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lunedì 24 giugno 2019

Homs, germogli di speranza tra le macerie...


di Daniele Rocchi
S.I.R.  24 giugno 2019

Tra i quartieri distrutti di Homs la casa dei Gesuiti, nella parte vecchia della città, appare come un’oasi di pace. In fondo, dicono da queste parti, lo è sempre stata. Qui, durante i combattimenti tra l’esercito siriano regolare e le milizie dell’Esercito libero siriano e dei jihadisti di al Nusra, in un assedio durato anni, hanno trovato rifugio e ospitalità centinaia di persone di ogni fede e etnia, che avevano perso tutto a causa della guerra. È qui, nel quartiere di Bustan al-Diwan, che incontravano ogni volta padre Frans van der Lugt, gesuita olandese che ha pagato con la vita il suo impegno per i più poveri e vulnerabili.  
Un uomo di riconciliazione, un pastore con l’odore delle pecore – come ricorda spesso Papa Francesco – che non ha mai voluto abbandonare il suo gregge, fino alla fine. Forti le sue denunce contro la mancanza di cibo, medicinali e aiuti per la popolazione assediata. Il 7 aprile di cinque anni fa il gesuita fu freddato nel suo convento da un uomo con una maschera, dopo essersi rifiutato di seguirlo. Oggi riposa nello stesso piccolo cortile dove incontrava i suoi poveri che non lo hanno dimenticato. In tanti ogni giorno vengono a pregare sulla sua tomba.

Recuperare speranza. 
Padre Michel Daoud, “siro-libanese”, è uno dei quattro gesuiti che oggi abitano la casa portando avanti la missione pastorale che fu di padre Frans. “L’assedio è finito, non si spara più ma le macerie sparse ovunque – spiega – raccontano di una città che fatica a risollevarsi nonostante la voglia di rinascere. Cerchiamo di restituire un po’ di fiducia alle persone e forse questo può non piacere a qualcuno. Il nostro servizio è rivolto a tutti cristiani e musulmani, indistintamente”. Durante gli anni della guerra i gesuiti hanno assicurato acqua, cibo, energia elettrica, medicine, ma soprattutto una presenza umana costante. “Molta gente del quartiere e di altri limitrofi – ricorda padre Michel – veniva nella nostra casa a recuperare un po’ di fiducia e di speranza. I più giovani ritrovavano il piacere del gioco restando nel piccolo cortile. C’era chi ricaricava il cellulare per provare a chiamare i propri cari fuggiti all’assedio e chi invece riposava approfittando della quiete del convento. Neanche dopo il martirio di padre Frans la gente ha smesso di venire. Non ha paura e ha scelto la nostra casa come loro dimora, nella quale sentirsi al sicuro, questo per noi è motivo di grande speranza”.
Continuare a sperare per ricostruire l’uomo dalle macerie”.
È riposta in queste parole l’eredità di padre Frans che ora potrebbe avere un ulteriore riconoscimento. “Abbiamo iniziato, con la Curia generalizia, a raccogliere tutto il materiale necessario a istruire un giorno il processo per riconoscere il martirio – rivela padre Michel – nella speranza di arrivare alla causa di beatificazione”.
Oggi come allora.  La presenza dei gesuiti in questo quartiere nel cuore della città vecchia di Homs, dove ebbero inizio le prime manifestazioni di protesta contro il presidente Assad, si è rafforzata attraverso un impegno pastorale che passa per la cultura, la catechesi, l’arte, la carità, l’ascolto e la preghiera. Può accadere allora che in un cortile circondato da macerie e da palazzi crivellati dai proiettili possano ritrovarsi 800 persone a vedere un film, ascoltare un concerto di musica classica oppure, a piccoli gruppi, condividere versi e leggere poesie.
Nonostante la guerra, voluta dalle grandi potenze per i loro interessi, nei cuori delle persone c’è un desiderio di bene e di pace. La ricostruzione della Siria passa anche da qui. A che serve – è la domanda di padre Michel – costruire case se poi non abbiamo ricostruito l’uomo che le deve abitare e far rivivere? Questa è la sfida che ci attende”. Una sfida resa ancor più difficile dalla fuga all’estero di tante famiglie, molte delle quali giovani. Pochissime quelle che sono tornate. Siamo ben consapevoli – ammette il gesuita – che il destino della Siria non è tanto nelle nostre mani quanto in quello delle potenze che combattono sul nostro territorio. Ma restiamo per aiutare la gente a ricostruirsi una vita, a non perdere la speranza minacciata dalle sanzioni di Usa e Ue che ci costringono a una vita sempre più dura. Più dura delle macerie che ci circondano”.

L'immagine può contenere: spazio all'aperto
Le spalle degli anziani. 
Homs resta così stretta nella morsa della guerra. Nessuno, nemmeno sottovoce, osa parlare di dopoguerra. Qui si è più preoccupati di vivere il presente soprattutto quando si è anziani soli, privi dei parenti emigrati all’estero e senza una casa. Gli anziani sono tra i più poveri di questa città un tempo sacra al Dio Sole.
È un quadro desolante” racconta suor Valentina, una vita passata in Siria al servizio dei più poveri secondo il carisma delle suore del Sacro Cuore. La religiosa gestisce con una sua consorella una casa di ricovero per persone anziane, nella zona vecchia di Homs, voluta dalla locale chiesa evangelico-presbiteriana, guidata dal rev. Yousef Jabbour. “Quello degli anziani soli è un problema gravissimo e non solo a Homs – spiega la religiosa – la guerra, e adesso anche la povertà, hanno spinto molte famiglie a partire lasciando qui i loro anziani. Sono pochi, infatti, quelli che hanno voluto seguire la famiglia. Chi è rimasto è malato, non ha di che vivere dignitosamente, con la casa ridotta a un cumulo di macerie”.
Nella struttura sono ospitati 52 anziani di età compresa tra i 60 e i 90 anni ma altri 37 sono in lista di attesa per entrare. “Non tutti possono pagare ma la Provvidenza non ci fa mancare nulla” dice la religiosa mentre si affaccia ad un balcone. Di sotto alcuni bambini giocano. Li indica e con un sorriso dice: “sono il futuro della Siria. Molti sono nati durante la guerra non hanno conosciuto altro che macerie e violenza. La Siria deve poter ripartire da loro”.
  Ma intanto bisogna occuparsi dei “nonni” della casa che durante la battaglia di Homs è stata attaccata e saccheggiata più volte dai jihadisti. “Sono stati anni duri, non avevamo acqua e cibo, al buio per intere giornate, ma siamo rimaste accanto alla popolazione” ricorda suor Valentina. “Poi quando i combattimenti sono finiti abbiamo cominciato a ricostruire. I nostri ospiti vengono assistiti, curati e stimolati con attività anche manuali. Ci sono dei giovani che vengono a fare animazione due volte a settimana. Sono diventati i loro nipoti. Qualcuno chiede dei parenti lontani, i più fortunati ricevono qualche visita dai familiari che abitano nei villaggi vicini”.
Tutti sanno che non rivedranno mai la loro città ricostruita, nemmeno la loro casa. Ma sanno anche che non sono soli. Staremo con loro fino all’ultimo per restituire dignità alla loro vita”.
A Homs la solidarietà e la speranza camminano anche sulle spalle dei più anziani.

