha toccato tutti noi, ci tocca ogni giorno. Nessuno qui avrebbe mai pensato di dover abbandonare la sua terra o di morire sotto delle bombe. Ha scosso i nostri cuori, le nostre certezze, ci ha fatto conoscere cosa sia il dolore in tutte le sue forme. Ma anche se ogni tanto capita di lasciarci andare allo sconforto, abbiamo sempre davanti come esempio Gesù. E la nostra fede ne esce rafforzata, diventa più matura giorno dopo giorno. Come diceva San Paolo è un tesoro in vasi di creta. Spesso abbiamo paura, siamo sommersi dalle preoccupazioni, ma continuiamo a custodirla perché cresca e porti frutto».

domenica 8 marzo 2020

Preghiera da Aleppo per l'Italia colpita dal coronavirus; e dall' Italia per chi alimenta la sofferenza del popolo siriano


La preghiera del Papa per la prima volta in streaming e non dalla finestra dello studio privato del palazzo apostolico: 
"Sono vicino a chi soffre per l’attuale epidemia di coronavirus e a tutti coloro che se ne prendono cura. Mi unisco ai miei fratelli Vescovi nell’incoraggiare i fedeli a vivere questo momento difficile con la forza della fede, la certezza della speranza e il fervore della carità". 
Al termine della preghiera mariana ha ricordato gli abitanti di Idlib e del nord della Siria: 
"Rinnovo il mio dolore per questa situazione disumana di queste persone inermi, tra cui tanti bambini, che stanno rischiando la vita. Non si deve distogliere lo sguardo di fronte a questa crisi umanitaria, ma darle priorità rispetto ad ogni altro interesse. Preghiamo per questa gente, questi fratelli e sorelle nostri, che soffrono tanto al nord-ovest della Siria, nella città di Idlib". 

Al ricordo del Papa, vogliamo supplicare il Signore per quanti sono impegnati a lottare contro il terrorismo, per quelli che hanno sacrificato la loro vita e versato il sangue per il Vangelo e la libertà. 
Senza dimenticare i Cristiani rimasti ad Idlib, sottoposti dai jihadisti a immani sofferenze, oltre ad essere costretti ad osservare la legge della sharia. 
Non dimentichiamo CHI continua a causare dolore al popolo siriano;  CHI propaga menzogne nascondendosi sotto l'ala della crisi umanitaria per difendere gli interessi di quanti hanno provocato 9 anni di guerra in Siria. 

Per raggiungere la pace non basta parlare degli effetti, è opportuno indicare le cause. 
Quanta tristezza sentire parlare da CHI in questi anni ha favorito i terroristi, di pace e di aiuto ai bambini di Idlib! 
Che Dio ci perdoni! 
   Don Salvatore Lazzara

mercoledì 4 marzo 2020

Siria. La distruzione della memoria : Città Morte del Massiccio Calcare

LETTURE PER CAPIRE (2° PARTE)
(1° PARTE QUI)

2. Le chiese paleocristiane
Di Maria Antonietta Carta

Il Massiccio Calcare
Da li, in epoca romano-protobizantina, si esportava nel resto della Siria e in altre parti dell’impero l’olio di oliva, prodotto di grande valore commerciale per il suo vasto impiego: saponi, lubrificanti, cosmetici, unguenti, base dell’alimentazione popolare, illuminazione pubblica e privata. Anche i suoi vini erano conosciuti a Roma e in Gallia.

Nel IV secolo, vi si stabilirono i primi monaci cristiani e, a partire dal V secolo, i pellegrini cominciarono a giungere da Oriente e Occidente per venerare Simeone stilita. Conserva più di settecento siti con migliaia di edifici, tra cui vestigia di 1200 chiese, una ogni 3 km2 e, visitandolo si assiste all’ininterrotto sviluppo, dal I VI secolo, di un’architettura nata dall’occupazione romana, ma più vicina a quella apparsa tra il Mediterraneo e l’Altipiano iranico e con originali apporti dell’arte della costruzione locale, soprattutto nell’impiego delle pietre di grosso taglio senza alcun elemento coesivo. Questa regione della Siria, (lunga 140 Km circa in direzione Nord-Sud e larga dai 20 ai 40) compresa tra Antiochia, terza metropoli dell’Impero Romano, Aleppo antichissimo emporio internazionale, Chalcis ed Apamea centri carovanieri e strategici, ricca di vestigia storiche è oggi vittima della bramosia di conquista di uno degli arroganti governanti dei nostri giorni oscuri: il presidente della Turchia Erdogan. Ho frequentato e studiato per lunghi anni questi luoghi ora devastati dalla guerra e voglio raccontarveli così come sono scolpiti nella mia memoria.

