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domenica 12 gennaio 2020

Pierre Le Corf si trova qui: Aleppo, sotto le bombe


12 gennaio 2020
Si dice 'tregue'...
Nessuna descrizione della foto disponibile.... nel frattempo ad Aleppo i bombardamenti terroristi continuano su siriani che non chiedono nulla se non di poter vivere le loro vite normalmente. L' attacco oggi è stato veloce ma spaventoso da dove eravamo, alcune dozzine di mortai. 
6 quartieri sono stati attaccati simultaneamente.
Sapete qual è la cosa peggiore? Come durante la battaglia di Aleppo, è puramente gratuito e punitivo. Anche se siamo bombardati quotidianamente, ogni volta che l'Esercito libera una città o un villaggio loro ancor più lanciano colpi di mortai e razzi per qualche giorno sulla città. "Loro", sono gli stessi gruppi che ci assediavano e che sono stati respinti di pochi km dopo la liberazione. I "ribelli" come piace chiamarli in Europa.
Pierre

martedì 7 gennaio 2020

La "cintura musulmana" e la leva jihadista uigura


gennaio 2010
Traduzione Gb.P. per OraproSiria

Impantanati in Afghanistan da quasi vent'anni, molestati dai loro ex alleati talebani, gli Stati Uniti sembrano voler aggrapparsi a quella che è stata a lungo la loro arma preferita, la strategia del "Muslim Belt", la cintura verde dello spazio musulmano, nell'intento di circondare la "Heartland" (zona d'influenza, NDT) eurasiatica (Cina e Russia) che detiene le chiavi per dominare il mondo. Un'arma in qualche modo erosa dalle battute d'arresto dei gruppi terroristici in Siria, dal crollo politico della Fratellanza dei Fratelli Musulmani, matrice originale dei gruppi takfiristi sradicatori e dalla disaffezione dell'Arabia Saudita nei loro confronti.

Su suggerimento di Washington e Ankara, il Partito islamista del Turkestan (PIT) ha quindi intrapreso il percorso della globalizzazione del suo combattimento, con obiettivi prioritari, la Cina e i buddisti, in altre parole, l'India.

1- TURCHIA E STATI UNITI, SPONSOR OCCULTI DEL PIT
Dopo otto anni di presenza in Siria, in particolare nel nord del paese nel settore di Aleppo, il movimento jihadista in Turkestan si sta preparando a dare slancio regionale alla sua lotta, oltre la Siria, con un obbiettivo prioritario: la Cina.
Questa è almeno la sostanza del discorso mobilitante del predicatore Abou Zir Azzam trasmesso in occasione della festa di Fitr, nel giugno 2018, sottolineando "l'ingiustizia" subita dal Turkestan nelle sue due parti, quella occidentale (Russia) e il versante orientale (Cina).
Nel giugno 2017, la Turchia e gli Stati Uniti hanno incoraggiato questo orientamento con il pretesto di preservare i combattenti di questa formazione al fine di assegnarli ad altri teatri operativi, contro gli avversari degli Stati Uniti raggruppati all'interno dei BRICS (Cina e Russia), il centro della contesa per l'egemonia americana in tutto il mondo.

2- LA DOPPIEZZA DELLA TURCHIA
Combattuto tra le sue alleanze contraddittorie, il neo-islamista Recep Tayyip Erdoğan, membro del gruppo Astana (Russia, Iran, Turchia) e contemporaneamente membro della NATO, ha proposto la pianificazione di un vasto perimetro volto a dar rifugio ai jihadisti in un'area sotto l'autorità della Turchia al fine di separare i gruppi islamisti iscritti nella lista nera del terrorismo dai jihadisti raggruppati sotto l'etichetta VSO "The Vetted Syrian Opposition" (opposizione siriana gradita all'Occidente) in un'operazione intesa a consentire al turco di separare il "buon grano" dalla pula, secondo lo schema della NATO.

In altre parole, liberare i siriani, pentiti e disarmati, mettere in stand-by i siriani estremisti, in particolare il gruppo Adanani, e tenere sotto controllo i combattenti stranieri (ceceni, Uiguri) in vista di esfiltrarli segretamente verso altri teatri d'operazione.

Grazie allo spiegamento delle forze americane nel nord della Siria, nel perimetro della base aerea di Manbij e Idlib, la Turchia ha approfittato di questa fase preparatoria dell'offensiva per esfiltrare i suoi simpatizzanti, principalmente gli Uiguri e Al Moharjirine (i migranti), i combattenti stranieri sotto "Hayat Tahrir Al Sham" di tendenza jihadista salafita, il cui gruppo è stato inserito nella lista nera delle Nazioni Unite nel 2013.

Il presidente russo Vladimir Putin ha accettato la proposta turca al vertice di Sochi dieci giorni dopo, il 17 settembre, desideroso di preservare la sua nuova alleanza con la Turchia nel mezzo di una guerra ibrida da parte degli Stati Uniti.
Indurre alle dimissioni della Turchia costituisce la carta vincente della Russia nei suoi negoziati con la coalizione occidentale al punto che Mosca sembrerebbe così ansiosa di incoraggiare questa disconnessione strategica dell'asse Turchia-Stati Uniti, da arrivare al punto di promettere la consegna del sistema balistico S-400 per il 2019. Ankara, da parte sua, spera di conservare gran parte della sua forza di disturbo nell'area, con l'obiettivo di sviluppare un'enclave turca nel settore di Idlib, sul modello della Repubblica turca di Cipro, procedendo a una modifica demografica dell'area concentrandovi in una sorta di barriera umana i cittadini siriani che rientrano nella sfera dei Fratelli Musulmani che essa considera rientranti nella sua autorità.

La zona smilitarizzata concessa provvisoriamente alla Turchia si estende per oltre 15 km di larghezza lungo il confine tra Siria e Turchia nel settore di Idlib, compresa la zona di schieramento delle forze curde sostenute dagli Stati Uniti.

Sulla duplicità della Turchia nella guerra siriana, vedi questi link:

3- LA TERMINOLOGIA MARXISTA COME COPERTURA LEGALE ALLA SVOLTA.
La composizione ideologica della svolta del PIT è stata disegnata dalla terminologia marxista. Alla fine di un dibattito interno di diversi mesi, gli esperti legali di questa formazione hanno deciso di dare una dimensione planetaria alla loro lotta privilegiando IL NEMICO VICINO (Cina) sul NEMICO LONTANO (Siria).
Si è stabilita una competizione giurisdizionale tra i prescrittori rivali Abdel Rahman Al Chami, vicino a Jabhat Al Nusra, ramo siriano di Al Qaida, e Abdel Halim Al Zarkawi, vicino a Daesh.

4- IL DISCORSO MOBILITANTE DI ABOU ZIR AZZAM.
Questo predicatore ha fatto un'irruzione politica a partire da un discorso mobilitante trasmesso in occasione della festa di Fitr, nel giugno 2018, mettendo in evidenza "l'ingiustizia" subita dal Turkestan nelle sue due parti, quella occidentale (Russia) e il versante orientale (Cina). Invocando un boicottaggio commerciale della Cina, ha elencato le sevizie storiche inflitte dai Cinesi agli Uiguri, citando "lo stupro delle donne musulmane" e "l'imposizione di mangiare carne di maiale".

