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sabato 12 ottobre 2019

Il 17 ottobre S.Ignazio di Antiochia, patrono della Siria, invito alla preghiera per la pace

Di fronte ai tragici fatti che segnano la sorte della Siria, e dei nostri fratelli nella fede, nel giorno della Memoria di Sant'Ignazio di Antiochia, Patrono della Siria, invitiamo tutti i credenti a un gesto di preghiera che rinnovi il grido al Signore perché in quella terra, come in tantissimi altri posti nel mondo, ritorni la pace e la possibile convivenza tra gli uomini di ogni fede. 
E perchè sia salvaguardata la presenza cristiana in queste terre benedette, certi che essa sia una sorgente di pace e benessere per tutto il Paese.
  Ora pro Siria


Preghiera e intercessione per la pace in Siria.
Dio di Compassione,
Ascolta il pianto del popolo siriano.
Conforta coloro che subiscono violenza.
Consola coloro che piangono i morti.
Converti il cuore di coloro che hanno imbracciato le armi.
E proteggi coloro che si impegnano per la pace.
Dio della speranza,
ispira i governanti a scegliere la pace piuttosto che la violenza e a cercare la riconciliazione con i nemici.
Infiamma la Chiesa Universale di compassione per il popolo siriano.
E dacci speranza per un futuro costruito sulla giustizia per tutti.
Lo chiediamo attraverso Gesù Cristo, principe della pace e luce del mondo.
Amen.

A Prayer for Peace in Syria
Almighty eternal God, source of all compassion, the promise of your mercy and saving help fills our hearts with hope. Hear the cries of the people of Syria; bring healing to those suffering from the violence, and comfort to those mourning the dead. Convert the hearts of those who have taken up arms, and strengthen the resolve of those committed to peace. O God of hope and Father of mercy, your Holy Spirit inspires us to look beyond ourselves and our own needs. Inspire leaders to choose peace over violence and to seek reconciliation with enemies. Inspire the Church around the world with compassion for the people of Syria, and fill us with hope for a future of peace built on justice for all.
We ask this through Jesus Christ, Prince of Peace and Light of the World, who lives and reigns for ever and ever. Amen.

Une prière pour la paix en Syrie

Dieu éternel et tout puissant, source de toute compassion, la promesse de ta miséricorde et de ton salut rempli nos cœurs d’espoir. Entend les pleurs des Syriens ; apporte apaisement et guérison à ceux qui souffrent de la violence, console ceux qui sont en deuil. Converti le cœur de ceux qui ont pris les armes et affermi ceux qui s’engagent pour la paix. O Dieu d’espoir et Père de pitié, que ton Esprit Saint nous inspire à regarder au-delà de nous-même et de nos propres besoins. Guide les dirigeants pour qu’ils choisissent la paix et non la violence et qu’ils œuvrent à la réconciliation entre ennemis. Suscite dans l’Eglise à travers le monde la compassion pour le peuple syrien et rempli nous d’espérance pour bâtir un futur basé sur la justice et la paix. Nous Te le demandons par Jésus Christ, Prince de Paix et Lumière du monde, qui vit et règne pour les siècles des siècles. Amen.


Papa Francesco al termine dell’Angelus del 13 ottobre 2019:
Il mio pensiero va ancora una volta al Medio Oriente. In particolare, all’amata e martoriata Siria da dove giungono nuovamente notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni del nord-est del Paese, costrette ad abbandonare le proprie case a causa delle azioni militari: tra queste popolazioni vi sono anche molte famiglie cristiane. A tutti gli attori coinvolti e anche alla Comunità Internazionale, per favore rinnovo l’appello ad impegnarsi con sincerità, con onestà e trasparenza sulla strada del dialogo per cercare soluzioni efficaci.