Lasciando Aleppo, la confusione, i rumori, le mille atmosfere di quella vivace città mediorientale e dirigendosi a Nord-Ovest verso la via che, anticamente, portava ad Antiochia o verso Sud-Ovest alla volta di Apamea, si iniziava un viaggio in luoghi formati per lo più da altipiani e colli di gruppi montagnosi situati tra le steppe dell’Est e il Mediterraneo: i Gebel (montagna in arabo) Sim’an a Nord, Barisha-A’la-Wastani al centro e a Sud il Gebel Zawiye che, nella parte orientale degrada verso la steppa. Si tratta di territori quasi privi di risorse idriche: un deserto petreo spesso mitigato soltanto da radi e stentati lazzeruoli, allori e pistacchi selvatici, forse fantasmi di boschi un tempo lussureggianti, macchie di terra rossa sottratta da tenaci contadini alle rocce per coltivarvi l’ulivo e da due fertili piane interne, Sarmada e Rouj. Ma, guardando con attenzione, dal confuso magma del calcare ecco che si delineava il contorno di edifici solitari o di interi paesi con strade ingombre di massi squadrati, muri bordati di portici a pilastri o colonne, porte o finestre con architravi scolpiti, parapetti di balconi, capitelli. Non mi sono mai stancata di quei panorami e di quelle vestigia tante volte incontrati, dei silenzi e delle atmosfere di luoghi dove il tempo sembrava essersi fermato per oltre settecento anni.

Il Massiccio Calcare fu tra le prime regioni della Siria colonizzate dai Romani: l’Antiochene e l’Apamene. Traiano l’aveva assegnata a veterani emeriti e funzionari indigeni che vi avevano edificato le prime ville e introdotto la coltivazione intensiva dell’ulivo e della vite. A partire dal I secolo, furono edificati borghi, villaggi e, nelle alture, templi. Dal III secolo, vi si stabilì una popolazione semitica e i latifondi lasciarono il posto a medie e piccole proprietà. Lungo le piste carovaniere e la via Antiochia-Chalcis, fino alla conquista araba ponte tra Ctesifonte, Bisanzio, l’Asia e il Mediterraneo, si incrociavano soldati, pellegrini e mercanti. Nella seconda metà del VI secolo, ebbe inizio il declino. Le cause furono molteplici: invasioni di cavallette, peste, siccità, terremoti, incursioni dei Persiani e, dopo la conquista araba, il blocco del Mediterraneo da parte dei Bizantini, che secondo alcuni storici causò la fine dei commerci tra Occidente e Siria. Dal X secolo, chiusero anche i grandi complessi monastici, tra cui il famoso convento di Teleda, quando i monaci si schierarono a fianco dei principi musulmani contro Costantinopoli intenzionata a riconquistare la Siria. Il Massiccio fu terra di frontiera nel periodo delle Crociate: si costruirono cittadelle, si fortificarono numerosi monasteri e chiese e vi si svolsero battaglie cruente come quella dell’Ager Sanguinis presso Sarmada (28 giugno 1119) tra l’esercito di Ruggero principe di Antiochia e le truppe di al-Ghazi. Steli funerarie e vestigia di moschee attestano un parziale ripopolamento e una certa rinascita economica durante il regno Ayyubide (1169-1291). Con l’occupazione mamelucca (1291) e ottomana (1515) fu decadenza totale. La regione rimase quasi isolata dal resto del Paese fino agli ultimi decenni del XIX secolo, epoca in cui ricominciò lentamente a popolarsi. Durante la prima metà del XX secolo, i nuovi abitanti continuavano a stabilirsi negli antichi edifici.