5 - CINA: LA SIRIA, UN RICETTACOLO PER IL TERRORISMO GLOBALE.
La fermentazione jihadista uigura in Siria e in paesi della lontana periferia della Cina ha indotto Pechino, nel marzo 2018, a dispiegare discretamente truppe in Siria col motivo ufficiale di allenare alcuni distaccamenti dell'esercito siriano e fornire loro supporto logistico e medico.
Pechino ha giustificato questo atteggiamento di supporto a motivo della sua prossimità ideologica con il potere baathista a causa della sua natura secolare, nonché per la presenza nel nord della Siria di un grande contingente di combattenti Uiguri.
Così facendo, la Cina mira a intrappolare i jihadisti Uiguri, di cui vuole neutralizzare il loro eventuale ritorno in Cina, mentre i legami tra i separatisti islamisti nelle Filippine e in Mayanmar e i gruppi islamisti che operano in Siria sono confermati, come testimonia l'arresto di agenti dello Stato islamico (Daesh) in Malesia nel marzo 2018 e a Singapore nel giugno 2018.

Il graduale ingresso della Cina nel teatro siriano, dove ha già ottenuto di usufruire di strutture navali nel perimetro della base navale russa a Tartous, sta consolidando la sua posizione, come uno dei tre principali investitori nel finanziamento della ricostruzione della Siria, al pari di Russia e Iran.
Oltre a Tartous, la Cina ha costruito la sua prima base navale all'estero a Gibuti, nel 2017. Adiacente al porto di Doraleh e alla zona franca di Gibuti - entrambe costruite dalla Cina - questa base non dovrebbe ospitare in un primo tempo che "solo" 400 uomini.
Ma, secondo diverse fonti, sono quasi 10.000 gli uomini che potrebbero stabilirsi lì entro il 2026, quando i soldati cinesi avranno trasformato questa enclave in un avamposto militare della Cina in Africa.

Inoltre, all'inizio di settembre la Cina ha partecipato alle manovre navali russe al largo del Mediterraneo, le più importanti manovre della flotta russa nella storia navale mondiale. Ha inviato truppe in Siria, per la prima volta nella sua storia, nel marzo 2018, per supportare le forze del governo siriano durante la presa di Idlib, in particolare per decriptare le comunicazioni tra i jihadisti Uiguri al fine di neutralizzarle.
Per quanto riguarda la Cina, la Siria funge da ricettacolo per il terrorismo globale, compreso quello interno cinese. Cercando di alleviare la spesa finanziaria russa e di sostenere lo sforzo di guerra siriano, la Cina ha concesso aiuti militari per 7 miliardi di dollari alla Siria, le cui forze combattono nella battaglia di Aleppo i jihadisti Uiguri, (musulmani di lingua turca della Cina nordoccidentale), dove quasi 5.000 famiglie, ossia quasi quindicimila persone, si sono stabilite nella zona orientale di Aleppo.

6- LA QUESTIONE UIGURA.
La strumentalizzazione degli Uiguri da parte degli americani risponde alla loro preoccupazione di avere una leva contro Pechino, in quanto "la Cina e gli Stati Uniti sono impegnati, a lungo termine, su una rotta di collisione. I precedenti storici mostrano che un potere crescente e uno in declino sono spesso condannati allo scontro", sostiene l'ex primo ministro francese Dominique de Villepin, "in particolare in un momento in cui la scena diplomatica internazionale è nel mezzo della transizione verso un mondo post occidentale. Il suo obiettivo di fondo è quello di ostacolare l'attuazione della seconda via della seta ”.

Musulmani di lingua turca, gli Uiguri jihadisti provengono dalla provincia di Xingjiang, nell'estremo ovest della Cina, al confine con otto paesi (Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan e India).

Molti Uiguri hanno combattuto in Siria sotto la bandiera del Movimento islamico del Turkestan orientale (Sharqi Turkestan) alias Xinjiang, un'organizzazione separatista di lotta armata il cui obiettivo è la creazione di uno "Stato Islamico Uiguro" nello Xinjiang.
I combattenti Uiguri hanno ricevuto assistenza dai servizi segreti turchi per il loro trasferimento in Siria, attraverso la Turchia. Questo fatto ha generato tensione tra i servizi di intelligence turchi e cinesi in quanto la Cina è preoccupata per il ruolo dei turchi nel sostenere i combattenti Uiguri in Siria, un ruolo che potrebbe favorire il sostegno turco ai combattimenti nello Xinjiang.

La comunità uigura in Turchia conta 20.000 membri, alcuni dei quali lavorano per l'Associazione di Solidarietà e Istruzione del Turkestan orientale, che fornisce aiuti umanitari ai siriani ed è sotto osservazione dalla Cina. Un video del PIT del gennaio 2017 afferma che la sua brigata siriana ha combattuto con il fronte di al-Nosra nel 2013 nelle province di Raqqa, Hassakeh e Aleppo.

Nel giugno 2014, il gruppo jihadista ha ufficializzato la sua presenza in Siria: la sua brigata sul posto, guidata da Abu Ridha al-Turkestani, un portavoce di lingua araba, probabilmente un siriano, ha rivendicato la responsabilità di un attacco suicida a Urumqi nel maggio 2014 e di un attacco alla Piazza Tienanmen nell'ottobre 2013.

Il gruppo ha promesso fedeltà al Mullah Omar dei Talebani. Ventidue Uiguri sono stati arrestati a Guantanamo, poi rilasciati per mancanza di prove. Seguendo l'esempio dell'Emirato Islamico del Caucaso, la cui filiale siriana operava nell'ambito di Jaysh Muhajirin Wal-Ansar, il PIT ha creato la propria filiale in Siria che opera in concerto con Jabhat Al Nusra tra le province di Idlib e Lattakia.

7 - L'AMBIENTE JIHADISTA IN INDIA E IL SUO SPOSTAMENTO VERSO ISRAELE.
La distruzione dei Buddha di Bamyan da parte dei Talebani nel marzo 2001, sei mesi prima dell'attacco dell'11 settembre contro i simboli dell'iperpotenza americana, fu un fattore scatenante che indusse l'India ad abbandonare la sua tradizionale politica di amicizia con i paesi arabi, in particolare l'Egitto, il suo principale partner nel Movimento dei Non Allineati, per avvicinarsi ad Israele.

L'ambiente jihadista dell'India ha d'altronde portato i suoi dirigenti ad avvicinarsi anche agli Stati Uniti in un contesto segnato dalla scomparsa del partner sovietico, in contemporanea a un'accentuazione della cooperazione sino-pakistana che porta al trasferimento di energia da Pechino a Islamabad e il lancio di un programma nucleare pakistano con sussidi sauditi.

La nuova alleanza con gli Stati Uniti e Israele è stata sigillata sulla base di una convergenza di interessi e di un approccio sostanzialmente simile di paesi che si presentano come democrazie che condividono la stessa visione pluralista del mondo, avendo lo stesso nemico comune, "l'Islam radicale".

Il riavvicinamento con Israele ha portato a una normalizzazione delle relazioni israelo-indiane nel 1992, materializzata dalla prima visita di un leader israeliano a Nuova Delhi, nel 2003, nella persona del primo ministro Ariel Sharon, l'anno dell'invasione americana dell'Iraq.

