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lunedì 3 giugno 2019

Pompieri e Incendiari


 Michel Raimbaud, 26 maggio 2019
L’autore francese di questo articolo, nato nel 1941 - saggista politico, scrittore, insegnante, una lunga e proficua carriera con incarichi diplomatici di rilievo, più volte ambasciatore, lunghi soggiorni in numerosi Paesi: Brasile, Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Mauritania, Sudan…, dal giugno 2000 al febbraio 2003 direttore in Francia dell’Ufficio per la protezione di immigrati e apolidi (OFPRA), poi all'amministrazione centrale del Quai d'Orsay, poi ancora ambasciatore, nello Zimbabwe – osserva il mondo con spirito libero e racconta le vicende della geopolitica con grande passione e maestria anche nello stile, vivace e coinvolgente. Dopo il pensionamento nel 2006, intraprende l’attività di conferenziere e insegna presso il Centre d’Études Diplomatiques et Stratégiques (CEDS). Tra le sue numerose opere, ‘’Tempête sur le Grand Moyen-Orient’’ (Tempesta sul Grande Medio Oriente), del 2015. Continua a dedicare molti articoli alla drammatica e iniqua guerra contro la Siria con i suoi risvolti regionali e mondiali. Merita di essere letto.
Maria Antonietta Carta
Dicembre 1991. Ieri. E in due soli anni il mondo mutò. L'ordine bipolare est-ovest crollava in seguito alla scomparsa dell'URSS e l'Occidente usciva vittorioso da una competizione che, in effetti, non era durata più di 45 anni: un tempo piuttosto corto sulla scala della Storia. Prima di tutto, gli Stati Uniti, inebriati da un trionfo inaspettato, si pavoneggiarono senza sapere cosa fare. Nel 1992, uno dei loro politologi, Francis Fukuyama, dichiarò la fine della Storia per mancanza di protagonisti all’altezza dell’unica superpotenza superstite.
Sbigottito, il coro occidentale si bevette con piacere questa idiozia: secondo quel profeta troppo frettoloso, il mondo si sarebbe paralizzato, senz’altra scelta che schierarsi con il nuovo padrone. Per i potenziali refuznik, si trattava di sottomettersi o rassegnarsi e, adottando l’eredità del "mondo civilizzato" dell'era coloniale e del "mondo libero" della guerra fredda, ecco che la "Comunità internazionale" is born, come si dice nella lingua franca contemporanea. I Paesi che osarono rifiutare la nuova regola del gioco USA finirono nella gehenna degli Stati fuorilegge: in bancarotta, canaglie, emarginati, “preoccupanti", come diremo presto. Mentre i Paesi “liberati’’ dal comunismo dovettero intraprendere una riconversione incondizionata e senza fronzoli ... Bisognava sbarazzarsi di falci, martelli, dell'Internazionale proletaria e, per molte delle loro élite, di tutto un trascorso diventato ingombrante.

Non lo chiamavano ancora in questo modo, ma il “Momento unipolare americano" era già in marcia e non amava quelli che trascinavano i piedi. Tuttavia, l'eternità prevista implicitamente nel libro di Fukuyama (La fine della Storia e l'ultimo uomo) sarebbe terminata troppo presto per apparire lunga. Non avrebbe superato il ventesimo anno. Infatti, nel marzo 2011, dopo vent'anni di misfatti il momento unipolare iniziava ad andare a rotoli e la Storia riprendeva la sua marcia verso un ordine mondiale più equilibrato quando Russia e Cina si fecero forzare la mano e si unirono per l’ultima volta alla "Comunità internazionale" per lasciare "implicitamente” il campo libero all'intervento della NATO in Libia, ma nel mese di ottobre dello stesso anno un doppio veto di Russia e Cina metteva fine all’onnipotenza di Washington e dei suoi suppletivi vietando ogni intervento di regime change a Damasco.
Nel 2019, l'ordine imposto dagli Stati Uniti, ingiusto, tirannico e caotico, sta morendo, ma l'Occidente, riluttante ad ammetterlo, continua a credere fermamente nella loro leadership ‘’naturale’’, in nome di un'universalità proclamata e rivendicata. Preferisce non vedere che la loro pretesa è sfidata dall'immensa coorte di popoli. Nel terzo millennio, non è più possibile accettare questa prerogativa di stampo feudale data per scontata dai Signori del pianeta. In pochi anni, la geografia politica e la mappa di un ‘’Paese immaginario’’ di sicuro sono molto cambiate nel mondo arabo-musulmano, ma anche altrove.

Due “campi" polarizzano questa nuova realtà partorita nel dolore. Il primo scommette sulla legalità e il diritto internazionale per arrivare a tutti i costi a un mondo multipolare equilibrato in grado di vivere in pace. Il secondo, successore del "mondo libero" di un tempo, non ha trovato niente di meglio che inventarsi il caos "costruttivo" o "innovativo" per garantire la sostenibilità di un'egemonia contestata. Da entrambi i lati, gli uomini al potere mostrano uno stile in accordo con queste scelte di fondo.
Senza trascurare la concorrenza quotidiana più combattuta tra Stati Uniti e Cina e l'ineluttabile scontro tra gli obiettivi di Trump, promotore spontaneo del "caos creativo" e di XI-Jinping, adepto metodico della "distensione costruttiva", è il duo russo-americano che rimane per il momento al centro del confronto. I leader di entrambe le parti – Eurasia e Occidente - che hanno preso il posto dei protagonisti del conflitto Est/Ovest, Putin e Trump, sono attori importanti della vita internazionale e devono coesistere, che lo vogliano o no ...

Non è necessario essere un osservatore molto acuto per indovinare che tra i due uomini non esiste molta sintonia. Non si tratta di una semplice questione di stile, ma di universi mentali e intellettuali opposti. Se il caso, per sua natura spesso capriccioso, decidesse di rendere il mondo invivibile, non agirebbe diversamente, consentendo che in questo preciso e decisivo momento della Storia due personalità così diverse siano deputate a rappresentare e " gestire" una riunione al Vertice tra Stati Uniti e Russia nel modo conflittuale che conosciamo.
Vladimir Putin è un capo di Stato popolare nel suo Paese e rispettato all’estero perché è l'architetto indiscusso della rinascita della Russia. Questo invidiabile prestigio non si deve a un qualche populismo di bassa lega o a un atteggiamento demagogico, ma al suo lavoro. L'inquilino del Cremlino comunica volentieri. Dai suoi discorsi senza enfasi si può intuire un uomo sicuro del suo potere, ma assolutamente poco incline ai toni confidenziali. Eppure, dietro un volto placido si nasconde un umorismo caustico che di tanto in tanto può sorprendere con uno scherzo inaspettato, deliziando i suoi sostenitori e permettendo ai neo-kremlinologi di arricchire il loro armamentario di pregiudizi "occidentali".