sabato 22 giugno 2019

La guerra per l'oro giallo nella Jazira

 SOS Chrétiens d’Orient 


In questo paese del Levante, la guerra sconvolge i cuori. Le bombe piovono, le vite si spengono. Crea orfani sradicati, vedove in lutto, nonni in lutto. L'idra è sempre imbattuta.
Oggi nuove piaghe economiche stanno cadendo sui siriani. In un mese, il prezzo di un litro di benzina è aumentato del 50%. Il tasso di cambio oscilla a scapito della valuta nazionale; un tasso che naturalmente influisce sui costi di importazione. 
[N.D.T. oggi il dollaro si cambia a 610 lire siriane, due mesi fa a 520].

Ma l'impatto ferisce principalmente nel campo agricolo, garanzia di pace sociale. "E' l'intero paese si fa morire di fame", dice Alexandre Goodarzy, capo della missione in Siria. 
Per tutti i prodotti compresi i cereali, l'inflazione è al galoppo. 
In causa, gli incendi dolosi * delle terre nel nord-est della Siria. Muri di fiamme e campi di grano che se ne vanno in fumo lasciano solo una terra annerita dietro di loro. 
350.000 ettari ** di terreni agricoli a est dell'Eufrate, in passato la principale zona di produzione di cereali ***, sono già andati in fumo, specialmente nella Jazira, la regione dei tre ori, gialla per il grano, bianca per cotone e nero per l'olio. Già, la penuria di fertilizzante aggiunta a quella di carburante e di elettricità, essenziali per far funzionare le pompe dell'acqua, aveva ridotto i rendimenti.
Le ultime mandrie di bovini che pascolano su queste terre diventate inadatte alla pastura, sono avvelenate. "Uccidere la terra è uccidere il bestiame. Ma per andare più in fretta, uccidono direttamente il bestiame abbattendo gli animali. Dopo anni di siccità e guerra civile, il raccolto di quest'anno sarebbe stato eccezionale grazie alle precipitazioni record. Il granaio ora è quasi deserto. "
L'immagine può contenere: una o più persone
Isaac Aysho anziano cristiano assiro
di Hasakah ha visto il raccolto di grano
nella terra del vicino arabo musulmano
bruciare, così è corso in mezzo al fuoco
 nonostante la vecchiaia e il fuoco forte
 gli ha bruciato il volto e le mani..
Grazie per aver dato una lezione
su come i fratelli erano in Siria e
 come abbiamo vissuto e come vivremo.
Questa è la Siria e tale rimarrà.
(Tweet di Fares Shehabi)

 La situazione già drammatica potrebbe peggiorare. 
L'oro delle spighe di grano è adiacente ai pozzi d'oro nero. Le fiamme si stanno avvicinando pericolosamente.
"Gli ultimi cristiani della Jazira, che sono rimasti in Siria nonostante tutti questi anni di pressioni, non tarderanno a partire se la situazione non cambierà. "
L' oro giallo è la chiave per garantire il fabbisogno alimentare di milioni di siriani. 
La Siria corre incontro a una grave carenza di cibo?

Nei prossimi giorni, Alexandre Goodarzy andrà nella Jazira per fare donazioni di pacchi alimentari. Un'azione di emergenza che "in questi momenti ha pieno significato." 
Per questo,  SOS Chrétiens d’Orient  ha bisogno del tuo sostegno finanziario. Supporta questa azione di emergenza, dona.

* Non abbiamo alcuna certezza sugli autori di questi fatti.
** Secondo il capo dell'autorità curda per l'agricoltura, Salmane Baroudo.
*** Ha fornito il 50% della produzione di cereali e l'80% della produzione di cotone.

mercoledì 19 giugno 2019

La sfida dei cristiani di Maaloula, che provano a rinascere dopo la devastazione

di Daniele Rocchi
S.I.R.  18 giugno 2019

Un villaggio gemellato con le sue rocce rossastre, quelle del massiccio al Qalamoun, mimetizzato come se ne avesse rubato i colori. Ti si apre davanti man mano che la strada sale fino a toccare i 1500 metri di altezza. Buche e crateri disseminati ovunque ti obbligano a una sorta di gimkana con la polvere che si alza ad ogni manovra di guida. Damasco è lontana solo 60 km, il confine con il Libano anche meno. 
È Maaloula roccaforte cristiana della Siria dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù Cristo. Uno dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco, abitato da poche migliaia di cristiani che vegliano sulle sue chiese e monasteri come quello greco ortodosso di santa Tecla, discepola di san Paolo, e quello melkita del VI secolo Mar Sarkis, dei santi Sergio e Bacco. I due santuari rupestri sono uniti da una gola scavata nel corso di millenni da pioggia e vento. È qui, secondo la leggenda, che Santa Tecla avrebbe trovato rifugio dai suoi persecutori. Prima della guerra Maaloula era una meta di tanti pellegrini che da ogni parte del mondo ogni anno venivano a pregare tra queste montagne, in una delle culle del cristianesimo siriano.