Terza potenza regionale con Cina e Giappone, l'India si trova in una posizione ambivalente in quanto deve mantenere stretti legami con le superpotenze per rimanere nel gruppo alla testa della leadership mondiale, senza allentare i legami con il Terzo mondo, di cui è stata una delle leader per lungo tempo. La sua presenza nei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) risponde a questa logica.
Gli Uiguri, dal ricordo dell'osservatore, non sono morti mai per la Palestina, neppure uno. Ma molti sono stati contro la Siria, in una deviazione settaria della loro ideologia.

Agli occhi degli strateghi del Pentagono, la strumentalizzazione dell'irredentismo uiguro dovrebbe avere lo stesso effetto destabilizzante sulla Cina del jihadismo ceceno sulla Russia di Putin. Ma una possibile ascesa al potere del Partito islamico del Turkestan potrebbe avviare una ridistribuzione delle carte, le cui principali vittime potrebbero essere i jihadisti Uiguri, come gli islamisti in Siria. A voler troppo servire da «carne da cannone» a combattimenti mercenari decisi da committenti guidati esclusivamente dalla loro ragione di stato della loro propria potenza, il destino dei suppletivi è ineluttabilmente segnato: Tacchini ripieni di un gigantesco inganno.

8 - LA DEFEZIONE DI TRE PAESI MUSULMANI ALLEATI DELL'OCCIDENTE.
Di fronte a una tale configurazione, il Pakistan, il pompiere piromane del jihadismo planetario per decenni sembrava aver avviato una revisione dolorosa delle sue alleanze, rinunciando al suo precedente ruolo di guardia del corpo della dinastia wahhabita per un ruolo più gratificante di partner della Cina, la potenza planetaria in via di realizzazione, tramite il progetto OBOR (ONE BELT ONE ROAD o Nuova via della seta - NDT).

Altri due paesi musulmani, ex alleati dell'Occidente, ne han seguito l'esempio: la Malesia e senza dubbio la Turchia, a medio termine, colpita da sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti.
Se l'ipotesi del jihadismo anti-buddista dovesse materializzarsi, darebbe inizio a una gigantesca tettonica delle placche con l'effetto di sigillare un'alleanza di fatto tra Cina e India, i due stati continenti dell'Asia, oltre che non musulmani, in vista di sconfiggere l'idra islamista che si aggira alla loro periferia.

Per Approfondire..

domenica 5 gennaio 2020

La pace del mondo in bilico dopo l'uccisione di Soleimani


Il nunzio apostolico in Iran, arcivescovo Leo Boccardi, dopo l’uccisione del generale Soleimani ha dichiarato in un’intervista a «VaticanNews» :
Tutto questo crea preoccupazione e ci dimostra quanto è difficile costruire e credere nella pace. La buona politica è al servizio della pace, tutta la comunità internazionale deve mettersi al servizio della pace, non soltanto nella regione ma nel mondo intero. Certamente, in queste ore, si respira una forte tensione in Iran. Ci sono state manifestazioni dove, dopo l’incredulità, si sono registrati violenza, dolore e protesta.
L’appello è quello di abbassare la tensione, chiamare tutti al negoziato e credere al dialogo sapendo, come la storia ci ha sempre insegnato, che la guerra e le armi non sono le soluzioni ai problemi che affliggono il mondo di oggi. Bisogna credere nel negoziato. Si deve credere nel dialogo. Bisogna rinunciare al conflitto e si deve “armarsi” con le altre armi che sono quelle della giustizia e della buona volontà.
Occorre continuare a prodigarsi e a portare all’attenzione della comunità internazionale la situazione del Medio Oriente. Una situazione che deve essere risolta e si devono chiamare tutti alla responsabilità diretta che abbiamo. Pacta sunt servanda, dice una regola importante della diplomazia. E le regole del diritto devono essere rispettate da tutti.”
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America contro tutti con l’uccisione del generale Soleimani

  di Gianandrea Gaiani

L’uccisione a Baghdad del comandante della divisione al-Quds dei pasdaran iraniani, il generale Qassem Soleimani, non costituisce solo l’ennesima esecuzione mirata effettuata dagli Stati Uniti ormai in ogni angolo del mondo, ma rappresenta un vero e proprio spartiacque tra Washington e il resto del mondo, alleati inclusi.
Poco importa se, sul piano tecnico-militare i due veicoli Suv polverizzati all’aeroporto di Baghdad siano stati colpiti dai missili Hellfire lanciati da un elicottero AH-64E o da un velivolo teleguidato MQ-9 Reaper.
Quel che conta in termini politico-strategici è che gli Stati Uniti hanno ucciso Soleimani e Abu Mahdi al-Muhandis (vice comandante delle Unità di Mobilitazione Popolare, le milizie scite irachene filo-iraniane protagoniste della campagna vittoriosa contro lo Stato Islamico) come se si trattasse di capi talebani o di leader di milizie e gruppi terroristici qaedisti o dell’Isis.

Soleimani era un generale comandante di una forza governativa, cioè un’alta personalità dello Stato iraniano mentre al-Muhandis era un alto ufficiale di una milizia integrata nell’apparato militare dello Stato iracheno, lo stesso Stato che ha un accordo con Washington per ospitare forze statunitensi che certo non prevede vengano impiegate per colpire figure istituzionali oppure ospiti e amici dell’Iraq.
Non si tratta solo di ingerenza arbitraria ma di un raid effettuato dagli USA con velivoli decollati probabilmente dall’Iraq che hanno colpito a Baghdad personalità dello Stato iracheno e iraniano ritenute ostili da Washington che, come fa Ankara con i curdi, definisce “terroristi” tutti i suoi avversari inclusi gli iraniani.
Definizione improbabile tenuto conto del ruolo fondamentale ricoperto da pasdaran e milizie scite nello sconfiggere lo Stato Islamico in Iraq e Siria.

L’enormità di quanto è accaduto a Baghdad non può essere sottovalutata anche in termini di rispetto della sovranità di uno Stato amico degli stati Uniti. Come reagiremmo se aerei statunitensi decollati da Aviano o Sigonella colpissero alti ufficiali italiani e di un paese amico di Roma bombardando i loro veicoli all’aeroporto di Fiumicino? Come definiremmo il raid di un drone iraniano che uccidesse con un missile a Baghdad un generale dei marines o delle special forces statunitensi? Senza dubbio lo definiremmo un atto di terrorismo.
E’ vero che gli iraniani erano presenti alla violenta manifestazione tenutasi davanti all’ambasciata americana a Baghdad ma quell’evento è stata una risposta non molto pacifica a un atto di guerra quale i raid aerei statunitensi su una base delle milizie scite irachene.

Certo, le tensioni tra statunitensi e milizie filo-iraniane in Iraq avevano messo da tempo a dura prova i rapporti tra Baghdad e Washington ma le pesanti ripercussioni dell’uccisione di Soleimani non sfuggono neppure ai vertici dell’Amministrazione Trump.
Il Pentagono ha subito tenuto a precisare che “per ordine del Presidente le forze armate hanno adottato misure difensive decisive per proteggere il personale americano all’estero uccidendo Qassem Soleimani”. Una dichiarazione che cerca di giustificare l’omicidio come un’azione difensiva attribuendo al tempo stesso la responsabilità a Trump.