Ecco perché la breve frase del presidente russo a Sochi lo scorso 15 maggio, dopo l'incontro con l’omologo austriaco Alexander Van der Bellen, non sarà rimasta inascoltata. Interrogato durante una conferenza stampa su ciò che il suo Paese potrebbe fare per "salvare" l'accordo nucleare iraniano, Putin ha spiegato tra il serio e il faceto: "La Russia non è una squadra di pompieri, non possiamo salvare tutto". Non avrei potuto scegliere parole migliori per dire che molti incendiari si insinuano tra gli "interlocutori’’ a cui Mosca ama riferirsi con instancabile ottimismo. Senza dubbio, Trump è considerato il più pericoloso.
Al fuoco, pompieri! C’è una casa in fiamme! La tiritera è all'ordine del giorno. "Fuoco e incendiario"? Si direbbe il gioco per una serata in famiglia, uno di quelli che si amavano un tempo: un po’ noiosi e polverosi, ma efficaci per distrarre i bambini quando piove, tra nano giallo e piccoli cavalli. Tuttavia, si sarà capito, gli incendiari a cui pensa Putin si collocano su un altro registro. Non si tratta di delinquenti che bruciano bidoni della spazzatura, auto e negozi nelle "strade" occidentali, per conto di una "militanza" deviata ... Il presidente russo sicuramente pensa a una classe di criminali che sfugge totalmente alle imputazioni, alle azioni giudiziarie e alle punizioni: quella dei piromani di Stato in giacca e cravatta, arroccati ai vertici del potere nelle grandi democrazie autoproclamate che rientrano nell’ "asse del bene’’ o nella sua orbita. Negli "Stati di diritto", si ritiene legittimo incendiare il pianeta per annientare ogni resistenza all'egemonia dell'Impero Atlantico.

In questi stessi Paesi, i professionisti del pensiero, della scrittura, dell'analisi, della diplomazia o della politica adoperano con compiacimento una roboante retorica sul “Grande disegno", sulla "Strategia planetaria”, sulle "Ambizioni geopolitiche" o altre frottole. È chiaro che non scorgono l'ombra di un’ingiustizia e non li sfiora il sospetto di un’arbitrarietà nelle campagne finalizzate a devastare Paesi, popoli, spesso intere regioni, e restano indifferenti quando si menziona il tremendo bilancio delle guerre funeste scatenate dai loro governanti mafiosi.
I nostri moderni piromani sono insaziabili: non contenti di non provare vergogna o rimorso per i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità, i genocidi o i politicidi già commessi, minacciano e sanzionano a destra e a manca annunciando apertamente le loro intenzioni aggressive: Siria, Libia, Ucraina, Iran, Venezuela, Russia, Cina… Insomma, tutti i Paesi che osano ignorare i loro diktat.

Addio al diritto internazionale, buonanotte agli accordi internazionali, all'inferno la Carta delle Nazioni Unite, alle fanfare della diplomazia, del suo linguaggio desueto e delle sue prassi astruse. Infatti, con quasi 700 basi documentate dal Pentagono un po’ ovunque e soprattutto in Europa, Asia-Pacifico, Medio Oriente e Africa e con oltre 200.000 militari di stanza all'estero (50.000 in Germania, decine di migliaia nel resto del Continente europeo, 40.000 in Giappone e 28.000 in Corea del Sud), gli Stati Uniti e i loro scagnozzi sono soli contro il mondo.
Sotto la copertura di scelte imprevedibili, di ordini, contro-ordini e di dissensi nella sua amministrazione, Trump e la sua bella squadra - il sinistro John Bolton, il mellifluo Mike Pompeo, l'elegante Mike Pence, per non parlare del genero damerino Jared Kushner - seminano il caos e provocano incendi in tutti i continenti: esattamente ciò che è al centro del grande disegno ideato dagli USA per imporre al mondo la loro legge.

Negli anni di Reagan, Washington era riuscita a trascinare l'Unione Sovietica nella corsa agli armamenti e poi a impantanarla in una guerra inutile in Afghanistan, che avrebbe causato il suo declino. Probabilmente, il team di Trump cerca di ripetere l'esperienza, moltiplicando ovunque gli incendi nella speranza che la Russia di Putin si lasci indurre a svolgere il ruolo del pompiere universale. In Venezuela, l'impegno di Mosca ricorda quello dell'Unione Sovietica a Cuba, lo sforzo per incendiare gli Stati baltici e l'ex baluardo dell'Europa orientale, la Georgia, poi l'Ucraina, sono altrettante provocazioni alle porte della Russia.

Rimane il Grande Medio Oriente di Debeliou, al centro del nuovo conflitto Est/Ovest: dal suo nucleo (Siria, Libano, Palestina, Giordania, Iraq) all’Iran e Turchia, Yemen e Penisola Arabica fino all’Africa (Nord, Sahel, Corno, Golfo di Guinea...). Infine, c'è “l’Accordo del secolo" inventato da Trump con l’intento di "eliminare" il popolo palestinese per compiacere Israele: i miliardi versati e il ghigno compiaciuto degli autocrati potrebbe infiammare la polveriera...
Questa moltiplicazione di focolai - in un mondo dove le fondamenta della legge e della vita internazionale sono violate senza scrupoli, e dove alle parole è stato sistematicamente sottratto il vero senso - mira a scoraggiare potenziali vigili del fuoco: che si lascino intrappolare e non sapranno più dove sbattere la testa nell’estenuante tentativo di smentire notizie false (fake news), o false accuse per denunciare operazioni sotto falsa bandiera, per mantenere una parvenza di ragione in un mondo sempre più caotico, e per rispettare unilateralmente i principi che i piromani deridono.

Due esempi illustreranno l'ipocrisia della situazione:
Nonostante numerosi esperti e osservatori la considerino terminata e vinta da Damasco, la guerra in Siria continua in un contesto confuso e con un rimescolamento delle carte impressionante, scoraggiando qualsiasi analisi attendibile.
Il Dr. Wafik Ibrahim, specialista di affari regionali, osserva che per la sola liberazione, simbolica e peculiare, di Idlib in questo nono anno di guerra, “l’esercito siriano affronta dieci avversari" che unificano i loro sforzi per ostacolare il ritorno alla pace.  Le maschere sono cadute.

Erdogan è incastrato in manovre acrobatiche tra Stati Uniti e Russia e in una strategia aggrovigliata tra Mosca, Teheran, i gruppi terroristici che sponsorizza e le milizie curde che combatte, mentre cerca un ipotetico "cammino” di Damasco. La Turchia è impegnata militarmente e senza riserve con l'invio diretto di rinforzi e armamenti pesanti alle organizzazioni terroristiche, in primo luogo Jabhat al-Nusra (marchio siriano di al-Qaida), ribattezzato Hay'at Tahrir al-Sham (in Arabo: هيئة تحرير الشام, transliterazione: Hayʼat Taḥrīr al-Shām, "Organizzazione per la liberazione del Levante").
Per gli Stati Uniti, si tratta, se non di impedire, di ritardare il ritorno dello Stato siriano nel nord del Paese - governatorato di Idlib e/o la sponda orientale dell'Eufrate - mantenendo alcuni elementi sul terreno come deterrenti, con il pretesto di combattere Daesh che è una creazione de facto del nostro zio Sam – e aggiungiamo i loro “supporti automatici”: Nazioni Unite e Lega Araba, nel ruolo di paraventi legali e utili ausiliari di Washington; Gran Bretagna e Francia, gli associati; L'Arabia Saudita, che continua a finanziare il terrorismo a est dell'Eufrate contro i Turchi, ma si unisce a loro nel governatorato di Idlib; gli Emirati, l'asso nella manica USA specialmente in Siria. Tutti questi protagonisti sostengono le forze resistenti del terrorismo (tuttora 30.000 jihadisti di tutte le nazionalità).