Ferite ancora aperte. Oggi Maaloula è un villaggio che porta ancora addosso, chiari, i segni della guerra, ferite profonde inferte contro la comunità locale, sfregiata come le sue chiese, le sue icone, i suoi quadri, le sue statue. Qui si è combattuto per circa nove mesi, da settembre del 2013 a maggio del 2014. A ricordare quei lunghi giorni è padre Toufic Eid, parroco melkita della chiesa di san Giorgio. E lo fa dall’alto della grande roccia che sovrasta il villaggio, a ridosso del monastero dei santi Sergio e Bacco, dove non manca di pregare il Padre Nostro in aramaico:
“Maaloula era lo specchio della convivenza siriana – ricorda il sacerdote indicando il villaggio e le sue macerie -. Lo hanno voluto mandare in frantumi per dare un segnale forte. Militarmente e strategicamente Maaloula non aveva particolare importanza. Ma hanno attaccato un simbolo della cristianità, il luogo dove gli abitanti parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù”.
La notizia della caduta di Maaloula in mano ai jihadisti fece il giro del mondo. Il villaggio fu conquistato e preso come base militare dai miliziani dell’allora Jabhat al Nusra (oggi Hay’at Tahrir al-Sham, ndr.), vicini ad Al Qaeda. Con loro, all’inizio, anche membri dell’opposizione armata del Free Syrian Army, che si erano accreditati come difensori dei cristiani locali. “Controllavano il villaggio dall’alto – spiega il sacerdote –. I terroristi, infatti, avevano occupato l’hotel al-Safir, divenuto il loro quartier generale arrivando a distruggere anche una statua della Vergine Maria, Signora della Pace, messa dai cristiani locali a protezione del villaggio”. L’hotel non esiste più, delle stanze nessuna traccia, solo una giostra piegata dalle bombe, piena di ruggine. Fu l’inizio della devastazione.  “Da quel momento in poi – aggiunge il parroco – furono solo distruzioni di case e di chiese, profanazioni, incendi, saccheggi, esecuzioni sommarie. Le suore di santa Tecla furono prese in ostaggio per circa 4 mesi. Lo stesso destino toccò a 6 giovani cristiani, cinque dei quali ritrovati poi morti. Del sesto, invece, non abbiamo più notizie. Non sono stati gli unici martiri di Maaloula”. 
Ma i ricordi del sacerdote non si fermano qui. Emerge anche un particolare “l’accanimento dei terroristi verso le immagini sacre: Le icone sono state tutte sfregiate, avevano paura di guardarle. Hanno sfregiato i volti dei santi, del Cristo, mandato in frantumi le statue. Hanno fatto a pezzi gli altari, le iconostasi, il fonte battesimale”. “Ma la cosa che mi ha colpito di più è stato il rogo dei registri dei battesimi. È come se avessero voluto azzerare la nostra fede, ma non ci sono riusciti, perché siamo ancora qui”, afferma con orgoglio padre Toufic.  Poco distanti i resti di una statua di san Giorgio posta nel cortile della chiesa omonima dove da poco è stata rimessa una statua di santa Rita da Cascia, “restaurata da uno dei nostri giovani purtroppo morto in guerra”. Arrivano dei bambini che sfidando una pioggia inattesa si mettono a giocare nel piazzale. Il parroco li guarda e sorride: “sono un segno di vita da preservare. Il futuro di Maaloula passa per loro”. È anche per questi piccoli che si danna l’anima per riparare i danni della guerra.  Cinque anni dopo essere stata ripresa dall’esercito regolare siriano, Maaloula oggi si presenta quasi disabitata: “la popolazione è fuggita e ancora non ha fatto ritorno. Le case hanno bisogno di essere rimesse in piedi velocemente. La comunità cristiana – dice il parroco – è composta adesso da circa 800 persone, poche rispetto alle oltre 3mila di qualche anno fa.  Abbiamo restaurato la chiesa e, grazie anche alla Chiesa cattolica italiana, rimesso in piedi 190 abitazioni. All’appello ne mancano ancora 130, per una spesa totale di un milione di dollari. Stiamo ricominciando da zero grazie all’aiuto di tanti benefattori sparsi nel mondo.  La priorità è dare un tetto a chi non ce l’ha più e trovare il modo di continuare a vivere.  Quest’anno ho celebrato solo un matrimonio, nessuno nel 2018. I battesimi si contano sulla dita di una mano. La vita qui è una grande sfida, sperare è una sfida. La ricostruzione delle abitazioni sta favorendo la ripresa del lavoro”.  Ne è un esempio “un piccolo ristorante che ha riaperto i battenti da poco”. Un buon viatico per qualche pellegrino “che timidamente si sta riaffacciando da queste zone ora pacificate. Lo scorso marzo – rivela padre Toufic – sono arrivati qui sei occidentali. Sono stati accolti da alcune famiglie che per pochi dollari hanno offerto loro un letto e del cibo. Era accaduto anche in passato ma poi la guerra ha impedito di proseguire nell’accoglienza. Ma speriamo di riprendere”.

Una speranza condivisa con l’archimandrita Matta Reza, priore della comunità delle suore ortodosse di Santa Tecla. I mesi passati nelle mani dei jihadisti che le avevano prese in ostaggio non hanno tolto il sorriso alle religiose che continuano la loro missione nel monastero “ripulito dal sangue dei combattenti, rimesso in piedi e reso di nuovo agibile”. “Si sono lasciate il passato alle spalle per avere pace nel cuore e per aiutare la gente a superare il momento. Guardano avanti nonostante tutto” afferma il priore che non esita a citare il passo evangelico di Luca, “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”. Non c’è tempo a Maaloula per guardare indietro. “Nonostante tutta la distruzione la luce del Sepolcro ci ha illuminato. Le porte degli inferi non si sono aperte. Per questo incoraggiamo le famiglie, le pietre vive di questa terra, a restare saldi nella fede”  ribadisce l’archimandrita Reza. Un attimo di pausa prima di riprendere il discorso per dire quello che non ti aspetti: "anche tra i jihadisti vi era gente buona, il bene è dappertutto":  “I nostri cristiani in fuga da Maaloula sono stati salvati dai musulmani dei villaggi confinanti. Ricostruire è possibile, lo stiamo già facendo. Siamo figli della vita e chi crede nella vita può farlo. Ogni parola buona, ogni gesto di pace contiene un germe di Dio”.  È quasi sera quando, uscendo da Maaloula in direzione Homs, sale il desiderio di lanciare un ultimo sguardo alla cima più alta, a quella roccia dove è tornata la statua di Maria, Signora della pace. A riportarla lassù sono stati cristiani e musulmani, insieme. 
Maaloula è tornata in buone mani.

martedì 18 giugno 2019

Testimonianza: "I Caschi Bianchi sono più pericolosi dei terroristi"


Scopri perché, ascoltando questa importante testimonianza dalla città di Mesyaf che è stata recentemente attaccata da Israele e dai terroristi sostenuti da Israele, nel nord di Hama e Idleb.  Ali Habib, un insegnante in pensione, eloquentemente descrive il crescente antagonismo di Europa e Stati Uniti dopo otto anni di una guerra punitiva imposta al popolo siriano dai governi occidentali e dai loro alleati regionali.
Queste sono le voci del popolo siriano che non sono mai state ascoltate in Occidente. I media di stato occidentali le hanno deliberatamente messe a tacere. Se fossero state ascoltate, questa guerra non sarebbe mai potuta accadere, per non rimarcare che è durata otto anni terribili ed ha lasciato la Siria danneggiata e sanguinante..