Intervista con il Nunzio apostolico, cardinale Mario Zenari

Ci sarà una Pasqua anche per la Siria


Osservatore Romano, 7 ottobre 2019

Eminenza, può farci un quadro della situazione oggi in Siria da dove continuano ad arrivare, dopo quasi nove anni, notizie di guerra?
In alcune zone della Siria non cadono più bombe però la guerra non è ancora terminata e c’è la regione del nordovest che tiene preoccupati tutti perché si sta ancora combattendo e vi sono intrappolati circa tre milioni di civili, dei quali, secondo le Nazioni Unite, un milione è costituito da bambini. Dalla fine di aprile ad oggi si parla di più di mille civili morti e di circa 600 mila sfollati. Come dicevo, se non cadono più le bombe, c’è una terribile “bomba”, la povertà, che colpisce, secondo le Nazioni Unite, l’83 per cento della popolazione costretta a vivere sotto la soglia della povertà. Sono cifre ancora molto impressionanti. Non dobbiamo dimenticare che in Siria c’è stato il disastro umanitario più grave dopo la fine della Seconda guerra mondiale: 5.900.000 sfollati interni e 5.600.000 rifugiati nei Paesi vicini. Arriviamo a circa 12 milioni su un totale che, prima del conflitto, era di 23 milioni di persone. Quindi metà della popolazione è costretta a vivere fuori dalle proprie case e dalla propria nazione. La gente è anche molto delusa perché pensava che una volta cessate di cadere le bombe, cominciasse a riprendere la vita. Invece, c’è una povertà galoppante e manca il lavoro. Proprio qualche giorno fa mi diceva un prete: «Mi ha impressionato vedere, non i soliti poveri che chiedono l’elemosina, ma gente che viveva un certo benessere e che ti chiede: “Padre, non ho da comperare il cibo”». I bisogni sono enormi e la gente manca di tutto. Si parla di un mare di sofferenza che riguarda soprattutto bambini e donne, che pagano il costo più alto di questo atroce e crudele conflitto, che ormai è al nono anno. Un settore particolarmente colpito è quello della sanità. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, alla fine del 2018, solamente il 46 per cento degli ospedali era funzionante, il che vuol dire il 54 per cento o sono completamente chiusi o sono parzialmente funzionanti. E anche qui i morti — parliamo soprattutto di anziani e bambini — per mancanza di cure sono più numerosi dei morti sotto le bombe o tra i fuochi incrociati. È così anche nel settore educativo, molto colpito: una scuola su tre non è agibile e circa due milioni di bambini in età scolare non possono frequentare la scuola.
Dal punto di vista sanitario, l’iniziativa da lei avviata tre anni fa, “Ospedali aperti’ che prevede cura gratuita ai poveri di qualunque appartenenza etnico–religiosa, che frutti sta dando?
Ho fatto il giro più volte di questi tre ospedali cattolici (due a Damasco e uno ad Aleppo n.d.r) e ho trovato persone molto riconoscenti. In modo particolare i musulmani, perché nella loro mentalità non si aspettano che un cristiano aiuti un musulmano e quindi ci sono bei gesti di riconoscenza. Gli islamici ammettono, al di là dei pregiudizi, che la Chiesa aiuta tutti. Mi sono reso conto quindi che questi ospedali hanno due scopi: curare il fisico e migliorare le relazioni sociali. Perché quello che è rovinato in Siria non sono tanto i palazzi ma il tessuto sociale: le persone non si fidano più le une delle altre. Quindi grazie a questi ospedali si raggiunge un grande risultato.
Sicuramente sulla popolazione pesano le sanzioni internazionali così come pesa l’instabilità politica. Ora si sta lavorando alla formazione di un Comitato costituzionale: potrebbe essere l’inizio di un cambiamento?
Fino a qualche giorno fa, il mio parere era che la soluzione politica fosse a un punto morto. Poi si è raggiunto questo accordo tra governo, opposizione e Nazioni Unite e finalmente, dopo mesi di stallo, è un passo incoraggiante. Naturalmente la strada è tutta in salita e purtroppo bisogna essere realisti, non pessimisti: la situazione sarà ancora molto difficile per milioni di siriani. Infatti, in Medio Oriente c’è, come si sa, un “ciclone”: la rivalità crescente tra alcuni Paesi. Secondo quanto ha detto qualche mese fa l’inviato speciale dell’Onu, Pedersen: nei cieli siriani o sul suolo siriano sono presenti cinque eserciti tra i più agguerriti del mondo, alle volte in conflitto, con la pericolosità che ne deriva. La Siria è nell’occhio di questo ciclone, è il luogo di una guerra per procura. Quindi come si potrà uscire da questa crisi? Il domani è ancora lontano. Ci sono poi le sanzioni internazionali che portano danni considerevoli. Ne menziono una: l’embargo petrolifero. C’è stato un inverno lunghissimo in Siria, pioggia e neve. Non si trovava gasolio, non si trovavano prodotti come il cherosene di cui si serve la povera gente per scaldare, con le stufette, le case. E un certo numero di persone anziane sono morte anche a causa del freddo.
In questo scenario intravede spiragli di speranza?
Questo terribile conflitto è stato definito con tante immagini. Qualcuno ha detto: è un inferno in terra. E se si guardano le atrocità commesse è così. Ricordo il sottosegretario alle questioni umanitarie dell’Onu, Mark Lowcock, che il 28 aprile 2018 a Bruxelles, diceva: «Il gender violence in Siria è stato perpetrato a livello industriale». Quindi chi dice che è un inferno in terra ha delle ragioni. Io sceglierei però un’altra immagine. Mi ha molto colpito il Papa al Colosseo, il Venerdì santo, durante la Via Crucis, quando ha parlato dei “moderni calvari”. Per me la Siria è un calvario. Però voglio sottolineare come lungo il percorso della croce di Cristo c’erano Simone di Cirene e Veronica, che ha asciugato il volto di Cristo. Io metto in evidenza queste nuove “Veroniche”, questi cirenei e questi buoni samaritani: un certo numero di loro, circa 2000, per lo più volontari, hanno perso la vita soccorrendo la malcapitata Siria. C’è da inchinarsi davanti al loro sacrificio. In queste Veroniche, in questi Cirenei, in questi buoni samaritani metto tutte le organizzazioni umanitarie e le Chiese che cercano di asciugare un volto sfigurato. Sono loro che fanno sperare. Prima o poi si uscirà da questo venerdì santo, verrà la Pasqua anche per la Siria. Tornerà a fiorire il deserto siriano con la solidarietà, e la generosità della gente, con questi semi di bontà che sono invisibili però sono lì, in mezzo al terreno pietroso: al momento opportuno con qualche pioggerellina riporteranno il verde. Ma adesso, bisogna stare vicino alla gente, sopportare con loro, coltivare la speranza, aiutare. E la gente lo apprezza molto, sia i cristiani che i musulmani. È un momento difficile per tutti. Se si guarda un lato della medaglia, c’è sconforto, pessimismo. Ma rovesciamo la medaglia: credo che questa sia un’occasione molto opportuna per la Chiesa di manifestarsi per quello che è. Non proselitismo, assolutamente, ma vicinanza e poi il Signore provvederà.
Eminenza, per i cristiani della Siria, un segno di incoraggiamento potrebbe venire dal ritorno in patria di chi è andato via. I vescovi di Aleppo lo hanno chiesto esplicitamente. Quale è oggi la situazione?
La sofferenza più grave delle Chiese non è tanto il danno delle cattedrali, ma è l’emigrazione dei cristiani: più della metà sono emigrati. E non solo è un danno per le Chiese ma per la società, perché i cristiani sono in Siria da 2000 anni e la loro è una presenza non solo di fede ma di costruzione del Paese. Pensiamo a quello che hanno fatto le Chiese, da secoli, nel campo dell’assistenza. Pensiamo alle scuole, e finanche al campo politico. Nel 1946, anno dell’indipendenza, il celebre primo ministro Faris al-Khoury era un cristiano protestante. I cristiani hanno contribuito allo sviluppo del loro Paese con la loro mentalità aperta. Per la società sono come una finestra spalancata sul mondo. Il presidente e altri capi di Stato lo riconoscono: se partono i cristiani si rischia di avere una società monoculturale, monoreligiosa. Come fermare questo esodo? La prima misura è fermare la guerra e poi fare in modo che in queste nazioni i cristiani si sentano cittadini alla pari degli altri: parità di diritti, parità di doveri, il concetto che ribadiscono le Chiese, di cittadinanza. Intanto il ritorno dei cristiani finora non si vede. In genere chi è emigrato in Paesi occidentali magari con la famiglia o con i bambini che vanno a scuola, è difficile che possa rientrare. Questa dispersione farà sì che molti, molti di questi cristiani vadano nella Chiesa maggioritaria, in genere quella latina. E i nipoti non si ricorderanno più, purtroppo, che il loro nonno era un membro di una di queste gloriose Chiese orientali. Questo crea una sofferenza di queste Chiese. Ogni partenza, per loro, è in pratica una perdita.

venerdì 11 ottobre 2019

Mons Hindo da Hassakè: «Temo un nuovo esodo dei cristiani»


Intervista di Aiuto alla Chiesa che Soffre

«Come sempre ognuno ha i propri interessi, ma saremo noi cristiani a pagarne le conseguenze». Con profonda amarezza monsignor Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico emerito di Hassaké-Nisibi nella zona curda di Siria, commenta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre le notizie che giungono dal confine tra Siria e Turchia.
 Due cristiani sarebbero stati uccisi ed altri feriti nell’ambito di un attacco avvenuto nelle scorse ore alla Chiesa di San Giorgio a Qamishli.
Monsignor Hindo si era incontrato lo scorso marzo con i leader del Partito Democratico Curdo (PYD). «Li ho invitati a desistere dai loro piani – afferma – loro credono di aver diritto ad una regione autonoma così come vi è un Kurdistan iracheno ed uno turco. Ma la popolazione curda in quelle aree della Siria è appena del 10%. Inoltre si tratta di persone giunte come richiedenti asilo dopo il 1925, che hanno nazionalità turca o irachena. Non hanno alcun diritto». Il presule è convinto che i curdi perderanno lo scontro con la Turchia, soprattutto per il mancato supporto da parte degli Stati Uniti e delle altre forze occidentali. «È stata una mossa stupida quella curda, era chiaro che nessuno li avrebbe aiutati. Ora perderanno tutto, come è accaduto ad Afrin».
In queste ore il pensiero di monsignor Hindo va alle 5000 famiglie della diocesi di Hassaké-Nisibi. «Nei giorni scorsi in molti si erano già spostati dalle città di frontiera ad Hassaké. Ora il conflitto è divenuto ancor più grave e temo che saranno in tanti ad emigrare. Dall’inizio della guerra in Siria il 25% dei cattolici di Qamishli ed il 50% dei fedeli di Hassaké hanno lasciato il Paese assieme al 50% degli ortodossi. Temo un simile esodo se non maggiore».
Vi è forte preoccupazione anche per l’alta presenza nell’area di affiliati all’Isis. «Questa mattina ho appreso che sarebbe stata colpita la prigione di Chirkin, dove sono detenuti jihadisti dello Stato Islamico. A che pro? In questo modo la gran parte di loro sarà libera. Questo è un piano per distruggere la Siria e non solo. Ora i terroristi arriveranno anche in Europa, attraverso la Turchia e con il sostegno dell’Arabia Saudita».
Monsignor Hindo richiama altresì la comunità internazionale alle proprie responsabilità. «Stati Uniti, Italia, Francia, regno Unito, Germania, dovrebbero tutti fare mea culpa. Hanno agito in Siria per i loro interessi, nascondendosi dietro gli ideali della libertà e della democrazia. E invece non hanno fatto che indebolire il nostro Paese a spese della popolazione. Per quale motivo non combattono per la libertà e la democrazia in Arabia Saudita?».

giovedì 10 ottobre 2019

I "poveri Curdi"

Gli Stati Uniti si ritirano dalla Siria settentrionale prima dell'invasione turca
di Syriana Analysis
trad. Gb.P.