Allo stesso tempo, il capestro delle sanzioni - armi di distruzione di massa il cui uso è un vero crimine di guerra - mira a prevenire la ricostruzione del Paese e a provocare una rivolta contro "il regime ".
In questa congiuntura, il lancio alla fine di maggio di un ennesimo "caso’’ di attacco chimico debitamente attribuito al "regime di Bashar al Assad " (da Latakia) sarebbe quasi una buona notizia, in quanto significherebbe che l'esercito siriano sostenuto dalle forze aeree russe, nonostante le manovre del nuovo Grande Turco, ha finalmente iniziato la liberazione di Idlib, congelata dal settembre 2018 (in seguito alla creazione di una zona di de-escalation sotto l'egida di Russia e Turchia). Lo scenario è ben noto e vi ritroviamo Hayʼat Taḥrīr al-Shām (ex-Jabhat al-Nusra). Le intimidazioni volano, senza dubbio invano, e storie di comodo hanno sempre meno successo.

L'offensiva degli USA contro l'Iran, in seguito al loro ritiro dal “Trattato sul nucleare" del 2015, ha creato profonde tensioni in Medio Oriente. Lo scambio di minacce attiene per lo più alla gesticolazione diplomatica, ma la saggezza è una qualità rara nell'entourage del Paperon de Paperoni alla Casa Bianca. I pompieri si affaccendano per spegnere l'incendio sempre pronto a riaccendersi nei giacimenti di gas e petrolio della regione: tra la Svizzera, l'Oman e la Russia, a chi toccherà di gettare il suo secchio d'acqua sulle scintille? Il Cremlino veglia per non lasciarsi sopraffare: ha sostenuto l'accordo sul nucleare e ha incoraggiato Teheran a rimanervi fedele, ma "gli Americani sono i primi a dare la colpa", "L'Iran è oggi il Paese più controllato e più trasparente al mondo sul nucleare", "La Russia è pronta a continuare a svolgere un ruolo positivo", ma il futuro del trattato "dipende da tutti i partner: Stati Uniti, Europa e Iran ...".

Aiutati che la Russia ti aiuterà... Il discorso è così ragionevole che a volte ci si chiede se la diplomazia russa, tanto "insopportabilmente paziente" non si sia sbagliata d’epoca davanti al fenomeno Trump, al suo Puffo, agli Europei rassegnati e ai pazzi loro alleati ... C’è ancora tempo per le chiacchiere?
       Michel Raimbaud
      Traduzione di: Maria Antonietta Carta
https://www.iveris.eu/list/tribunes_libres/429-pompiers_et_incendiaires_

venerdì 31 maggio 2019

L'Ascensione del Signore nella tradizione siriaca: Salì al cielo come primizia

Vangelo di Rabula (Firenze, Biblioteca Mediceo Laurenziana, ), Siria, 586


di Manuel Nin
 
Nel quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, la festa dell'Ascensione del Signore è attestata già in Eusebio di Cesarea intorno al 325; un secolo e mezzo più tardi Egeria parla di una celebrazione a Betlemme, e non sul Monte degli Ulivi da dove il Signore ascende in cielo e dove invece il raduno dei fedeli col vescovo nel luogo dell'Ascensione e la lettura del vangelo viene fatta la vigilia della Pentecoste. Per la festa, Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo (e Agostino in ambito latino) hanno omelie.
La tradizione siro-occidentale collega molto strettamente l'Incarnazione, la discesa del Verbo di Dio, e la sua Ascensione:  "Oggi il Cristo Dio si innalza dal monte degli ulivi fino al suo Padre glorioso. Oggi gli angeli fanno conoscere agli apostoli il grande mistero della seconda venuta di Cristo. Noi lo vedremo coi nostri occhi di carne". Cristo, salendo in cielo con l'umanità assunta da noi, la fa entrare nel luogo santo, la glorifica e la porta nel paradiso:  "Tu sei entrato nel Santo dei santi e hai preso possesso della dimora non fatta da mano d'uomo. Salendo in cielo ci hai aperto le porte che Adamo nostro primo padre ci aveva chiuso in faccia. Ci hai fatti sedere alla destra di tuo Padre, e gli hai fatto un dono che non può rifiutare, il corpo umano che avevi preso da noi".
Tutti noi redenti, portati con Cristo in cielo, diventiamo offerta al Padre. Questo è un aspetto che si ritrova molto chiaramente nella tradizione siro-orientale, che, chiudendo l'anno liturgico con le quattro domeniche della "dedicazione della Chiesa", sottolinea come la comunità dei redenti dal sangue di Cristo viene presentata e offerta al Padre come corona dell'anno liturgico nel momento della sua piena glorificazione. 
Nei testi liturgici si rilegge il salmo 23:  "Quando gli spiriti celesti ti videro innalzarti in cielo con un corpo vero, furono stupefatti e cominciarono a domandarsi l'un l'altro:  Chi è questo Re della gloria che viene da Edom? È il Signore potente, il Signore vincitore in battaglia. Alzatevi porte antiche, apritevi porte eterne perché entri il Re della gloria". La salvezza operata dal Signore viene presentata nel vespro dalla sua Incarnazione fino alla sua Ascensione:  "Tutti noi, tuoi servi, riscattati dal tuo sangue prezioso, proclamiamo davanti alle schiere celesti:  Benedetto sei tu, che ti sei abbassato per innalzarci dalla nostra umiliazione". Inoltre i testi sottolineano l'attesa della seconda venuta di Cristo e fanno una lettura cristologica di Isaia (61, 3):  "Chi è questo re della gloria che giunge da Edom, cioè dalla terra, e i suoi vestiti sono macchiati di sangue, del sangue del corpo che si è rivestito? Perché i suoi vestiti sono rossi come quelli di chi calca il vino? Il Figlio di Dio si è incarnato, si è rivestito il corpo della nostra umanità. Ha sofferto la croce, la morte e la sepoltura, è risorto ed è salito al cielo". 