Chiese paleocristiane del Massiccio Calcare
Scrive lo storico di arte paleocristiana, bizantina e altomedievale André Grabar in: L’age d’or de Justinien: ‘’Il numero di chiese in Siria durante i secoli V e VI è superiore a quello di altre provincie dell’impero di quella medesima epoca.’’ La Siria è dunque un luogo privilegiato per la storia dell’architettura cristiana e il Massiccio Calcare, essendo rimasto disabitato in gran parte per centinaia di anni, custodisce numerosissimi edifici sacri paleocristiani nelle loro forme originali; un numero maggiore di quanto, forse, possa contarne qualsiasi altra regione della terra.
Anche piccolissimi villaggi ne possedevano due o tre, e alcuni siti conservano vestigia di quattro, cinque, sei e persino otto chiese. Il fiorire di edifici sacri presso quelle comunità rurali non dipendeva dal numero degli abitanti, ma dalla sua composizione etnico-religiosa: popolazione semitica ed ellenistica, dispute cristologiche, soprattutto tra Calcedonesi e Monofisiti, all’interno dello stesso villaggio, come mi insegnò il P. Pasquale Castellana durante le nostre escursioni in quei luoghi straordinari, ’’Se i fedeli che aderivano al Concilio di Calcedonia avevano la loro chiesa a Sud, quelli anticalcedonesi ne costruivano una a Nord; se la prima era situata a Ovest, un’altra era costruita dagli antagonisti a Est.’’ Già dal IV secolo, si veneravano le reliquie dei martiri. Le loro ossa, distribuite alle chiese, erano collocate dentro urne di pietra (reliquiari) posti accanto all’altare del presbiterio.
reliquiario


I fedeli versavano l’olio in un foro a imbuto, praticato nel coperchio, e lo raccoglievano con panni e fiale da una nicchia sotto la fossetta che conteneva le reliquie. Nella prima metà del secolo V, la cappella della navata a Sud, prothesis, diventò Martyrium.

La chiesa di Qirq Bize, nel Gebel A’la, è particolarmente interessante per la storia dell’architettura sacra in Siria. Appena anteriore o di poco successiva all’Editto di Costantino (313 d.C.), segna il passaggio dalla Domus-ecclesiae precostantiniana ai luoghi espressamente di culto. Fu concepita in funzione delle case e di un edificio pubblico, l’andron, tipico di quella regione. Dell’architettura domestica riprende la posizione Est-Ovest, il cortile con porticato (che sostituiva il temenos dei templi politeisti) e le due porte nel lato sud. Aveva un’unica navata rettangolare (di m. 14,75 x 6,40) con il bema (lungo m. 3,77) e il santuario, o presbiterio, che occupava l’estremità est. Il santuario, profondo 3 m. circa, era rialzato rispetto al resto della sala e vi si accedeva per mezzo di due gradini. Ai lati del primo gradino, erano collocati due reliquiari, (e altri tre stavano accanto alla parete sud del santuario). Il secondo gradino, l’arco trionfale, il martyrion e una balaustra decorata da simboli scolpiti furono aggiunti in tempi successivi. Il porticato, a colonne, poggiava su una piattaforma rocciosa. Nel cortile, come nelle case, una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana: coperta da cinque lastre di pietra e con un’apertura quadrata. L’ingresso del cortile era monumentale.
Le chiese di Ishroq e Ma’ramaya (Gebel Barisha) sono quasi contemporanee e simili a Qirq Bize per le dimensioni e le caratteristiche architettoniche. A Nouriye (Gebel Barisha) si conserva la prima chiesa con abside sporgente e a Banqousa (Gebel Barisha) la prima basilica. Della stessa epoca, sono le basiliche di Sinhar, Borj Heidar, Kharab Shams, nel Gebel Sim’an, tutte con le arcate della navata centrale sostenute da colonne.
Borj Heidar
Kharab Shams
 Dopo il concilio di Efeso (431 d.C.), a Sheikh Souleiman (nel Gebel Sim’an) fu edificata una basilica in onore della Madonna.
I templi cristiani non nascono isolati e dominanti sulle alture come i templi politeisti ma, a eccezione delle cappelle monastiche, fanno parte del centro abitato. Le chiese del IV secolo sono piccole, allungate e massicce, hanno stretti colonnati, l’abside affiancata da due locali laterali e quasi sempre chiusa all’esterno da un muro dritto. Gli elementi decorativi sono pochi, semplici e limitati a capitelli, architravi, che recano scolpiti i primi simboli cristiani (croci greche e di Malta, monogrammatiche, a sei bracci inscritte in cerchio) e al marthyrium. Verso la fine del secolo, acquista risalto la facciata ovest. Dal V secolo, che vede operare uno tra i pochi architetti di cui è conosciuto il nome, Markianos Kyris, lo stile architettonico e quello decorativo si affinano sempre piu e acquistano tratti originali. La scultura di Lintelli, pareti, archivolti, cornici diventa esuberante e artisticamente notevole. I motivi essenziali: croci a sei o otto bracci, chrismon, rosette a sei petali, elici, si sviluppano in innumerevoli varianti stilistiche, sono scolpite in rilievo e talvolta racchiuse o anche costituite da nastri perlati, motivi accordellati e, con termine improprio, arabescati, provvisti di borchie all’esterno o di perle o globuli all’interno (motivi che si trovano anche nella decorazione degli edifici civili). Le finestre, talvolta, si fanno geminate con la separazione di una colonnetta.