Le truppe statunitensi hanno iniziato a ritirarsi dalla Siria nord-orientale in vista di un'invasione turca che mira a creare una cosiddetta "zona sicura" nella Siria settentrionale, che è praticamente un'area dalla quale la Turchia costringerà i combattenti curdi ad andarsene, per poi colonizzarla con centinaia di migliaia di rifugiati siriani; una mossa percepita a Damasco come un tentativo di cambiare i dati demografici dell'area al fine di creare una fascia geografica abitata da filo-erdoganisti, che in seguito chiederanno un referendum per unirsi alla Turchia.
Questa mossa dell'amministrazione Trump ha suscitato rabbia tra i democratici e la cosiddetta sinistra occidentale che ancora una volta ha dimostrato quanto molti di loro siano abbastanza ignoranti e confusi da servire come arma per l'impero americano.
L'Università turca Gaziantep, dopo la scuola aperta a Jarabulus nell'ottobre 2018, quest'anno ha chiesto alle autorità educative turche di aprire tre strutture ad Azaz (facoltà di scienze islamiche), Al-Bab (facoltà di economia) e Afrin (facoltà di educazione), nel territorio siriano: la mossa era già indicata come parte di un'acquisizione turca della Siria settentrionale. 
La Turchia sta cercando di ripetere l'operazione "riuscita" denominata "ramo di ulivo" ad Afrin , ma su una scala molto più ampia. Il ramo d'ulivo ha portato tutto tranne la pace: i curdi e i cristiani sono stati cacciati, sostituiti da "rifugiati" sunniti approvati e da terroristi, cambiando drasticamente la composizione della popolazione di questa regione - secondo i desideri ottomani.(Rudaw.net)

Smettetela di lamentarvi per il tradimento subìto dal povero "Rojava", come se dovessimo essere profondamente turbati dal fatto che gli Stati Uniti si stiano ritirando dalla loro illegale occupazione.
Prima dell'intervento illegale USA in Siria nel settembre 2014, l'YPG aveva, in sostanza, un patto di non aggressione con il governo siriano in modo che entrambi potessero concentrarsi sulla lotta contro il nemico comune, cioè al-Nusra e ISIS, e dall'aprile del 2011 il governo siriano aveva concesso la cittadinanza a 300.000 curdi apolidi.
Dopo che l'YPG ha ottenuto il sostegno degli Stati Uniti, si è rivoltato contro il governo siriano che li aveva precedentemente protetti contro l'ISIS, quindi indussero gli Stati Uniti a sabotare ripetutamente per loro conto gli sforzi del governo siriano per sconfiggere quel nemico comune.
Hanno poi tentato di rimuovere le Forze di Difesa Nazionali Siriane (SNDF) e i posti di blocco della milizia assira ad Hasakah nel gennaio 2016. Poi, a giugno e agosto 2017, hanno indotto gli Stati Uniti ad abbattere gli aerei siriani che avevano come obiettivi gli insediamenti dell'ISIS perché volevano prendere più terra possibile, terra che storicamente non è mai stata nemmeno curda. Loro dicono di non avere "amici se non le montagne" e tuttavia si ritrovano in profondità nelle pianure della Siria storicamente araba/assira.
Nel dicembre dello scorso anno, quando gli Stati Uniti hanno minacciato di ritirarsi, l'YPG ha minacciato di rilasciare 3.200 prigionieri ISIS catturati per "sensibilizzare", spingendo il governo siriano a deviare le sue forze su Deir al-Zour nel caso in cui avessero perseverato nel loro intento , cosa che non hanno fatto, perché gli Stati Uniti sono rimasti.
Nel luglio di quest'anno, è stato rivelato che l'YPG stava vendendo petrolio siriano rubato 'a Israele' tramite il loro agente, Mordechai Kahana, la cui società, la "Global Development Corporation", ha ottenuto il diritto "di rappresentare il Consiglio Democratico Siriano (DSC) in tutte le questioni relative alla vendita di petrolio di proprietà della DSC” secondo i documenti trapelati.
Ma queste risorse petrolifere sono proprietà dello Stato siriano, che prima della guerra forniva petrolio a prezzi agevolati a tutti i Siriani, mentre adesso viene venduto a 'Israele', nemico della Siria, mentre la Siria è costretta a fare affidamento sulle spedizioni inviate dall'Iran circumnavigando l'Africa, per poi farsi intercettare e sequestrare le petroliere dalla marina britannica, tutto perché la SDF preferirebbe vendere a 'Israele' piuttosto che ai loro connazionali siriani.
La frustrazione del governo siriano nei confronti dell'YPG è quindi del tutto comprensibile. L'YPG non tollererà le milizie di Al-Qaeda / FSA o ISIS appoggiate dalla Turchia sul territorio che controlla, ma non ha avuto problemi a consentire agli Stati Uniti di bombardare le forze siriane, anche se ciò significa aumentare la possibilità che il resto della Siria venga invaso dalle stesse forze da cui vogliono che il mondo intero li salvi.
Inoltre, i Curdi non sono le povere vittime oppresse della storia, sono un orgoglioso popolo marziale, che per secoli è stato ben rappresentato tra i ranghi dei successivi egemoni islamici, a cominciare da Salahadeen Ayyoubi, il sultano d'Egitto e Siria che sconfisse i Crociati ( e massacrò gli sciiti dopo aver rovesciato i Fatimidi).
Quando gli Zamorin di Calicut (città del Kerala, cioè il mio popolo) avevano bisogno di aiuto contro la potente marina Portoghese di pirati marini cattolici, i Mamelucchi mandarono Amir Hussain al-Kurdi che sconfisse i Portoghesi nella Battaglia di Chaul nel 1508 insieme al Sultanato del Gujarat .
Durante la prima guerra mondiale, gli Arabi presero le armi contro ciò che consideravano il dominio imperiale turco dopo secoli di sottosviluppo economico, in cui la ricchezza dell'impero si era concentrata nell'Anatolia occidentale e fu un periodo in cui lo Yemen subì terribilmente le invasioni ottomane. Allora i curdi si schierarono per lo più con il califfato in decomposizione contro le forze dell'autodeterminazione araba, mentre prendevano parte ai genocidi commessi contro Armeni e Assiri ribaltando artificialmente la demografia della regione a loro favore. Il PKK, meritoriamente, ha riconosciuto questa tragedia e se ne è scusato.
Il punto non è l'affermazione semplicistica "i Curdi sono cattivi", ma che la narrativa sulla vittima curda, che è abbastanza di moda tra i liberali occidentali di sinistra di oggi, evapora completamente di fronte alla storia ed è stata inventata dal 2014 per giustificare un'occupazione illegale degli Stati Uniti in Siria.
Se l'YPG non vuole l'aggressione turca, dovrebbe consentire alla Siria di rivendicare la sovranità su tutti i territori a est dell'Eufrate, il che significherebbe che otterrebbero la protezione anche della Russia e dell'Iran. Il fatto che siano ben armati ora significa che hanno un potere contrattuale contro Damasco per pretendere maggiori diritti nazionali.