Il segretario di Stato, Mike Pompeo, si è impegnato a spiegare ad amici e alleati le ragioni degli USA ma ha incassato un plauso solo da Gerusalemme (peraltro scontato) mentre ovunque dilagano scetticismo, sconcerto e condanne più o meno manifeste. Intanto i presidenti russo e francese discutono ormai sempre più apertamente su come contrastare la politica muscolare degli Stati Uniti in Medio Oriente.
Di fronte agli scarsi risultati ottenuti dalla sua campagna in cerca di consenso e comprensione, Pompeo, ha pensato bene di bacchettare gli alleati europei (ancora !!) che, a suo giudizio, non sono stati “così disponibili” nel comprendere le ragioni che hanno spinto gli americani a uccidere Soleimani. “Ho parlato con i nostri partner nella regione del Medio Oriente per spiegare loro cosa stessimo facendo, perchè lo stessimo facendo, e per chiedere loro assistenza. Tutti sono stati fantastici. Ma le mie conversazioni con i nostri partner in altri luoghi non sono state altrettanto positive. Francamente, gli europei non sono stati così disponibili come avrei voluto che fossero. Gli inglesi, i francesi, i tedeschi, tutti devono capire ciò che hanno fatto gli americani, hanno salvato vite umane anche in Europa”.
Valutazione che ben spiega quale sia il concetto di alleanza con l’Europa della leadership statunitense, già peraltro ben evidenziato in passato.

Di fatto Washington (fin da prima dell’attuale amministrazione) ci dice da anni che dobbiamo accettare che i russi siano di nuovo “cattivi”, che dobbiamo spendere di più per la Difesa (ma comprando prodotti “made in USA”), che l’accordo sul nucleare con l’Iran andava abrogato (cin sanzioni economiche annesse) pur in assenza di violazioni da parte di Teheran e ora pretende di convincerci che se gli americani ammazzano chiunque desiderino e bombardano ovunque ritengano necessario in barba a ogni norma del diritto, lo fanno per il nostro bene.
Meglio metterlo in conto: con visioni così semplicistiche e supponenti i rapporti con gli USA saranno per tutti sempre più ardui e complicati mentre la pretesa di averci come vassalli plaudenti rende agli europei sempre più difficile essere amici e alleati degli Stati Uniti.

Difficile scongiurare l’escalation che l’uccisione di Soleimani con ogni probabilità finirà per generare, soprattutto in un Iraq già da tempo in preda a una profonda crisi interna che mina la residua credibilità delle istituzioni in mano agli sciti e rilancia, per l’ennesima volta dalla rimozione del regime di Saddam Hussein, il confronto tra sciti e sunniti.
L’Iran potrebbe rispondere presto all’uccisione di Soleimani in termini militari mentre Baghdad sarà con ogni probabilità costretta da pressioni da parte di molti partiti sciti e di Teheran a chiedere agli Stati Uniti di ritirare i circa 5mila militari presenti nel paese nell’ambito della Coalizione anti-Isis di cui fanno parte anche i contingenti alleati inclusi 900 militari italiani.
Soldati barricati nelle basi nel timore di trovarsi coinvolti in qualche rappresaglia, scambiati per americani, dopo il raid all’aeroporto di Baghdad circa il quale gli USA non avevano neppure informato gli alleati della coalizione.

L’aperta ostilità con l’Iran e il mondo scita, ufficializzata platealmente con l’uccisione di Soleimani, preoccupa Roma (che schiera soldati a Baghdad e Irbil ma anche in mezzo agli Hezbollah nel libano del Sud) ma anche le stesse monarchie del Golfo che vedono oggi ancor più concreto il rischio di una guerra con Teheran ma soprattutto devono oggi guardare con crescente diffidenza le forze militari statunitensi presenti sul loro territorio.
Forze che evidentemente Washington considera di poter impiegare senza limitazioni nonostante gli accordi sottoscritti. Un aspetto su cui necessariamente rifletteranno da oggi in tanti, in Medio Oriente come in Europa.
E’ ancora tollerabile per Baghdad e il mondo arabo che in queste ore i caccia statunitensi basati in Giordania, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti sorvolino liberamente l’Iraq per proteggere le proprie basi e, qualora lo ritenessero necessario, bombardino installazioni e milizie in territorio iracheno?
Queste forze statunitensi costituiscono ancora un elemento di stabilizzazione regionale o non sono al contrario strumenti per accentuarne una destabilizzazione? Una destabilizzazione che colpirebbe anche in termini petroliferi i paesi produttori e i principali consumatori, eccetto quelli già autosufficienti come gli Stati Uniti.
L'immagine può contenere: spazio all'aperto e acqua
Milioni di iraniani si uniscono per  la cerimonia di addio per il generale Soleimani e i suoi compagni

Secondo alcuni analisti l’uccisione così plateale di Soleimani ha l’obiettivo di ripristinare la deterrenza statunitense nel Golfo, per ammonire Teheran che gli USA sono sempre pronti a mordere le forze iraniane e dei suoi alleati quali Hezbollah o le milizie scite in Iraq. L’impressione è invece che l’attacco contro il leader dei pasdaran punti a far saltare i precari equilibri che tengono malamente insieme l’Iraq facendolo sprofondare nella guerra civile. Soleimani era un “obiettivo pagante” ma la sua eliminazione non costituisce nessun vantaggio: al suo posto è già stato nominato il suo vice, il generale Esmael Ghaani (nella foto sotto), che continuerà a guidare i pasdaran per garantire gli interessi dell’Iran oltre i confini nazionali.
Anzi, in un Iran diviso al suo interno dalla crescente insofferenza nei confronti del regime, la morte di un eroe nazionale così popolare come Suleimani aiuterà a cementare il patriottismo intorno al governo.

Ancora Mike Pompeo, subito dopo il raid ha annunciato su Twitter che si vedono iracheni in festa per strada dopo l’annuncio della morte del generale iraniano. “Gli iracheni danzano nelle strade per la libertà, grati che il generale Soleimani non c’è più”.
A esprimere tanta gioia erano però gli abitanti dei quartieri sunniti di Baghdad e del resto Soleimani ha guidato gran parte delle operazioni contro l’insorgenza sunnita accentrata intorno al Califfato: dalla difesa di Baghdad nell’estate del 2014 (gestita dai pasdaran) fino alla riconquista di tutto il nord e l’ovest dell’Iraq nonché di parte dell’Est siriano.
Difficile immaginare che il tweet di Pompeo fosse inconsapevole, tenuto conto che l’attuale segretario di Stato è stato al vertice della CIA, ma se dopo aver istituito la Coalizione anti Isis ora Washington punta ad alimentare il revanchismo sunnita (specie ora che l’Isis sta rialzando la testa) è evidente che l’obiettivo ultimo è la definitiva destabilizzazione dell’Iraq.
Un obiettivo funzionale, nella visione strategica degli USA, a interrompere la continuità geografica e strategica della “Mezzaluna scita” che si estende dall’Iran bagnato dall’Oceano Indiano e dalle acque del Golfo Persico fino alle coste del Libano meridionale sulle rive del Mediterraneo attraverso Iraq e Siria.
Un obiettivo certo non nuovo per gli USA che fino a ieri lo hanno perseguito cercando di interrompere questa continuità geografica con il controllo dei territori orientali siriani (in mano ai curdi sostenuti da militari statunitensi, francesi e britannici) ad altri ribelli appoggiati dalle forze USA in Giordania, nel settore di al-Tanf.