 








Alcuni elementi sembrano anticipare il romanico. Ricordiamo, tra le tante di questo periodo: le basiliche di Babisqa, Kseijbe, Dar Qita, Qasr el-Banat, Sarfoud, Taqle e Mouchabbak.



Baqirha



Alla fine del V secolo, con le basiliche di Qalb Loze e S. Simeone Stilita che racconterò in seguito) e durante tutto il VI, l’architettura sacra raggiunge il suo pieno sviluppo. Si costruiscono una quantità straordinaria di chiese, battisteri, cappelle monastiche. Le absidi diventano profonde, escono sempre più frequentemente dal perimetro dell’edificio e in alcuni casi sono circondate da due ordini di colonne. Le arcate si allargano e le colonne della navata centrale, ormai più alta, ampia e luminosa, sono anche sostituite da robusti pilastri, elemento originale, come a Qalb Loze, o Roweiha, dove compare per la prima volta l’idea dell’arco trasversale. Archi trionfali e capitelli sono superbamente scolpiti, porte finestre sottolineate da modanature che possono prolungarsi fino ad avvolgere l’intero edificio. L’esterno diventa monumentale. I cortili, più vasti, ospitano battisteri e mausolei, e le facciate si arricchiscono di finestre o torri laterali unite da un arco che forma vestibolo e atri, come a S. Simeone, Qalb Loze, Tourmanin, Rouweiha. In casi eccezionali, la basilica è situata al centro di un temenos, ma continuano a costruirsi le semplici chiese a una sola navata e le basiliche a tre navate tipiche della regione.
Sitti el Roum
Deir Sim'an

Le fotografie sono dell'autore dell'articolo 

lunedì 2 marzo 2020

Tutti parlano di 'crisi umanitaria', ma non di chi la provoca


Lettera da Mar Yakub di P. Daniel 
 venerdì 28 febbraio 2020

Cari amici,
   tutta la stampa occidentale è improvvisamente molto preoccupata per la crisi umanitaria della popolazione nel Nord Siria e soprattutto per l'orrore causato dall'esercito siriano e russo. Organizzazioni internazionali richiedono un immediato cessate-il-fuoco. Anche il mio paese, il Belgio, per un mese presidente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sembra non avere la minima idea né un interesse per la causa di tale miseria.

La Russia, fortunatamente, ricorda alle “Eccellenze” la semplice verità : la Siria ha tutto il diritto e il dovere di combattere i terroristi sul suo territorio (e se fra i terroristi ci sono anche soldati turchi, quello è colpa loro). Delle centinaia di migliaia di terroristi che per 9 anni hanno massacrato e martirizzato il popolo siriano e che hanno saccheggiato tutti i beni e distrutto il paese, sembra che i nostri media non sono al corrente. Questi giornalisti non si ricordano neanche la situazione della Siria prima che l'Occidente la invadesse con i suoi "aiuto umanitario, libertà e democrazia”. L’analfabetismo, che mezzo secolo fa era ancora molto alto, è rapidamente calato con la venuta del ‘riformista’ Bachar al-Assad, con la prospettiva della totale scomparsa entro il 2015. I diritti delle donne possono reggere il paragone coi paesi occidentali in modo più che sufficiente. Il paese produceva quello che era necessario, con un surplus di 20% per gli alimenti. La Siria era anche in grado di esportare energia elettrica al Libano, mentre oggi la Siria si trova per 2/3 del tempo senza energia elettrica.