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 I territori che la Turchia sta invadendo in questo momento (angolo nord-est della nazione Siria) sono popolati da varie etnie, come tutto questo straordinario Paese che è un mosaico di genti arrivate in diversi periodi dalle quattro direzioni, e non soltanto da Curdi.Esistono differenze importanti tra tribù, religioni, ideologie, coinvolgimento politico e lealtà, che devono essere prese in considerazione. Non che i siriani non sarebbero in grado di vivere pacificamente uno accanto all'altro, possono e lo hanno già dimostrato: circa il 74% è sunnita; Il 16% è composto da sciiti, alawiti (che a loro volta sono nuovamente classificati in quattro tribù), drusi, ismaeliti e jazidi. Il 9% sono cristiani di diverse chiese cristiane. La Siria ha anche una grande comunità di rifugiati palestinesi e iracheni.

lunedì 7 ottobre 2019

Intervento di Walid al-Moallem alla 74ª sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite

Pubblichiamo la trascrizione effettuata da Mondialisation del video che riporta l'intera allocuzione del ministro Walid al-Moallem alla Assemblea generale delle Nazioni Unite. 
In queste ore di imminente minaccia di intervento turco in territorio siriano, è utile rileggere il quadro di sintesi dei Siriani: un atto d'accusa circostanziato riguardante questi 8 anni rivolto agli attori del conflitto, (USA, Israele e Turchia in particolare), che nel finale evidenzia come le sanzioni siano un'arma che non dovrebbe essere usata contro nessun popolo/nazione, l'uso ambiguo dei profughi e le violazioni di Israele.  
  Traduzione dal francese per OraproSiria di Gb.P.
"Certamente alcuni governi hanno danneggiato la Siria e danneggiato la sua gente. Tuttavia, non tratteremo nessuno secondo una logica di odio o di vendetta, ma piuttosto a partire dagli interessi del nostro paese e del nostro popolo, dal nostro desiderio di portare pace, stabilità e prosperità in Siria e nella regione ".