Nell’ottobre scorso l’intervento turco nel nord della Siria e il successivo accordo tra Ankara e Mosca hanno cambiato tutto mettendo fuori gioco gli statunitensi e permettendo a Damasco di riprendere il controllo dell’est del paese.
L’anello debole della “mezzaluna scita” su cui oggi Washington potrebbe far leva è quindi l’Iraq, sostenendo e alimentando l’insofferenza dei sunniti nei confronti del governo scita di Baghdad sostenuto dall’Iran e afflitto da sempre dai mali del settarismo e della corruzione.

giovedì 2 gennaio 2020

Viaggio ad Aleppo: la situazione attuale vista da Claude Zerez


Ho trascorso 18 giorni ad Aleppo a novembre. Ho incontrato vescovi, sacerdoti, famiglie e leader religiosi e umanitari.
Posso descrivere la situazione come l'ho vista:
  • La situazione delle nostre famiglie cristiane è drammatica: si soffre la mancanza di gas tanto che per avere una bombola di gas si resta ad aspettare in strada dalla sera alle 18:00 fino alle 10 del mattino seguente. Carenza di olio combustibile: ogni famiglia ha diritto a 100 litri e molti non l'hanno ricevuto. Carenza di pane: certi giorni devi rimanere in coda 5 ore per comprare il pane. Caduta della sterlina siriana a causa della crisi in Libano: prima della guerra 1 € era equivalente a 60 sterline siriane oggi ha superato le 1025 sterline siriane. Gli stipendi finora non sono cambiati troppo: lo stipendio medio di un dipendente è di 35.000 sterline siriane. Il chilo di carne costa 8.000 Lire Siriane. per vivere ogni famiglia ha bisogno di oltre 250.000 L.S. al mese. La maggior parte delle organizzazioni benefiche (Caritas, Oeuvre d'Orient ...) non possono più aiutare perché i loro soldi sono bloccati nelle banche libanesi. E senza dimenticare le sanzioni.
  • Un grosso problema collettivo colpisce la società siriana a causa della fuga dei giovani soprattutto per sottrarsi al servizio militare che dura più di 9 anni e inoltre tutti gli uomini anche sposati dai 18 ai 42 anni devono tornare al servizio come riservisti. Questo ha creato un altro problema sociale perchè abbiamo troppe ragazze e matrimoni molto rari, senza dimenticare i tristi casi in cui le nostre ragazze si prostituiscono per sopravvivere. Non possiamo tacere la grande corruzione di certi funzionari, commercianti …
  • Gran parte dei vescovi ha interrotto gli aiuti mensili alle famiglie. Le famiglie cristiane e musulmane si interrogano sul fatto che si stanno spendendo ingenti somme per ripristinare i luoghi di culto quando le famiglie non sanno come sopravvivere. La chiesa delle anime non è più importante della chiesa di pietra?
  • Ma bisogna altresì riconoscere che ci sono associazioni come i Maristi Blu e i Vescovi che coprono i costi di operazioni e medicine. Allo stesso modo sono fioriti gemellaggi tra le parrocchie italiane e francesi con le parrocchie di Aleppo, tra cui Padre Alessandro italiano e Padre Bruno francese, che inviano aiuti alle parrocchie armene e melkite; e giungono aiuti da russi e armeni agli ortodossi … 
  • La situazione politica è molto cupa e complicata soprattutto nel nord, dove turchi, iraniani, russi, americani, francesi si affrontano per il petrolio, senza dimenticare il ruolo dei paesi del Golfo che ancora finanziano le armi. E come dimenticare le 420.000 vittime e lo sfollamento di 14 milioni di siriani?
  • Considerando tutto questo, temo che un giorno i cristiani avranno lo stesso destino degli ebrei siriani, vale a dire che spariranno. Prima della guerra Aleppo aveva più di 150.000 fedeli cristiani, oggi non supera i 28.000 cristiani. Ciò farà scomparire questa peculiare convivenza islamo-cristiana. I cristiani d'Oriente sono rimasti per secoli un ponte di convivialità e dialogo con le varie comunità confessionali ed etniche ... Questa esperienza può essere un modello da applicare in Europa nei conflitti sociali e culturali con i musulmani in Europa. 
  • Ciò che mi ha profondamente toccato è stata la fede dei nostri cristiani che è cresciuta molto e si vede dal fatto che le chiese sono piene. Grande povertà e grande spiritualità. Così i sacerdoti lavorano intensamente con i loro parrocchiani: ne ho visto un esempio commovente nella creazione nella parrocchia di San Dimitri di un laboratorio per paramenti sacerdotali dove lavorano donne vedove. Allo stesso modo ho incontrato giovani volontari che collaborano con i sacerdoti in tutte le aree. Sono stato commosso nel vedere incontri cristiani e musulmani per celebrare insieme il Natale ovunque ad Aleppo e in Siria, con le corali di Damasco, Aleppo, Homs, la Valle dei Cristiani e dei siriaci nel Nord a Qamichli e Hassakè …
  • Sono stato anche commosso nel rivedere i miei vecchi amici musulmani che mi hanno implorato di tornare in Siria perché ribadivano che noi siamo il vero volto della Siria di tolleranza e storia vissuta per millenni.
Prima di finire invito tutti i nostri cristiani in Europa a pregare per i loro confratelli cristiani in Oriente e a non dimenticare le loro radici cristiane; vi chiedo di non scordare le parole di Papa Giovanni Paolo II: "la Chiesa ha un cuore con due polmoni: la Chiesa orientale e la Chiesa occidentale ". Se un polmone muore la Chiesa diventa menomata.

Buon Natale e Felice Anno Nuovo 2020
Claude Zerez  
    cristiano siriano di Aleppo rifugiato in Francia con la moglie e i due figli