La liturgia siro-occidentale sottolinea che nel Monte degli Ulivi è la Chiesa tutta a essere radunata, mentre il collegamento con la seconda venuta di Cristo e la dimensione ecclesiologica della festa sono nell'icona dell'Ascensione. L'immagine è divisa in due parti ben distinte:  nella parte superiore c'è Cristo assiso su un trono, immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte inferiore c'è la Madre di Dio e gli apostoli. Dall'Ascensione fino al suo ritorno Cristo presiede la Chiesa, formata dalla Madre di Dio orante e dagli apostoli.
L'Ascensione di Cristo sigilla quindi la riconciliazione tra il cielo e la terra. Come sottolinea un testo in forma di dialogo o disputa (genere letterario molto familiare alla tradizione siriaca), testo che non fa parte della liturgia ma che ne riassume il mistero. Cielo e terra disputano tra di loro e il mistero della redenzione di Cristo riporta la pace:  "Il cielo dice:  In me c'è il Regno e gli angeli; e la terra dice:  In me le Chiese e i giusti. Il cielo dice:  In me ci sono mille e diecimila che stanno davanti al suo trono; e la terra dice:  In me le assemblee e le generazioni che stanno davanti alla sua croce. Il cielo dice:  In me il trono da cui esce fuoco; e la terra dice:  In me l'altare dalla cui bontà esce la salvezza. Il cielo dice:  In me le nuvole che portano le piogge che non hanno bisogno di fontane; e la terra dice:  In me la Vergine che ha concepito senza uomo. Il cielo dice:  In me il fiume di fuoco che rischiara coloro che lo guardano; e la terra dice:  In me il calice della salvezza che risuscita coloro che ne bevono. Dice il cielo alla terra:  Noi siamo due fratelli, non dobbiamo lottare poiché i nostri abitanti sono fratelli". 
Efrem il Siro collega nei suoi inni la discesa di Cristo nell'Ade e la sua glorificazione in cielo:  "Come un chicco di grano cadde nello sheol, e salì come covone e pane nuovo. Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia. Beata sei tu, o Betania:  il monte dell'arca ed il monte Sinai ti invidiano; non da loro ascese il Signore delle altezze, ma da te ascese. Tu hai visto il suo cocchio glorioso, la nube che chinò la sua altezza verso l'Umile che aveva iniziato a regnare in alto e in basso".

martedì 28 maggio 2019

I sogni turchi dell'annessione islamica di Idlib stanno per svanire


di Steven Sahiounie
trad. OraproSiria

Dal giorno in cui la guerra è iniziata nel marzo 2011 a Deraa, l'ideologia politica dell'Islam radicale è stata al centro della scena. Dall'inizio del conflitto siriano, i miliziani intendevano lottare per abolire il governo laico siriano, al fine di formare un nuovo governo retto dall' Islam radicale . Vedevano i loro vicini cristiani come "pagani" che dovevano essere massacrati. Non erano interessati alla libertà o alla democrazia; stavano combattendo per purificare la Siria da chiunque non fosse come loro.  [* N:d.T. :Riportiamo in calce lo stralcio di un articolo che testimonia l'angoscia anche dei Cristiani Siriaci, di fronte alle mire di espansione turche sul nord-est della Siria: gli Assiri temono di rivivere oggi il massacro di Seyfo del 1915, in cui gli ottomani cercarono di estirpare i Cristiani assiri, siriaci e caldei del Medio Oriente aramaico]

Erdogan, il leader turco, è stato incaricato dai suoi co-firmatari della NATO con il compito di essere il punto di transito dei jihadisti internazionali che si riversano per sostenere il fallito Esercito Libero Siriano (FSA), e la fonte di rifornimenti e armi per le forze “stivali a terra" sostenute dalla NATO , che provengono dai 4 angoli del globo. La Turchia ha beneficiato immensamente del flusso di armi, denaro, prodotti chimici, terroristi e dell'enorme quantità di aiuti umanitari che si riversavano per i profughi siriani.  

Erdogan non doveva preoccuparsi dei cittadini turchi che si lamentavano dell'islam radicale, perché il suo partito al governo AKP era basato sull'Islam duro e stava trasformando la Turchia secolare in un porto sicuro dei Fratelli Musulmani , e aveva la politica di silenziare le voci critiche.
Erdogan ha sviluppato un sogno di annessione della striscia settentrionale della Siria. Il suo sogno stava per realizzarsi, ma l'offensiva su Idlib è iniziata, e il suo sogno si sta trasformando in un incubo. Aveva sostenuto l'FSA e tutti i terroristi, che lui chiama "ribelli", indipendentemente dal fatto che fossero affiliati ad Al Qaeda e molti fossero associati all'ISIS. Ora sta inviando rinforzi a Idlib, fornendoli di armi sofisticate. Tuttavia, i terroristi che comanda non usano aerei, tranne i droni.   Un articolo recentemente firmato da un media filo-Erdogan, nel titolo si chiedeva se la Turchia avrebbe perso Idlib: il che dà l'impressione che il governo turco abbia ritenuto di avere diritto a Idlib e descrive chiaramente come il presidente turco vede il presidente siriano.

La popolazione civile di Idlib è dipinta dai media occidentali come timorosa dell'avanzata militare siriana e russa. Le nazioni della NATO all'ONU invocano sempre il nome dei civili di Idlib come se fossero tutti di un solo pensiero e che tutti volessero rimanere nelle mani dei terroristi. 
Selma (nome cambiato per motivi di sicurezza) ha telefonato a sua sorella a Latakia e le ha detto "Ogni volta che ascoltiamo carri armati, stiamo pregando che l'esercito venga a liberarci, i miei bambini e io abbiamo le nostre bandiere bianche pronte. Potremmo essere risparmiati, o potremmo morire nella battaglia, ma comunque finiremo per liberarci". La sorella di Selma ha raccontato storie di sofferenza, privazione e vita sotto la legge islamica. 
Selma ha raccontato come in passato la vita sotto l' FSA , sostenuto dall'America, fosse stata più facile da sopportare, tranne che essi estorcevano denaro e ottenevano un profitto dal loro potere. Tuttavia, con il passare degli anni, l' FSA si è dissolto e i jihadisti stranieri hanno ora il controllo di tutto. Non tutti parlano arabo e non praticano una religione riconoscibile, ma qualche nuovo culto fanatico che utilizza la paura per soggiogare i civili. Ogni ragazza o donna è un bersaglio sessuale  ambito.  Idlib non fa parte della Siria: è diventato uno stato islamico.

L' accordo russo-turco firmato a Sochi nel 2018 implicava che Erdogan avrebbe rimosso fisicamente i terroristi dai civili. L'accordo non è mai stato un cessate il fuoco o una zona di non conflitto: era uno strumento per assicurare che i civili disarmati non venissero danneggiati quando le forze russe e l'esercito arabo siriano (SAA) combatteranno per eliminare i terroristi collegati ad Al Qaeda.  Alla fine, non valeva la carta su cui era scritto, poiché Erdogan non ha fatto mai alcun tentativo di rimuovere i terroristi, e invece ha costruito numerosi avamposti all'interno di Idlib, quindi in effetti annettendo il territorio alla Turchia, e tutti con un coordinamento esplicito tra i gruppi allineati di Al Qaeda .  

Attualmente, l'esercito arabo siriano sotto il comando del generale Suhel Al-Hassan e della sua élite "Tiger Forces" sta spingendo in avanti nel tentativo di riguadagnare Idlib, liberare i civili e sterminare i terroristi. Questo crescendo è stato visto precedentemente in Bab Amro, East Aleppo e East Ghouta.  