      Trascrizione completa:
"In primo luogo, mi chiamo Ali Habib. Vengo da un villaggio vicino a Mesyaf, ma trascorro la maggior parte del mio tempo a Mesyaf. Ho assistito a numerose aggressioni terroristiche su Mesyaf, durante una di queste ero a soli 50 metri di distanza quando hanno preso di mira l'ospedale pochi giorni fa. Quindi, questo ospedale che sta curando i residenti di questa regione, nonostante tutta la pressione e l'embargo imposti alla Siria, e che sta trattando pazienti e feriti, è stato colpito da tre missili. L'ho visto con i miei occhi. Qual è lo scopo di bombardare un posto del genere? Qual è lo scopo del bombardamento di un ospedale? Perché quella gente (l'Occidente) non scrive dei terroristi che prendono di mira l'ospedale? Perché non scrivono sull'assedio economico che ha colpito tutti noi psicologicamente, socialmente e moralmente? Il nostro stato psicologico non è più normale, il nostro stato psicologico non è più normale!
Perché tutto il mondo parla di Caschi Bianchi e armi chimiche e "useranno il CW ..." e "il governo siriano ha usato il CW ..."... Di quali armi chimiche stanno parlando? Ci prendono di mira quotidianamente usando veleni psicologici, sociali ed economici. Ci hanno appesantito in tutti i sensi e sono loro che lo hanno causato e ora sostengono che ora vogliono proteggerci e proteggere il popolo siriano. No, non è giusto. Vogliono distruggere il popolo siriano, non vogliono distruggere il Governo siriano, vogliono distruggere il Paese, distruggere la Siria come Paese.
Ieri, hanno bombardato (lì) e ho visto le persone ferite con i miei occhi, cosa hanno fatto di sbagliato questi civili innocenti? Perché al-Jazeera e al-Arabia e France 24 e i media americani non riferiscono di questi civili che sono stati uccisi? Perché non riferiscono sull'ospedale che è stato bombardato? Hanno preso di mira l'ospedale per circa sei mesi, ma non erano riusciti a colpirlo direttamente. Certo, i proiettili erano atterrati lì intorno, ma alla fine hanno colpito l'ospedale e alla fine hanno ferito persone e medici che stanno salvando la gente. Ma tutto ciò, sfortunatamente, gli occidentali non lo vedono ...
Siamo abituati... Io sono uno di quelli che erano soliti credere che i Francesi, gli Inglesi e i Tedeschi avessero un po' di moralità. Sappiamo già che gli Americani non hanno morale, ma vedere che i Francesi, i Tedeschi e gli Europei in generale sono subordinati all'immoralità americana - questa è una novità per noi e per noi è frustrante. Onestamente, si sta diffondendo un antagonismo interno (siriano) nei loro confronti e noi non eravamo così. Li amavamo. Quando vedevo uno straniero come te qui, sarei corso da te per vedere di cosa potresti aver avuto bisogno. Parlo bene il francese, userei la mia conoscenza del francese per aiutarti. È così che eravamo soliti mostrare il nostro amore agli stranieri quando venivano nel nostro Paese. Ora non vogliamo vedere nessuno di loro perché tutti loro sono bugiardi e tutti loro sono ingannatori, tutti ci stanno assediando e tutti stanno stringendo il cappio su di noi e tutti ci stanno strangolando a morte, i cittadini, noi - i civili... o io come civile, sono un civile, sono un insegnante in pensione. Che crimine ho commesso per essere colpito da un missile? O perchè la mia macchina deve essere distrutta da un ordigno o essere rubata dai miliziani? Gli Europei non vedono questo, gli Europei hanno in mente solo che vogliono rovesciare il regime di Bashar al-Assad. Noi, il popolo, siamo soddisfatti di Bashar al-Assad. Cosa c'entra questo con voi? cos'è per voi? Siamo soddisfatti di lui. Presto Bashar al-Assad farà nuove elezioni e noi forse lo eleggeremo o no. Decidiamo noi, non voi.
Io capisco così questa questione, della manipolazione delle persone e dei pensieri delle persone, che indebolisce le persone in questo modo. È assolutamente anormale! È inaccettabile! Spero che la nostra voce raggiungerà gli Europei. Li amavamo molto. Eravamo abituati a trattare con loro. Sono stato in Europa spesso. Sono stato in Europa 11 volte. Ho visitato tutti i paesi europei e sono stato contento di loro, ma ora, sinceramente, non provo buoni sentimenti nei loro confronti a causa delle loro posizioni sbagliate nei nostri confronti. Quindi spero che la nostra voce raggiungerà alla fine gli Europei e che sappiano la verità su ciò che sta accadendo in Siria.
Le persone sono come le vedi ... il livello di sicurezza in Siria era migliore di qualsiasi altro posto al mondo. Sono stati spesi miliardi per creare questo e sfortunatamente, gli Europei e gli Americani hanno partecipato alla distruzione di questo paese.
Perché? Quali reati abbiamo commesso? Quali crimini hanno commesso queste persone, che vivevano in completa sicurezza? Avrei potuto dormire in strada e nessuno si sarebbe avvicinato a me. Ho dormito per le strade di Parigi e nessuno mi ha rapinato, si poteva dormire nelle strade qui e nessuno lo avrebbe derubato. Eravamo così al sicuro qui, ma voi, Europei, siete venuti da noi e avete fatto quel che ci avete fatto! Spero che la nostra voce vi raggiunga. Spero che la nostra voce raggiunga la gente... Credo che il popolo europeo sia diverso dai suoi governanti, ma per loro essere subalterni agli Americani in questo modo, è scioccante. È increscioso. Una disgrazia. Gli Europei sono noti per la loro moralità mentre gli Americani sono noti per essere dei gangster. Sì, sto parlando di un'esperienza culturale personale. Quindi, è così che amavamo gli Europei, ma purtroppo, ora non li amiamo affatto.
Un deposito dei White Helmets a Yarmuk, un sobborgo di Damasco, nella zona allora controllata dall'ISIS. Con un uomo davanti che sventola la bandiera ISIS. E il segno dell'indice alzato.

I Caschi Bianchi poi sono molto più pericolosi dei militanti che massacrano la gente. Quello che è successo riguardo ai militanti, non te l'ho detto, esiste la pratica della decapitazione nel nome dell'Islam, in nome della religione, mentre la religione non ha nulla a che fare con tutto ciò ma i Caschi Bianchi sono più pericolosi. I militanti hanno usato coltelli e pistole esplicitamente, mentre i White Helmets stanno lavorando politicamente. Voglio dire che stanno montando messinscene per far venire più missili a bersagliarci. Siamo stufi dei razzi e siamo stanchi di uccisioni.