Il paese non aveva nessun debito, e l'economia era ben equilibrata e differenziata ( l'agricoltura, l'industria, le miniere, il commercio delle piccole e medie imprese e il turismo). Il bilancio dello Stato si basava sul reddito delle imposte e del petrolio. Le riserve della banca centrale erano pari a 36 miliardi di dollari e nel 2012 erano già discese a 2 miliardi. L'industria farmaceutica siriana forniva del 90% dei bisogni interni e esportava in 54 paesi. 

Le università e gli ospedali statali erano e sono ancora oggi gratis. Questa settimana è venuto a vivere con noi per qualche giorno uno studente da Damasco: il prossimo anno completerà i suoi studi di medicina generale e tutto è stato gratis. Ieri il nostro esuberante bambino Yacub (che vive nel monastero sotto la cura delle Monache) ha rotto il braccio. Lo hanno curato molto bene nell’ospedale statale a Deir Atieh e gli hanno messo un gesso, tutto gratuitamente. E questo mentre i prezzi di quasi tutto sono andati alle stelle a causa delle sanzioni e della guerra, che l'Occidente continua ad incoraggiare. 

Se gli Stati Uniti, Israele, Turchia, gli Stati del Golfo e la NATO - con i loro servizi segreti e cacciatori di teste - smettono il loro lavoro satanico e vanno via della Siria e riconoscono la sua sovranità e integrità territoriale, invece di comportarsi come stati canaglia che agiscono contro ogni dritto internazionale e contro la Carta delle Nazioni Unite, allora i siriani molto rapidamente potranno di nuovo vivere in pace, prosperità e armonia, come abbiamo sperimentato quasi un decennio fa. Sono infatti proprio loro che hanno decisamente pianificato ed attuato il disastro umanitario senza precedenti per il popolo siriano, solo perché il popolo siriano non voleva sottomettersi al dominio anglosassone.

Speriamo e preghiamo che il linguaggio minaccioso di guerra della Turchia rimanga un bluff e che la NATO non colga l’occasione per aggiungere ancora più miseria alla Siria e al mondo intero.


Padre Daniel
 Trad. A. Wilking





La Turchia sta mandando i combattenti mercenari della Siria in Europa

1 marzo 2020
di Sonja van den Ende,
giornalista indipendente.
I cosiddetti rifugiati al confine turco-greco, per la maggior parte sono afgani, iracheni, combattenti ceceni, combattenti uiguri e forse una esigua minoranza è siriana. Da dove vengono? Da tutta la provincia siriana di Idlib, dalla Turchia e dai campi profughi all'interno della Turchia, che sono un luogo sicuro per i jihadisti di tutto il mondo. Inoltre, ci sono i restanti terroristi che sono sopravvissuti e fuggiti con le loro famiglie dall'Esercito siriano dopo essere stati cacciati dalla Siria e dalla Russia.
Il presidente Erdogan lo sta facendo di nuovo, giocando una doppia partita sia con la Russia che con l'UE-USA. Questa volta si tratta di quelli che chiama rifugiati. Ma sono davvero rifugiati siriani? No, certo che no, dopo aver indagato su vari video su canali diversi, dai media russi a quelli occidentali, è molto chiaro che sono un mucchio di "tutto", la maggioranza al confine erano dei giovani mascherati. Nelle prime 24 ore della cosiddetta crisi delle frontiere, secondo il governo greco, a 4000 persone è stato impedito di attraversare il territorio greco. Le riprese della scena mostrano grandi folle di uomini mascherati che camminano e corrono vicino alla barriera cantando "Turchia, Turchia, Takbir e Allah Akbar ", di solito il jihadista dice queste parole, specialmente Takbir. Si possono anche vedere nuvole di gas lacrimogeni, i Greci stanno facendo il possibile per fermare un altro flusso di cosiddetti migranti che entrano nel loro paese.
Un video mostra chiaramente cosa sta succedendo a Evros , il confine tra Turchia e Grecia, durante le prime ore di apertura del confine dalla parte turca. Gruppi costituiti da dozzine o centinaia di immigranti disperati, principalmente dall'Asia centrale, guidati in modo accurato e metodico dai media turchi e dai sindaci delle città turche, cercando di "rompere" il confine ed entrare nel territorio greco, cantando " Allah Akhbar e Takbir ". Combattevano contro i soldati greci dietro il confine e con la polizia greca o tentavano di attaccare i veicoli dell'esercito greco.
Una dichiarazione del ministero degli Esteri greco:
NON CONSENTIAMO DI PARLARE IN TURCO CON PASSAPORTI TURCHI PER ENTRARE IN GRECIA. Per favore, non siamo razzisti. Abbiamo molti musulmani all'interno della Grecia, ma osserviamo questa guerra da quasi un decennio. I takfiris di Idlib sono estremamente pericolosi. Le isole greche sono a un punto di rottura, in particolare Lesbo e Samo . Abbiamo evitato oltre 4.000 tentativi di attraversare illegalmente i nostri confini nelle ultime 24 ore. I rinforzi sono stati inviati alle frontiere terrestri e marittime.