Risoluzione 2249 del 2015 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: "Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono chiamati a sradicare i paradisi stabiliti su Siria / Iraq dall'ISIL (Stato islamico / ISIS), dal Fronte di Al Nusra (affiliazione di AlQaeda in Siria) e" tutte le altre entità associate con Al Qaeda. ". 
Tutti gli occhi sono puntati su Idlib mentre si avvicina il finale.
http://inforos.ru/en/?module=news&action=view&id=92045



* Discendenti dei sopravvissuti del Seyfo: i cristiani siriaci si oppongono alla "zona sicura" turca in Siria
Le zone di confine tra Turchia e Siria sono punteggiate da piccole chiese cristiane siriache. Lo scorso autunno, i proiettili sono penetrati nel muro di una chiesa nel villaggio di Tel Jihan, nel nord-est della Siria, a soli quattrocentocinquanta metri dal confine turco. La gente del posto mi ha detto che non è un incidente isolato. I cristiani siriaci si riferiscono a se stessi come "discendenti di sopravvissuti". Molti dei loro antenati morirono nel massacro di Seyfo del 1915 in cui circa ottocentomila cristiani furono uccisi dagli Ottomani. L'evento ha ricevuto poca attenzione dagli studiosi, portando lo storico Joseph Yacoub a chiamarlo "genocidio nascosto". Questa comunità – che include cristiani siriaci, assiri, caldei e armeni - non ha dimenticato la persecuzione subita per mano degli ottomani un secolo fa. Ed è proprio questa esperienza il motivo della loro attuale opposizione al piano di Ankara di schierare le truppe turche a est dell'Eufrate. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sta cercando di definire il piano come una "zona cuscinetto" o "zona sicura". Per i siriani, è un altro intervento di una potenza straniera. Invece di indurre un senso di sicurezza, l'idea di schierare truppe turche in patria riaccende i ricordi del trauma subito dalla loro comunità.
 In contrasto con il genocidio armeno, il massacro di Seyfo del 1915 ha ricevuto pochissima attenzione dagli studiosi. In uno dei primi libri in lingua inglese sull'argomento, "Year of the Sword" pubblicato dalla Oxford University Press, lo storico Joseph Yacoub descrive le uccisioni di massa del 1915 come un "genocidio nascosto" che ha ucciso circa trecentomila persone. Era un periodo in cui "gli ottomani cercavano di estirpare i cristiani assiri, siriaci e caldei del Medio Oriente aramaico". Un altro libro dovrebbe essere pubblicato alla fine di questo mese dalla Harvard University Press, “Il genocidio dei trent'anni: La distruzione turca delle sue minoranze cristiane 1894-1924", di cui furono coautori Benny Morris e Dror Ze'Evi. Mentre anche i curdi sono stati perseguitati durante questo periodo, almeno una tribù curda ha collaborato con l'esercito ottomano nel prendere di mira le minoranze non musulmane della regione.
Virtualmente ogni famiglia cristiana nel nord-est della Siria ha un parente o un antenato che è stato direttamente colpito dalle atrocità ottomane. Il passaggio del trauma da una generazione all'altra è noto come trauma transgenerazionale. Se gli Stati Uniti sono d'accordo con il piano della Turchia di schierare truppe nella Siria nord-orientale, Washington potrebbe diventare complice della perpetuazione del trauma transgenerazionale tra la minoranza cristiana della Siria, anche se le truppe si astenessero dagli abusi commessi ad Afrin l'anno scorso....

domenica 26 maggio 2019

Padre Firas Lufti, francescano: “Si torna a parlare dell’uso di armi chimiche per creare un falso pretesto che giustifichi al mondo un nuovo attacco internazionale alla Siria”


di Luca Collodi

Le autorità siriane e russe intendono aprire dei corridoi umanitari per consentire ai civili del nord-ovest del Paese di mettersi in salvo dall'offensiva militare in corso nella regione di Idlib contro le milizie jihadiste. Lo riferisce la tv al-Mayadin, vicina al governo di Damasco. Nell'area sono ammassati circa tre milioni di civili. Raggiunto telefonicamente ad Aleppo il padre Firas Lufti, francescano della Custodia di Terra Santa e superiore del Collegio francescano di Aleppo, della situazione nella città siriana racconta ai microfoni di Radio Vaticana Italia: 
R. - A due anni dalla liberazione, Aleppo, città nella quale i jihadisti si erano installati nella parte storica, è stata riunificata. Non si parla più di Aleppo Est e di Aleppo Ovest. Una parte di questi jihadisti si trovano però nelle vicinanze di Aleppo, verso la provincia di Idlib, roccaforte intorno alla quale ancora infuriano battaglie per la riconquista. Ad Idlib, infatti, si sono rifugiati centinaia di migliaia di jihadisti. 
Da 15 giorni sono stati registrati lanci di missili e di razzi dalla parte occupata dai jihadisti proprio sul cuore della città, abitato dai civili dove non ci sono centri militari o soldati. Risulta che ci sono sempre vittime, bambini e donne innocenti. Quindi i jihadisti lanciano i loro missili per dire che sono lì e vogliono esprimere una sorta di solidarietà con quella parte della Siria.

Gli Stati Uniti hanno il sospetto che la Siria abbia usato armi chimiche, ma è un sospetto che viene smentito un po’ da tutti 
R. – Questa è un’antifona purtroppo suonata fin dall’inizio del conflitto. I media sono stati sempre usati come arma, più efficace e più distruttivi dell’arma della guerra nel senso vero della parola. La disinformazione e soprattutto le agenzie dei caschi blu – o caschi bianchi – hanno detto molte bugie. Si ritorna al discorso delle armi chimiche per creare un pretesto per attaccare ancora di più la Siria e cercare di coinvolgere il mondo per ottenere un’opinione internazionale che giustifichi – tra virgolette – un intervento militare. Magari americano o altro, per legalizzare una manovra che andrebbe soltanto a peggiorare la situazione. Invece di trovare soluzioni concrete, politiche di dialogo, di incontri, si ricorre purtroppo subito alla violenza massiccia come se ci fosse una resistenza, una non volontà di fare la pace e di farla finita. La gente è veramente stanca di questa guerra. Questa antifona non è un buon segno e non è un buon segnale.