domenica 29 dicembre 2019

La ballerina: telefonata a un rifugiato siriano

La danza della nipote tredicenne di Majd Abboud.
Per otto anni, una guerra per un cambio di regime promossa dall'Occidente e dagli alleati regionali ha imperversato in Siria. Ma la cultura della nazione non è dominata solo dalla violenza... alcuni siriani addirittura danzano il balletto, come la nipote di Majd Abboud.
Alla fine del 2015, il dentista siriano Majd Abboud è fuggito in Germania. All'inizio di quest'anno, ha destato attenzione una sua lettera aperta al cancelliere Angela Merkel. Abboud in precedenza si era distinto per le sue critiche alla politica tedesca sui rifugiati, la cui pretesa di integrazione spesso falliva a causa del fatto che molti rifugiati siriani non erano disposti a integrarsi. Nel commovente dialogo che segue, Majd Abboud riporta i suoi pensieri durante una telefonata con sua nipote, che vive ancora in Siria dove lei danza.
      di Majd Abboud
La tua voce arriva sul mio telefono da un mondo familiare; mi ridesta dal mio letargo come un raggio di luce; una mano tesa, come le notizie dalla Siria in questi giorni, promettente e piena di speranza. Il mio Paese diventa di nuovo uno, vivere insieme è di nuovo possibile.
"Zio, quando sarà finita la guerra?"
Penso: quando le persone smetteranno di odiarsi. Se fossero meno egoiste, meno sature di ideologie. Se si fossero riconciliate con la loro umanità.
Cos'è questo per un mondo in cui i nostri figli devono crescere? Quando ero bambino, l'anno finiva dopo le solenni festività in cui ricevevo regali. Ho festeggiato il Natale con una parte della mia famiglia, mentre la "festa dello zucchero e del sacrificio" con l'altra parte.
Non vedo l'ora che arrivi San Silvestro, quando celebreremo il nuovo anno con tutta la famiglia. Un giorno speciale, anche per mio padre. Con una faccia ridente e una lunga barba bianca, lui e la sua grande borsa piena di doni uscivano dal suo negozio, attraversava i vecchi vicoli, diffondendo gioia in tutta l'area. Anni prima della guerra chiuse gli occhi e si addormentò in pace. Gli fu risparmiata la sofferenza della guerra.
Le dico: "Presto, amore mio, presto."
Le sto dicendo questo da anni. Mi crede ancora ?!
"Oh, l'inverno è tornato, qui si è fatto piuttosto freddo e l'elettricità è sempre interrotta. Per questo, raramente riesco ad ascoltare musica. Perché gli altri ci odiano così tanto?"
Tuttavia, l'elettricità non viene a mancare solo nelle aree distrutte, ma anche in alcuni cervelli. La mente è annerita dall'odio, il cuore è divorato dall'ostilità.
"Conosci la mia migliore amica Hiba? È sempre triste, le manca suo padre. Anche a Sahra mancano i suoi cugini. Ma torneranno quando la guerra sarà finita."
Il padre di Hiba fu rapito dai ribelli a Homs all'inizio della guerra. Per la sua liberazione fu richiesta una grande somma. E in effetti la famiglia lo ha riavuto indietro, ma solo a pezzi, e il video della sua decapitazione è stato pubblicato su Internet. Quando i ribelli hanno catturato la città operaia di Adra, lo zio di Sahra ha sparato alla sua famiglia e poi si è ucciso per salvare la famiglia dalla schiavitù e dallo stupro. A Sahra non è mai stata detta la verità perché era troppo piccola, così sta ancora aspettando che i suoi cugini tornino.
Le persone che sono andate via con la guerra non torneranno mai più. Hanno lasciato vuoti dolorosi nelle famiglie e nella coscienza di questo mondo. Khaled, l'archeologo; Samir, il postino; Nidal, l'agricoltore la cui moglie era da poco incinta; Mohammed Ramadan, l'Imam assassinato nella moschea. Tutto ciò che rimane di loro sono i murales e i loro posti vuoti a tavola. I loro nomi saranno le campane del lutto nei nostri ricordi per gli anni a venire.
Improvvisamente ho immagini di bambini, bambini a Idlib, reclutati da terroristi, bambini che fuggono dal terrore in Siria, bambini che muoiono di fame nella guerra nello Yemen.
Se solo potessi cambiare qualcosa al riguardo! Darei qualsiasi cosa per questo! Ma ho perso quasi tutto con la guerra.

Affondo nell'impotenza.

La sua voce mi riporta indietro: "Ci sei?"

Le dico solo: "Nessuno può odiarti, piccola mia."

Ride e il mio cuore palpita più velocemente.

"L'Europa è bella, zio?"
"Sì, lo è, ma non è bella come te, piccola."
Ride di nuovo e rende il mondo più bello.
"Zio, gli europei ci odiano? Ho sentito papà dire che sostengono i terroristi, che ci perseguitano."
Penso che dovresti sempre distinguere tra la politica e le persone.
Gli Europei sono intrappolati nella loro ruota da criceto. Alcuni sono troppo impegnati con se stessi per preoccuparsi di noi. Alcuni sono ossessionati dalla ricerca di denaro, quindi non hanno tempo di preoccuparsi di nient'altro. Alcune persone pensano di essere superiori a noi e vogliono fare regole per noi. Alcuni sono troppo oppressi dalla loro storia. Alcuni pensano: la Siria! Oh, è molto lontano...
Abbiamo commesso l'errore quando è scoppiata la guerra in Afghanistan e successivamente ai nostri confini in Iraq. Pensavamo di essere al sicuro. La guerra è come una brutta malattia. Pensi che possa accadere solo agli altri.
Le dico: "Non ci odiano: semplicemente non ci conoscono così bene".
"Beh, ci conosceranno tramite te, zio. Raccontagli di noi."
"Questo è quello che sto cercando di fare, piccola. Ho anche incontrato molte persone meravigliose qui."
"Un giorno voglio venire in Europa e conoscerli."
L'Europa è stata a lungo apprezzata da noi in Siria. Ma oggi l'Europa delle operazioni militari non è più quella degli anni '70. Fai un grosso errore quando idealizzi gli europei, perché ti aspetti troppo da loro. Possono anche essere manipolati e innomorarsi della propaganda. In Europa, in particolare, l'inganno è grande, perché gli Europei sono un importante gruppo bersaglio della macchina da guerra.
Quattro anni fa, ho percorso una strada faticosa per lasciare il male alle spalle e purtroppo ho scoperto quanto siano diffusi i suoi amici e sostenitori. Ora sono seduto da solo nella mia stanza e non ho la forza di lottare contro di esso. Sono stanco, mi sdraio.
La sua voce interrompe di nuovo i miei pensieri:
"Adesso devo andare a ballare! Abbi cura di te! La mamma è preoccupata per te, dice: Il mondo non è sicuro."
La piccola, balla in punta di piedi mentre il mondo balla su una pista rovente.
Le notizie riportano: "Ci sono ancora 50 bombe atomiche statunitensi conservate da Erdoğan."
Attenta a te piccola, il pianeta è costellato da esplosivi.
Una brezza fredda e piacevole passa attraverso la finestra semiaperta; smaltisce lentamente il calore dal mio corpo sfinito, mi induce a dormire e promette pace alla mia anima. Ma prima di chiudere gli occhi, mi raccolgo e penso a qualcosa. Risolverò tutto per te.
Ho una macchina del tempo, l'ho rimessa indietro di otto anni. Abbiamo appena ricevuto un pacchetto splendidamente decorato che contiene la terza guerra mondiale.
Mi dico: no grazie, non ci lasciamo prendere per stupidi. Vi dipingo una faccia ridente e lo rispedisco dove era stato confezionato: a Londra , a Washington , a Riyad , ad Ankara e Tel Aviv .
Chiudo la porta e li guardo da lontano mentre esplodono di rabbia.
Ora andrà tutto bene.
Buona notte, piccola.
 Traduzione Gb.P.  Fonte:  https://de.rt.com/21ut

mercoledì 25 dicembre 2019

Aleppo, un altro Natale con la guerra alle porte

Con che animo celebreranno il Natale quest'anno i cattolici rimasti ad Aleppo e in Siria nonostante tutto? Ce lo spiega il vescovo cattolico di rito latino, monsignor Georges Abou Khazen, (francescano della Custodia di Terra Santa nato in Libano 72 anni fa) che svolge da Aleppo il suo ministero di vicario apostolico per i cattolici di rito latino che vivono in Siria.
    Intervista di Terrasanta.net