Uiguri e ceceni Takfiri
L'esercito siriano è nelle ultime fasi della liberazione della provincia di Idlib in Siria. Idlib è l'ultimo "bastione" di combattenti jihadisti di tutto il mondo, tra cui europei, afgani, iracheni, marocchini, algerini, tunisini, ma soprattutto i combattenti ceceni e uiguri della provincia cinese dello Xinjiang , che sono una minoranza di lingua turca in Cina e Turchia e in grandi gruppi sono andati in Siria, principalmente a Idlib per condurre la Jihad. La Turchia è stata una destinazione di scelta per i cosiddetti rifugiati uiguri in fuga dalla Cina dagli anni '50 ed è ora sede di una considerevole popolazione della diaspora uigura (le stime indicano che il numero è compreso tra 15.000 e 50.000). Molti di loro si sono uniti anche alla Jihad e sono supportati dal regime turco, tanto che si può ben definire un vero esercito! Il gruppo "fresco" dalla Cina sono i combattenti più feroci, sanno che la Cina darà loro la pena di morte se vi tornassero. C'è per loro la possibilità di migrare verso l'Europa, perché la Turchia sta aprendo il confine con la Grecia.
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Combattenti ceceni o del Caucaso
Ceceni, Daghestani e altri combattenti stranieri provenienti dalla Russia settentrionale del Caucaso (dalla Georgia e dalla Cecenia) hanno formato alcuni dei più formidabili gruppi terroristici nel conflitto siriano. Questo è uno dei motivi per cui la Russia è andata ad aiutare la Siria nella lotta ai terroristi, che provengono da ex repubbliche russe. Il leader più famoso e brutale fu Abu Omar al-Shishani, poi ucciso in Siria. Inoltre, la connessione recente con la brutale uccisione in Germania, che è stata nascosta sotto il tappeto dai Tedeschi che hanno incolpato la Russia per aver ucciso questi terroristi sul suolo tedesco, è stata il risultato del conflitto siriano. Il 19 settembre 2019, vari mass-media occidentali hanno pubblicato un'indagine sulle circostanze dell'omicidio di Khangoshvili. Khangoshvili, di etnia cecena in possesso di un passaporto georgiano, che era un veterano della seconda guerra cecena e molto probabilmente ha combattuto in Siria sotto Abu Omar al-Shishani, è stato assassinato il 23 agosto 2019, nel centro di Berlino. Il numero di questi combattenti temibili è sconosciuto, le stime sono comprese tra 1.000 e 5.000 mila. Con la guerra persa, i sopravvissuti cercheranno di emigrare in Europa e stanno aspettando al confine greco.
Conclusione
Se l'UE e la NATO non cambieranno la loro politica nei confronti della Turchia e del suo pericoloso Presidente, una nuova crisi migratoria è imminente. Ma questa volta non arrivano i siriani, ma i mercenari turchi che hanno combattuto una feroce guerra in Siria e ucciso molti soldati siriani e cittadini siriani. Inoltre, se l'UE non cambia le sue politiche nei confronti dei migranti e soprattutto verso la Siria, la Turchia e la Russia, l'Europa sarà, ancora una volta, un porto per tutti i tipi di terroristi, affrontando attacchi terroristici ovunque e il continente perduto potrebbe persino vedere una guerra sul suo stesso suolo. Le condizioni sono lì: una popolazione totalmente ignara che è occupata da questioni relative alla LGTB, alla plastica e al clima, troppo cieca per vedere arrivare il pericolo e, d'altra parte, gli estremisti di destra, specialmente in Germania. Una scintilla e avremo un'esplosione totale.

  Trad. Gb.P.

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