Signor Presidente, onorevoli colleghi,
Ci incontriamo oggi in un momento in cui l'immagine del mondo sembra molto desolante, dato che le basi su cui si basava l'organizzazione delle relazioni internazionali politiche, economiche, legali e di sicurezza sono esposte a un pericolo senza precedenti dalla creazione di questa organizzazione; momento in cui i conflitti e le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali si intensificano; che le probabilità di guerra prevalgono su quelle di pace; che l'equilibrio dell'economia mondiale si sta muovendo verso l'ignoto; che la violazione delle convenzioni e dei trattati internazionali è diventata modo di agire normale e che l'uso di mezzi illegali nel diritto internazionale, come il sostegno al terrorismo e l'imposizione di blocchi economici, non suscita più proteste o condanne.
Tutto ciò contribuisce a un maggiore caos sulla scena internazionale, ci conduce poco a poco alla legge della giungla anziché allo stato di diritto; mette in pericolo il futuro dei nostri paesi e fa sì che i nostri popoli paghino il forte prezzo della loro sicurezza, del loro sangue, della loro stabilità e benessere.
Oggi siamo al crocevia di un cammino. O siamo seriamente intenzionati a costruire un mondo più libero, stabile e giusto; un mondo senza terrorismo, occupazione o dominio; un mondo basato sul diritto internazionale, la cultura del dialogo e della comprensione reciproca; o ci sediamo pigramente, lasciando andare alla deriva il futuro dei nostri popoli e delle generazioni future, abbandonando i principi e gli obiettivi fissati dai padri fondatori di questa organizzazione. Questa è la domanda, onorevoli colleghi, e la decisione è vostra.
Signor Presidente,
Il terrorismo rimane una delle minacce più importanti per la pace e la sicurezza internazionali e costituisce un grave pericolo per tutti, senza eccezioni, nonostante il nostro successo in Siria, grazie ai sacrifici e all'eroismo dell'Esercito Arabo Siriano e al sostegno di alleati e amici.
Il nostro popolo ha sopportato per oltre otto anni gli orrori di questo terrorismo, che ha ucciso selvaggiamente persone innocenti, provocato una crisi umanitaria, distrutto le infrastrutture, derubato e demolito la ricchezza del paese. Ma in cambio, la storia scriverà a lettere d'oro l'epopea eroica di questo popolo che, nella sua guerra contro il terrorismo, non solo avrà difeso i suoi, la propria patria e la propria civiltà, ma avrà anche contribuito alla difesa dell'umanità, dei valori della civiltà, della cultura della tolleranza e della convivialità di fronte all'ideologia estremista di una cultura dell'odio e della morte promossa da organizzazioni terroristiche, come Daesh e il fronte al-Nusra, e da coloro che li sponsorizzano e li supportano.
Siamo determinati a continuare la guerra contro il terrorismo, qualunque sia il nome di cui si riveste, per bonificare l'intero territorio della Siria e adotteremo tutte le misure necessarie per garantire che non possa tornare.
Tuttavia, l'eradicazione globale di questo incubo, opprimente per il mondo intero, richiede una vera volontà internazionale. Per questo, non abbiamo bisogno di reinventare la ruota. Abbiamo un vasto arsenale di risoluzioni del Consiglio di sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII° e specifiche per la lotta al terrorismo, per il prosciugamento delle sue fonti e del suo finanziamento. Il problema è che tutte queste risoluzioni sono rimaste solo inchiostro su carta perché, disgraziatamente, la lotta al terrorismo non è ancora una priorità per alcuni Stati. Da qui il silenzio di morte di alcuni e le dichiarazioni vuote di altri, di fronte a ciò che Paesi come il mio sopportano, della mostruosità terroristica.
In effetti, ci sono sempre quelli che sfruttano il terrorismo e lo usano come strumento di pressione per imporre i loro programmi sospetti ai popoli e governi che rifiutano le imposizioni straniere e si attengono alla propria autodeterminazione nazionale. Il caso più lampante è quello della Siria, dove sono arrivate decine di migliaia di terroristi provenienti da oltre 100 paesi, grazie al supporto e alla copertura di Stati ormai noti a tutti. Il colmo è che questi stessi Stati ci contestano il diritto di difendere il nostro popolo da questi terroristi, alcuni dei quali sono descritti come "combattenti per la libertà", mentre ad altri piace chiamarli "opposizione armata siriana ". Ad essi non viene in mente che se persistessero in questa logica, il terrorismo ritornerà e minaccerà anche chi lo gestisce e chi lo protegge.
Signor Presidente,
L'esempio più significativo di ciò che ho appena sostenuto è la situazione attuale nella regione di Idlib riconosciuta da tutti, comprese le testimonianze nei rapporti dei comitati competenti del Consiglio di sicurezza, come il più grande raduno di terroristi stranieri nel mondo. Il tempo a me assegnato non mi consente di elencare tutti i loro crimini. Citerò solo il bombardamento incessante di missili e mortai sui civili nelle aree vicine, l'uso di civili presenti in Idlib come scudi umani, mentre viene loro impedito di uscire attraverso il corridoio umanitario di Abu al-Douhour aperto dal governo siriano.
Qui la domanda è: se altre nazioni avessero sopportato una situazione del genere, i loro governi avrebbero potuto rimanere inerti? Avreste rinunciato al vostro diritto e al vostro dovere di proteggere il vostro popolo e di liberare una qualsiasi delle regioni invase da terroristi indifferenti a tutto ciò che significa avere una patria?
Il governo siriano ha affrontato positivamente le iniziative politiche per risolvere la situazione in Idlib ed ha concesso loro più tempo del necessario per la loro attuazione. Pertanto, abbiamo accolto con favore il memorandum sull'istituzione di zone di de-escalation e l'accordo di Sochi sulla regione di Idlib, nella speranza che ciò contribuisse a sradicare il Fronte Al Nusra, i resti di Daesh e altre organizzazioni terroristiche presenti a Idleb con il minor numero possibile di vittime civili. D'altra parte, abbiamo dichiarato a più riprese la cessazione delle ostilità.
Ma ecco cosa è successo da allora: il regime turco non ha rispettato i suoi impegni ai sensi di questi accordi. Al contrario, ha dato il suo pieno sostegno ai terroristi, che hanno ottenuto armi ancora più sofisticate; il Fronte Al-Nosra affiliato ad Al-Qaeda ha preso il controllo di oltre il 90 per cento della regione di Idlib. I posti di osservazione turchi, stabiliti nel territorio siriano, sono diventati posti per sostenere i terroristi e prevenire l'avanzata dell'esercito siriano. E ora il regime turco, sostenuto da alcuni paesi occidentali, si sta disperatamente impegnando a proteggere i terroristi del Fronte di al-Nusra e altre organizzazioni terroristiche a Idlib, esattamente come tutte le volte che li abbiamo affrontati. Immaginate uno Stato che intervenga direttamente per proteggere il Fronte di Al-Nusra affiliato ad Al Qaeda, mentre le risoluzioni del Consiglio di sicurezza affermano che esso rappresenta una minaccia non solo per la Siria, ma anche per la pace e la sicurezza internazionale.
Signor Presidente,
Gli Stati Uniti e la Turchia continuano la loro presenza militare illegale nel nord della Siria, la loro arroganza è arrivata al punto di tenere summit e concludere accordi sulla creazione di una cosiddetta "zona di sicurezza" nel territorio siriano come se fosse territorio turco o americano. E questo, in violazione del diritto internazionale e delle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite.
Pertanto, qualsiasi accordo raggiunto sulla situazione di qualsiasi regione siriana, senza il consenso del governo siriano, è condannato e respinto indipendentemente dalla sua sostanza e forma. Allo stesso modo, tutte le forze straniere presenti sul nostro territorio, senza invito esplicito del governo siriano, sono considerate forze di occupazione il cui ritiro deve essere immediato. Altrimenti, abbiamo il diritto di prendere tutte le misure garantite dal diritto internazionale in questo caso.
Qui dobbiamo evidenziare le pratiche terroristiche, criminali e repressive perpetrate dalle milizie separatiste designate come FDS ("Forze Democratiche Siriane", ndt) contro il popolo siriano nei governatorati di Hassake, Raqqa e Deir ez-Zor; Milizie queste, appoggiate dagli USA e dalle forze della Coalizione internazionale per imporre una nuova realtà intesa a servire i piani statunitensi e israeliani nella nostra regione e a prolungare la guerra terroristica in Siria.
Le politiche turche in Idleb e nel nord-est della Siria, così come le loro manovre che passano con il nome di procedure, minacciano di demolire tutto ciò che è stato realizzato attraverso il processo di Astana. La Turchia non può dichiarare di sostenere l'unità e l'integrità territoriale della Siria e, allo stesso tempo, essere la prima a minarle. Se, come sostiene, è impegnata nella sicurezza dei suoi confini e nell'unità della Siria, deve decidere di scegliere. O si conforma al processo di Astana, attua cioè gli accordi bilaterali sulla lotta al terrorismo per garantire la sicurezza dei suoi confini e ritira le sue forze dal territorio siriano. Oppure rimane uno Stato aggressore e una forza occupante, nel qual caso dovrà sopportarne le conseguenze. Non è possibile che un paese fondi la sicurezza dei propri confini a spese della sicurezza dei paesi vicini, della loro sovranità e della loro integrità territoriale.
Signor Presidente,