Monsignor Abou Khazen che Natale sarà quello che Aleppo si appresta a vivere?  Che Natale sarà… Noi speriamo sempre bene. Il Natale ci ispira moltissimo. È la festa della speranza, innanzitutto, e della pace. Della pace interiore, ma anche della pace in tutta la Siria. Speriamo che la situazione migliori, perché nel corso dell’ultimo mese è andata peggiorando. Ad Aleppo, nelle settimane scorse, sono ripresi i bombardamenti alla cieca su alcuni quartieri, a spese della popolazione civile. Gli ordigni partono dalla zona di Idlib e dalla periferia occidentale di Aleppo. In quell’area i militari turchi hanno messo un punto di osservazione e l’esercito siriano esita a contrattaccare, per non innescare uno scontro diretto con le forze turche. D’altronde molti gruppi jihadisti hanno agganci con la Turchia. Questa nuova fase ha provocato varie vittime in città: settimane fa abbiamo contato 7 morti in un solo giorno. Un altro giorno sono morti una madre e i suoi due bimbi; l’indomani i bambini uccisi sono stati 5…

Aleppo ha risentito dell’avanzata delle truppe turche nel nord est della Siria?  Certamente. Molte fabbriche stavano riprendendo le attività, ma ora è tutto si è fermato di nuovo e ciò influisce sulla disoccupazione e su tanti altri aspetti. Noi con i turchi ottomani abbiamo una lunga storia, che non è stata sempre felice. Nell’area di Afrin (a nord ovest di Aleppo – ndr), che hanno occupato (nel gennaio 2018 – ndr), hanno allontanato i curdi rimpiazzandoli con gruppi più omogenei alle loro prospettive. Nel nord-est della Siria, nella Mesopotamia, non ci sono solo curdi, ma anche, nella grande maggioranza, cristiani assiri, caldei, armeni e così via. Quei cristiani sono figli e nipoti di gente massacrata dagli ottomani tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del secolo scorso. Potete immaginare la paura di queste persone quando vedono i turchi avvicinarsi. Sono migliaia e migliaia le persone in fuga, molte volte senza portare nulla con sé, solo per sfuggire alla morte. Nelle case questa gente conservava ancora le fotografie dei genitori, nonni e bisnonni che furono ammazzati dai turchi. Purtroppo, sta succedendo una sorta di pulizia etnica: allontanato i curdi, stanno sostituendoli con altri gruppi, tra i quali turcomanni o i musulmani uiguri della Cina.
Gli sfollati che avevano parenti ad Aleppo sono arrivati in città, altri sono finite in campi profughi. A noi dispiace, perché gli americani hanno montato la testa a questi poveri curdi e poi li hanno venduti. Gli americani hanno occupato tutti i campi di petrolio e di gas. Prima il governo otteneva qualcosa tramite i curdi (petrolio e gas); ora qualsiasi autocisterna si avvicini viene bombardata dagli americani.

Quali notizie avete dall’area di Idlib?  Anche lì la situazione è molto confusa. L’area è ancora assediata. Vi si accede solo dalla Turchia. C’è sì un transito ancora accessibile ai civili, ma da lì servono 28 ore per arrivare ad Aleppo e non sempre il passaggio è aperto. I bombardamenti aerei continuano. Nella sacca restano molti profughi, sospinti lì da altre zone.

Ad Aleppo, negli ultimi anni, lei ha dato impulso al progetto Un nome, un futuro per sostenere i minori rimasti orfani e in difficoltà a causa della guerra. Come procede l’esperienza?  Il progetto sta andando avanti. Devo ringraziare Dio e anche i nostri benefattori. Sono grato anche al muftì Mahmoud Akkam che, con la sua collaborazione, ci dà una copertura morale. I ragazzi vivono in quartieri poverissimi, tutti distrutti. Non c’è nessun cristiano tra di loro. L’avallo del mufti è importante per noi, e ci mette al riparo dalle accuse di proselitismo. L’abbiamo portato a vedere il nostro lavoro e si è molto commosso.
Di che fascia d’età sono i ragazzi che accompagnate?  Parliamo di bambini piccoli, dai 3-4 anni, su su fino ai 17enni. I più grandi, quando è cominciata la guerra, avevano già 6-7 anni e i loro genitori sono morti. Abbiamo avviato anche un programma di alfabetizzazione, soprattutto per le mamme. Stiamo anche aiutando le mamme di alcuni di questi bambini ad imparare un mestiere perché possano guadagnare qualcosa. L’équipe è mista, ne fanno parte cristiani e musulmani. Lavorare fianco a fianco è un’esperienza positiva per la convivenza civile, è un mattone per costruire la Siria del futuro. Ringraziamo Dio.
Dove vivono questi minori?  Alcuni di loro continuano a vivere negli appartamenti distrutti; altri abitano con lontani parenti. L’islam non ammette l’adozione, ed io ho chiesto con insistenza al muftì di trovare una via d’uscita. Lui ha studiato la sharia e ha visto che è praticabile una forma di semi-adozione: i parenti dichiarano che il figlio non è loro; non potrà ereditare, anche se potrà usare il cognome di famiglia che dovrà lasciare al compimento dei 18 anni. Già così è una bellissima cosa. Molte famiglie si rendono disponibili.

Lei è vescovo di tutti i cattolici di rito latino in Siria. Oltre ai francescani, quali altre espressioni di solidarietà sono messe in campo da parte della Chiesa in Siria?  I Maristi Blu stanno facendo un ottimo lavoro, nel loro centro e nei campi profughi. C’è poi l’azione del Jesuit Refugee Service e della Caritas. La Chiesa è molto presente. Mostriamo quello che c’è di più bello nel cristianesimo: l’amore, la carità verso tutti i bisognosi. Cerchiamo di essere un riflesso del volto di Dio amore; di Dio che ama tutti i suoi figli, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa. I nostri concittadini musulmani stanno scoprendo questo e ci dicono: «Ci state insegnando la carità». Per i musulmani è, in qualche misura, una scoperta nuova, benché anch’essi conoscano l’elemosina verso chi è povero, soprattutto nel mese di Ramadan. All’inizio ci guardavano con un po’ di sospetto, ma da quando hanno compreso che agiamo così perché gli vogliamo bene, le cose stanno cambiando. Tanto è vero che ci dicono: «Non ci lasciate», perché hanno scoperto il nostro modo di vivere e la possibilità di vivere in pace fra tutti quanti. La volontà di non escludere nessuno crea un ambiente molto confortevole.
Non voglio dimenticare la presenza di molte congregazioni religiose che fanno riferimento al vicariato apostolico, in quanto congregazioni di rito latino. Stanno facendo un bel lavoro di assistenza e, soprattutto, di sostegno psicologico. Aiutano anche le parrocchie di altre Chiese e non solo le nostre. Alcuni di questi istituti ricevono e trasmettono la solidarietà concreta dei cristiani del resto del mondo. Altri restano tra la gente e fanno quello che possono con la loro presenza. Credo che sia molto. Ringraziamo Dio perché in Siria la Chiesa è stata sempre presente. Nessuno ha lasciato, nonostante il pericolo: né vescovi, né parroci, né religiosi o religiose. Sei dei nostri sacerdoti sono stati uccisi, altri sei (inclusi due vescovi ortodossi di Aleppo) sono stati rapiti e non ne abbiamo più notizie. Nonostante tutto siamo rimasti, e per la gente questo è stato un grande segno di incoraggiamento e di speranza.