I Caschi Bianchi sono più pericolosi di quelli che hanno massacrato la gente, questo è un fatto innegabile. Loro (gli Elmetti Bianchi) stanno spingendo gli Americani e gli Europei a bombardarci con il falso pretesto che stiamo usando armi chimiche contro la nostra stessa gente. Noi, il popolo… Quindi, i Caschi Bianchi sono molto più pericolosi di quelli (i terroristi) che macellano la gente nelle strade. I White Helmets sono un'organizzazione terroristica, più terrorista e più sanguinaria di quelli che massacrano le persone nelle strade - e questa è probabilmente l'opinione pubblica qui. Sappiamo chi sono i Caschi Bianchi. I Caschi Bianchi sono più pericolosi di qualsiasi terrorista.
Tu sei benvenuto.."
       Fine della trascrizione.

https://www.patreon.com/posts/syria-testimony-26618665

sabato 15 giugno 2019

I mattoni della ricostruzione siriana tenuti insieme con la malta della sofferenza.


Viaggio negli ospedali cattolici di Damasco e Aleppo

di Daniele Rocchi
Sir, 13 giugno 2019

Un crocifisso insanguinato, privo di arti, coronato da proiettili e bossoli sparati durante la guerra. Che non è ancora finita. Impossibile non guardarlo mentre si passa nel lungo corridoio che dalla cappella porta ai padiglioni dell’antico (1905) ospedale cattolico di Saint Louis di Aleppo (60 posti letto), città martire siriana, gestito dalle suore di San Giuseppe dell’Apparizione. Un’immagine che meglio di ogni parola descrive quanto avviene in questo nosocomio e in altri due, quello italiano e l’altro francese – sempre dedicato a Saint Louis – di Damasco, gestiti rispettivamente dalle suore salesiane e dalle Figlie di san Paolo. Veri e propri “ospedali da campo”, per dirla con Papa Francesco, che fanno parte del progetto “Ospedali aperti”, avviato in Siria nel 2017, per iniziativa del nunzio apostolico, card. Mario Zenari, con l’apporto sul campo di Avsi. Lo scopo è uno solo: offrire cure gratuite ai più poveri e ai più vulnerabili. Bombardati, danneggiati, vessati dalle sanzioni di Usa e Ue, ma sempre aperti e pronti a curare.

Dal novembre 2017 ad oggi i tre nosocomi hanno erogato 22.779 servizi medici gratuiti con moderne attrezzature sanitarie. E adesso, per la fine del 2020 si punta a quota 50 mila. “Poche gocce nell’oceano”, verrebbe da dire, guardando la drammatica situazione sanitaria della Siria, dove a causa della guerra più della metà degli ospedali pubblici e dei centri di prima assistenza sono chiusi o parzialmente agibili e dove quasi due terzi del personale sanitario ha lasciato il Paese. Ma poi camminando nelle corsie di questi ospedali ci si accorge che non è così.
Tre gocce. Una di queste gocce è Ibrahim. Oggi balla, salta, solleva le gambe, muove la caviglia. E sorride. Il tempo di risistemarsi i capelli impomatati e poi torna a sedersi a terra sui cuscini. Quel giorno, di due anni fa, nella zona di Ghouta, alle porte di Damasco, quando un razzo gli fece crollare la casa addosso provocandogli fratture scomposte alla gamba, sembra oramai solo un brutto ricordo. “Sono stato lunghi mesi fermo, non potevo camminare e lavorare – ti racconta mentre si carezza la gamba operata piena di cicatrici – non avevo soldi nemmeno per comprare una caramella a mio figlio. Se oggi posso tornare a sognare un futuro per me e per la mia famiglia è anche grazie a chi mi ha permesso di curarmi e ai medici dell’ospedale francese di Damasco”.
Un’altra goccia è Evangelina Strambouli, anziana signora di origini greche, cristiana ortodossa. All’ospedale cattolico di Aleppo le hanno salvato la vita due volte. Non ha più nessuno, il marito è morto, ed è vegliata ogni giorno dal suo vicino di casa musulmano dal nome che è tutto un programma, Fadi, ovvero “Angelo”. E poi c’è Ahmed che dal suo letto non cessa mai di ringraziare i medici che lo hanno curato invocando su di loro la benedizione di Allah, seguito a ruota dal figlio, Imaad. Vengono da Hama, nella Siria centrale. Senza le cure nell’ospedale cattolico di Aleppo, dice “sarei già morto. Non ho parole per ringraziarvi”.
 Il primario dell’ospedale aleppino, George Theodory, risponde a tutti con un sorriso. Ma poi non nasconde le difficoltà che ci sono nel portare avanti questa missione. “Dei 141 ospedali e centri clinici attivi ad Aleppo prima della guerra ne sono rimasti funzionanti solo 44. I pazienti sono tanti e l’embargo Usa e Ue li costringe a lunghe attese per avere esami diagnostici. I nostri macchinari hanno bisogno di manutenzione e di pezzi di ricambio che non arrivano. Ma grazie al progetto del nunzio Zenari ora possiamo disporre di nuove apparecchiature, molte delle quali donate dalla Conferenza episcopale italiana. Cerchiamo di curare al meglio con ciò che abbiamo”.
Il sogno dei siriani. Ibrahim, Evangelina e Ahmed sono solo alcune delle migliaia di siriani che hanno ricevuto cure gratuite nell’ambito del progetto “Ospedali aperti”. I loro sogni sono quelli di tutti i siriani: “vedere la fine della guerra, tornare a condurre una vita serena con un lavoro e una casa”. A raccogliere questi sogni sono un team di assistenti sociali, tra loro Dhalia, Boshra, Shaza, Rama, Tala e Rima, guidate dal coordinatore del progetto, George N. e dalla capo progetto Flavia C. Sono loro per prime ad accogliere le persone che vengono a chiedere assistenza medica e ad ascoltare i drammi della guerra, della povertà. Ma anche i loro sogni, il primo su tutti: guarire e vedere il nostro Paese risorgere”.

E sono sempre loro ad accompagnarle nel percorso di cura che non è solo fisica ma anche morale e spirituale. La cosa più bella? “Vedere la persona guarita e pronta a ripartire con nuova forza e speranza”. Come il piccolo Amer, 11 anni di Deir Ezzor, rimasto ustionato dopo un bombardamento, impossibilitato a camminare e oggi sulla via della guarigione grazie anche ai sacrifici della madre che per restare con lui a Damasco si alza all’alba per vendere pagnotte di pane in strada. Non mancano i ringraziamenti che a volte assumono le sembianze di piccoli dolci o di profumi. “Il loro grazie – dichiara George – è anche per tutti quei donatori, piccoli e grandi, che da ogni parte del mondo contribuiscono al progetto. Senza di loro non potremmo fare molto”.