Insieme alla nostra lotta contro il terrorismo, siamo stati desiderosi di far avanzare il processo politico partecipando alle riunioni di Astana, un processo in cui sono stati raggiunti risultati tangibili sul campo. Proprio come siamo stati positivi nel trattamento dei dati della "Conferenza per il dialogo nazionale siriano a Sochi", che ha portato alla formazione di una commissione per discutere della Costituzione siriana. A questo proposito, abbiamo avviato un dialogo serio e costruttivo con l'inviato speciale delle Nazioni Unite.
È in definitiva la determinazione della Siria e l'attenzione prestata dal presidente Bashar al-Assad al minimo dettaglio riguardante la formazione della Commissione costituzionale che ha reso realtà questa impresa nazionale di grande importanza per il popolo siriano. E questo, nonostante i tentativi di ostacolare da parte di coloro che scommettevano sul terrorismo e le interferenze esterne, o coloro che cercavano di imporre condizioni preliminari per precludere alla Siria di recuperare la sua vera natura.
Durante l'ultima visita dell'inviato speciale delle Nazioni Unite a Damasco, siamo stati in grado di concordare i riferimenti e le regole procedurali di questa commissione e abbiamo concordato i principi guida, tra cui:
  • Primo: l'intero processo deve essere condotto solo sotto l'autorità e la proprietà della Siria, avendo il popolo siriano il diritto esclusivo di decidere il futuro del proprio Paese senza ingerenze esterne.
  • In secondo luogo: il principio generale di sovranità, indipendenza e unità del popolo e del territorio della Repubblica Araba Siriana non deve in alcun modo essere messo in discussione.
  • Terzo: non dovranno essere imposte condizioni o conclusioni previe ai lavori della Commissione o alle raccomandazioni risultanti. La commissione è l'autorità di se stessa e di ciò che produrrà, e certamente non è sotto la tutela di uno Stato o di un gruppo straniero come il cosiddetto "Piccolo gruppo", che si è autoproclamato protettore del popolo Siriano e ha già determinato i risultati del suo lavoro.
  • Quarto: nessuna scadenza o calendario devono essere imposti ai lavori della Commissione che deve prendere il tempo necessario per deliberare, poiché essa determinerà il futuro della Siria per le generazioni future, il che non esclude che teniamo pienamente conto dalla necessità di progredire su basi solide in linea con le aspirazioni del popolo siriano.
  • Quinto: il ruolo dell'inviato speciale in Siria è di facilitare il lavoro della Commissione e di ravvicinare i punti di vista attraverso i suoi buoni uffici, quando necessario.
È su queste basi che riaffermiamo la nostra disponibilità a lavorare efficacemente con gli Stati amici e l'Inviato speciale per avviare i lavori di questa Commissione.
Signor Presidente,
Allo stesso tempo, lo Stato siriano sta compiendo notevoli sforzi per migliorare la situazione umanitaria sul campo e ricostruire ciò che il terrorismo ha distrutto. Abbiamo fatto molta strada nonostante il blocco economico, illegale e disumano, imposto al nostro popolo da alcuni Stati; che sono arrivati al punto di vietarci le attrezzature mediche, i farmaci e i prodotti petroliferi necessari per la fornitura di elettricità, gas domestico e combustibile per riscaldamento. Gli Stati Uniti hanno persino minacciato le aziende che hanno partecipato alla Fiera internazionale di Damasco al fine di ostacolare la ripresa economica in Siria.
In effetti, quei paesi non avendo raggiunto i loro obiettivi attraverso il terrorismo militare hanno optato per un'altra forma di terrorismo non meno feroce: il terrorismo economico che consiste nell'imporre blocchi e misure economiche coercitive unilaterali.
Pertanto, chiediamo a tutti i paesi amanti della pace e sostenitori del diritto internazionale di lavorare insieme per agire contro questo fenomeno, che colpisce non solo la Siria, ma è diventato un'arma di ricatto politico ed economico contro molti altri paesi.
Su questa base, chiediamo nuovamente la revoca delle misure illegali imposte al popolo siriano e a tutti gli altri popoli indipendenti, soprattutto i popoli di Iran, Venezuela, Repubblica democratica popolare di Corea, Cuba e Bielorussia. E stiamo al fianco della Cina e della Russia di fronte alle ingiuste politiche statunitensi.
D'altra parte, abbiamo ripetutamente affermato che le porte sono aperte a tutti i rifugiati siriani perchè tornino volontariamente e in sicurezza. E, come Stato, offriamo a chi lo desidera tutti i servizi di cui ha bisogno. Stiamo lavorando alla ricostruzione e al ripristino delle strutture e delle infrastrutture pubbliche nelle loro regioni liberate dal terrorismo. Gli ostacoli sono posti dagli Stati occidentali e di alcuni Stati che li hanno accolti e nei quali vediamo uno strano capovolgimento della situazione. Infatti, mentre non smettono mai di reclamare il loro immediato ritorno in Siria, eccoli creare condizioni e falsi pretesti per impedire questo ritorno, al solo scopo di sfruttare questa questione puramente umanitaria come una pedina utile all'attuazione delle loro agende politiche.
Infine, siamo proprio di fronte a una scena del teatro dell'assurdo, tranne che qui si tratta di mettere in gioco il destino dei popoli e un'odiosa manipolazione della sofferenza umana.
Signor Presidente,
invece di tentativi di pace e stabilità nella nostra regione, abbiamo assistito a un nuovo episodio di escalation israeliana che spinge verso tensioni senza precedenti. Israele non si è accontentato di occupare territori arabi tra cui il Golan siriano, di violare il diritto internazionale quotidianamente e il diritto umanitario contro i nostri civili nei territori occupati, di sostenere il terrorismo: È arrivato al punto di compiere ripetuti attacchi alla Siria e ai paesi vicini sotto falsi pretesti, in flagrante violazione del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite e delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Tante violazioni che non avrebbero potuto continuare e quindi peggiorare senza il cieco sostegno di alcuni Stati, che hanno la piena responsabilità delle conseguenze delle azioni di Israele.
Per quanto riguarda la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità di Israele sul Golan siriano occupato, dopo aver riconosciuto Gerusalemme occupata come capitale di Israele e aver trasferito lì la loro ambasciata, nonché i loro instancabili sforzi per liquidare la questione palestinese, queste non sono altro che espressioni orribili di questo supporto, delle decisioni nulle, che testimoniano, nella massima misura, il loro disprezzo per la legittimità internazionale.
Qualcuno dovrebbe ormai capire che l'era dell'annessione dei territori altrui con la forza è finita. Inoltre, uno che pensasse che la crisi in Siria possa allontanarci di una iota dal rivendicare il nostro diritto inalienabile alla piena restituzione del Golan fino ai confini del 4 giugno 1967, con tutti i mezzi garantiti dal diritto internazionale, è un illuso. Le decisioni dell'amministrazione americana in merito alla sovranità sul Golan non possono cambiare le verità della storia, della geografia e del diritto internazionale, secondo le quali il Golan era e rimane terra siriana.
Israele deve quindi essere costretto ad attuare le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, compresa la risoluzione 497 relativa al Golan siriano occupato, a porre fine ai suoi ripetuti attacchi ai paesi della regione, a fermare gli insediamenti, a consentire al popolo palestinese di stabilire un proprio stato indipendente entro i confini del 4 giugno 1967, con Gerusalemme come capitale e il ritorno dei rifugiati palestinesi nelle loro terre.
Signor Presidente,
Il mio paese ribadisce il suo sostegno e la sua solidarietà con la Repubblica islamica dell'Iran davanti alle azioni irresponsabili degli Stati Uniti nei suoi confronti, a partire dal loro ritiro dall'Accordo sul nucleare. Mette in guardia dal pericolo di politiche volte a provocare crisi e scatenare conflitti nella regione del Golfo con falsi pretesti. Riteniamo che la sicurezza e la stabilità della regione del Golfo possano essere raggiunte solo attraverso la cooperazione e il dialogo tra i paesi rivieraschi, lontano dalle interferenze esterne, che aumenteranno solo le tensioni nella regione e non serviranno gli interessi dei suoi abitanti.
Signor Presidente, Signore e Signori,
Con l'aiuto dei suoi alleati e amici, la Siria è stata in grado di resistere al terrorismo organizzato e sostenuto dall'esterno che ha preso di mira insieme il Paese, lo Stato, il Popolo, la Civiltà. E ora che stiamo entrando in una nuova fase e stiamo per raggiungere la vittoria finale in questa guerra, aspiriamo a un futuro prospero e pacifico per il nostro popolo dopo tutto quello che ha sopportato. Ma, nonostante ciò, non abbiamo l'illusione che le sfide e tutti i tipi di difficoltà che affrontiamo oggi, o che ci aspettano domani, saranno meno feroci del terrorismo che abbiamo combattuto; salvo il fatto che siamo altrettanto determinati ad affrontarle e superarle.
Abbiamo sempre coltivato le migliori relazioni con gli altri Stati e non siamo mai stati i promotori di un clima di ostilità nei confronti di nessuno. Oggi abbiamo le mani tese per la pace, continuiamo a desiderare il dialogo e la comprensione reciproca, ma preservando le nostre costanti nazionali sulle quali non cederemo mai.
Certo, alcuni governi hanno danneggiato la Siria e danneggiato il suo popolo. Tuttavia, non tratteremo nessuno secondo una logica di odio o vendetta, ma piuttosto a partire dagli interessi del nostro Paese e del nostro popolo, dal nostro desiderio di portare pace, stabilità e prosperità in Siria e nella regione.