La Chiesa ha sempre sostenuto quanto sia importante che i cristiani restino in Medio Oriente e in Siria. Chi era fuggito dalla guerra sta tornando o è ancora presto?  Alcuni degli sfollati interni stanno tornando alle loro case e alle loro terre, ma chi è espatriato ancora non rientra. A riguardo ho qualche punto interrogativo: ad esempio, chi è stato assistito dalle Nazioni Unite non può rientrare prima di cinque anni. L’ho fatto osservare a qualche funzionario dell’Onu: bisogna aiutare i profughi a rientrare nel loro Paese, non a restarne lontano. È chiaro che, dopo cinque anni, se uno ha trovato lavoro, non è invogliato a lasciarlo [per tornare nell’incertezza]. In cinque anni, i figli crescono e vanno a scuola… Anche questo rende meno agevole il ritorno.

Come vanno le cose nella capitale Damasco?   Lì la situazione è molto più tranquilla, ma purtroppo bisogna fare i conti con l’inflazione. Il cambio con il dollaro prima della guerra era 48 lire siriane, più o meno. Ora supera le 900. L’euro che era a 50 lire ora è a 1.000. Gli stipendi sono rimasti invariati e quindi non bastano a fronteggiare il caro-vita. La ricostruzione è stata avviata – qua e là – ma purtroppo, come dicevo, abbiamo le sanzioni che colpiscono la povera gente. Molti beni sono razionati. Faccio qualche esempio: ogni famiglia può avere una bombola di gas da cucina ogni 23 giorni; di benzina se ne possono ottenere 100 litri al mese. Procurarsi il gasolio è ancora più difficile. Chiediamo che le sanzioni internazionali contro la Siria siano rimosse. Dal nostro punto di vista sono un crimine.

domenica 22 dicembre 2019

"La felicità a portata di mani che la possono abbracciare..." Ecco il paradiso

Nel cuore della basilica di Santa Maria Maggiore, conservate in un reliquiario di fine Settecento, ci sono cinque fragili assicelle di legno d’acero rosso. Si trovano lì da circa millequattrocento anni, cioè dall’epoca in cui si fa risalire il loro arrivo a Roma, durante il pontificato di Teodoro I (642-649), nativo di Gerusalemme. Duemila anni fa le piccole travi, davanti alle quali ogni giorno si inginocchiano a recitare una preghiera fedeli di tutto il mondo, erano incrociate e inchiodate fra di loro in modo che potessero sostenere il lieve peso di una culla di terracotta in uso in quei tempi in Palestina: secondo la tradizione esse sono proprio le reliquie della mangiatoia di Betlemme in cui Maria depose Gesù bambino dopo averlo avvolto nelle fasce (cfr. Lc 2, 7). 
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Ebbene, una particella di quegli antichi legni d’acero è appena tornata a Betlemme, in Palestina, dopo secoli di soggiorno a Santa Maria Maggiore, la “Betlemme di Roma” fatta edificare da Sisto III sul colle Esquilino. Il frammento della Sacra Culla donato da Papa Francesco alla Custodia di Terra Santa, è arrivato a Gerusalemme lo scorso 29 novembre e ha raggiunto il paese natale di Gesù nella prima domenica di Avvento. Il cardinale Stanisław Ryłko, arciprete di Santa Maria Maggiore, in un messaggio riportato pubblicamente dal nunzio apostolico in Gerusalemme e Palestina, l'arcivescovo Leopoldo Girelli, ha sottolineato come Papa Francesco accompagni questo dono «con la sua benedizione e con il fervido augurio» che la venerazione permetta ai fedeli di «accogliere con rinnovato fervore di fede e di amore il mistero che ha cambiato il corso della storia». 
Così, i pellegrini e i francescani della Custodia di Terra Santa — che sull’Altare della Mangiatoia della basilica betlemita della Natività celebrano la Messa due volte al giorno — potranno pregare di fronte al frammento della culla in cui, per usare le parole di san Tommaso nella Summa Theologiae, trovò dimora terrena la felicità degli uomini: «Ad hunc finem beatitudinis homines reducuntur per humanitatem Christi», gli uomini sono ricondotti al loro destino di felicità attraverso l’umanità di Cristo. In fondo, si può dire che proprio all’umanità di Cristo sia dedicata Santa Maria Maggiore, costruita a conclusione del concilio di Efeso, che nel 431 riconobbe Maria “madre di Dio” (Theotókos). Papa Sisto III fece realizzare all’interno della basilica una riproduzione della Grotta della Natività, facendola adornare con i frammenti provenienti dal paesino di nascita di Gesù portati a Roma dai pellegrini di ritorno dalla Terra Santa. 
Poi, a partire dal VII secolo, cioè da quando diede alloggio alle memorie più importanti dell’infanzia del Signore, la basilica incominciò a essere chiamata Sancta Maria ad Praesepe. Qui è sotto gli occhi di tutti l’umiltà di «Colui che», come scriveva Henri De Lubac, «infinito nel seno del Padre, si racchiude nel seno della Vergine o si riduce alle proporzioni di un bambino nella stalla di Betlemme». Umiltà testimoniata da quei poveri pezzi di legno in cui vagì per la prima volta la felicità dell’uomo: «Duemila anni fa», osservava il sacerdote ambrosiano don Giacomo Tantardini, «la felicità è venuta: ecco il paradiso. La felicità è venuta: non più promessa, non più indicata come termine del cammino umano. La felicità è venuta, il paradiso è venuto. È venuto nella carne così che fosse visto, così che fosse toccato, così che fosse abbracciato. Così che Agostino potesse dire: “Io sapevo che la felicità era Dio, ma non godevo di Te” — perché non si gode del sapere, si gode quando si è abbracciati. “Non godevo di Te finché umile non abbracciai il mio umile Dio Gesù” (Confessiones VII, 18, 24) […] Non Dio destino lontano, ma Dio fatto bambino, piccolissimo bambino: così il paradiso, la felicità è venuta incontro, si è fatta vicina, si è fatta a portata di occhi, a portata di cuore, a portata delle mani che la possono abbracciare. Il paradiso in terra è Lui» (G. Tantardini, L’umanità di Cristo è la nostra felicità, Roma 2011). 
Le reliquie della sacra culla si trovano nella Confessione della basilica, sotto l’altare maggiore, e sotto lo sguardo di Maria e Gesù, raffigurati nello stupendo mosaico dell’abside. 
Carlo Ossola ha spiegato come Dante abbia visto, restandone abbacinato, «il più grande trionfo di Maria che l’ultimo Medioevo le abbia consacrato: proprio poco prima dell’anno del Giubileo del 1300 (e del pellegrinaggio di Dante in Roma nell’anno ch’egli dichiara incipitario della sua Commedia) vennero ultimati i mosaici absidali di Jacopo Torriti in Santa Maria Maggiore con quel trionfale elogio dell’umano che è l’Incoronazione di Maria, sotto la quale, in asse, è raffigurato Gesù che porta teneramente tra le braccia l’animula di Maria, che confidente si posa come un’infante sul petto del Figlio». 
Così, anche da quell’immagine, scaturirono i versi iniziali del XXXIII canto della terza cantica dantesca: «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d'etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo Fattore / non disdegnò di farsi sua fattura». Insomma: ecco il Paradiso.
                                                                             di Paolo Mattei

Auguri di Santo Natale 
nella gratitudine al Dio che ha voluto partecipare nella sua carne alla storia dell'umanità 
Ora pro Siria