Tra disperazione speranza. Lo sanno bene suor Carol Tahhan, salesiana, e suor Fekria Mahfouz, vincenziana, che dirigono rispettivamente l’ospedale italiano (55 posti letto) e quello francese della capitale siriana. Quest’ultimo con i suoi 101 posti letto è il più grande dei tre nosocomi del progetto che ha da pochi giorni avviato la sua seconda fase che pone tra i suoi obiettivi anche un software gestionale per mettere in rete i tre ospedali e la formazione tecnica con corsi di aggiornamento e training per il personale sanitario. “Con il progetto del card. Zenari abbiamo aumentato le prestazioni mediche” afferma suor Fekria mentre scruta il display con le immagini delle 36 telecamere a circuito chiuso messe a protezione del nosocomio colpito da 40 colpi di mortaio (ben 4 volte nel gennaio 2018) durante gli ultimi anni. Nel suo pc mostra anche le foto dei feriti e dei morti portati in ospedale dopo un attacco, le fasi concitate nel pronto soccorso, le cure, le operazioni di urgenza, “la disperazione per una vita persa e la gioia per una salvata”.
Oggi – racconta – la situazione è molto cambiata. Non si combatte più se non nella zona di Idlib, ma c’è un’altra guerra che stiamo fronteggiando e si chiama povertà. Nel Paese il salario minimo mensile si aggira sui 50 dollari, circa 18 mila lire siriane (government salary). Una miseria”.


Anche la religiosa punta l’indice contro le sanzioni Usa e Ue che di fatto, afferma, “hanno conseguenze pesanti sulla popolazione. Elettricità, gas e benzina sono razionati. Problemi anche a livello sanitario dove il divieto di transazioni con banche internazionali impedisce a molte aziende farmaceutiche estere di commerciare con la Siria provocando mancanza di medicinali e difficoltà nel reperire forniture e macchinari sanitari. Nonostante tutto andiamo avanti, il nostro carisma è quello di accogliere i poveri. La popolazione si fida di noi, ha rispetto della nostra missione. Cerchiamo di stare al loro fianco curando e dando conforto e ascolto”.
Curare la persona significa anche curare la sua famiglia – conferma suor Carol, direttrice dell’Ospedale italiano.
La sofferenza accomuna tutti senza distinzione. Può diventare la malta per cementare la ricostruzione del nostro Paese”.
Le prime medicine che somministriamo sono la fraternità e l’accoglienza. Tutti vengono trattati con la dignità che meritano, sono malati bisognosi di cure” ribadisce il primario del nosocomio italiano, Joseph Fares, specialista in chirurgia generale e laparoscopica, mentre compie il suo giro tra le camere e i laboratori molti dotati di nuovi macchinari donati dalla Cei grazie ai fondi dell’8×1000. “La guerra lascia segni e ferite difficilmente rimarginabili. La medicina più efficace è l’umanità. Trattare le persone con umanità rispettando la loro dignità. Il bene è contagioso, si trasmette e ricostruisce corpo e anima. Nei nostri ospedali cattolici combattiamo la povertà e la guerra a colpi di bisturi, medicine e tanto amore”. Se vinceremo questa guerra? “Stiamo già vincendo. Ogni volta che un malato viene curato nel corpo e nello spirito per noi è una vittoria”.
  Come ricorda il Crocifisso insanguinato di Aleppo…

mercoledì 12 giugno 2019

Contro chi combatte l'esercito arabo siriano a Idlib ?

L'autrice di questa breve ma eloquente relazione sulle forze in campo presenti nei campi di battaglia insanguinati di Idlib è Rim ‘Arnuq, una ginecologa siriana che vive a Damasco.


Tre giornalisti legati alla [cosiddetta] ‘’opposizione’’, che si spostano in tutte le città e villaggi della provincia di Idlib, anche rischiando perchè pure per i fedeli all’opposizione vige il divieto di riprendere [luoghi sensibili], sono usciti con un film, che riassume e spiega quel che sta accadendo in quella regione, e rivela al mondo lo scandalo del ruolo sporco di Erdogan e quali siano le organizzazioni moderate.
La provincia di Idlib è controllata da varie organizzazioni terroristiche: - Jabhat al-Nusra. Gruppo armato jihadista salafita (Fronte del soccorso al popolo di Siria!), in arabo: جبهة النصرة لأهل الشام - Partito Islamico del Turkestan. Jihadisti uiguri. - Jaish al-Fatah (Esercito della Conquista), in arabo: جيش الفتح - Ahrar al-Sham al-Islamiyya. Gruppo islamista-integralista siriano che raduna varie formazioni minori. ( Movimento degli Uomini liberi della Grande Siria), in arabo: حركة أحرار الشام الإسلامية - L'Esercito Siriano Libero, ESL (in arabo: الجيش السوري الحر Queste formazioni controllano 38 checkpoint lungo le strade principali che collegano Bab al-Hawa a Jisr al-Shughur, Bab al-Hawa a Khan Shaykhun e Ma'arat al-Nu'man a Jisr al-Shughur. 21 checkpoint del Fronte al-Nusra, presente nella lista occidentale dei movimenti terroristi! Esso è sostenuto dal Qatar e dalla Turchia. 6 checkpoint sono controllati dal Partito Islamico del Turkestan alleato di al-Nusra. 10 checkpoint sono controllati da Ahrar al-Sham. All'Esercito Siriano Libero restano quindi soltanto 2 checkpoint!
Il Fronte al-Nusra braccio armato di al-Qaida in Siria, è dotato di polizia islamica, uffici di reclutamento, tribunali e prigioni. La prigione più grande è quella di al-‘Iqab, che si trova vicino a Kafr Nabl. La città di Idlib è governata congiuntamente da Jeish al- Fatah, Fronte al-Nusra, Ahrar al-Sham e da un battaglione uzbeko che era prima in lotta con al-Nusra e altre fazioni.
Mentre Jisser al-Shugur e le sue campagne sono sotto il controllo del Partito islamico del Turkestan con gli Uiguri provenienti dalla Cina e altri combattenti arrivati dall'Asia centrale, controllati da al-Nusra. In più, 10-20 mila turkmeni, con le loro famiglie, che hanno giurato fedeltà al leader del movimento dei talebani afgani.
Secondo questi giornalisti, la presenza del Turkistan è molto più importante del previsto: si tratta di circa 10.000 combattenti. Le cosiddette fazioni moderate non hanno checkpoint e controllano a malapena il loro quartier generale. Praticamente inesistenti sul terreno!
Ecco contro chi sta combattendo il nostro esercito siriano a Idlib. Mi parlavate di bambini? Osservate quanta innocenza nei loro occhi e i ‘’geni siriani’’ sui loro volti e capirete la storia dall’inizio alla fine.
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venerdì 7 giugno 2019