Gli Stati che hanno dimostrato ostilità nei confronti della Siria devono riconsiderare i loro calcoli, correggere i propri errori, uscire dalla loro negazione della realtà e trattare i fatti in modo realistico e razionale nell'interesse di tutti.
Vi ringrazio
Walid al-Mouallem , Vice Primo Ministro e Ministro siriano per gli Affari esteri e gli Espatriati  -  28/09/2019.

domenica 6 ottobre 2019

La Cattedrale di Maria, la chiesa più antica ed emblematica di Damasco

Damasco, SANA
La Cattedrale di Maria è la chiesa più antica di Damasco; risale all'inizio del cristianesimo nel Levante ed è attualmente la sede del 'Patriarcato di Antiochia e dell'intero Oriente' per i greco-ortodossi.
Si trova nella Via Recta, nel quartiere di Bab Sharqui, nel centro del quartiere storico di Damasco. In diversi periodi storici, la chiesa ricevette attacchi ma fu sempre ricostruita e l'ultimo restauro a cui fu sottoposta fu nel 1949.
"È uno dei luoghi di culto più famosi ed emblematici del mondo ed è anche una destinazione per il turismo religioso e culturale", afferma Joseph Zeitoun, capo del dipartimento dell'archivio della cattedrale.
Aggiunge che la cattedrale copre un'area di mille metri quadrati ed è composta da cinque chiese (la chiesa della Vergine Maria, la chiesa di Santa Tecla, la chiesa di Santa Caterina, la chiesa di San Cipriano e Pustina e la chiesa di San Nicola).
"L'architettura della chiesa è bizantina e ha un'accogliente navata con due pulpiti in pietra calcarea che vengono utilizzati per recitazioni bibliche", ha spiegato Zaeitun.
Il soffitto della cattedrale è dipinto e ornato, mentre le sue pareti sono adornate con quadri e icone.
La cattedrale ha due cortili, in uno di essi sorge il campanile della chiesa.

mercoledì 2 ottobre 2019

Per quali motivi con le sanzioni si vuole strangolare la Siria?