Sul piano umanitario, la vita ad Aleppo e in Siria sta tornando alla normalità? Le famiglie stanno ritornando a casa?
R. – Come Chiesa aleppina, abbiamo subito una perdita passando da 160 mila cristiani che eravamo prima del conflitto a 30 mila – quasi 30 mila – cristiani rimasti oggi. Questo calo drammatico e drastico è significativo per i cristiani, per il loro presente e per il loro futuro, per il peso che il loro ruolo potrà avere come cittadini della Siria. E questo fenomeno si può estendere a tutte le aree e a tutte le città siriane. Per quanto riguarda il lato umanitario, forse si sta passando dall’emergenza vera e propria, con la mancanza di acqua, elettricità e cibo, ad una fase che comunque non è meno difficile della prima. 
Non siamo passati, cioè, allo sviluppo e ad un salto qualitativo nella società perché l’embargo ha ancora conseguenze sulla società siriana. Se, per esempio, lei volesse mandarmi 50 euro per aiutarmi, non potrà farlo tramite le banche perché quando si scrive “Siria – Aleppo”, i denari vengono bloccati.

mercoledì 22 maggio 2019

Armi chimiche e 'false flag'


Ulteriori prove che l'attacco USA 'per armi chimiche' fu basato su una 'false flag'
    di Tony Cartalucci*

Ulteriori prove sono emerse che indicano che il presunto attacco chimico in Douma del 2018, in Siria, fu messo in scena dai miliziani sostenuti dagli Stati Uniti, non dal governo siriano.

Recenti rivelazioni indicano che gli Stati Uniti non solo hanno falsamente accusato Damasco di aver effettuato l'attacco, ma hanno eseguito bombardamenti contro la Siria basati su un falso pretesto. A tutt'oggi, gli Stati Uniti hanno categoricamente omesso di produrre alcuna convincente prova a sostegno delle loro affermazioni iniziali.
Al contrario, una successiva indagine condotta dall'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) ha prodotto prove schiaccianti che dimostrano che un evento 'falso flag' è stato condotto da militanti appoggiati dagli Stati Uniti. Questo includeva una bombola di gas di cloro trovata in un deposito di armi dei militanti ispezionato da investigatori dell'OPCW, che combaciava esattamente con i due cilindri usati pretestuosamente nello stesso attacco di Douma del 2018.
Mentre i militanti sostenuti dagli Stati Uniti hanno insistito nel sostenere che due bombole di gas sono state sganciate da elicotteri governativi su Douma, l'OPCW ha osservato che i presunti crateri causati dall'impatto dei cilindri corrispondevano a quelli degli edifici vicini chiaramente provocati da ordigni esplosivi.
La relazione finale dell'OPCW riguardante l'incidente di Douma ha affermato: Il team [della missione OPCW in Siria] ha osservato che un simile cratere era presente su un vicino stabile in costruzione.
L'implicazione è che i cilindri non potrebbero aver creato i crateri a loro attribuiti dai militanti (sostenuti dagli Stati Uniti) mentre i media occidentali sostengono questa versione della storia. Invece, implica che i cilindri sono stati posizionati manualmente vicino ai crateri preesistenti creati da ordigni convenzionali.
Mentre il rapporto finale dell'OPCW includeva fotografie di danni sull'edificio adiacente, non ha ulteriormente elaborato o considerate le ovvie implicazioni di crateri simili, visti esplicitamente nelle vicinanze.
Tuttavia, più recentemente, un rapporto inedito dell'OPCW intitolato "Valutazione dell'ingegneria di due cilindri osservati nell'incidente di Douma - Sintesi" (PDF), è stato elaborato: Gli esperti sono stati consultati per valutare l'aspetto del cratere osservato nella posizione 2, in particolare la sua parte inferiore.ù

L'opinione degli esperti è che il cratere osservato sia più coerente con quello risultante da una esplosione potente (come quella da un mortaio HE o da un razzo di artiglieria) piuttosto che un risultato di impatto di un oggetto che cade. Ciò è stato confermato anche dall'osservazione del tondino deformato rivolto all'esterno nella parte inferiore del cratere, che non si spiega con l'apparente non penetrazione e il danno minimo del cilindro. La probabilità che il cratere sia stato creato da un bombardamento da mortaio/artiglieria o simile, è supportato anche dalla presenza di più crateri molto simili di aspetto, in lastre di cemento in cima a edifici vicini, da un (insolitamente elevato, ma possibile) modello di frammentazione sulle pareti superiori, con le indicazioni di scheggiatura del calcestruzzo sotto il cratere, e (mentre si osservava che sono stati creati nell'angolo della stanza) bruciature nere sul fondo e sulla sommità del cratere.
La valutazione ingegneristica concluderebbe: In sintesi, l'osservazione sulla scena dei due luoghi, insieme alla successiva analisi, suggerisce che c'è una maggiore probabilità che entrambi i cilindri siano stati posizionati manualmente in quelle due posizioni piuttosto che essere lanciate dagli aerei.
La valutazione aggiunge ulteriore importanza a ciò che molti analisti hanno concluso all'epoca in cui l'OPCW ha pubblicato il suo rapporto finale ufficiale sull'incidente - che l'evento è stato organizzato.

A ben vedere, Damasco non aveva alcuna motivazione per portare a termine l'attacco del 2018. Questo si è verificato alla vigilia della vittoria totale delle forze siriane sui militanti appoggiati dagli Stati Uniti trincerati nei tunnel attorno alla capitale siriana. L'esercito siriano aveva usato un'ampia forza convenzionale per superare le posizioni dei militanti e anche se Damasco avesse creduto che l'uso di armi chimiche avrebbe accelerato la vittoria, è improbabile che a quello scopo avrebbe lanciato solo 2 bombole di gas contenenti una quantità trascurabile di cloro.
Viceversa, i militanti sostenuti dagli Stati Uniti stavano per affrontare una sconfitta inevitabile e completa, insieme a un governo degli Stati Uniti con un disperato bisogno di un pretesto per usare la forza militare per rallentare o fermare l'avanzata delle truppe siriane - avevano tutte le motivazioni per mettere in scena l'attacco chimico, per dare la colpa a Damasco, mentendo fin dall'inizio.

Se l'analisi politica del presunto attacco che ha considerato le possibili motivazioni di entrambe le parti per attuare l'attacco, non fossero ancora abbastanza esaustive, questo recente studio di ricercatori dell'OPCW ha ulteriormente sollevato la questione.
Perché il false flag di Douma è ancora importante?
La propensione di Washington ad inscenare provocazioni come pretesto per una guerra più ampia, non è connessa alla sola Douma, o alla sola Siria.
Il pretesto che portò all'invasione americana dell'Iraq del 2003 era basato interamente su una menzogna deliberatamente costruita su prove fabbricate.
E gli Stati Uniti cercano ancora di provocare la guerra in Ucraina, in Venezuela, contro l'Iran, e probabilmente ancora in Siria, nel momento in cui le forze governative (e i suoi alleati NDT) cominciano a riprendersi Idlib.

Capire come i militanti appoggiati dagli Stati Uniti hanno messo in scena l'attacco di Douma nel 2018; come i media occidentali abbiano mentito al mondo intero in seguito, per vendere il successivo intervento militare occidentale, e come gli investigatori hanno esposto prove che rivelano questo attacco come una falsa operazione (false flag), servirà a tutti per smorzare l'impatto politico delle future false provocazioni.