Sanzioni fino alla morte

Foto: Orlok / Shutterstock.com

Le sanzioni dell'UE contro la Siria hanno esacerbato una terribile situazione umanitaria.
di Karin Leukefeld
trad. Gb.P. OraproSiria
Le forze militari occidentali presumibilmente vogliono punire il presidente Assad. In effetti, incontrano un popolo malconcio che avrebbe ancora il potere mentale di alzarsi dalle rovine della guerra, se glielo consentissero. L'Unione Europea sta perseguendo una perfida duplice strategia: da un lato, le recenti sanzioni prorogate contro la Siria ne ostacolano la ricostruzione; dall'altra parte, le persone che sono sul lastrico, bisognose di tutto, devono essere alimentate con elemosine "umanitarie". Ai siriani viene impedito di ricostruire le case , mentre si continua a rifornirli di tende.
Il Consiglio europeo (1) ha esteso le sue "sanzioni economiche unilaterali" ( da ora Sanzioni) contro la Siria per un altro anno fino al 1 ° giugno 2020. La misura è presentata "contro il regime" e "in linea con la strategia UE-Siria” (2), si legge in un comunicato stampa. La violenza del "regime siriano" contro la popolazione civile sta continuando, sostiene l'UE, tuttavia l'UE si impegna a "una soluzione politica duratura e credibile al conflitto in Siria nell'ambito della risoluzione ONU N.2254 e del comunicato di Ginevra del 2012".
Le Sanzioni dell'UE, imposte per la prima volta nel 2011 e da allora sempre più severe e ampliate, includono un embargo sul petrolio, divieti di investimento e il congelamento di beni detenuti dalla banca centrale nell'UE. Includono restrizioni all'esportazione verso la Siria di attrezzature e tecnologia "che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna, tipo attrezzature e tecnologia per il monitoraggio o l'intercettazione di Internet e conversazioni telefoniche".
Di fatto, quasi tutti i tipi di tecnologia sono interessati: pezzi di ricambio e strumenti per macchine tessili o da stampa, per veicoli, per aeromobili, per la distribuzione di energia elettrica, per dispositivi medici e materie prime di ogni tipo.
Attualmente, 269 persone e 69 società sono colpite dalle Sanzioni "perché sono responsabili, o beneficiano e sostengono e/o sono associate al violento giro di vite sulla popolazione civile siriana". Cinque persone e una società presenti sull'elenco sono state cancellate. Il motivo è che le cinque persone sono morte e la compagnia è stata sciolta.
Non è noto se le critiche dell'ONU relative alle Sanzioni contro la Siria siano state prese in considerazione. Non è nemmeno chiaro chi abbia preso la decisione ed esattamente come: c'è stato un incontro in cui sono stati ascoltati consigli e opinioni diverse? È stata ripresentata una nuova domanda? È stato deciso per telefono?
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sull'impatto delle Sanzioni, Idriss Jazairy, aveva dichiarato l'anno scorso (2018) dopo una visita in Siria che ogni singolo siriano e anche il lavoro delle agenzie di soccorso soffrono dalle sanzioni punitive. (3) La situazione in Siria causata dalla guerra è "terribile", dice Jazairy, "ma voglio sottolineare che le misure punitive peggiorano solo di molto la situazione". Particolarmente "terrificante" è che "l'eccessiva severità delle sanzioni costringe gli operatori umanitari ed economici a trovare meccanismi irregolari di pagamento". Ciò aumenta i costi, ritarda le consegne, riduce la trasparenza e rende impossibile per alcune aziende continuare il loro lavoro".
Pochi giorni dopo la sua dichiarazione del 17 maggio 2018, il Consiglio europeo ha esteso le sanzioni fino al 1 ° giugno 2019 (e ora sono state prorogate anche per il 2020 N.D.T.).
Stanislav Grosbic, presidente del gruppo dei parlamentari cechi "Amicizia con la Siria", ha dichiarato all'agenzia di stampa siriana SANA a Praga il 14 maggio 2019, che lo scopo delle sanzioni è stato (ed è) quello di ostacolare la ricostruzione in Siria e la lotta contro i terroristi ancora attivi in Siria. “L'UE si è schierata con i terroristi in Siria”, ha riferito Grosbic all'agenzia SANA. Le misure punitive gravano non solo sulla Siria ma anche sugli stati dell'UE. La Siria si sta allontanando dall'UE e sta stabilendo legami economici con la Russia, la Cina, l'India e altri stati.
Sanzioni e assistenza - le due facce della medaglia.
Uno sguardo al sito web dell'Ufficio federale degli affari esteri, digitando "Politica estera, situazione in Siria" evidenzia che l'attuale decisione di Bruxelles (sulle sanzioni N.D.T) non vale la pena di essere riportata. Invece, si trova una "Scheda informativa sulla Siria" in cui viene chiarito "Aiuto per la Siria e i suoi rifugiati". La data del rapporto è febbraio 2018, più di un anno fa (4). Di conseguenza, l'aiuto umanitario è aumentato da 52 milioni di euro nel 2012 a 720 milioni di euro nel 2017. Il 44% di questo denaro è andato in Siria nel 2018 e il resto nei paesi vicini e nella regione. Oltre agli aiuti umanitari, saranno messi a disposizione fondi per la "stabilizzazione". Mentre nel 2013, 59 milioni di euro, il totale annuo è sceso rapidamente nel 2014 e il 2015 ed era nel 2017 a 41 milioni di euro.
È interessante notare la spiegazione fornita dal Ministero degli affari esteri per il cosiddetto aiuto alla stabilizzazione:
Il Ministero per gli Affari Esteri sostiene i processi politici in situazioni di crisi per promuovere la risoluzione dei conflitti armati. Spesso sostiene un governo centrale come in Iraq, o una opposizione moderata come in Siria (come i jihadisti di Idlib N.D.T.). In Siria, ad esempio, i fondi per stabilizzare la protezione civile siriana i caschi bianchi (vedi qui chi sono N.D.T) — sono cofinanziati e le strutture amministrative sono mantenute in modo che non vi sia un vuoto completo in assenza dello stato siriano. In Iraq e in Libia, ad esempio, dopo la liberazione dal cosiddetto Stato Islamico, tra le altre cose, l'elettricità e l'approvvigionamento idrico vengono ripristinati al funzionamento, affinché gli sfollati interni possano ritornare ai loro luoghi di origine e per le persone la soddisfazione per la pace sia palpabile. "
Ingentissime somme di denaro sono andate per la "stabilizzazione" attraverso la creazione di strutture amministrative a Idlib, oggi controllata per lo più da Hayat Tahrir Al Sham (HTS), che è organicamente affiliato ad Al Qaeda come "Alleanza per la conquista della Siria", l'ex Al Nusra. E dopo la "liberazione" di Raqqa l'allora ministro degli Esteri Siegmar Gabriel, ha promesso all'allora governo locale controllato da SDF, Forze democratiche siriane, 10 milioni di euro per la produzione di energia elettrica e il ripristino delle forniture di acqua, e per rimuovere le mine.