di Mostafa El Ayoubi

Dopo il fallimento del progetto di conseguire un cambio di regime in Siria, della crisi che continua ad attanagliare gravemente questo paese se ne parla poco. E, quando ciò avviene è generalmente per analizzare i problemi politici che esistono tra attori esterni che hanno partecipato a questo progetto: Turchia e Usa in particolare, a causa della questione curda. E anche tra Turchia e Ue per quanto riguarda la crisi dei profughi siriani. Ma riguardo invece alla grave crisi umanitaria nella quale vive il popolo siriano a causa delle sanzioni economiche imposte unilateralmente dagli Usa e dai suoi alleati, i media mainstream mantengono un profilo molto basso.
Oggi una gran parte del territorio è tornata sotto il controllo dell’esercito regolare siriano. Ne rimangono tuttavia fuori alcune zone non di poco conto: il nord-est e il nord-ovest.
Nel nord-est una parte del territorio è sotto il controllo delle milizie separatiste curde dell’Unità di protezione popolare (YPG), che fa parte dell’alleanza delle cosiddette Forze Democratiche Siriane. Milizie assistite militarmente sul campo dagli americani (e dai loro alleati inglesi e francesi). Di fatto, oggi i curdi siriani hanno proclamato unilateralmente il Rojava (nord-est) regione autonoma curda. Occorre notare che in questa regione non vi è una omogeneità etnica. Oltre ai curdi ci sono gli arabi sunniti, i cristiani assiri, i turkmeni e altri gruppi etnici e religiosi.
I curdi sono una maggioranza relativa. Se a Kobane i curdi costituiscono il 55% degli abitanti, nel vasto territorio del Rojava (cosi la chiamano i curdi), la cui popolazione ammonta a circa 6 milioni, essi non superano il 40 %. La pretesa separatista dei curdi si scontra con la realtà - complessa dal punto di vista etno-demografico - del nord-est siriano. Ma tra i curdi c’è chi pensa di poter modificare questa realtà. A tal proposito, in un articolo di Repubblica del 16 febbraio scorso si afferma: ”In Siria centinaia di migliaia di arabi sono stati cacciati dalle zone cadute sotto il controllo delle milizie curde sostenute da Washington. Questo spostamento forzato di popolazioni sunnite è stato documentato da organizzazioni non governative e da alcuni organismi internazionali, le accuse contro i curdi vanno dai crimini di guerra alla pulizia etnica”. Nello stesso articolo, l’autore, Paolo Celi, riporta le parole preoccupanti dell’arcivescovo Benham Hindo, vescovo siro cattolico di Hasaka (nord-est) il quale “denuncia un progetto che punta ad eliminare la presenza cristiana e delle altre minoranze da quella parte della Siria”.
Ma nel nord-est siriano ci sono anche i turchi che nel gennaio 2018 hanno invaso Efrin e cacciato via i curdi. Il sostegno di Washington ai curdi siriani è un grosso problema per Ankara. Questa alleanza costituisce il principale motivo delle forti frizioni diplomatiche tra le due capitali negli ultimi 3 anni. La Turchia non vuole in nessun modo che nasca lungo i suoi confini una entità autonoma curda. Per gli Usa una simile entità – sotto la loro tutela - è strategica, perché permetterebbe loro di controllare molto da vicino la Siria ma anche la stessa Turchia.
Memore del fallito di colpo di stato nel luglio 2016 ai suoi danni, il presidente turco Rajab Taib Erdogan non si fida più dell’establishment americano perché lo considera l’ideatore di quell’attentato. Da quella data la Turchia si è avvicinata progressivamente alla Russia (altra protagonista di peso sulla scena siriana, schierata con Damasco). L’acquisto, di recente, di batterie del sistema di difesa antiaerei russo S 400 da parte dei turchi ha provocato l’ira del governo americano. Come ritorsione, il 17 luglio scorso gli americani hanno sospeso la partecipazione della Turchia al programma di produzione del caccia bombardiere F 35. Ma i turchi hanno già individuato nei Sukhoi Su-57 russi una più che valida alternativa per il loro sistema di difesa aerea e ne stanno valutando l’acquisto.
Oggi l’alleanza tra Usa e Turchia non è più strategica di lungo respiro come lo era prima, ma ha assunto una modalità di tipo tattico congiunturale. L’esito finale della guerra contro la Siria stabilirà la natura dei rapporti futuri tra le due nazioni. Gli americani sono consapevoli che sarebbe una sciagura per la Nato perdere i turchi (che costituiscono il secondo esercito, dopo quello americano, di questo organismo militare); sanno che i russi e i cinesi sono pronti ad accoglierli. Motivo per cui prima o poi Washington abbandonerà i suoi alleati curdi per non perdere Ankara!
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Di recente la Casa Bianca ha accettato il diktat di Erdogan per la creazione di una “zona di sicurezza” lungo il confine della Turchia con la Siria, ma esclusivamente nel territorio di quest’ultima. Lo scopo di questa zona cuscinetto – non ben definita - per la Turchia è quella di isolare i curdi e allontanarli dai suoi confini. Il progetto - è partito recentemente con un parziale ritiro, su ordine di Washington, delle milizie combattenti curde dal confine nord est. Questa mossa sta preoccupando, e non poco, i dirigenti curdi siriani che paventano il rischio di essere abbandonati dagli americani.
Un’altra zona importante è la provincia di Idlib nel nord-ovest, ancora in mano alle milizie islamiste - sotto varie sigle ma in gran parte riconducibili a Jabhat al Nusra (e quindi ad al Qaeda) – con la tutela militare della Turchia e il consenso diplomatico degli Usa. Washington e Ankara giustificano la presenza militare illegale in Siria per combattere i jihadisti. Quando in realtà si sa che li hanno utilizzati per destabilizzare e distruggere questo paese.
Riguardo al sostegno ai terroristi, in una inchiesta giornalistica a firma di Dilyana Gaytandzhieva pubblicata il primo settembre scorso sul sito web di Arms Watch si legge che “Silk Way Airlines [di proprietà dell’Azerbaigian] ha effettuato 350 voli diplomatici con armi per terroristi in Siria, Afghanistan, Yemen e Africa. I voli sono stati noleggiati dal Pentagono, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Le armi furono portate di nascosto a Baku (Azerbaigian), alla base aerea di Incirlik”. Questa base si trova in Turchia e appartiene all’esercito americano.  L’inchiesta parla di 3 milioni di unità di armi (proiettili di mortai e missili) provenienti della Serbia (e anche dalla Bulgaria) e destinati ai jihadisti nello Yemen e in Siria. Eppure all’opinione pubblica internazionale, i grandi media raccontano una narrazione diversa: le grandi potenze occidentali e i loro alleati arabi e curdi combattono il terrorismo (vedi Islamic State weapons in Yemen traced back to US Government: Serbia files (part 1), Dilyana Gaytandzhieva, 01/09/ 2019).
Oggi, sia Washington che Ankara temono che la riconquista di Idlib da parte dell’esercito siriano potrebbe sancire la fine della guerra in Siria e quindi la loro sconfitta geopolitica definitiva in Medio Oriente. Ciò comporterebbe per loro il fatto di non avere nessuna influenza sul futuro politico in questo paese, il quale si avvicinerebbe ancor più alla Russia e all’Iran.
Ma come è accaduto ad Aleppo nel 2016, la liberazione di Idlib è solo una questione di tempo perché i russi – a fianco dei siriani - sembrano determinati ad estirpare i terroristi dalla Siria. A tal riguardo, a fine agosto scorso i jihadisti sono stati cacciati da Khan Sheikhoun, città strategica nella provincia di Idlib. Anche la riconquista del nord-est è considerata dalla Siria e dai suoi alleati una questione di calendario.
Ma se di fatto il governo americano ha fallito nel suo progetto di addomesticare militarmente la Siria, esso continuerà a cercare di annientarla economicamente attraverso l’arma micidiale delle sanzioni economiche, le quali a lungo termine sono più letali delle bombe. E su questo aspetto della crisi i grandi media tergiversano sistematicamente.
Le sanzioni contro la Siria partono da lontano. Nel 1979 gli Usa le ha applicate contro Damasco perché la consideravano uno “sponsor del terrorismo”. Nel 2003 altre sanzioni contro di essa sono state messe in atto sotto la legge Patriot act voluta da George W. Bush, il quale dichiarò la Siria parte dell’asse del male, insieme all’Iraq, all’Iran, alla Libia, alla Corea del Nord e a Cuba.
Le misure economiche restrittive e punitive nei confronti della Siria sono state esponenzialmente ampliate a partire dall’inizio della guerra nel 2011. Occorre sottolineare che le sanzioni contro la Siria non sono state decretate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e quindi sono in flagrante violazione del diritto internazionale. Sono state decise dagli Americani e poi dall’Unione europea. E generalmente il governo americano costringe governi, multinazionali e banche ad aderire e a rispettare l’ordine di sanzionare qualsiasi paese considerato come una “minaccia contro la sicurezza degli Stati Uniti d’America”.
“Il governo svizzero è paralizzato dal timore di discostarsi dalla politica delle sanzioni degli Stati Uniti”, si legge in un articolo di Arret sur info dal titolo: Les sanctions contre la Syrie ont des «répercussions dévastatrices» sur la population civile,  pubblicato il 28 giugno 2018. Sulla scia degli Usa, l’Ue applica dal 2011 sanzioni contro la Siria, specie nel settore petrolifero e in quello bancario. Queste misure sono state prorogate nel maggio scorso.
Al riguardo, a margine della novantaduesima Assemblea plenaria dell'incontro delle associazioni cattoliche per l’aiuto ai cristiani d’Oriente  avvenuto lo scorso giugno a Roma, il vescovo Pascal Gollnisch ha definito le sanzioni economiche dell'Unione europea contro la Siria "inaccettabili" , "controproducenti”  e “danneggiano notevolmente una popolazione già ammaccata da otto anni di guerra". [N.d.R.: Di notevole importanza l'esortazione del Card. Parolin all'ONU il 24 settembre 2019 per l'abrogazione delle sanzioni, che segue gli appelli da Aleppo del Card Bagnasco, Monteduro di ACS e Mons. Delpini]
A causa delle sanzioni oggi la Siria è in ginocchio. Il commercio estero è ridotto al minimo. Il Paese è isolato dal sistema bancario internazionale basato sul dollaro. Su pressione del Tesoro americano, compagnie finanziarie come Visa, Master Card hanno sospeso nel 2011 loro servizi in Siria. Le rimesse degli espatriati siriani - voce importante per l’economia di un paese in via di sviluppo – sono ostacolate dall’embargo finanziario. Inoltre i fondi sovrani che sono soldi dello Stato siriano - importanti per pagare le fatture dei prodotti d’importazione - sono oggi congelati nelle banche occidentali.  
Il petrolio greggio costituiva il 53% delle esportazioni siriane prima dell’inizio del conflitto, nel 2015 è precipitato a 6%. Gli introiti derivati servivano per importare combustibili necessari per il fabbisogno interno. Oggi i siriani passano giorni interi in coda per pochi litri di benzina/gasolio e una bombola di gas. Molte fabbriche sono ferme per mancanza di materie prime e pezzi di ricambi soggetti all’embargo.
I forni pubblici per la produzione di pane non riescono ad andare avanti a causa dell’embargo. Prima della crisi, il pane veniva venduto alla metà del prezzo di produzione. E come conferma un rapporto del Consiglio dei diritti umani dell’Onu del gennaio 2011, il paese aveva una discreta autosufficienza alimentare (vedi Report of the Special Rapporteur on the right to food, Olivier De Schutter, Mission to the Syrian Arab Republic, Human Rights Council,  27 January 2011).
Oggi l’economia di questo Paese è crollata vertiginosamente. Secondo un rapporto dell’Onu, pubblicato nel maggio del 2018, il PIL è diminuito di due terzi; nel 2010 un dollaro valeva 45 lire siriane, diventate poi 501 nel 2017; la disoccupazione è passata dall’8,5% del 2010 al 48% nel 2015. Le cause di questa situazione, secondo il relatore del rapporto, sono in gran parte derivanti dalle sanzioni economiche imposte alla Siria.
In un incontro avvenuto a Beirut il 7 agosto dell’anno scorso, un membro della Commissione economica e sociale per l’Asia occidentale dell’Onu ha affermato che per ricostruire la Siria, distrutta dalla guerra e dalle sanzioni, occorrono 388 miliardi di dollari. Gli Usa oggi minacciano e ricattano chiunque abbia l’intenzione di partecipare alla ricostruzione di questo paese.  
Anche i medicinali scarseggiano a causa delle sanzioni; gli ospedali, quelli scampati ai bombardamenti, faticano molto a servire i cittadini bisognosi di cura.  Secondo lo stesso rapporto dell’Onu poc’anzi citato, prima della guerra, il sistema sanitario siriano era uno dei più avanzati nel Medio Oriente. Lo Stato garantiva assistenza sanitaria gratuita per tutti i suoi cittadini. Prima del 2011 il Paese era auto sufficiente per quanto riguarda diversi medicinali vitali perché venivano prodotti in loco.
Oggi le misure restrittive, in particolare quelle relative al sistema bancario, hanno danneggiato la capacità della Siria di acquistare e pagare medicinali, attrezzature, pezzi di ricambio e software. Le aziende private straniere non sono disposte ad effettuare transazioni con la Siria  per il timore di essere accusate di violare le misure restrittive contro di essa (vedi  “End of mission statement of the Special Rapporteur on the negative impact of unilateral coercive measures on the enjoyment of human rights to the Syrian Arab Republic, 13 to 17 May 2018”).  
Parafrasando l’intellettuale francese Frantz Faron, il potere imperialista di fronte ad un popolo sovrano non si arrende. Forte della sua potenza economica cerca di affamare tale popolo per mezzo delle sanzioni e degli embarghi. Ed è ciò che gli Usa stanno facendo oggi al popolo siriano.

http://www.nigrizia.it/notizia/le-sanzioni-strangolano-la-siria