*Tony Cartalucci, ricercatore e scrittore geopolitico di Bangkok, in particolare per la rivista online "New Eastern Outlook".
   trad . Gb.P.  OraproSiria 

lunedì 20 maggio 2019

La società siriana e la laicità

Pubblichiamo questa riflessione di T. Meyssan  per contribuire al dibattito in corso circa 'religioni e laicità'.  Proponiamo di integrarla con la lettura del monito del compianto carissimo mons Nazzaro sul pericolo della diffusione del pensiero totalitario 'wahhabita' sottovalutata nel mondo occidentale :

di Thierry Meyssan
ll generale sunnita Hassan Turkmani aveva concepito la difesa della Siria poggiandosi sui suoi abitanti [1]. Secondo Turkmani era possibile far sì che le comunità si prendessero cura le une delle altre, pur conservando le proprie peculiarità culturali, e difendessero così il Paese.
Era solo una teoria, oggi però constatiamo quanto fosse giusta. La Siria è sopravvissuta all’assalto della più vasta coalizione della storia, così come in epoca romana sopravvisse alle guerre puniche.
Delenda Carthago, «Cartagine deve essere distrutta» [2], diceva Catone il Censore, «Bashar deve andarsene», gli ha fatto eco Hillary Clinton.
Chi ancora spera di distruggere la Siria ora sa che bisogna innanzitutto distruggerne il mosaico religioso, sicché le minoranze vengono diffamate ed elementi della comunità maggioritaria incoraggiati a imporre il proprio culto agli altri.
La Siria ha una lunga storia di collaborazione fra le religioni. Nel III secolo la regina Zenobia, che si ribellò alla tirannia occidentale dell’Impero Romano e si mise alla testa degli arabi d’Arabia, d’Egitto e dell’intero Levante, fece di Palmira [3] la sua capitale. Sotto il suo regno fiorirono le arti e tutte le comunità religiose furono indistintamente tutelate.
Nel XVI secolo la Francia fu teatro di terribili guerre di religione tra due rami del cristianesimo, il cattolico e il protestante, cui mise fine la concezione del filosofo Montaigne di relazioni interpersonali che permettano a tutti di vivere in pace.  Il progetto del siriano Hassan Turkmani va oltre Montaigne. Non basta tollerare che altri, pur credendo nel nostro stesso Dio, lo celebrino in modo diverso dal nostro. Si tratta di pregare insieme. Infatti nella grande moschea degli Omayyadi di Damasco la testa di Giovanni Battista era ogni giorno venerata da ebrei, cristiani e mussulmani [4]. È l’unica moschea in cui i mussulmani hanno pregato insieme a un papa, Giovanni Paolo II, attorno a reliquie oggetto di comune venerazione.
In Europa, dopo le sofferenze delle due guerre mondiali, i preti delle diverse religioni hanno predicato il timore di Dio su questa terra per ottenere la ricompensa nell’aldilà [5]. La pratica religiosa ha progredito, ma bisogna fortificare i cuori. Dio però non ha inviato i profeti per minacciarci. Trent’anni dopo, i giovani, che volevano emanciparsi anche da questa coercizione, hanno respinto con veemenza l’idea stessa di religione. La laicità [6], una forma di governo per vivere insieme nel rispetto delle reciproche differenze, è diventata un’arma contro queste stesse differenze.
Evitiamo di commettere lo stesso errore.
Il ruolo delle religioni non è né imporre un modo di vita, come ha fatto Daesh, né terrorizzare le coscienze, come hanno fatto gli europei in passato.  Lo Stato non ha il compito di essere arbitro nelle dispute teologiche, men che meno di scegliere tra le religioni. Come in Occidente, anche nel mondo arabo i partiti politici invecchiano male, ma quando sono stati fondati il PSNS [7] e il Baas [8] volevano fondare uno Stato laico, ossia uno Stato che garantisse a chiunque la libertà di celebrare senza timori il proprio culto. 
Questa è la Siria.
[1] Il generale Hassan Turkmani (1935-2012) fu dapprima capo di stato-maggiore, poi ministro della Difesa. Dirigeva il Consiglio di Sicurezza Nazionale, distrutto il 18 luglio 2012 dal mega attentato della NATO. Ha concepito i piani di difesa della Siria.
[2] Cartagine, nell’attuale Tunisia, era colonia di Tiro, nell’attuale Libano. Dopo la distruzione di Cartagine e il genocidio dei suoi abitanti, Annibale si rifugiò a Damasco. Roma lo inseguì fin qui, minacciando di distruggere anche la città. Alla fine Annibale si arrese e fu firmato un trattato di non-proliferazione: la Siria non avrebbe più allevato elefanti da guerra e ispettori romani avrebbero potuto visitare il Paese per verificare il rispetto del trattato.
[3] Palmira era una capitale prospera, situata lungo la via della seta che collegava la capitale cinese Xi’an ai porti mediterranei di Tiro e Antiochia. Le distruzioni e le cerimonie di esecuzioni capitali celebrate da Daesh nell’antico teatro di Palmira volevano far riferimento a questo prestigioso passato.
[4] Nella maggior parte delle culture mussulmane le moschee sono riservate ai propri fedeli. In Siria non è mai stato così: i luoghi di culto sono aperti a tutti.
[5] La credenza secondo cui in Paradiso i Buoni saranno ricevuti dalle vergini è fondata sul Corano. Si tratta però di un errore di comprensione: il Corano non è stato infatti scritto in arabo moderno, bensì in una lingua più antica che comprendeva molte espressioni armene.
[6] La laicità francese è una forma di governo instaurata dai re di Francia che, pur rivendicando il diritto di essere consacrati dalla Chiesa cattolica, rifiutavano che quest’ultima interferisse nel loro regno. Nel XVI secolo Enrico IV sottomise protestanti e cattolici a un’unica autorità cattolica (cosa che Luigi XIV rimise in causa). Gli Stati Generali del 1789 tentarono di creare una Chiesa Cattolica di Francia meno dipendente da Roma. Ma il “breve” segreto di papa Pio VI ingiunse ai vescovi di abrogare la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino che tuttavia avevano votato. Ne seguirono altre atrocità, fra cui la guerra di Vandea. Solo dopo il rovesciamento della monarchia per diritto divino nel XX secolo fu possibile proclamare la separazione fra Chiesa e Stato, conformemente al progetto politico dei re di Francia. Oggi la laicità è interpretata in senso contrario dagli avversari del fatto religioso e dagli avversari dell’islam.
[7] Il Partito Social Nazionalista Siriano (PSNS) fu fondato nel 1932 da cinque persone, fra cui il cristiano Antoun Saadé e il padre del nostro ex vice-presidente, il principe Issa al-Ayoubi, per riunire la Grande Siria, divisa dalla colonizzazione europea. Questo partito molto progressista si batté subito per l’uguaglianza tra i sessi. Durante la lotta contro l’Impero Francese, il partito cadde sotto l’influenza dei britannici. La propaganda israeliana l’ha classificato come partito di estrema destra, il che è assolutamente falso. Numerosi intellettuali di Cipro, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Palestina e Siria sono passati per il PSNS ma non ci sono restati. Il partito si è poi dissolto in numerose formazioni politiche.
[8] Il Partito Socialista della Risurrezione Araba, il Baas, è stato fondato nel 1947 intorno al pensiero di Michel Aflak. A differenza del PSNS, non ambisce soltanto a ricostituire la Grande Siria, ma a unificare tutte le regioni di cultura araba. Ogni Paese arabo ha il proprio Baas, confederato al Baas siriano. Il Baas iracheno si è reso indipendente con Saddam Hussein; negli anni Ottanta ruppe il legame con la laicità, sostenne i Fratelli Mussulmani e predicò il «ritorno alla fede». Il movimento contaminò altri partiti Baas i cui dirigenti ostentarono presto la barba e fecero portare il velo alle mogli.