Gli Stati Uniti hanno inviato "esperti" per aiutare i civili a ricostruire strutture amministrative. Ma non è stata offerta un'assistenza paragonabile alla parte del Paese controllata dal governo siriano e considerata dalle persone che vivono lì pure liberata da IS, in linea con la "Strategia dell'UE sulla Siria 2017" sopra menzionata.
Economia di guerra - guerra economica
In Siria si vede il legame diretto tra le sanzioni e gli "aiuti" distribuiti attraverso l'ONU e le organizzazioni internazionali nel paese e nei campi profughi intorno alla Siria. "Perché ci viene impedito di ricostruire il nostro paese dopo la guerra?", chiedono gli uomini d'affari che l'autore ha incontrato ad Aleppo in aprile. "Perché ci viene impedito di acquistare pezzi di ricambio per le nostre macchine distrutte, importando macchine, utensili, materie prime?". La Siria ha formato ingegneri che possono costruire case, aziende che possono ricostruire le linee elettriche e i cavi necessari. "Hanno volontariamente distrutto e derubato le nostre fabbriche di tutto il macchinario", ha continuato un uomo d'affari, riferendosi al saccheggio delle 17 zone industriali all'interno e intorno ad Aleppo da parte del "Free Syrian Army" nel 2012 e 2013.
"Invece di permetterci di ricostruire il Paese, stanno inviando organizzazioni di soccorso per tenere le persone in rifugi e tende, danno una mano per nutrirli, solo quanto basta per evitar loro di morire. "Potremmo ricostruire tutto: case, fabbriche, ospedali. Potremmo dare lavoro alle persone. Ma loro non lasciano che accada! "
La rabbia e l'incomprensione per le sanzioni dell'UE sono ormai diffuse in tutto il Paese. "Perché i turisti non vengono in Siria?", chiede un giovane albergatore, che durante la guerra era considerato un simpatizzante per l'opposizione religiosa. "La guerra è quasi finita, abbiamo investito: nuove lampade, rimesso i telefoni, messo i tappeti, ritinteggiate le pareti, acquistato nuove lenzuola e asciugamani, ma nessuno viene dall'Europa. Perché? ". È sorpreso di sapere che le compagnie aeree europee non possono volare in Siria e le compagnie di assicurazione non possono assicurare gruppi di viaggio a causa delle sanzioni dell'UE. "E perché lo state facendo?" chiede incredulo. "Perché a loro non piace il presidente? Ma hanno colpito noi, la classe media, le persone comuni."
Ad Aleppo, le auto stanno in fila su due a tre corsie davanti alle stazioni di servizio per rifornirsi di carburante. L'amministrazione statunitense ha ulteriormente rafforzato l'embargo sul petrolio già esistente nel marzo 2019 (5). Ciò non riguarda solo la Siria, ma anche l'Iran, che da anni fornisce petrolio e gas alla Siria perché al governo siriano viene negato l'accesso alle proprie risorse energetiche nazionali ad est dell'Eufrate. Prima erano i "ribelli moderati" dell' "Esercito Siriano Libero" che occupavano i giacimenti petroliferi. L'UE ha revocato l'embargo petrolifero imposto nel 2011 per questi gruppi, in modo che potessero persino trafficare il petrolio siriano fino alla Turchia. Per coprire i bisogni interni di petrolio e di gas necessari per cucinare, il governo di Damasco ha accettato un commercio: gli uomini d'affari hanno comprato il petrolio dai rispettivi occupanti (Esercito Siriano Libero, IS, curdi) e poi lo rivendevano al governo. Di conseguenza, l'opposizione siriana all'estero accusò Damasco di collaborare con "IS".
Poiché i giornalisti stranieri in Siria nelle stazioni di servizio sono trattati preferenzialmente, l'autrice è stata in grado di osservare la folla solo più tardi la sera. Per prevenire la corruzione e le controversie, la distribuzione di razioni di carburante per auto è di 20 litri ogni 5 giorni, per i taxi 20 litri ogni 2 giorni al prezzo/litro sovvenzionato dal governo di 0,50 centesimi di dollaro USA, monitorato dai rappresentanti del consiglio comunale di Aleppo. "Osserva attentamente e scrivi tutto con libertà", ha detto il vice governatore Mohammad Hamoush, che ha controllato personalmente la stazione di servizio quella sera. E questo "lo dobbiamo alle sanzioni degli Stati Uniti e dei governi in Europa".
Distruzione della società
Le sanzioni favoriscono il mercato nero, e fuori dalle città, lungo le strade principali, i ragazzi si siedono accanto alle lattine e vendono la benzina a un prezzo vertiginoso di quasi $ 1,50. A Damasco, la vendita di benzina a questo prezzo elevato è stata ufficialmente approvata dal governo per la prima volta, come un "caso eccezionale in una situazione eccezionale". Gli uomini d'affari hanno il permesso di comprare petrolio e gas e venderli in Siria, come riescono.
L'obiettivo delle sanzioni e degli embarghi petroliferi perseguito dall'Occidente è l'indebolimento e la divisione della Siria. Per attutire la sofferenza - perché altrimenti altri rifugiati potrebbero venire in Europa - l'aiuto è distribuito ai bisognosi, in Siria e nei campi profughi in Turchia, Giordania e Libano. Il sostegno per il ritorno è - sebbene il governo federale lo incoraggi - politicamente boicottato.
"Espellono le persone fuori dalle loro case e le mettono nelle tende", così riassume un critico dell'impegno umanitario delle Nazioni Unite e degli attori privati internazionali. "Trasformano le persone in mendicanti" ci dice il politico dell'opposizione Mouna Ghanem che aveva criticato già nel 2012 il collocamento nei campi profughi. "Le persone non hanno lavoro e si abituano solo a ricevere aiuti umanitari".
Nelle zone rurali, nei villaggi remoti, c'è sempre stata un'organizzazione ordinata, dice una donna d'affari a Damasco che aveva impiegato donne nelle zone rurali di Idlib, Raqqa e la campagna di Aleppo per decenni per il lavoro tessile. "Quando c'è stata una disputa tra i residenti, è stato chiamato il Mukhtar (sindaco), eletto e rispettato da tutti”. "La gente era povera, ma aveva dignità", ricorda. Il lavoro dava alle donne la fiducia in se stesse. "Ora le persone siedono nelle tendopoli, nei rifugi e sono trascurate". Le strutture tradizionali sono state distrutte: coloro che avevano trovato lavoro con le organizzazioni internazionali hanno sostituito i Mukhtar.
Fonti e commenti
(1) Il Consiglio europeo è l'organo della UE, che definisce gli orientamenti politici generali e le priorità dell'Unione europea. Esso è composto dai capi di Stato e di governo degli Stati membri e al Presidente del Consiglio europeo e il presidente della Commissione.
articolo tratto da: https://www.rubikon.news/artikel/sanktionen-bis-zum-tod