giovedì 16 maggio 2019

Quella lezione al mondo intero dei Cristiani di Siria

di Fulvio Scaglione
16 maggio 2019

La guerra in Siria, come ci dimostrano le cronache, era tutt’altro che conclusa. Da giorni l’offensiva dell’esercito di Damasco e delle truppe russe contro Idlib e l’ultimo caposaldo di ribelli e jihadisti provoca altre centinaia di migliaia di sfollati e moltissimi morti tra i civili. 
L'immagine può contenere: 7 persone, persone in piedi, persone che camminano, folla e spazio all'apertoTra loro, anche sei bambini uccisi da un missile nel villaggio cristiano di Al-Squalbiyeh.
Mentre il dramma continua, proprio la situazione dei cristiani consente di allargare lo sguardo sull’intera regione. In Siria, come si sa, in questi otto anni di guerra più di metà degli abitanti ha dovuto abbandonare la propria casa. Milioni di persone si sono trasformate in sfollati interni (quasi 6,5 milioni) o rifugiati all’estero (quasi 5 milioni). Tra coloro che hanno dovuto o voluto abbandonare il Paese ci sono, ovviamente, anche molti cristiani. Secondo uno studio di Aiuto alla Chiesa che soffre, già nel 2017 il numero dei cristiani di Siria si era dimezzato, passando dal 10 al 5% della popolazione (circa 20 milioni di persone nel 2011). In certi luoghi il crollo è stato verticale: ad Aleppo, i quattro anni di assedio e di bombardamenti hanno ridotto i cristiani dai 150mila del 2011 ai 35-40 mila attuali.  
 Ai numeri, comunque indicativi, andrebbero aggiunte altre considerazioni. Per esempio: l’esodo ha spesso privato le comunità cristiane, e la Siria intera, della classe dirigente, della borghesia delle professioni e dei mestieri, decisiva soprattutto quando si dovrà avviare l’opera di ricostruzione del Paese. E l’opera indefessa delle Chiese, che si battono per far tornare in patria i loro fedeli acquistando biglietti aerei, trovando appartamenti ai senza tetto, pagando in parte o in toto le pigioni, scovando o addirittura inventando posti di lavoro, pare spesso una goccia nel mare dei bisogni. 
Per quanto si possa essere pessimisti, però, una cosa è già chiara: non succederà in Siria quanto è successo in Iraq, dove la comunità cristiana nel suo insieme è arrivata vicina all’estinzione. Prendiamo, per l’Iraq, i numeri forniti da Sua Beatitudine Louis Raphael I Sako, patriarca della Chiesa caldea cattolica. Prima dell’invasione anglo-americana del 2003 in Iraq c’era un milione e mezzo di cristiani. Nel 2014 ne restava mezzo milione. Poi, in quell’anno, arrivò l’Isis e ora i cristiani sono ridotti a 300mila. Molti dei quali tuttora ammassati nei campi profughi del Kurdistan.
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In estrema sintesi: mentre i cristiani dell’Iraq rischiano di sparire, quelli di Siria hanno sofferto e soffrono ma resistono come parte importante del mosaico etnico-religioso del Paese. Questo per due ragioni fondamentali. La prima è che la Siria ha un innegabile Dna cristiano. Qui si sviluppò, per opera di san Paolo convertito, non a caso, sulla via di Damasco, il cattolicesimo come noi lo conosciamo. Qui, tra fine Ottocento e primi del Novecento, e quasi sempre per opera di pensatori cristiani, nacque il nazionalismo panarabo e poi il nazionalismo siriano. 
Qui, negli anni atroci di questa guerra civile, le Chiese cristiane hanno saputo proporsi come un modello di intervento sociale superiore a qualunque divisione politica, etnica o confessionale.
L’altra ragione, piaccia o no ammetterlo e qualunque opinione si abbia di Bashar al Assad e dei suoi, è che in Siria i cristiani nono sono stati abbandonati. Il governo o, per chi preferisce, il regime, si è occupato dei cristiani, ha cercato di difenderli, ha esaltato il loro ruolo nella società siriana. In Iraq è successo esattamente il contrario. Essendo una minoranza pacifica e disarmata, i cristiani sono diventati il bersaglio di tutte le parti in guerra. E chi avrebbe dovuto proteggerli, soprattutto nel 2003, cioè prima i governi invasori di Usa e Regno Unito e poi il governo da loro insediato, si è di fatto disinteressato della loro sorte.
Per tutte queste ragioni ai cristiani del Medio Oriente, e soprattutto ai cattolici, servirebbe ora un segno forte di sostegno da parte della Santa Sede e di papa Bergoglio. Intendiamoci, l’attenzione è sempre stata altissima. Basterebbero a dimostrarlo la nomina a cardinale, nel 2016, di monsignor Mario Zenari, dal 2008 nunzio vaticano a Damasco, un inedito nella storia della Chiesa visto che mai prima era accaduto che un diplomatico vaticano ottenesse la porpora. E anche la nomina del patriarca Sako a membro del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
Ma è inutile nascondere che ciò che i cristiani del Medio Oriente ora si aspettano è un viaggio di papa Francesco, che è appena stato negli Emirati Arabi Uniti e in Marocco e che nel 2020 dovrebbe partecipare alla Conferenza per il dialogo cattolico-islamico organizzata a Beirut dalla Lega musulmana mondiale, anche nelle loro tormentatissime terre. La Siria è una meta troppo complessa per l’enorme valenza politica che un simile viaggio porterebbe inevitabilmente con sé. Ma non l’Iraq, dove il sostegno di Roma ai profughi non è certo mancato in questi anni. L’Iraq dove il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, si è recato lo scorso Natale. L’Iraq dove i cristiani rischiano di sparire come presenza visibile e organizzata. Diverse fonti vaticane, e in prima persona il cardinale Parolin attraverso una lunga intervista a Tv2000, hanno fatto sapere che “per un viaggio del Papa in Iraq ci devono essere quel minimo di condizioni che permettano al viaggio stesso di realizzarsi ma che attualmente non esistono”. Il pensiero va ai problemi della sicurezza, tuttora cruciali nel Paese dove, per fare un solo esempio, con ogni probabilità da cinque anni latitante lo stesso Al Baghdadi. Nondimeno, e proprio per questo, posando anche solo un piede in Iraq, papa Francesco farebbe un’ineguagliabile iniezione di coraggio a chi ha scelto di testimoniare la fede fino al possibile martirio.  In un’epoca in cui la persecuzione dei cristiani è diventata, secondo tutti gli indicatori, un allarme mondiale.
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